Pastorale Giovanile

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    Il ruolo dei giovani

    e della pastorale giovanile

    nella comunità cristiana

    e nella società civile:

    attese, sviluppi e problemi

    Sergio Pintor *



    L
    a relazione è introduttiva: non ha quindi il compito di dire tutto sul tema e neppure di offrire una sintesi organica. Il suo scopo, molto più semplicemente, è quello di offrire alcuni elementi e sottolineare alcune prospettive, per una ulteriore riflessione in prospettiva operativa.

    1. Quale relazione della Chiesa con i giovani

    La coscienza da parte della Chiesa sull'importanza del ruolo dei giovani nelle comunità ecclesiali e nella società si è andata sempre più sviluppando, soprattutto a partire dal Vaticano II e attraverso i diversi sinodi episcopali.
    Significativa e particolarmente riassuntiva della presa di coscienza della Chiesa nei confronti del ruolo dei giovani e della relazione che con essi la Chiesa vuole instaurare è la prospettiva presente nell'esortazione apostolica "Christifideles laici".
    I giovani - sottolinea - in molti paesi del mondo rappresentano la metà della popolazione e, spesso, la metà della realtà numerica dello stesso popolo di Dio che vive in quei paesi. Anche da questo punto di vista i giovani costituiscono una forza eccezionale e una grande sfida per l'avvenire della Chiesa (Cf. ChL 46).
    Ma per la vita della Chiesa e il suo compito di evangelizzazione non si tratta semplicemente di un'importanza quantitativa, quanto soprattutto qualitativa.
    I giovani infatti vivono una fase particolarmente importante per lo sviluppo e la formazione della personalità umana e cristiana, per la scoperta del proprio "io" e del progetto di vita
    Necessitano quindi di una particolare attenzione da parte delle comunità ecclesiali, in modo che venga evangelizzata la totalità della loro realtà ed esperienza (corporeità, affettività, solidarietà, servizio, impegno). Ma i giovani costituiscono insieme anche una realtà sociale ed ecclesiale di grande rilevanza. Essi infatti sono quelli che, mentre manifestano tanti fattori di crisi della società, ricevono un più forte impatto con la nuova cultura che sta nascendo. Per il dinamismo proprio dell'età e la loro generosità, i giovani possono fare molto per aiutare la nascita di una società e di una cultura impregnata di valori evangelici. Nel suo nuovo slancio evangelizzatore e missionario la Chiesa ha bisogno specialmente dei giovani: del loro dinamismo, della autenticità della loro fede, del loro appassionato desiderio di servizio. Per questo i giovani non possono essere considerati semplicemente come oggetto della missione della Chiesa, ma sono di fatto - e devono essere aiutati a esserlo sempre di più - soggetti attivi, "protagonisti dell'evangelizzazione e artefici del rinnovamento sociale" (ChL 46).
    A livello di pronunciamenti magisteriali si può quindi affermare che la Chiesa guarda ai giovani in modo positivo, con rinnovato impegno di servizio e con il desiderio di sviluppare sempre più un dialogo
    Riconosce in essi una carica di novità; una disponibilità al rinnovamento, una apertura al futuro da realizzare, un fermento di cambiamento per una nuova società.
    La Chiesa in un certo senso, scruta nei giovani una sua immagine, quel che deve essere, la speranza che deve portare, il futuro da illuminare e costruire.
    Essa guarda alle aspirazioni, ai disagi, alle tensioni dei giovani, come "tensioni" e "aspirazioni dell'umanità che essa è inviata ad evangelizzare.
    Di conseguenza i giovani costituiscono per la Chiesa e la sua missione un "segno dei tempi" da scrutare, discernere e valorizzare. Essi costituiscono una sfida soprattutto per la qualità dell'evangelizzazione, per la conversione e il ringiovanimento delle stesse comunità ecclesiali.
    "La Chiesa - afferma l'Assemblea di Puebla - vede nella gioventù una enorme forza rinnovatrice, simbolo della Chiesa... Questo umile servizio deve far abbandonare nella Chiesa qualunque atteggiamento di sfiducia o di incoerenza nei confronti dei giovani" (Puebla 1178).
    La chiarezza dei pronunciamenti ecclesiali sulla relazione della Chiesa con i giovani è di grande importanza, perché la prospettiva ecclesiale quando si parla di pastorale, e di pastorale giovanile, rimane fondamentale. Ma non è sufficiente fermarsi alla enunciazione di soli principi. Va fatta una seria verifica sulla prassi pastorale delle nostre comunità ecclesiali e sulla loro effettiva relazione con i giovani e la loro realtà-condizione.
    Se ci domandiamo allora, quale relazione di fatto esista oggi tra i giovani e le nostre chiese ci accorgiamo che non si può dare una risposta generica e univoca, ma siamo rimandati a una pluralità di situazioni e di relazioni, oltretutto non statiche ma in movimento.
    È una domanda, quindi, che interroga ciascuno di noi nella concreta realtà della propria Chiesa locale e del proprio territorio. Una domanda che esige, anzitutto un'attenzione di fondo.
    Rimandando alle numerose ricerche e pubblicazioni che trattano, soprattutto a livello socio-religioso, le relazioni che intercorrono oggi tra giovani e Chiesa, mi sembra utile sottolineare alcuni elementi e problemi:

