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    Preadolescenti:

    vivere il mondo

    come un eterno presente

    Mario Pollo

    (NPG 1986-01-71)

    Per prima cosa è necessario ribadire che non esiste una subcultura tipica della condizione preadolescenziale.
    I PA, infatti, non hanno ancora voce, né come singoli né come alquanto improbabile collettivo.
    Si può invece affermare che il PA vive il passaggio (la crisi) da soggetto passivo a soggetto attivo all'interno del gioco della produzione, consumo e conservazione della cultura sociale.
    Questo determina un modo particolare, da parte del PA, di vivere e interpretare la cultura sociale.
    Questo modo particolare, in bilico tra il non più ed il non ancora, costituisce in qualche modo l'identità ed il modo specifico del PA di appartenere alla cultura sociale.

    IL PENDOLARISMO TRA MONDO VITALE E UNIVERSALISMO DEI CONSUMI

    Il PA vive la cultura sociale oltre che all'interno di un momento personale di crisi, anche all'interno di un disequilibrio della propria appartenenza sociale.
    Egli infatti vive una sorta di pendolarismo, apparentemente paradossale, tra la realtà del proprio mondo vitale e quella dell'universalismo dei consumi di massa.
    Il mondo vitale del PA è intessuto dalla trama delle relazioni familiari, di quelle di vicinato, di quelle scolari ed amicali in genere, all'interno di un territorio alquanto circoscritto e comunque esplorabile senza particolari mezzi di comunicazione.
    Questo mondo vitale del PA ha la caratteristica singolare di non essere inserito all'interno di una comunità locale più ampia: città, regione e nazione; ma bensì all'interno di uno spazio-tempo universale, più o meno reale, disegnato dai mezzi di consumo di massa, unificato e reso significativo dalla musica inglese/americana, dalla moda e dai consumi di massa.
    L'universalità è data dal fatto che questo spazio-tempo culturale si espande in molte parti del nostro globo terracqueo. Di sicuro in quelle in cui si estende l'influenza della cultura nord americana o tecnologica in genere.
    Questo significa che il PA ha come riferimento alla sua identità socioculturale da un lato il mondo culturale disegnato da questo universalismo, dall'altro quello di quel piccolo frammento di storia e cultura sociale che è il mondo vitale in cui vive.
    Il risultato è che il PA non abita più una cultura sociale vera e propria, dotata cioè di una ben definita storia e identità, ma una sorta di limbo sospeso tra un astratto universale ed un molto concreto particolare.

    Il consumismo genera un anonimato culturale

    La caratteristica di questo limbo è, necessariamente, l'anonimato storico culturale. Infatti quello dell'universalismo dei consumi di massa è un mondo privo di storia perché è prodotto, da un lato, dalla razionalità tecnico-scientifica priva di memoria e, dall'altro lato, dal consumismo, che è uno dei modi in cui si dice oggi la distruzione della memoria culturale della gente.
    Il consumismo distrugge la memoria e, quindi, l'identità culturale delle persone, perché introduce modi di soddisfazione dei bisogni primari e secondari che sono totalmente estranei alla tradizione ed alla storia del gruppo sociale locale.
    Vi è ormai un modo molto simile di consumare e, quindi, di nutrirsi, vestire, divertirsi, e acquisire informazioni in quasi tutte le parti del mondo toccate profondamente dallo sviluppo industriale. Vi è di più. Il consumismo introduce non solo risposte a bisogni, ma anche il sorgere di nuovi bisogni artificiali.
    Questi nuovi bisogni sradicano sempre di più la gente, tra cui in modo particolare il PA, dalla storia, dalle tradizioni, e quindi dalla cultura locale.
    Questi bisogni disegnano un modo di costruire se stessi, di pensare alla propria persona ed alla propria vita, che è sufficientemente universale ed artificiale, tanto da non consentire più al PA un ancoramento alla comunità ed alla storia concreta del luogo e del tempo in cui ha la ventura di vivere.
    Da questo punto di vista il consumismo è una sorta di progetto artificiale di uomo, sganciato sia dalle necessità vere e primarie del corpo che di quelle dello spirito, che interferisce profondamente con il progetto che gli educatori ed i genitori solitamente propongono.
    Il consumismo, in quanto tende a disancorare l'uomo dalla storia, è anche una vittoria dello spazio sul tempo. Una vittoria cioè del mondo delle cose (lo spazio) sul mondo dell'essere (il tempo). È la rottura dell'unità profonda tra lo spazio ed il tempo, tra l'avere e l'essere al fine di sottomettere l'essere all'avere.
    Infatti il tempo, il suo dipanarsi nella storia, è il luogo in cui l'uomo riconosce se stesso e sente risuonare la profondità dello spirito. Lo spazio, le cose, è il luogo dell'esercizio del potere dell'uomo sulla natura.

