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    Le varie età della vita

    e lo sviluppo

    della religiosità

    Nico Dal Molin


    Introduzione

    Un testo pieno di saggezza realistica e insieme profondamente attuale, che ci permette di ben introdurci nel nostro argomento, può essere il capitolo 3 di Qohélet. Per ogni cosa c'è un tempo, un'occasione opportuna, spesso legata alle varie fasi, anche cronologiche, della nostra esistenza:
    C'è un tempo per nascere e un tempo per morire;
    c'è un tempo per piantare e un tempo per sradicare il piantato;
    c'è un tempo per uccidere e un tempo per curare; c'è un tempo per demolire e un tempo per costruire,
    c'è un tempo per piangere e un tempo per ridere (Qo 3,2-4).
    L'autore sacro scandisce il dipanarsi della vita per polarità contrapposte, legge e interpreta bene la nostra attuale cultura di vita. La nostra è la cultura dell'immediato e dell'effimero, del tutto e subito, dell'attimo fuggente, della toccata e fuga. È questa una forma sottile di pensare e di atteggiarsi, che sottende tante realtà della nostra vita [1]. È importante, seppur con passaggio a volo radente, evidenziare alcuni presupposti sui quali essa si fonda.

    Non ci sono valori e orizzonti di idealità ampi, nei quali poterci proiettare

    Il valore, l'orizzonte nel quale noi ci caliamo, è molto limitato. In passato si poteva utilizzare spesso la dimensione dell'Infinito, applicata non solo a Dio, ma anche ai valori. C'è sempre una dimensione pragmatica, uno sperimentalismo a tutti i costi: il protagonista è l'uomo, e non sempre in senso positivo. L'uomo si pone come il baricentro e il criterio unico del bene e del male, di ciò che può essere fatto, di ciò che non può o non deve essere fatto [2]. È un finito toccato immediatamente. L'uomo d'oggi sembra abbia perso la dimensione del «Mistero» [3]: una delle realtà forse più negative della nostra cultura sta proprio nell'averci privato della possibilità di sognare l'infinito, di fare il salto oltre le realtà visibili e concrete, di pensare in grande, non nel senso di fare grandi cose o di diventare chissà chi, ma nel senso di andare oltre la nostra piccola vita, oltre il nostro piccolo segmento di esistenza.

    Una vita segnata dall'apatia

    Ti guardi attorno e noti che le persone vivono un profondo senso di noia, di nausea. Siamo talmente saturi di tutto... I bambini, a cui è data ogni opportunità, si trovano poi ad essere dei piccoli-grandi solitari, dei piccoli-grandi nauseati della vita. E quando le persone crescono, ci si trova di fronte a degli individui che sono fortemente apatici, senza pathos, cioè senza passione ed entusiasmo per quello che vivono e che fanno! Non hanno più la voglia di coinvolgersi, di calarsi dentro; non hanno più la passione per vivere quello che potrebbe essere il motivo portante della propria vita.

    Quali i possibili sentieri di positività?

    Per una visione più realistica di questo nostro tempo, occorre imparare a recuperare «l'attimo presente», come bene afferma un autore contemporaneo: Victor Sion [4].
    È l'opportunità di recuperare l'importanza del quotidiano. Anche Gesù dice: «Non affannatevi per il domani [...]. A ciascun giorno basta la sua pena» (Mt 6,34). Questa è anche la proposta dei libri sapienziali, che sono una miniera ricchissima per l'incontro tra psicologia e spiritualità della vita. Non si tratta di vivere alla giornata, senza impegni, ma di capire che ogni giornata ha il suo profondo valore. Noi dovremmo recuperare una psicologia, una teologia e una spiritualità della quotidianità. Il vangelo di Marco, al cap. 2, ci descrive una giornata di Gesù a Cafarnao: è un modo per raccontarci come Gesù viveva la sua ferialità. E come non pensare alla stupenda icona mariana tracciata dal vescovo Tonino Bello: Maria, donna della ferialità? [5]
    Nel quotidiano ritroviamo i segni della speranza. Mai come in questi ultimi decenni si è parlato della speranza. Certo, viviamo in un'epoca di depressione, di persone disperate, che invocano speranza per la propria esistenza [6]. Un grande teologo, Jürgen Moltmann, ha dato voce a questo grido di speranza, traducendo le parole di Agostino di Ippona: «Io sono inquieto, ma di quella inquietudine che vuole cercare speranza» [7].
    Un contesto di vita per reimparare il valore del desiderio. Il desiderio, a livello educativo, è stato molto tabuizzato. Recuperare il gusto del desiderio, vuol dire anche ritrovare il gusto del progettare, il gusto della passione, del coinvolgersi in qualche realtà o vicenda personale, (contrapposta all'apatia), riassaporare la meraviglia e lo stupore. Il desiderio non va lasciato senza briglie e senza fantino, come i cavalli scossi del Palio di Siena, ma ci offre la possibilità di farci gustare le cose belle, quasi dovessimo reimparare un criterio estetico per tornare a guardare al «bello della vita». Potrebbe essere paradigmatico, sotto questo profilo, il successo ottenuto dal film di Benigni «La vita è bella». E si potrebbe partire, in questa pista esistenziale e spirituale, dalla bellezza del cuore umano, che forse è la cosa più grande da poter riscoprire.

    Per capire le esasperazioni della nostra cultura...

    Può essere utile, cercando di dare un contesto realistico al nostro tema di «sviluppo della religiosità», tenere presente la recentissima ricerca prodotta da un sociologo tedesco, Falko Blask. Egli la sintetizza in uno slogan: «Dopo la generazione X ecco la generazione Q, come Qaos»! [8] Sono i giovani che fanno seguito alla cosiddetta «Generation X» degli inizi degli anni '90, dove la loro realtà si proponeva indecifrabile come l'incognita di tante equazioni su cui abbiamo tribolato..., una generazione che non si poteva identificare con niente! Le caratteristiche della generazione Q, in estrema sintesi, potrebbero essere così riassunte:
    – i limiti non sono ammessi, i limiti non esistono: meglio agire sempre... off limits;
    – ogni giorno sia diverso dal precedente;
    – moltiplica sempre il numero delle possibilità a tua disposizione;
    – la disgregazione delle regole classiche, degli ideali e delle tradizioni, non è una perdita, ma una liberazione.
    Ci troviamo fotografata davanti una generazione sociopatica, nel senso che non prova risonanze morali per le azioni compiute. Il sociopatico segue solo i propri pensieri, prosegue per la sua strada, incurante di chi la sta attraversando. Egli porta all'estremo il principio di non dover mai chiedere permesso a nessuno. Una delle sue regole è l'assenza di regole, per cui la vita è un esperimento perenne, dall'esito incerto.
    Se la descrizione è finalizzata ai giovani, essa può coprire uno spettro più ampio, come tutti coloro che stanno vivendo il vuoto di significati provocato dalla fine delle ideologie.

    L'esperienza dei valori e della religiosità nel bambino

    Nel contesto socio-culturale che abbiamo cercato, seppur parzialmente, di delineare, quali sono i valori più importanti nel mondo infantile? Come essi vengono recepiti?
    Parliamo di un'età fondamentalmente importante. Le grandi scuole del pensiero psicologico, hanno sempre identificato nell'infanzia le radici di uno sviluppo più o meno corretto della evoluzione e della maturazione di una persona. Freud aveva identificato, in un primo tempo, questa età come la fonte di tutti quei conflitti che poi, nella vita, si cristallizzano come nevrosi. E collocava questa matrice nei primi cinque anni di vita del bambino.