    a) Molte nostre comunità non appaiono ancora sufficientemente accoglienti verso i giovani: si nota talvolta scarsa disponibilità al dialogo o incapacità, sfiducia e disagio, impazienza pastorale, la frustrazione di tanti "sentieri" iniziati e interrotti, una certa chiusura e mancanza di slancio missionario, una pastorale rassegnata di nostalgica conservazione, soprattutto una povertà di proposta educativa.

    b) Da parte dei giovani non esiste in genere contrapposizione o rifiuto pregiudizionale verso la Chiesa: esiste tuttavia una certa disaffezione, estraneità o marginalità nei confronti della istituzione.
    Spesso la loro è una relazione "strumentale": danno fiducia e adesione nella misura in cui sentono di trovare risposte alle domande che si pongono nella vita quotidiana.
    Dentro questo limite sono evidenti anche delle possibilità: l'invito per una comunità ecclesiale a farsi più attenta alle domande dei giovani e al ruolo che in tale contesto assumono le persone che hanno responsabilità e agiscono nella chiesa anche come istituzione: secondo la loro capacità di ascoltare e comunicare con i giovani possono aprirli a una relazione di fiducia con la Chiesa stessa.

    c) Il problema del dialogo e della comunicazione della Chiesa con i giovani.
    La "Christifideles laici" sottolinea come "La chiesa ha tante cose da dire ai giovani e i giovani hanno tante cose da dire alla Chiesa". Si tratta di una prospettiva di dialogo "chiesa-giovani" che interpella fortemente i modelli di pastorale, e di pastorale giovanile, delle comunità ecclesiali.
    Non può esserci dialogo effettivo, pur nella consapevolezza delle reali difficoltà, se le proposte delle nostre comunità (ma c'è anche da chiedersi se ci siano sempre delle proposte...) non si incrociano e si incontrano con le domande e le attese dei giovani, e viceversa.
    C'è da chiedersi in quale misura le nostre comunità sono in grado di accogliere e rispondere alle domande che i giovani si pongono: sulla propria identità, sul senso della vita e dell'amore, sulla loro relazione e aggregazione, sulla trascendenza e sulla ricerca di Dio, sul comportamento etico, ecc...
    È dentro il ,terreno concreto delle attese e delle domande dei giovani che va cercato e promosso un dialogo.