    La somma di tanti presenti genera senso di precarietà

    Il PA si trova a vivere all'interno di una cultura la cui unica dimensione è quella dello spazio e del suo guardiano: il potere. Il presente gli appare come l'unica dimensione possibile dell'essere.
    Il mondo vitale non riesce ad essere un luogo di memoria culturale, anche se lo potrebbe, perché in esso sovente non sono operanti i canali di comunicazione intergenerazionali.
    La famiglia, che ovunque è oramai di tipo mononucleare, formata cioè solo dai genitori e dai figli, non riesce più ad assicurare la trasmissione della memoria del passato vissuto ai suoi figli. A ciò si aggiunga il fatto che gli anziani sono stati praticamente espulsi dalla trasmissione culturale e che la televisione ha sostituito nelle famiglie anche le più semplici forme di racconto delle proprie esperienze e dei propri vissuti presenti e passati.
    Il risultato di tutto questo, come ho già detto, è una sorta di limbo fuori dal tempo.
    Il presente è oramai l'unica dimensione costitutiva dell'esperienza esistenziale del PA.
    La vita si presenta a lui come la monotona somma di tanti presenti.
    Si potrebbe dire che il PA riceve una proposta di mondo in cui si è offuscato il senso dello scorrere del tempo da un passato, attraverso il presente, verso un futuro. Il tempo non è più costellato da ritmi ed intensità diversa, e quindi, di qualità esistenziali differenziate.
    Non vi è più la capacità di sentire crescere l'erba, di percepire cioè il suono del farsi e del disfarsi della propria esistenza.
    Infine, non ci sono più i santuari del tempo costituiti dalle feste, che sono giorni sottratti al dominio dello spazio con le sue ferree necessità di sopravvivenza e di potere, in cui ogni uomo può dedicarsi alla cura di se stesso e del proprio amore di Dio.
    L'assenza di memoria del passato e di conseguenza del sogno desiderante del futuro che caratterizza la cultura sociale universalistica determina il nascere, all'interno dell'esperienza di apertura al mondo del PA, di un angosciante senso di precarietà e del sentimento, inquietante, di sentirsi legato al circolo vizioso del comunicare e del consumare per potersi sentire riconosciuto come esistente.

    IMPOVERIMENTO DEL LINGUAGGIO E FUGA IN UN MONDO IMMAGINARIO

    La lingua e la cultura che i mass media propongono al PA, in conseguenza del disancoramento dalle radici del passato, hanno perduto il senso più profondo e nascosto delle cose che popolano il mondo. Lo spazio senza tempo immiserisce la propria capacità di significare.
    Le parole, prive del contrappeso di una storia e di una tradizione, tendono a dimenticare quella parte di significato che deriva loro dal rapporto con gli oggetti, fisici o mentali non importa, che in qualche modo rappresentano.
    La parola «pane», ad esempio, deriva il suo significato anche dal fatto che essa in qualche modo rappresenta, sta per l'oggetto pane.
    Di conseguenza essa contiene nel proprio significato anche le esperienze che un determinato gruppo sociale e la persona che parla hanno avuto intorno al rapporto uomo-pane.
    Oggi invece la parola «pane» tende a ricavare il proprio significato solo dal fatto di essere un segno particolare di una data lingua inserita, quindi, in un determinato vocabolario e utilizzata in uno specifico contesto.
    In altre parole questo significa che la parola «pane» ha nella lingua attuale un significato astratto, quasi quanto quello di quel simulacro di pane prodotto industrialmente e venduto nei grandi magazzini.
    La parola «pane», in conseguenza di questo, non evoca più ricordi di un passato più o meno prossimo, storie e racconti legati alla sua presenza o assenza del desco domestico, oppure di una infanzia legata ad uno scorrere diverso del tempo e di un rapporto diverso con la natura.
    La parola «pane» per un PA, oggi, evoca solo quell'impasto lievitato di acqua, farina e altre non meglio precisate sostanze, che viene cotto nel forno e venduto in particolari negozi.
    Non c'è più storia, memoria e nemmeno poesia nella parola «pane». Non c'è più neanche la differenza all'interno del significato di questa parola. Il pane evoca, infatti, un'immagine omogenea oramai in tutta Italia. La diversità di forma, di sapore, di consistenza del pane, che si registrava passando da una zona geografica all'altra, non appartiene più all'esperienza culturale del PA. La differenza, come ricchezza culturale, tra i vari tipi di pane è stata distrutta dalla industrializzazione universal-consumista .
    Lo stesso discorso può essere esteso ad altre parole di uso quotidiano della nostra lingua e si sperimenterebbe lo stesso svuotamento di capacità delle parole di rimandare ad un vissuto, individuale e collettivo, tipico dell'esperienza culturale di un gruppo sociale.
    Da questo punto di vista le parole sono sempre più veicoli di un mondo astratto che ha la sua origine fuori, lontano dalla storia locale, in un immaginario creato artificialmente dagli apparati dei consumi, delle produzioni e delle comunicazioni di massa.
    Le differenze culturali, così utili alla creatività dell'esistenza, lasciano il posto all'anonimato dell'universalismo privo di vera universalità.
    Infatti nessun universalismo è vero se non nasce dalla comprensione della profonda ricchezza che c'è dietro ogni differenza del particolare. Nessun universalismo può essere imperialista, nel senso che l'universalità nasce dalla capacità di far convivere in armonia le differenze che le varie culture locali manifestano, all'interno però di un sistema di valori, questo sì, comune a tutte le culture locali. Valori non legati però alla utilità pratica ed alla sopravvivenza ma al piano trascendente dell'esistenza umana. Sia chiaro che la parola «trascendente» qui sta ad indicare non solo l'esperienza religiosa, ma anche quella delle idealità civili, umanistiche e politiche.

