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    Uomini di pace, testimoni del vangelo

    Don Tonino Bello

    Vito Piccinonna *

     


    Come sono belli sui monti
    i piedi del messaggero di lieti annunzi che annunzia la pace,
    messaggero di bene che annunzia la salvezza, che dice a Sion: «Regna il tuo Dio»
    (Isaia 52, 7)

    Quando penso alla figura di don Tonino Bello, mi viene subito in mente questo versetto del profeta. Una parola che enuncia tutto l'impegno di una persona che ha vissuto in pienezza la sua vita e in particolare il suo ministero di presbitero prima e di vescovo dopo, desiderando, cercando, costruendo percorsi di pace.
    Sono trascorsi trent'anni dalla sua morte e don Tonino parla, richiama, scuote le coscienze di chi lo ha conosciuto e di coloro che, pur non avendolo incontrato di persona, attraverso i suoi numerosi scritti e le testimonianze, sono venuti in contatto con il suo autorevole magistero.
    Tra questi, anche io non ho avuto la possibilità di incrociarlo fisicamente, di ascoltare qualche sua omelia e qualche sua relazione o intervento. Avevo 16 anni quando lui è deceduto. Mi ritengo, però, privilegiato, avendo frequentato la scuola superiore in un paese della sua diocesi prima e il seminario regionale di Molfetta dopo, per aver ricevuto tanti aneddoti, racconti e soprattutto insegnamenti che don Tonino aveva elargito a piene mani nella sua diocesi, ai suoi fedeli e a quanti lo hanno incontrato.
    Tra i tanti insegnamenti, valori, doni che don Tonino ha cercato di dispensare con grande ardore, splende quello della pace.
    Un valore, un dono che egli ha sempre bramato e cercato di costruire. E lo ha fatto concretamente. A partire dal suo impegno di presidente di Pax Christi per ben otto anni. Si ricordano i diversi interventi fermi e coraggiosi contro il potenziamento dei poli militari di Crotone in Calabria e di Gioia del Colle in Puglia; contro la guerra del Golfo, manifestando un'opposizione tanto radicale da attirarsi l'accusa di istigare alla diserzione. Fino a dicembre 1992, quando partecipò alla marcia che si tenne nella città di Sarajevo, da diversi mesi sotto assedio serbo a causa della guerra civile.

    Pace frutto dell'impegno politico

    Potremmo affermare con molta verità che don Tonino non predicava la pace soltanto nei suoi sermoni, nelle sue lettere indirizzate ai capi dei governi e alle personalità politiche. Don Tonino la pace la cercava impegnandosi in prima persona e verso tutti. Era un uomo e vescovo che non restava seduto. Lui la pace la «faceva» camminando, incontrando chi viveva situazioni di disagio, di violenza, di non senso. Si faceva messaggero e il suo messaggio era costante, sempre presente sulla sua bocca e soprattutto vissuto nei fatti.
    Presso la sua tomba ad Alessano, in provincia di Lecce, su di una stele fatta di pietre, a lettere di colore rosso, è scritta una frase che sempre ripeteva: «In piedi costruttori di pace».
    Un monito e un invito sempre nuovo e attuale. Lo griderebbe a tutti noi, al nostro mondo che ancora oggi, in tante sue zone è segnato, martoriato, ferito da numerosi conflitti.
    Chissà quante marce avrebbe organizzato. Chissà quanti incontri con capi di stato avrebbe promosso. Chissà quante coscienze pensanti avrebbe ispirato. Non si sarebbe risparmiato su nulla. Don Tonino Bello non confezionava una tattica, ma una strategia di pace. Aveva la capacità di intuire che la difesa del creato, lo sviluppo dei paesi sfruttati e devastati, l'impegno politico, la costruzione dell'Europa, dopo la caduta del muro di Berlino, il rapporto tra Nord e Sud, ma anche tra Occidente e Oriente del mondo, erano tanti motivi che, pur nella loro diversità, potevano convergere nella costruzione di un unico grande mosaico di pace.