    d) Ma, qui, emerge un altro problema o aspetto da considerare: le nostre comunità, nella loro relazione con i giovani, sono capaci di elaborare una autentica proposta educativa? Si ha l'impressione che, spesso, davanti alle molte domande educative, che pure esistono pur nella loro complessità e ambiguità, le comunità ecclesiali facciano fatica a coglierle, a meglio elaborarle e ad accompagnarle pedagogicamente.
    È più facile e frequente aspettare che la domanda dei giovani si esprima come richiesta di beni religiosi ben definiti (sacramenti, preghiera, una trascendenza già perfettamente definita, l'uso di strutture religiose...); oppure si proiettano su di essi domande e risposte che sono nostre, senza mettersi in sintonia con la ricerca giovanile; oppure ci si accontenta di abitare spazi e luoghi abitati o abitabili solo da pochi giovani.
    In sintesi si può dire:
    - La Chiesa è in una relazione "positiva" con i giovani. Non mancano le difficoltà e i problemi, ma sembrano emergere nuove possibilità di incontro e di proposte educative in riferimento alle domande dei giovani.
    Ma questo richiede :
    - Una comunità capace di ascolto e di dialogo
    - Una comunità disponibile alla purificazione e al cambiamento pastorale
    - Una comunità che assuma come proprie le domande dei giovani
    - Una comunità capace di elaborare domande e proposte educative
    - In altre parole, una comunità che prima di pretendere di conquistare i giovani, si lasci da essi interpellare e diventi essa stessa "giovane". Scriveva Mons. A. Del Monte, Vescovo di Novara, in una sua lettera pastorale: "Per fare una buona pastorale giovanile il primo passo non consiste nel conquistare i giovani, ma nel ringiovanire la comunità. Perché? Perché una comunità così carica di valori evangelici, con la trasparente sua testimonianza, dà ragione al mondo della propria speranza, e, quello che più importa, viene subito coinvolta direttamente nella storia, nelle più drammatiche battaglie intorno ai valori umani e alle sorti della vita... Una comunità giovane, che vive le ispirazioni del Concilio, incontrandosi col mondo, nello stesso momento in cui compie l'evangelizzazione, sa manifestare un amore così appassionato e un rispetto così profondo per ogni briciola di verità, per tutte le realtà e i valori profondi, da incidere profeticamente anche a livello "laico" nel pieno apprezzamento per tutto l'uomo..." (A. Del Monte, Una Chiesa giovane per annunziare il Vangelo ai giovani, Novara, 1978, n. 25-26).

    2. Quale pastorale giovanile e quale ruolo nella comunità

    Nella Chiesa italiana l'attenzione alle domande dei giovani e l'impegno per un'azione pastorale specifica e un servizio educativo nei loro confronti, non nascono certamente oggi. Esiste anzi una ricca e variegata tradizione nelle diverse chiese locali, in molte forme di aggregazione ecclesiale, in diversi carismi di vita consacrata.
    Sono numerosi i tentativi e le esperienze in atto per accompagnare i giovani nella loro ricerca, per proporre ad essi valori di vita, per guidarli gradualmente in un cammino di maturazione di fede, per coinvolgerli da protagonisti nella vita della comunità. Come pure è notevole l'attenzione e l'accoglienza verso giovani che vivono situazioni di emarginazione e di disadattamento.
    A differenza di altri paesi, dove si è partiti dalla costituzio¬ne di un Centro Nazionale di animazione per la pastorale giovanile, in Italia si è sviluppata prima una pastorale giovanile di base per arrivare poi ad avvertire l'esigenza di un servizio di coordinamento e di promozione a livello nazionale e in seno alla CEI.
    Sottolineo questo aspetto per evitare di pensare che la PG in Italia nasca oggi, ma anche per affermare come la PG possa vivere oggi nella nostra Chiesa un momento particolarmente ricco e significativo di riflessione, di verifica, di maggiore condivisione di esperienze e di progetti, di rilancio missionario.
    Ed è proprio alla luce delle esperienze in atto di P.G. che si possono fare alcune considerazioni:

    a) Anzitutto la necessità di una P.G., ma all'interno di una adeguata e più ampia pastorale globale della comunità.
    Da una parte si avverte l'esigenza che una evangelizzazione e una pastorale dei giovani, evitando i rischi di una eccessiva settorializzazione o di un generico allargamento, vada pensata e realizzata dentro l'unica azione pastorale con cui la Chiesa compie la sua missione evangelizzatrice, all'interno cioè di una pastorale organica e di insieme dell'intera comunità. E questo non solo a livello di organizzazione e di attuazione pratica, ma già nel modo di pensarla e di progettarla.
    Dall'altra esiste l'esigenza di promuovere e sviluppare un'azione pastorale specifica, attenta alla condizione dei giovani, non solo "oggetto" ma insieme soggetti attivi e responsabili di missione. Una azione con cui la comunità ecclesiale interpreti e illumini le domande dei giovani; li aiuti a scoprire, a seguire e ad annunciare Gesù Cristo e il suo progetto di vita nella loro realtà concreta; li renda capaci di fare consapevoli scelte vocazionali e di impegnarsi storicamente nella società.
    Per questo si può affermare che senza una PG adeguata la pastorale globale di una comunità appare fortemente riduttiva e penalizzata; e una PG senza una visione e collocazione pastorale più ampia e globale rischia di chiudersi in un settorialismo angusto, alla lunga scarsamente incisivo ed educante.

    b) Una visione di Pastorale globale in prospettiva missionaria
    La visione di pastorale globale che meglio sembra qualificare una PG oggi sembra essere quella caratterizzata da una prospettiva fortemente missionaria: una PG che è pensata e realizzata all'interno di tutta l'azione - prassi di una Chiesa, nel suo impegno di edificarsi - realizzarsi a servizio del Regno di Dio per la salvezza integrale di tutti gli uomini, nel concreto e nell'attualità della condizione-situazione storica, in una prospettiva universale e di futuro, nella ricerca di una sempre maggiore fedeltà alla propria missione.
    La definizione data dall'Assemblea di Puebla sull'azione pastorale come "la risposta specifica, cosciente e meditata, alle necessità della evangelizzazione" (Puebla 1307) può illuminare una rinnovata concezione della stessa pastorale giovanile.

    c) Elementi comuni maturati nelle diverse esperienze di pastorale giovanile
    Se si guarda alle esperienze nelle diverse chiese e ai diversi progetti, si può notare come non esista un modo rigidamente unico di intendere e realizzare la pastorale giovanile, ma se ne accentuano aspetti particolari.
    In ogni caso, nella evangelizzazione dei giovani sembrano ormai acquisiti alcuni elementi e criteri comuni:
    - la finalità generale della pastorale giovanile: aiutare i giovani a vivere in modo appassionato e profondo la propria vita, fino a incontrare e accogliere Gesù Cristo come il Signore della vita, attraverso la confessione gioiosa ed ecclesiale della fede e la condivisione fedele della sua missione per il Regno di Dio, aderendo pienamente al suo progetto;
    - la pastorale giovanile ha come soggetto responsabile e attivo l'intera comunità ecclesiale, con le sue molteplici mediazioni pastorali e interventi educativi: l'accoglienza e la solidarietà, l'annuncio del Vangelo, la celebrazione dei sacramenti, il servizio per lo sviluppo della vita del giovane in tutti i suoi aspetti, il coinvolgimento responsabile nella testimonianza e nella missione;
    - la pastorale giovanile non deve essere "elitaria" ma aperta a tutti i giovani presenti nel territorio, nella loro diversa condizione culturale, sociale e di fede;
    - la pastorale dei giovani deve essere caratterizzata da una forte carica missionaria: non può "attendere" i giovani, ma deve `'cercarli" e incontrarli negli ambienti dove vivono; non può semplicemente aspettare la loro domanda o maturazione nella fede, ma deve entrare in una prospettiva educativa dentro l'area di umanizzazione della vita del giovane per promuovere una cresci¬ta integrale e far germinare la domanda di senso, l'invocazione e l'incontro con il Vangelo di salvezza, secondo la dinamica di una "educazione evangelizzatrice" e di una "evangelizzazione liberatrice";
    - la pastorale giovanile si deve tradurre in una pluralità di proposte e di metodologie nel rispetto della legge dell'incar¬nazione, delle diverse condizioni di vita e ritmi di cammino dei giovani, dei diversi livelli di una loro appartenenza ecclesiale;
    - la pastorale dei giovani deve valorizzare come luogo vitale l'esperienza del gruppo, non in termini di chiusura ma di apertura sociale e ecclesiale;
    - la pastorale giovanile deve cercare, all'interno delle diverse culture e situazioni, i linguaggi e i simboli più rispondenti per dire la fede in modo incarnato nella realtà attuale dei giovani, in modo da favorire una riespressione della fede più incisiva da parte dei giovani stessi.