    Affettività e stupore

    Molti studi successivi, tuttavia, hanno dimostrato che anche gli anni seguenti, in particolare gli anni della preadolescenza, non sono poi così innocui e insignificanti e lasciano delle impronte in gran parte indelebili. Potremmo definire la fase infantile di vita come l'età degli... affetti stupiti. Questo per sottolineare due dimensioni, a mio avviso, essenziali: affettività e stupore.
    1. L'affettività. È intesa come un legame in cui il bambino non si sente abbandonato a se stesso. Nella misura in cui egli si sente accolto, valorizzato e accettato, si sviluppano davvero le radici e le basi di una crescita molto più armonica della propria esistenza. L'importanza dell'affetto è fuori discussione. È la conditio sine qua non per presumere che ci sia anche una adeguata educazione ed esperienza religiosa e lo sviluppo globale della personalità.
    2. Lo stupore. Pensiamo, per un istante al profeta Osea, quando afferma: «Ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia» (Os 11,1ss.); gli fa eco il profeta Isaia: «Se anche una mamma si dimenticasse del suo bambino, Dio non si dimenticherà mai di lui» (cf. Is 49,15). Questo è lo stupore per un affetto che non viene meno.
    Abbiamo delle autorevoli conferme, in questo senso, sia nel catechismo dei bambini «Io sono con voi» come nella lettera pastorale del card. C.M. Martini, Itinerari educativi: «Una carenza affettivo-educativa è una povertà umana e culturale che determina strutture psicologiche difficilmente modificabili» [9].
    Se mancano queste due fondamentali dimensioni dello sviluppo, è lecito ipotizzare delle conseguenze anche negative. Sono certamente possibili dei ritardi educativi e di apprendimento logico. Un'altra possibile conseguenza è il disadattamento, che non è solo un problema «giovanile». Lo è anche dei bambini e degli adulti... Esso si manifesta con una forte componente di aggressività: c'è qualcosa che li disturba dentro;quando non si arriva, poi, a forme di autismo, con forti difficoltà nella comunicazione a livello motorio e affettivo-relazionale.
    È interessante, a questo proposito, come inizia il catechismo «Io sono con voi»: il titolo e il contenuto del primo capitolo è «Ti chiamo per nome». Non sei un anonimo! Chiamare una persona per nome significa metterla subito a proprio agio. Il nome identifica una persona. E potremmo anche aggiungere che il nome ha una profonda valenza nella Bibbia, dove esso ha un significato ben preciso che corrisponde alla missione della persona nella vita.

    L'esperienza religiosa nel bambino

    L'elaborazione della religiosità del bambino può essere vista sotto due profili: quello intellettuale e quello affettivo. La dimensione intellettuale è pienamente matura quando essa si esplica in una «finzione simbolica», che in lui non è ancora presente, essendo prevalente la fase delle «operazioni concrete» e non quella della «astrazione», come ben sottolineano gli studi dello psicologo svizzero Jean Piaget [10]. Egli non è in grado di capire e di elaborare grandi tematiche come «Regno di Dio», «Storia della Salvezza»... perché è molto più interessato e pronto a lasciarsi coinvolgere da storie concrete e vitali che lo appassionano: il viaggio affascinante di Abramo, quest'uomo innamorato delle stelle e del cielo, dove leggeva la promessa di Dio di dargli un figlio insperato; la vicenda piena di suspense di Mosè, che assomiglia ai suoi eroi dei fumetti; la storia di Giuseppe e dei suoi fratelli, che dal buio di un pozzo arriva sino ad essere il viceré dell'Egitto. E ancora: la vicenda di Samuele, piccolo bambino capace di dare delle lezioni agli adulti; l'epico scontro tra Davide e Golia, dove una volta ancora un piccolo vince chi è più grande e più forte di lui... Queste sono figure e pagine in cui il bambino può facilmente identificarsi.
    È altrettanto importante ricordare le caratteristiche della sua religiosità, per non esasperarle, ma neppure per rigettarle con sufficienza.
    1. La prima dimensione è quella dell'antropomorfismo, cioè il vedere in Dio gli attributi umani che più hanno colpito la sua fantasia infantile: da una parte c'è la possibilità di fare leva su figure positive e, attraverso le loro vicende, aiutarlo a capire la figura di Dio Padre e Madre; dall'altra, il rischio è di rimandare ad una visione che purtroppo è ancora tipica di una certa iconografia, dove la figura di Dio può identificarsi nella forma del grande occhio inscritto nel triangolo (e, sinceramente, questa visione «polifemica» fa davvero paura!) oppure diventa il buon nonno dalla grande barba bianca e fluente, più adatto a raccontare delle fiabe che a prendersi cura dei suoi figli, uomini, donne o ragazzi che siano.
    2. Altra caratteristica è quella dell'animismo. Si manifesta sia in forma protettiva che punitiva, attribuendo a fatti, persone, eventi delle funzioni di protezione o di castigo, che essi ovviamente non portano in sé. La percentuale di persone adulte che conserva questi tratti animistici infantili è molto alta, se si pensa a quanti considerano ancora una malattia, un incidente, una calamità naturale, come segni della giustizia punitrice di Dio, o se la vincita del jackpot dell'Enalotto è il segno della benedizione di Dio e dei Santi!
    3. La terza dimensione è il magismo. Dio è un essere dotato di poteri straordinari, in grado di risolvere ogni problema, soprattutto i miei problemi, non importa se questo poi vada o meno a scapito degli altri. È insomma un grande Mago, o il Genio buono della lampada di Aladino. Certo, educare ad una esperienza di un Dio che aiuta, è essenziale; ma forse è importante anche ricordare al bambino (e, perché no, anche agli adulti!), che conta molto anche il nostro piccolo personale contributo e che il Signore si inserisce dentro al nostro modo normale di vivere la storia e le relazioni, o il nostro rapporto con gli eventi.
    «Se non diventerete come bambini non entrerete nel Regno dei cieli» (Mt 18,3): sono le parole di Gesù che i vangeli ci riportano e che ci invitano a non collocarci nell'ottica di un infantilismo spirituale, ma nell'ottica profonda del cuore-bambino: la capacità di affidarsi e consegnarsi con «fiducia», che un grande maestro di carità del nostro tempo, Jean Vanier, definisce «la perla delle qualità». Il rischio è che questa perla venga poi stupidamente gettata via, nel vivere tutto in maniera sospettosa, sfiduciata, rancorosa o paurosa.
    Diventare come bambini per acquisire il senso dello stupore, della meraviglia, per tornare ad avere il cuore in grado di riconoscere i segni di positività, di meravigliarsi per le tante cose belle, per gustare la realtà in maniera semplice. Sono tutte qualità e valori di vita che stiamo perdendo, in nome di una indifferenza che appiattisce tutto, di uno spirito esacerbatamente critico, sino a diventare caustico, in una prospettiva di vita poco costruttiva, che ci rende cinici, ostili e avversari tra di noi.
    È la semplicità dell'infanzia, che non va confusa con l'ingenuità, che è il perno fondamentale di relazioni profonde e durature, vissute con coerenza e fedeltà. Sapendo che, più avanti nella vita, occorrerà fare i conti con i semi della divisione, con la gramigna del cuore, con i semi della discordia, che rendono le lacerazioni e le spaccature profonde e spesso difficilmente riconciliabili.
    Da ultimo, anche nella crescita religiosa, potremmo reimparare ad usare tre parole fondamentali: «Bravo, Grazie, Scusa». Se uno non le impara da piccolo, farà poi una grande fatica a recuperarle.
    Sotto questo profilo, l'ambito più significativo resta pur sempre quello della famiglia. Il card. Martini, sempre nella proposta di Itinerari educativi, parla di «gesti rassicuranti, gioiosi e affettuosi». In questo senso l'importanza dei modelli di riferimento e degli esempi di vita è più che mai fondamentale, per non lasciare i nostri ragazzi in balla di immagini mediatiche che riempiono la loro fantasia, ma non riscaldano il loro cuore [11].