    Pace frutto della convivialità delle differenze

    In un suo testo così scriveva: «Pace non è la semplice distruzione delle armi. Ma non è neppure l'equa distribuzione dei beni a tutti i commensali della terra. Pace è mangiare il proprio pane a tavola insieme con i fratelli. Convivialità delle differenze, appunto. Di qui il nostro compito storico di far sedere all'unica tavola i differenti commensali senza pianificarli, senza uniformarli. Noi, popolo messianico e crismale, dobbiamo essere ministri di questo convito».'
    Don Tonino sognava una pace che si fa insieme. Stando a tavola. Avendo tutti pari diritti e pari doveri. La convivialità è accettare le differenze: sociali, politiche, culturali, religiose. Auspicava una pace fatta dall'incontro dei volti. Lui soleva dire che la pace è possibile se gli uomini compiono lo sforzo di guardarsi in faccia, scoprendosi a vicenda, presentando chi sta di fronte alla luce. Non ci può essere pace se ognuno è arroccato sulle proprie posizioni, se si attiva per raggiungere solo i propri interessi, se mette in atto qualsiasi forza per schiacciare l'altro. A tavola si condivide tutto e dalla tavola ci si alza per servire. Siamo tutti chiamati a metterci al servizio della pace.

    Pace frutto educativo

    In ogni occasione di incontro non mancava di esortare gli adulti, e in modo particolare gli insegnanti, i docenti, all'impegno forte di educare i bambini e le giovani generazioni alla pace.
    In un suo scritto così si esprimeva: «Il problema dell'educazione alla pace non dovrebbe assolutamente assillare gli adulti, ma dovrebbe preoccupare i bambini. Più che essere noi grandi a studiare metodologie giuste per iniettare nelle vene dei piccoli la linfa salutare della pace, dovrebbero essere loro a introdurre nella nostra circolazione sanguigna gli anticorpi in grado di neutralizzare i virus della guerra. Dovrebbero essere loro, cioè, a organizzare corsi, dibattiti e tavole rotonde sul tema: come insegnare ai grandi l'amore per la pace».2
    Si può affermare che don Tonino, oltre a essere un grande visionario, era un grande pedagogo. Era un educatore nel senso etimologico della parola, colui che è capace di tirar fuori dagli altri il meglio di loro stessi per fare cose mirabili.
    La pace aveva per don Tonino il profumo dei bambini. Chi meglio dei bambini può essere capace di trasparenza, di innocenza, di bontà, di nonviolenza?
    Credeva fermamente che adulti e bambini potessero insieme, reciprocamente educarsi alla pace. A partire dalle cose più immediate, invitava gli adulti a essere attenti all'uso del linguaggio, a depurare le relazioni dall'odio e dalla violenza, a evitare le discriminazioni, le ingiustizie, gli abusi di potere, la disparità tra uomo e donna, a praticare l'accoglienza e a mettere fiducia in ciò che si vive. Ai bambini che incontrava molte volte nelle scuole e nelle parrocchie, suggeriva invece di esprimere agli adulti tutti i loro buoni sentimenti, per aiutarli a modificare il loro modo di vedere, per condurli a farsi carico delle loro esigenze, per rispettare i loro tempi e spazi di crescita.

    Pace frutto della fede

    Don Tonino è stato un uomo di fede. E la sua fede era fondata nella preghiera, nel dialogo quotidiano col Signore della vita. Durante una conferenza così parlava: «A Dio non si arriva salendo i gradini dei nostri ragionamenti. No, non può essere così! Sarebbe un Dio freddo, che non dice niente. Non scalda nessuno questo Dio a cui arriviamo con le scalette del nostro ragionamento. Queste ci servono più per scendere da Dio verso le creature che per salire dalle creature verso Dio! Se qualcuno pretende di arrivare a Dio coi propri ragionamenti, trova di fronte a sé un ectoplasma imprendibile, inafferrabile, e comunque gelido. Così è per la pace: se è frutto delle prudenze carnali, delle contrapposizioni o dei bilanciamenti, non è pace. Occorre osare la pace per fede, fino a giungere perfino al disarmo unilaterale, come diceva Dietrich Bonhoeffer. Dovremmo fare allora questa preghiera: "Donaci, Signore, un cuore docile, capace di discernere il bene e il male". Perché, amici miei, abbiamo bisogno di questa capacità di discernimento, di questa "sapienza mentis" prima ancora della "sapienza cordis". E la sapienza della mente, cioè il sale che dà sapore alle cose, il Signore non lo riserva a qualche saliera soltanto, sparsa qua e là. Il sale il Signore lo diffonde su tutta la chiesa».3
    Don Tonino, per il suo discernimento, si rifugiava nella cappella. Sapeva benissimo che davanti al Signore non si può bleffare. Nella cappella, davanti al santissimo Sacramento, provava «come oro nel crogiuolo» le sue scelte umane e pastorali. La pace non sopporta cuori duri, manovre di convenienza, equilibrismi. In un altro passo del discorso della stessa conferenza così diceva: «Non si tratta di fare i politici, i politicanti, i demagoghi, ma di volere bene a Gesù Cristo».