    d) Caratteristiche e qualità di una pastorale giovanile
    La caratteristiche e le qualità che una PG oggi dovrebbe presentare sembrano essere le seguenti:
    - Una PG inserita pienamente nella realtà, collegata e in stretto riferimento alle domande giovanili nel territorio.
    È necessario superare una tendenza, spesso diffusa, di crearsi circuiti autonomi, ambienti e spazi privati, chiusura nei gruppi o in piccole appartenenze dal corto respiro. C'è il rischio di rimandare l'impegno di collaborazione e di proposta missionaria a un momento successivo alla formazione, che intanto avviene solo nel chiuso della propria appartenenza, in modo spesso disincarnato dalla realtà circostante, in una sorta di manicheismo.
    La PG è chiamata a partire dalla realtà che i giovani vivono per aiutarli a prendere coscienza della propria identità e della propria vocazione integrale, a scoprire e a discernere valori e limiti nel proprio ambiente, a impegnarsi per una propria crescita che coinvolga gli altri coetanei, ad assumersi compiti di trasformazione sociale ed ecclesiale.
    - Una PG cristocentrica ed ecclesiale, in cui l'incontro personale con Gesù Cristo e il suo progetto di vita, sia il fondamento e il motore di tutta la vita del giovane e della vita del gruppo. Con la convinzione che tale incontro può essere meglio reso possibile, manifestato, celebrato, accompagnato e alimentato nella comunità ecclesiale.
    Di grande importanza per la qualità di una PG rimane la sua capacità di respiro veramente ecclesiale e di comunione con al centro l'impegno per una vera educazione alla fede.
    È il problema della catechesi dei giovani che non può essere pensata al di fuori di una PG; ma anche quello di una PG che non può fare a meno del momento specificamente catechistico che rimane centrale (Cf. RdC 143). Animazione e catechesi non sono in contrasto nella PG, ma sono elementi complementari nell'unica prospettiva di una educazione integrale e di una salvezza piena.
    L'insistenza sulla "nuova evangelizzazione" porta oggi a meglio scoprire il significato e la collocazione di una "sistematica opera di catechesi" richiesta da "Christifideles laici" per le nuove generazioni, perché i giovani possano gradualmente fare esperienza di una comunità in cui la fede sia realmente confessata, celebrata e vissuta nella carità come espressione della vita cristiana (Cf. ChL 33-34).
    Anche per la PG è importante ricordare quanto i vescovi affermano in "Evangelizzazione e testimonianza della carità":
    "È essenziale sottolineare sempre il rapporto dell'annuncio e della catechesi, come della testimonianza della carità; con la preghiera liturgica e comunitaria e con il colloquio personale con Dio, fonte di ogni santità e impegno apostolico" (ETC 11).
    La catechesi ha in questo un compito specifico come viene richiamato con chiarezza nei capitoli 2-3 del documento base "Il rinnovamento della catechesi".
    È proprio della catechesi, infatti, condurre gradualmente il giovane verso una maturità di fede; abilitarlo alla vita teologale nella concretezza della sua esistenza e del suo ambiente; educarlo a una autentica mentalità di fede attraverso una conoscenza sempre più profonda e personale del mistero-progetto cristiano, una iniziazione alla vita ecclesiale, una apertura profondamente universale, una integrazione della fede con la propria vita (Cf. RdC 30; 38-55).