    L'esperienza religiosa nella preadolescenza

    L'età della preadolescenza è stata, in passato, molto trascurata. Era considerata un'età compressa, quasi schiacciata tra l'infanzia e l'adolescenza. Non aveva fatto un buon servizio alla psicologia evolutiva Sigmund Freud (e non solo lui): con la sua definizione della preadolescenza come età della latenza, l'aveva resa praticamente insignificante per il futuro della vita, un'età in cui i conflitti non esistono e le modalità di approccio alla vita sono assolutamente tranquille. Il massimo grado di considerazione a cui si era pervenuti era di considerarla come una età «zip», una età cerniera tra infanzia e adolescenza.
    Occorre invece entrare nell'ottica, peraltro recepita dai catechismi «Sarete miei testimoni» e «Vi ho chiamato amici», che la preadolescenza non è un'età di tranquillità, ma un'età in cui la semina, sia di valori come di altre possibilità di vita, è particolarmente feconda, anche se la crescita di questi semi non è sempre così repentina ed evidente. E l'età delle crescite nascoste [12]: una specie di fiume carsico, sotterraneo. Le possibilità di emergere, di tornare a galla, dipendono anche dagli sbarramenti presenti nella cultura e nell'ambiente educativo in cui il preadolescente, una volta cresciuto, si trova a vivere.
    È questo un periodo in cui la voglia di autodefinirsi, che un tempo era tipica dell'adolescente, si manifesta sempre più evidente. È un'età in cui c'è reale povertà di comunicazioni significative, che non è solo povertà di vocabolario, ma è reale difficoltà alla espressione e di intraprendenza nel comunicare. Questo non è solo un problema dei  ragazzi, ma mette a nudo come anche noi adulti facciamo fatica a comunicare con loro. Non sempre abbiamo i parametri giusti, perché non sono più bambini e non sono ancora adulti. È una difficoltà di linguaggio, nel senso più ampio di questo termine, comprendendo in esso parole, gesti, affetti, espressione di emozioni e sentimenti.
    È un'età in cui si sentono spinti verso una libertà a tutti i costi che si manifesta, a volte, in forma di autonomia introversiva. Vogliono essere liberi, autonomi, però sono chiusi a riccio su se stessi, sono accartocciati sul proprio mondo, sono sepolti dai e nei mass-media.

    Quali le finalità educative da privilegiare nella preadolescenza?

    1. C'è una finalità umana: è la scoperta di una modalità nuova di vivere la stima di se stessi, intesa come esperienza basica di fiducia. È fondamentale cercare e trovare nella stima di sé una corretta percezione di se stessi, conoscendo e valorizzando le realtà di valore e di positività del proprio essere, dove poter integrare anche il negativo della propria vita. E molto bella e profondamente vera la preghiera di Tommaso Moro, il Cancelliere della Corte d'Inghilterra: «Signore, insegnami a capire le cose che sono buone e valide in me perché, con il tuo aiuto, io le possa far crescere. Insegnami anche a capire quelle che non sono buone e vere perché, se posso, cerchi di cambiarle. E insegnami a distinguere bene le une dalle altre». La stima di sé è fondamentalmente legata ad una corretta percezione di se stessi. Non è certo un obiettivo da rinchiudere in questa età, ma qui comincia ad avere il suo zoccolo consistente.
    2. C'è una finalità morale: è il passaggio dal dover al poter essere. Fondamentalmente il bambino è un legalista. E poiché egli è molto utilitarista, agisce spesso in base al «tu devi», perché sa che ne ottiene dei vantaggi o comunque evita delle possibili punizioni. Il preadolescente, invece, comincia a chiedersi: «Ma insomma, perché devo vivere sempre così?». Il «tu devi» degli altri può essere importante, ma forse ha bisogno anche di qualcos'altro, per esempio di accettazione e di approvazione. È la famosa scaletta di maturazione morale che alcuni psicologi hanno evidenziato [13]. C'è, infine, una finalità religiosa: essa va intesa come passaggio fondamentale dalla concezione del Dio giudice al Dio Amore e Libertà. Sembra una frase fatta, uno di quegli slogans scontati. Ma non lo è davvero. La dimensione del Dio Amore e Libertà colpisce molto il preadolescente [14]. In sostanza, è un'età in cui è possibile seminare piccoli segni valoriali, ma senza grandi attese o pretese di vederli poi immediatamente maturare.

    Per quale proposta educativa?

    Già per l'infanzia si è sottolineata l'assoluta importanza che riveste la via esperienziale. La via esperienziale è legata al fatto di presentare figure e fatti che possono diventare esemplificativi di un certo modo di essere e di interpretare la vita: hanno un grande impatto le figure bibliche, ma ancor più significative possono essere figure di attualità, vicine al mondo percettivo e fantastico di questi nostri ragazzi.
    C'è, poi, la via dialogica: non siamo di fronte dei bambini, che recepiscono il messaggio ma non lo mediano e rimangono così legati al proprio mondo fantastico; abbiamo dei ragazzi che sono in grado di esprimere il proprio potenziale razionale, con i quali è possibile stabilire un rapporto di dialogo, che dovrebbe evolversi verso un più profondo rapporto di fiducia.
    È un aiuto ad integrare una separazione dal mondo degli adulti e delle figure parentali, cercata e insieme temuta, in un superamento della fase infantile di onnipotenza, attraverso l'esperienza del limite, e in una nuova consapevolezza di sé che va oltre il narcisismo primario infantile.

    Sviluppo di una corretta esperienza religiosa

    Lo sviluppo di una corretta esperienza religiosa viene aiutato anche dal contributo di alcune piste valoriali:
    1. La conoscenza di sé. È assai importante, ma un po' sottovalutata, perché erroneamente si suppone che essa debba essere spostata a fasi di vita successive. È questo il momento opportuno, e lo sottolinea con lucida analisi una profonda conoscitrice di questa età, la psicoanalista francese Franςoise Dolto [15].
    2. La conoscenza della realtà circostante, e anche dei criteri di interpretazione di questa realtà. Questo porta alla scoperta di alcuni valori fondamentali nella relazione: la sincerità, la lealtà, la verità, pur in mezzo ad una molteplicità di messaggi che occorre imparare a decodificare.
    Sono delle piccole proposte perché una educazione etica e morale divenga veramente anche valoriale. Dopo tutto questo, potremmo indicare agli educatori due parole-chiave in questo itinerario educativo: riflessione e umiltà. La prima per capire, la seconda per imparare e per testimoniare.

    Quando si dice «adolescenza»...