    CULTURA E LINGUAGGIO

    Mi sono soffermato su alcuni aspetti del linguaggio per il semplice motivo che il linguaggio di una società è una manifestazione concreta della cultura della stessa società.
    Si può infatti affermare che il linguaggio, così come tutte le altre forme di comunicazione di una società, è il modo attraverso cui la cultura si manifesta storicamente. La cultura è l'insieme potenziale di tutti gli atti di comunicazione che possono essere compiuti in una data società.
    La cultura sociale non va cercata nell'astratto mondo delle idee, ma all'interno dei linguaggi che sono utilizzati quotidianamente dalla gente per comunicare.
    Se il linguaggio manifesta lo sradicamento dalla concreta storia spirituale e materiale di un popolo, allora questo significa che la cultura sociale ha perso la dimensione del tempo storico, per collocarsi all'interno di un mondo immaginario disegnato dal potere e, cioè, dal possesso dello spazio e degli esseri che lo abitano.

    CULTURA DELL'IMMAGINARIO E PERDITA DELLA LIBERTÀ

    Il discorso dello sradicamento della cultura dalla realtà storica è rinforzato se si prende in considerazione un altro fenomeno preoccupante, che è indotto dalle comunicazioni di massa. Oggi si diffonde sempre più la convinzione, non sempre consapevole, che le cose esistano e siano vere e reali solo se compaiono all'interno dello spettacolo delle comunicazioni di massa.
    Dice a questo proposito uno studioso americano delle comunicazioni di massa: «Se un albero cade nella foresta e la televisione non lo riprende, quell'albero è veramente caduto?».
    Le cose storiche concrete esistono solo se oltre ad accadere nel mondo della natura vengono inserite nel mondo della comunicazione di massa.
    Non solo; oggi è più reale un qualcosa di inventato in uno studio televisivo o cinematografico di un fatto che accade nella realtà, ma che per qualche motivo non viene registrato, direttamente o indirettamente, dal sistema di comunicazione.
    Di fatto il linguaggio, con le caratteristiche prima descritte, attraverso la sua alleanza con i mezzi di comunicazione di massa, tende ad allontanare il PA dalla realtà concreta locale e dal suo tempo storico per condurlo in un mondo immaginario, la cui artifícialità è garanzia della sua realtà.
    All'interno di questo immaginario collettivo nessun progetto etico è possibile, nessuna profonda libertà può esistere se non quella inerente la scelta di una parte tra un limitato numero di ruoli.
    Il progetto etico non è possibile perché esso introduce delle variabili disgreganti rispetto ai codici comportamentali previsti dalla parodia etica costituita dagli pseudovalori del mondo dei consumi e della comunicazione di massa.
    Un uomo etico è, infatti, un uomo che sa vivere in modo originale, coerente ed anche solitario, la propria costruzione di sé. Le mode, i bisogni artificiali, il mondo falso dei look, dei clips, ecc., non hanno su di lui alcuna presa.