    Pace frutto del vangelo

    Nel 1992, a pochi giorni da Natale di ritorno da Sarajevo, don Tonino in una intervista consegnava a Daniele Rocchetti queste parole: «Chi ama la pace, ha il coraggio di tirare fino in fondo le conseguenze di certe verità. Non ha paura di dire come stanno le cose, anche quando le sue parole rovinano la digestione dei potenti. Non ammorbidisce la profezia con i trucchi diplomatici, pur di non recare dispiacere a qualcuno. Mette il dito sulla piaga dell'ingiustizia, senza spaventarsi delle ritorsioni. Non si tira indietro se deve dire che la logica delle crescenti spese militari cozza contro quella del vangelo. Non avalla con i suoi complici silenzi lo sterminio per fame di popoli interi. Non si copre dietro gli scudi della prudenza per coprire la follia degli scudi stellari. Non teme il rischio dell'impopolarità se denuncia fino alla noia le tragiche aritmetiche della miseria, dei debiti del terzo mondo, della confusa definizione dei diritti umani, della corsa assurda al riarmo atomico che sta preparando l'olocausto planetario. E fa tutto questo non per calcolo politico ma perché sa che ogni uomo, di qualunque colore e appartenenza, porta con sé un frammento di Dio».
    Don Tonino ci dice a chiare lettere, ancora oggi, che si deve avere il coraggio di dire che la pace è l'anima forte del vangelo. È il coraggio richiesto agli «operatori di pace», che saranno beati e chiamati figli di Dio (cf. Mt 5,9).
    Chi si professa cristiano non può continuare a dar credito alle astuzie degli uomini più che alla parola di Gesù Cristo, il quale ha detto a Pietro: «Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada» (Mt 26,52) e poi: «Se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l'altra» (Mt 5,39).
    Un invito sempre attuale del vangelo che deve trovare applicazione a livello personale, comunitario, e da parte di tutti i popoli.
    Questa testimonianza non ha la velleità di essere la celebrazione delle gesta di un vescovo. Vuole offrire solo qualche spunto di riflessione sulla figura di don Tonino Bello, testimone credibile della pace e del vangelo, e aiutare sacerdoti, vescovi e quanti hanno a cuore la vita della chiesa, affinché, come disse il santo padre «... in ogni epoca il Signore mette sul cammino della chiesa dei testimoni che incarnano il buon annuncio di Pasqua, profeti di speranza per l'avvenire di tutti. E Dio desidera che il suo dono sia accolto, che la sua profezia sia attuata. Non accontentiamoci di annotare bei ricordi, non lasciamoci imbrigliare da nostalgie passate e neanche da chiacchiere oziose del presente o da paure per il futuro. Imitiamo don Tonino, lasciamoci trasportare dal suo giovane ardore cristiano, sentiamo il suo invito pressante a vivere il vangelo senza sconti. È un invito forte rivolto a ciascuno di noi e a noi come chiesa. Davvero ci aiuterà a spandere oggi la fragrante gioia del vangelo».4

    * Vescovo di Rieti

     

    NOTE

    1 A. BELLO, Sui sentieri di Isaia, Edizioni la Meridiana, Molfetta, 2011, pp. 63, 41.
    2 ID., Scritti di pace, Luce e Vita, Molfetta, 2018, p. 259.
    3 Conferenza tenuta da don Tonino Bello ai partecipanti al convegno nazionale del Movimento giovanile missionario. Roma, santuario del Divino Amore, 30 luglio 1990.
    4 PAPA FRANCESCO, Discorso in occasione della visita pastorale ad Alessano (LE), nella diocesi di Ugento-Santa Maria di Leuca, e a Molfetta (BA), nella diocesi di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi, nel 25° anniversario della morte di S.E. Mons. Tonino Bello, 20 aprile 2018.

    FONTE: Orientamenti pastorali, 3/2024, pp. 56-61, dossier "Beati gli operatori di pace": un vangelo dimenticato?


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