    Un'antica e saggia massima afferma: «Se i giovani sapessero... se i vecchi potessero...», quasi ad indicare la beata incoscienza dell'adolescente, che ha potenzialità enormi, ma non le conosce.
    Oggi occorre effettuare un passaggio culturale importante: da una adolescenza «cronologica» ad una «psicologica»; significa che viviamo tutti calati dentro ad una «cultura adolescenziale»! L'adolescenza è una realtà dove è difficile fare chiarezza, perché strutturalmente non c'è chiarezza; dove la modalità prevalente di comportamento privilegia l'esteriore: un look di facciata fatto spesso di indifferenza e apatia.
    È il momento della «seconda nascita» alla vita da codificare, con tre componenti fondamentali da integrare: intimità capace di comunicazione con gli altri; sessualità come espressione del bisogno di amare ed essere amati; sicurezza interiore come ritrovata serenità e libertà dai sensi di colpa.
    L'adolescenza non è solo l'età degli sbandamenti, come una certa cinematografia ci ha abituato a vedere (cE ad esempio il film di Rosi: «Ragazzi fuori»). È fondamentale investire fiducia in questo mondo adolescenziale, senza soffocarlo con i nostri «amarcord» sul come eravamo. È aggiungere un pizzico di «insensato», capace di andare al di là delle nostre categorie adulte, logiche ma inflessibili. È la ricerca di una identità che crea confusione e dolore... il passaggio attraverso la terra di nessuno in un momento di esodo.
    Sotto la cenere riprendono ad ardere dei conflitti che si credevano repressi e superati, in una realtà non dialettica, ma conflittuale:
    ritornano più attuali che mai polarità come affetto e autonomia, apatia e trasgressività, vulnerabilità e onnipotenza, libertà dalla famiglia e dipendenza totale dal gruppo, dai media o dalla moda; è un mondo in bianco e nero: o di qua o di là.

    Eppure i valori ci sono ancora...

    In questa fase di vita ritroviamo un rinnovato interesse verso il senso vero dell'Amore; un recupero del senso della corporeità e della sessualità; un'integrazione meno competitiva tra mascolinità e femminilità; una maggiore apertura ai problemi reali della Vita; un bisogno di dialogo in cui sentano che c'è il cuore; una prima apertura a forme di servizio e volontariato.
    Sono realtà vere e grandi del mondo adolescenziale d'oggi! È dunque più che mai importante che questi adolescenti si incontrino con figure «significative», trasparenti e vere, non ammalate di esibizionismo o di ipocrisia, per dare un orientamento verso una interiorità spirituale della vita, in un contesto in cui tutto richiama l'effimero, il superficiale e l'esteriore.
    Essi cercano persone e non princìpi! Anche a livello di proposta religiosa e spirituale è la pista «induttiva» quella da battere: saper cogliere il bisogno e plasmarlo come Valore. Solo così l'esperienza, la vicinanza, il desiderio, il sentimento, la sicurezza affettiva tanto cercati divengono valori esistenziali e perni dell'esistenza, capaci di dare senso alla vita.
    Il vero educatore del mondo adolescenziale è un educatore «povero», cioè libero dal bisogno di dominare, di catturarli nella sua orbita affettiva, testimone veritiero di «questa» realtà adolescenziale, lontano dal bisogno di fare adepti, non schierato in posizioni di neutralità per non compromettersi, capace di camminare «accanto» con competenza e impegno empatici. In fondo «educare» resta pur sempre una questione... di cuore!

    Quale proposta religiosa?

    L'esperienza di questi anni di lavoro in mezzo ad adolescenti di estrazione socio-culturale diversa mi porta a sottolineare tre piste fondamentali, quasi tre criteri sui quali muoversi, per introdurli al mondo di una «revisione» o di un «recupero» della propria esperienza di vita interiore e di fede, spesso rigettata o malvissuta, perché ferma a standards infantili.
    1. La prima pista potrebbe formularsi così: «Vorrei aiutarti a rientrare dolcemente in te stesso». È una affermazione del grande scrittore francese Antoine de Saint-Exupéry in «Vento, sabbia e stelle», che il pontefice Giovanni Paolo II ha ritradotto in una bellissima affermazione, tipica del suo linguaggio che crea immediata intesa con il cuore dei giovani: «Ci vuole più vivere dentro!». È l'invito alla riscoperta dei «tesori del cuore», spesso compressi da un benessere a portata di mano che ci porta a non pensare. È una mappatura non intimistica o sentimentalistica, ma oggettiva, delle risorse della propria interiorità, di quelle possibilità di vita, di valori, di desideri, ma anche di quelle paure che stanno nel cuore di ogni adolescente. E su tutte queste realtà può diventare significativa la Parola che Gesù risorto ripeteva spesso ai propri discepoli, che sembrano vivere, pure loro, una certa confusione adolescenziale: «Non temete. Io sarò con voi». È una iniezione di fiducia di cui questa realtà adolescenziale ha profondamente bisogno.
    2. La seconda pista di questo accompagnamento a gustare i valori dello spirito potrebbe così riassumersi: «Dalla Parola alla Vita». Oramai sono sempre più convinto che molte pagine bibliche sono lontane dal mondo adolescenziale perché mai profondamente comprese nella loro valenza di guarigione globale della persona e nella capacità di leggere tutta la vita dell'uomo. Quando si riesce a compiere insieme questo passaggio, a legare cioè la Parola di Dio alla loro vita, a mostrare che questi personaggi vivono dinamiche, conflitti e ricerche di vita profondamente umani e vicini a loro, allora si intesse un dialogo profondo e fecondo. Sentono che la Parola di Dio si lega alle ricerche più esistenziali e sacre dell'esistenza: dare un nome alla propria confusa identità, vivere la relazionalità, leggere angosce e paure, far emergere i desideri più profondi o il mondo degli affetti e dei sentimenti. In questo senso la Parola della Scrittura non solo non stanca, ma diviene viva per le loro vite e si instaura una circolarità preziosa tra «Parola e Vita, Vita e Parola».
    3. Infine, la terza pista significativa riguarda la comunicazione con loro, la capacità di «parlare il loro linguaggio». Non si tratta tanto di uno sforzo giovanilistico per entrare nel pittoresco e colorito mondo delle loro espressioni; si tratta semmai di attingere al sempre valido «linguaggio del cuore», capace di esprimere con semplicità i sentimenti e le attese più profonde della vita, di mettersi in gioco in prima persona, avendo bene a mente la saggia massima di Quintiliano: «I giovani non sono dei vasi da riempire, ma dei cuori da riscaldare». Più che ad imparare a ragionare sulla propria vita, cosa pure importante per avere un senso di realistica capacità critica, è importante che trovino chi insegna loro anche a... gustarla. Ecco un aneddoto significativo:

    Prima di decidere di farsi discepolo, il visitatore voleva delle assicurazioni dal Maestro.
    «Mi puoi insegnare l'obiettivo della vita umana?». «No», fu la risposta decisa del Maestro.
    «O almeno il suo significato?». «No», si sentì ancora rispondere.
    «Mi puoi indicare la natura della morte e della vita oltre la tomba?». «No», gli fu risposto per la terza volta.
    Il visitatore se ne andò pieno di disprezzo. I discepoli erano costernati che il loro Maestro avesse fatto una così brutta figura. Allora il Maestro per consolarli disse: «A che serve comprendere la natura e il significato della vita, se non l'hai mai gustata? Preferisco che mangiate il vostro dolce, piuttosto che vi fermiate a ragionare su di esso».