    L'EDUCAZIONE DEL PREADOLESCENTE COME EDUCAZIONE ALLA STORIA

    Questa constatazione è quella che motiva la affermazione che qualsiasi progetto educativo rivolto ai PA deve consentire il loro radicamento in una storia, in un ritmo del tempo dotato di un senso. Solo se l'uomo è radicato in un passato può vivere nella sua pienezza il desiderio del futuro. L'identità umana stessa non si dà, se l'individuo non affonda le radici del proprio presente nella storia che ha vissuto, come individuo e come parte di un gruppo sociale.
    È necessario però, perché questo avvenga, che la lingua, oltre a fornire dei significati astratti, faccia risuonare la memoria viva di una storia, di cui chi parla è un protagonista anche solo come postero.
    La lingua e la storia non sono maledette per sempre e condannate a vivere solamente nel delirio dell'immaginario. È ancora possibile redimerle e renderle lo strumento di una efficace educazione del PA.
    È però necessario che gli educatori del PA avviino una comunicazione intergenerazionale basata, oltre che sull'asettica e scientifica trasmissione di dati, sulla narrazione della vita e del sapere culturale degli adulti.
    Narrazione intesa però come ospitalità, come invito dell'adulto al giovane a partecipare, condividendola, alla propria storia personale e collettiva.
    Narrare, infatti, è invitare qualcuno ad abitare un frammento del proprio tempo, della propria vita vissuta o sognata.
    La narrazione è l'unica forma di comunicazione intergenerazionale che può offrire quella profondità di significati esistenziali alle parole che la cultura universal-consumista sembra negare. Parlare del proprio rapporto di contadino inurbato con il pane, è un modo per caricare di significato la parola «pane» nell'universo linguistico del proprio figlio.
    La lingua non si insegna solo con il vocabolario e la grammatica, ma con il racconto vivo della vita che fluisce lungo l'asse del tempo scandito dalla melodia dell'essere.
    La lingua povera, il racconto semplice del proprio essere nel mondo, alla fine vince e rende fruibili, ad un livello meno alienante, il rumore della comunicazione di massa e aiuta l'espansione del controllo cosciente di sé del PA sulla propria vita. Cosa questa che costituisce, tra l'altro, una delle novità, delle aperture della sua condizione evolutiva.

    COMPUTERS E VIDEOGAMES TRA COSTRUZIONE E DISTRUZIONE DELLA PERSONA

    I videogiochi e i computers offrono oggi al PA un nuovo e potente strumento di dominio sulla realtà. È indubbio che consentono di attuare il dominio dello spazio ad un livello di intelligenza e di controllo sinora mai raggiunto. Tuttavia, come ogni strumento umano, essi sono armi a doppio taglio. Infatti se da un lato consentono alla persona di potenziare le proprie capacità di controllo e possesso cosciente della realtà e della sua logica, dall'altro lato essi possono anche divenire strumenti della distruzione senza scopo della vita umana. Infatti quando il potere, e la volontà che lo sorregge, perde il legame con l'essere, diventa la forma più perversa di nichilismo distruttivo privo di speranza. È il solito discorso! Lo spazio senza il tempo non consente la crescita della persona umana verso quei livelli di autenticità e di perfezione che pure essa ha a sua disposizione.
    La volontà di possedere, disgiunta dalla volontà di essere, crea morte o vita che della morte è il simulacro.
    Il computer è uno strumento come un altro, solo più moderno e potente; basta che il suo uso sia all'interno della scansione di un tempo della vita che vuole costruire l'uomo e non il dominio dell'uomo sul mondo.
    Un discorso astratto questo? Forse, ma basta pensare a quel ragazzo americano appartenente ad un club di piccoli geni, che si è nascosto in un inestricabile labirinto di canyons ed ha affidato la sua posizione ad un complesso videogioco. Se non lo avessero trovato in tempo, risolvendo il gioco, egli sarebbe morto. Ma anche senza questo esempio estremo di distruttività attraverso il gioco dell'intelligenza artificiale del computer, gli episodi che negli USA vedono protagonisti ragazzini in furti elettronici, sabotaggi in grande stile, ecc., rendono evidente il discorso di potere fine a se stesso, sganciato da ogni discorso etico che può nascere dall'uso di questi potenti mezzi tecnologici.
    Per finire, non è poi inutile ricordare che anche questi mezzi spingono il PA verso la realtà dell'astratto immaginario, scissa da quella della vita concreta nella fisicità dei corpi della natura. Riscoprire la corporeità propria e del mondo può essere un buon antidoto a questa tendenza.


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