    L'esperienza religiosa giovanile: limiti e prospettive

    C'è indubbiamente un notevole interesse e una grande attualità quando si parla dell'esperienza religiosa giovanile. Innanzitutto per il tanto dibattuto (o forse più chiacchierato) ritorno dei giovani alla religione; poi per l'emergere di «nuove forme di religiosità» che sembrano calamitare una parte dell'universo giovanile; e ancora per l'attenzione prestata dalle ricerche, soprattutto nell'ultimo decennio, a questa dimensione del mondo giovanile.
    Già il fatto di parlare di «esperienza religiosa» ci inserisce in un contesto esistenziale che cerca non tanto di teorizzare, ma di guardare al «vissuto», per coglierne l'evoluzione negli atteggiamenti e nelle motivazioni. Del resto, il fare esperienza è uno dei miti (o forse uno dei totem) tipici nell'ambito adolescenziale e giovanile.
    A questo proposito intendo parlare di entrambi questi ambiti, proprio perché oramai le caratteristiche della giovinezza sono state assorbite in quella che è chiamata la «post-adolescenza», in una giovinezza che si prolunga cronologicamente e psicologicamente, con i tratti dello stile adolescenziale. Ecco allora emergere alcuni problemi, chequi possiamo solo accennare e non sviluppare. Sono i conflitti sulla propria identità personale, i legami di forte appartenenza al gruppo e insieme il riflusso nell'individualistico e nel privato; le difficoltà di scelte spesso posticipate e vissute come minaccia per paura della responsabilità e della fedeltà che tali scelte portano con sé; le adesioni parziali e selettive, comunque sempre con la paura dell'impegno totalizzante; la sindrome della «inerzia post-decisionale»; l'influsso dei mass-media nel creare opinioni e stili di comportamento; la conflittualità ridotta con la famiglia, in cui si può «nidificare» e trovare un decennio di vita comoda e appagante in più rispetto al passato [16].
    Per capire l'approccio religioso del mondo giovanile, ci può essere utile operare qualche distinzione:
    – «La religione – dice Vergote – è un sistema simbolico, un insieme di linguaggi, sentimenti, comportamenti e segni che si riferiscono ad un essere (o a degli esseri) soprannaturale» [17]. Implica una dimensione cognitiva, una emotivo-affettiva e insieme orienta e ispira il modo di agire; il confronto con questo sistema simbolico può portare ad assumerlo o ad emarginarlo dalla propria vita.
    – La «religiosità», spesso usata come sinonimo di «religione», è invece una prospettiva diversa di lettura del fenomeno: essa fa riferimento al modo in cui la religione può diventare vitale in quanto mediazione di una «storia individuale»; è chiaro che essa non si sgancia da una più ampia mediazione socioculturale.
    Infine il concetto di «sacro»: è importante chiarire questo concetto, anche perché oggi si parla molto di «ripresa del sacro» o «di nuovo senso del sacro». Questi nuovi riferimenti al sacro sono, in realtà, un rapportarsi al valore e al senso della vita, ad un recupero di quello che si potrebbe definire «un sacro personale», che rivela l'uomo a se stesso e gli permette di attingere alla sorgente della propria vera umanità . In questo senso si può notare il successo che hanno tante parabole della saggezza orientale, ispirate proprio a questo rientro in se stessi. In questo senso il sacro può diventare «legame» tra l'esistenza personale e Dio. E una zona di esodo, di transizione per superare la superficialità a cui la nostra società spesso induce, con i suoi modelli, e questo ci porta a capire che forse,
    oggi, molti giovani si trovano proprio in questa fase transizionale, in cui vedono la possibilità di esplorare, senza impegno, il sistema simbolico religioso.
    Alla base di questo bisogno di «riscoprire se stessi», c'è il rischio di una perdita di sé in un «politico» che non ha mantenuto fede alle sue promesse, la ricerca di un ambito privato più rassicurante e di una autorealizzazione che coincida anche con una migliore qualità di vita e con la riscoperta del proprio sé, di un... Io finalmente senza maschere [18].
    Nei giovani d'oggi c'è un bisogno sincero di «trasparenza» spesso malcelato o pudicamente rivelato. Fin qui alcune precisazioni fondamentali, suffragate dagli studi di Antoine Vergote.

    Quali i possibili criteri di lettura della «religiosità» giovanile?

    I. Un primo criterio di lettura è considerare l'esperienza religiosa, e quanto essa può offrire, come un punto di riferimento esistenziale. È un vissuto religioso che non penetra nella vita e che non è risposta ad una domanda specifica, per cui si riduce quasi ad una forma di «consumismo religioso»; non entra come elemento costitutivo di valori, ideali e modelli che formino l'orizzonte di significato della vita.
    2. Tuttavia, il bisogno spesso travagliato di comprensione di sé e di ricostruzione di una identità frammentata e frammentaria, porta
    i giovani a verificare la consistenza di alcuni orizzonti di significato per loro disponibili. Secondo Garelli i 2/3 dei giovani riconoscono che la religione assolve nella propria vita al problema del senso, offre risposte ai «quesiti ultimi». Tuttavia emerge un'enorme indeterminatezza nel campo delle credenze religiose, per cui c'è una considerazione generica e riduttiva della religione. E così risulta assai critica l'immagine di chiesa e si afferma sempre di più quella religione dello scenario, per cui sul palcoscenico della propria vita il soggetto recita un copione profano, mentre la religione gli fa da sfondo, lo aiuta... a coprirsi le spalle.
    3. Un'altra modalità per leggere questa esperienza nel mondo giovanile è di vederla come possibile «traiettoria di realizzazione personale». Le teorie del «selfismo», legate ai nomi di Rogers, Maslow, Adler, Fromm, hanno lasciato profondamente il segno nella nostra cultura [19]. È la ricerca narcisista della propria personale felicità e, senza voler ricorrere all'interpretazione junghiana che vede Dio come l'archetipo di questa felicità del sé, Dio viene chiamato in causa ed è il «grande tappabuchi» delle vite, il Dio miracolistico a cui ricorrere per ottenere rassicurazione e protezione; insomma è veramente un Dio interventista!
    4. Di qui una conseguenza: l'esperienza religiosa è un aiuto proficuo per la ridefinizione della propria identità personale e sociale. Questa è una esigenza fondamentale avvertita dalle attuali giovani generazioni. In una società percorsa e attraversata da profondi fremiti di incertezza, scatta quasi naturale questa ricerca di sicurezza e di identificazione; e l'esperienza religiosa può offrirla. Credo stia qui il profondo successo ottenuto da tanti movimenti e gruppi di carattere psicologico e pseudo-religioso tuttora più che mai sulla cresta dell'onda.
    5. L'esperienza religiosa diviene, quindi, in particolare per i giovani, una risorsa ragionevole di fronte ai problemi della vita; proprio per questo non viene rivestita dei caratteri di necessità o di esclusività, come per il passato. Ma questa è anche la base della marcata soggettivizzazione del riferimento religioso fin qui considerato. Del resto, il clima di tolleranza e di pluralismo culturale dei nostri giorni permette, in particolare ai giovani, di vivere tutto ciò con quelle adesioni parziali e selettive, «senza impegno radicale», che già si sono viste come qualificanti nelle scelte postadolescenziali.
    6. Da ultimo, ma solo per quanto concerne questa breve analisi, vorrei suggerire un altro criterio: se è fondamentale e prioritario star bene nella propria pelle, con se stessi, lo è altrettanto in un rapporto con gli altri che sia soddisfacente. Ecco, allora, che l'esperienza religiosa diviene una modalità significativa di aggregazione sociale. Pur mantenendo la refrattarietà alle appartenenze impegnative, il gruppo di aggregazione ecclesiale offre opportunità e stimoli come «valvola di sfogo», come opportunità di identificazione, come possibilità di instaurare amicizie diverse dall'ambito scolastico e lavorativo. È una preziosa possibilità di mediazione, dalla quale emerge un tipo di giovane eclettico, flessibile tra la molteplicità, la diversità e l'opposizione dei riferimenti culturali presenti nella vita quotidiana. Attinge da ogni possibile riferimento, quanto può soddisfare le sue esigenze, senza porsi problemi di composizione o di sintesi.

    Quali proposte per far maturare l'esperienza religiosa giovanile?

    Potremmo fare riferimento a tre caratteristiche con le quali il sociologo Riesmann, a cui fa eco lo psicologo-pastoralista Henry Nouwen [20], descrivono la situazione giovanile oggi:
    1. È una generazione della privacy. Il ritorno al mondo della privacy individualistica e dell'intimismo soggettivo, è realtà fin troppo fondata e scontata. Tuttavia, proprio a partire da questa situazione, si può trovare una «pista di interiorità» perché il giovane non si chiuda a riccio su se stesso, non si fermi in un orizzontalismo di pura ricerca di sé, ma venga proiettato a «saltare lo steccato», a trascendersi verso valori al di là della propria personale felicità, in un modo più significativo di essere.
    2. È una generazione senza padri né madri. L'esperienza religiosa diviene anche salutare possibilità di ritrovare radici: quelle radici che spesso mancano nel proprio mondo di relazioni affettive e nelle figure parentali e della famiglia; l'essere senza padri né madri è una sensazione viva, anche se fisicamente (e soprattutto economicamente) sanno di averceli alle spalle. L'esperienza religiosa qui non si presenta solo come sostitutiva e funzionale, ma come nuova possibilità di nucleo centrale di riferimento interiore ed esteriore per le proprie scelte.
    3. È una generazione insicura ed inquieta, al di là delle apparenze. L'esperienza religiosa è per sua stessa natura «relazionale» [21]. Ecco allora che la ricerca di una relazione significativa diviene possibilità vera di comunicare, di avere un riferimento, di provare sicurezza e accettazione per dei cuori spesso lacerati dalla inquietudine e dalla solitudine. Non è la ricerca di un intimismo infantile, ma è quella meravigliosa esperienza che tanti giovani riescono a fare in momenti forti (campiscuola, esercizi spirituali, gruppi di spiritualità, Giornate Mondiali della Gioventù, incontri ecumenici di Taizé), quando sentono di andare sul «monte» con Gesù, di «stare con Lui» per ritornare con una maggiore carica interiore e una più forte motivazione ad un servizio verso fratelli e sorelle.
    Abbiamo parlato di una «riemergenza del sacro» nelle forme più diverse:. potremmo dire che esso rappresenta molto spesso, nell'ambito del mondo giovanile attuale, il tentativo maldestro di uscire dalle secche di una situazione frustrante, personale e culturale: sono cadute alcune grandi attese storiche, si vede la costante frustrazione del proprio desiderio di onnipotenza [22].
    Abbiamo anche colto come questo «sacro» che ritorna presenti delle modalità di espressione diffuse e indistinte, in cui si mescolano elementi positivi e negativi, come i criteri di lettura proposti hanno cercato di far emergere. È più che mai un «sacro sincretistico», con radici naturalistiche e cosmo-vitalistiche, ben espresso da quella nuova forma di religiosità che passa sotto il nome di New Age e che sta collezionando studi e interesse a vari livelli [23].
    Si dice che questa nuova religiosità del New Age metterà in crisi definitiva le grandi religioni, soprattutto il cristianesimo. A noi raccogliere la sfida, non rifugiandoci nel sorriso ironico di Sara quando le viene annunciata la sua maternità, ma nel proclamare e nel vivere una fede che riprenda contatto con la storia degli uomini, nel bisogno di comunità che tornino ad essere sale della terra e luce del mondo.
    Sapremo raccogliere questa sfida che può davvero modificare radicalmente la qualità della vita, realtà così cara al mondo giovanile? È la sfida profeticamente intravista già da Paolo VI, che nella Evangelii nuntiandi proclamava: «Il mondo [o i giovani d'oggi, potremo aggiungere noi] hanno più bisogno di testimoni che di maestri».

    La scelta religiosa nella vita adulta

    Spesso sembra che la vita delle persone, in particolare del mondo degli adulti, vada inesorabilmente alla deriva, senza possibilità di controllarla. È sparita la distinzione tra io ed ambiente; si vive una strana sensazione dissociativa tra idea e sentimento. Manca un confine tra fantasia e realtà... si diviene prigionieri del momento presente, il futuro diviene una grande macchia sfuocata, una nuvola impenetrabile.
    Gli uomini e le donne adulti di questo nostro tempo, hanno perso la fede ingenua che la tecnologia possa risolvere tutto e sono pure dolorosamente consci che quello che è un potere di vita, porta con sé un potenziale di autodistruzione. Basti pensare a tutte le ricerche nell'ambito della biogenetica: un potenziale enorme per migliorare la qualità della vita o un boomerang terribile per annientare la vita stessa! Usiamo molti strumenti, ma abbiamo perso la capacità di capire il come e il perché degli strumenti che adoperiamo. E così, nell'individuo adulto del nostro tempo, vita e morte si toccano morbosamente, come i media quotidianamente ci mostrano.

    Un tempo di dislocazione

    È una dislocazione storica, una frattura con il simbolo vitale e nutriente della tradizione culturale: la famiglia, la religione, l'ideologia, un ciclo vitale. In lui è cruciale la mancanza della continuità: prevale la «non-storia». Le reazioni sono sempre più di indifferenza e di noia.
    La rapida mutevolezza dei valori ha portato a frantumare le ideologie: dalle formule fisse e totalizzanti a frammenti ideologici più fluidi. Gli stili di vita sono divergenti, contrastanti e i media ci mettono a contatto con le esperienze più paradossali. L'arte di vita sembra esser sempre più quella del collage. Vale la legge della improvvisazione e il «nuovo» è sempre provvisorio!
    C'è una maggiore flessibilità e tolleranza, ma insieme una difficoltà ad avere una prospettiva di vita e di pensiero che siano coerenti.

    Ricerca di una nuova immortalità

    In questo senso di confusione generalizzata, in cui tutto è possibile, l'esistenza perde unità e direzionalità. La sfida, per l'uomo nucleare, è quella di perdere la sorgente della propria creatività, cioè il senso della propria immortalità. Egli non sa e non osa guardare oltre la propria morte. Sono in crisi simboli come Inferno e Paradiso, Cielo e Aldilà, Risurrezione e Regno di Dio, eppure trovano risonanza intensa tematiche come la reincarnazione, le vite plurime.
    C'è una profonda voglia di felicità. Crede di poterla trovare l'homo fugiens, così ben descritto nell'opera di una scrittrice contemporanea lettone, Zenta Maurina Raudive [24]. È «l'uomo della baracca» che Gabriel Marcel riprende da Hans Zehrer [25]. È il fuggiasco di Henry Nouwen [26]. Quest'uomo cerca felicità e non sa che essa potrebbe essere il frutto di una ritrovata vita interiore, in quelle stupende tre dimensioni, descritte nella parabola degli escursionisti di Teilhard de Chardin [27]: a) la incentrazione, cioè la via dell'Essere, b) la decentrazione, cioè la via dell'Amare, c) la super-centrazione, cioè la via dell'Adorare.
    La prima può essere legata alla via mistica: è la ricerca della propria vita interiore, come momento sorgivo dell'essere, come punto del silenzio. Potrebbe essere la via della concentrazione, della contemplazione, della meditazione e della preghiera, fonti da ritrovare per una vita interiore che sia la stella polare di una nuova armonia dell'essere.
    La seconda è la via rivoluzionaria: quest'uomo, stanco di potare alberi e segare rami, vuole estirpare le radici di una società malata. È la ricerca di uno «Stargate», di una porta delle stelle per un mondo diverso. Il rischio è di correre su linee estreme: passare, cioè, da un fatalismo passivo ad un attivismo radicale, sino a giungere ad un pragmatismo efficientistico, che sembra avere contagiato la vita ecclesiale e l'esperienza pastorale stessa delle nostre comunità cristiane... Quasi che la temperatura della fede vada misurata sulla quantità di attività proposte, più che sulla essenzializzazione che la vita spirituale stessa porta con sé.
    La terza è la via cristiana, così come ce la propone Gesù stesso nel Vangelo: essa non contrappone, ma integra, in una trascendenza esperienziale, le due piste precedenti.
    Nessun mistico potrà evitare di diventare un critico sociale, come nessun rivoluzionario potrà evitare di guardarsi dentro ed affrontare la propria condizione umana: al centro della sua lotta ci sono le sue stesse paure reazionarie e le sue stesse false ambizioni.
    È un modo per ripristinare la connessione interrotta tra passato e futuro e ridare unità ai frammenti sempre più disintegrati e lacerati della vita. Si potrà chiamare questa scoperta in vari modi: il Sacro, il Noumeno, lo Spirito, il Padre. La sorgente resta sempre e comunque nella scoperta della propria creaturalità amata.
    Il mutamento del cuore umano e il cambiamento della società umana non sono compiti separati, bensì connessi l'un l'altro, come le due braccia della Croce.

    L'esperienza religiosa nella terza età: per lodare il nome del Signore

    C'è una stupenda espressione del poeta francese Charles Péguy, per definire questa fase di vita, sempre più importante e che domanda una sempre più lucida consapevolezza: è l'esperienza della «vertigine sulla via del ritorno». Sarà questa esperienza motivo di capogiro o fonte di una nuova vitalità?
    La terza età è una realtà sempre più viva e presente nella realtà sociale, come anche nelle comunità cristiane: può essere vissuta come momento di precarietà, in cui la situazione psico-fisica e sociale non dà più alcuna sicurezza. Questo può diventare sorgente di nostalgia per il passato, di angoscia e di profonda solitudine nel presente. Oppure potrebbe configurarsi come un momento per elaborare dei nuovi e vitali passaggi di vita:
    – un tempo in cui lasciare la concitata frenesia della vita di prima, per concedersi i ritmi di una rilassata pacatezza;
    – un tempo per non entrare ulteriormente nella spirale dell'ansia delle cose da fare, da progettare, da cambiare e ritrovare, finalmente, una grata serenità del cuore.;
    – un tempo per lasciar cadere tanti motivi di divisione, in se stessi e dagli altri, e per entrare nell'ottica della riconciliazione, cioè nella opportunità di riannodare i fili spezzati della propria esistenza;
    – un tempo per uscire dalle provocazioni di una ostilità dura e di una cinica aggressività, per ridonare spazio ad una flessibile tolleranza di accettazione di sé e di relazione con gli altri;
    – un tempo per non lasciarsi ancora ingabbiare dalla logica riduttiva del parziale e guardare alla vita con uno sguardo globale, più sereno, perché più disposto all'abbraccio di tutta la realtà.

    Per quale esperienza spirituale?

    Innanzitutto per ritrovare o per purificare la fede del cuore. È una esperienza religiosa e spirituale che sa andare al di là della pura logica della ragione, e torna ad essere capace di meravigliarsi, che sa superare i rigidi aut–aut che determinano gran parte della vita stessa o gli efficientismi che spesso la angosciano. Una suggestiva icona evangelica, che potrebbe ben evidenziare questo passaggio di fede, potrebbe essere «il vaso di nardo spezzato» dalla donna anonima e peccatrice, nella casa di Simone il lebbroso, di cui ci racconta Lc 7,36-50. È l'esperienza di una «tenerezza» che si dona tutta.
    È il tempo per ritrovare il coraggio di una fede profetica. Capace di parlare «in nome di Qualcuno», che è oltre noi, la nostra storia, la nostra cultura, il nostro piccolo ambito di tempo. Capace di guardare in alto, per ritrovare il gusto di guardare in avanti, con la fiducia in un «dopo» sereno e benedetto. Capace di vivere per se stessi e di essere testimoni che indicano la via della «semplificazione», in un mondo sempre più complesso e, ahimè, tremendamente complicato. Qui l'icona evangelica potrebbe essere duplice: F incontro, sempre nel vangelo di Luca, con due figure cariche di anni, ma non sature nella loro voglia di vivere e di cercare: Simeone e Anna, i due stupendi testimoni dell'accoglienza di Gesù al Tempio di Gerusalemme, accoglienza e speranza di una luce che squarcia la nostra tenebra (Lc 2, 22-38)
    È la strada finalmente libera e liberante verso una esperienza di fede «laudativa e sapienziale». Una sapienza che è come l'architetto che progetta ed edifica la casa; come il nocchiero che sa veleggiare guardando alle stelle, e non come un illusionista che fa solo abili ma intriganti giochi di prestigio. L'icona evangelica che fa da paradigma a questo passaggio, potrebbe essere quella di Gesù che, guardando a Pietro, gli chiede: «Mi ami tu più di costoro?». E lo sguardo va anche alla sua veste che altri lo aiutano a cingere (cf. Gv 21,15-18). Sarà la nostra risposta simile a quella di Pietro?
    Per aiutarci a renderla tale, potremmo mettere in pratica le tre leggi del gioco della «dama», che un famoso rabbino ebreo, Rabbi Nahùm, proponeva ai suoi discepoli come criteri di vita:
    Ricordati di fare solo una mossa alla volta.
    Non scordare che devi muovere sempre in avanti. Quando poi sei arrivato «in alto»,
    allora potrai andare dovunque tu vuoi!


    Sommario
    La dimensione evolutiva dell'esperienza religiosa, vista nello scorrere delle varie fasi della vita, propone una rapida serie di note per una rivisitazione critica della nostra cultura. Questo perché l'esperienza religiosa stessa respira l'aria del contesto di vita in cui si è immersi. Pur valutando le conflittualità presenti nella cultura dell'immediato, si vuole anche far risaltare le possibili opportunità di crescita che essa propone, nel riappropriarci dei valori della ferialità, dei segni di speranza in essa presenti e anche della dimensione del «desiderio» che sottende ogni tentativo di crescita umana e spirituale, perché la motiva dal di dentro.
    Vengono poi analizzati i passaggi nelle varie fasi di vita, sottolineando gli aspetti concettuali e psico-pedagogici per una crescita religiosa. Nell'età infantile si privilegia la via della affettività e dello stupore. Nell'età pre-adolescenziale si ripone fiducia in quelle che sono chiamate le «crescite nascoste», che possono emergere in frutti insperati attraverso i passaggi della via esperienziale e dialogica. Nell'età adolescenziale si sottolinea il bisogno di recuperare il nesso tra Parola di Dio e Vita, per creare un circolo virtuoso esistenziale e per entrare dolcemente, e non bruscamente, nell'interiorità dell'adolescente. La fase giovanile è forse la più complessa, perché la dimensione religiosa e sacrale si presta a significati plurimi. Tuttavia è ancora una grande opportunità per trovare la via del cuore, per dare radici e riferimenti, anche affettivi, ad una vita smarrita e priva di padri e madri. La fede adulta è chiamata ad una rilettura profonda di se stessi, per non essere in balia delle forze centrifughe che costituiscono la dinamiche profonde dell'homo fugiens e per trovare una ricomposizione tra gli appelli all'impegno nel quotidiano e un bisogno di tornare a guardare un po' oltre e un po più in alto. Da ultimo l'esperienza della terza età può veramente essere rivalutata come una opportunità di purificazione e di liberazione della esperienza religiosa stessa, riappropriandosi di una fede del cuore, di una dimensione profetica e di una espressione spirituale che sia, nel contempo, sapienziale e laudativa.

    NOTA BIBLIOGRAFICA
    AA.VV., Educare i giovani alla fede, Ancora, Milano 1990 (in particolare gli articoli di C.M. Martini, E Garelli, G. Piana, S. Pagani); G. BARBIELLINI AMIDEI, Perché credere?, Mondadori, Milano 1991; A. Bissi, Maturità umana, cammino di trascendenza. Elementi di psicologia della religione, Piemme, Casale Monferrato (Alessandria) 1991; L. BOROS, Fasi della vita, Queriniana, Brescia 1979; A. CENCINI, Amerai il Signore Dio tuo. Psicologia dell'incontro con Dio, Dehoniane, Bologna 1992; N. DAL MOLIN, Verso il Blu, Messaggero, Padova 1995; ID., Diventare dono per far fiorire la vita, Apostoline-Paoline, Castelgandolfo (Roma) 1997; S. FAUSTI, Elogio del nostro tempo, Piemme, Casale Monferrato (Alessandria) 1996; ID., Occasione o tentazione: arte di discernere e decidere, Àncora, Milano 1997; A. GODIN, Psicologia delle esperienze religiose: il desiderio e la realtà, Queriniana, Brescia 1983; FR. IMODA, Sviluppo umano. Psicologia e Mistero, Piemme, Casale Monferrato (Alessandria) 1993; C.M. MARTINI, Ritrovare se stessi, Centro Ambrosiano-Piemme, Casale Monferrato (Alessandria) 1996; H.J.M. NOUWEN, Nella casa della vita, Queriniana, Brescia 1996; ID., La voce dell'Amore, Queriniana, Brescia, 1997; G. SOVERNIGO, Religione e persona, Dehoniane, Bologna 1988; A. VERGOTE, Religione, fede e incredulità, Paoline, Cinisello Balsamo (Milano) 1985.

    NOTE

    1 Cf. N. DAL MOLIN, Verso il Blu, Messaggero, Padova 1996, pp. 27-41.
    2 Quanto andiamo affermando è assai evidente nel grande filone delle «teorie dell'autorealizzazione», legate a Carl Rogers, Abraham Maslow, Rollo May, Erich Fromm: cf. DAL MOLIN, Verso il blu..., pp. 43-69.
    3 Per capire l'incontro della psicologia, in particolare di quella evolutiva, con la dimensione del «Mistero» , è molto lucida l'analisi proposta da FR. IMODA, Sviluppo umano. Psicologia e Mistero, Piemme, Casale Monferrato (Alessandria) 1995, in particolare alle pp. 17-76.
    4 V. SION, Per vivere l'attimo presente, Gribaudi, Torino 1995.
    5 T. BELLO, Maria, donna dei nostri giorni, Paoline, Cinisello Balsamo (Milano) 1993, pp. 11-13.
    6 J. MOLTMANN, La teologia della speranza, Queriniana, Brescia 1977.
    7 N. DAL MOLIN, Cammini di Speranza, per liberare la vita, Apostoline-Paoline, Castelgandolfo (Roma) 1996.
    8 F. BLASK, Q come caos, Ed. Marco Tropea, Milano 1997. Su questo tema cf. anche G. BORGNA, Il mito della giovinezza, Laterza, Bari 1997.
    9 C.M. MARTINI, Itinerari educativi, Centro Ambrosiano, Milano 1988 (cf. scheda nr. 1, pp. 3*-7x).
    10 J. PIAGET, Psicologia dell'intelligenza, Giunti-Barbera, Firenze 1973.CredOg n. 109 29
    11 Per una trattazione più ampia degli aspetti qui accennati, rimando al testo DAL MoLIN, Verso il blu..., pp. 181-196.
    12 S. DE PIERI - G. TONOLO, Preadolescenza: le crescite nascoste, Armando, Roma 1990; cf. anche S. DE PIERI - G. TONOLO - M. DELPIANO, L'età negata, Elle Di Ci, Leumann (Torino) 1986; Id., L'età incompiuta, Elle Di Ci, Leumann (Torino) 1995.
    13 Per avere un buon quadro della crescita morale in un ottica psicologica e teologica è molto utile lo studio di B. KIELY, Psicologia e Teologia Morale: linee di convergenza, Piemme, Casale Monferrato (Alessandria) 1982.
    14 P. SEQUERI, Il timore di Dio, Vita e Pensiero, Milano 1993.
    15 FR. DOLTO, Adolescenza, Mondadori, Milano 1990.
    16 C. COLLANGE, Io tua madre, Garzanti-Vallardi, Milano 1985.
    17 Per questa e le successive distinzioni, cf. A. VERGOTE, Religione, fede, incredulità. Studio psicologico, Paoline, Cinisello Balsamo (Milano) 1985, in particolare pp. 7-37.
    18 N. DAL MOLIN, Io senza maschere, Apostoline-Paoline, Castelgandolfo (Roma) 1991.
    19 Per la valutazione critica di queste teorie, resta fondamentale lo studio analitico e lucido di Paul VITZ, Psicologia e culto di sé. Studio critico, Dehoniane, Bologna 1987.
    20 È molto attuale la proposta di note psico-spirituali che Henry J.M. Nouwen propone in Il guaritore ferito, Queriniana, Brescia 1982, pp. 27-37.
    21 Sono molto mirate in questo senso, le ricerche di G. VERCRUYSSE, «The meaning of God: a factor analytic study», in Social Compass 19 (1972) 3, pp. 347-364.
    22 Cf.la lucida analisi di Ernest Becker ne II rifiuto della morte, Paoline, Cinisello Balsamo (Milano) 1982.
    23 J. SUDBRACK, La nuova religiosità, Queriniana, Brescia 1988.
    24 Cf. DAL MOLIN, Verso il blu, pp. 72-74
    25 G. MARCEL, L'uomo problematico, Boria, Torino 1964, pp. 11-13.
    26 H.J.M. NOUWEN, Il guaritore ferito, Queriniana, Brescia 1982.
    27 T DE CHARDIN, Sulla felicità, Queriniana, Brescia 1990.

    (da: Credere oggi 109 1(1999), pp. 23-46)


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    di spiritualità
    Il senso nei frammenti
    spighe


    Ritratti di adolescenti
    A cura del MGS


     

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