    Di particolare importanza sarà fare in modo che la catechesi nella PG sia dentro la vita e le domande dei giovani, come risposta illuminante e liberante, come criterio per le loro scelte di vita e i loro progetti.
    Gli stessi catechismi in via di rielaborazione definitiva si pongono su questa linea: mentre rimandano a una più adeguata PG possono in qualche modo concorrere offrendo un comune progetto di educazione alla fede dei giovani.
    - Una PG comunitaria, partecipativa e missionaria: fondata sulla esperienza di gruppo, dove siano favorite la relazione personale, la comunicazione, la condivisione di compiti, la partecipazione nelle scelte; ma fondata insieme su una costante apertura al tutto della Chiesa, dell'ambiente e del mondo, per evitare i rischi che ci si chiuda esclusivamente nell'esperienza di gruppo e nei suoi problemi, ma ci si apra a tutta la vita e la missione della comunità ecclesiale, per essere fermento nel mondo e portare a tutti i giovani - attraverso la testimonianza di vita, la compartecipazione reale ai loro problemi e l'azione missionaria - la novità del Vangelo. In questa prospettiva vanno superati i rischi reali sia del parallelismo incomunicabile tra piccoli gruppi e Chiesa locale, sia della polarizzazione di giovani esclusivamente proiettati all'interno della Chiesa, o esclusivamente proiettati fuori.
    - Una PG educatrice: la PG deve offrire la possibilità a tutti i giovani, a partire dalla loro situazione diversificata, di percorrere un cammino graduale di crescita integrale, accettando tappe e ritmi necessari. La PG, se da una parte deve fare una proposta esigente, forte e carica di idealità (che, in definitiva, è la proposta di Gesù, via, verità e vita), dall'altra deve essere sempre attenta alle situazioni diversificate dei giovani, facendosi carico di un loro accompagnamento in un cammino graduale e progressivo.
    Appaiono scarsamente educativi sia atteggiamenti ispirati da criteri di rassegnato accontentamento o di proposte poco impegnative, sia atteggiamenti ispirati da criteri "elitaristici" o del "tutto-subito" nella fede.
    Sulla linea della pedagogia di Cristo è necessario percorrere con pazienza e amore le diverse tappe di un processo educativo che sempre deve passare per la via che è il giovane "nella piena verità della propria esistenza" (Cf. RH 13-14) e sempre deve partire dall'accoglienza e dalla ricerca.
    Nella PG va oggi accettato, con sapienza pedagogica, di offrire ai giovani la proposta cristiana con tutta la sua forza nello stile di una ricerca faticosa, non garantita, ma determinata e coinvolgente, significativa e responsabilizzante, in dialogo con le esperienze della vita e sempre sostenuta da riferimenti che resistono all'usura delle mode.
    - Una PG organica e inserita in una pastorale di insieme, articolata e organizzata ai diversi livelli, con coordinatori e responsabili, con linee progettuali comuni e condivise, integrata nella vita delle singole comunità ecclesiali e con le loro scelte pastorali.
    Si può così meglio evitare il rischio di isolamento e di dispersione, per una maggiore efficacia pastorale.
    - Una PG in cui il giovane sia realmente considerato soggetto di crescita, di rinnovamento e di missione.
    Il giovane deve essere aiutato a maturare la consapevolezza e l'esercizio di vera corresponsabilità, a vivere da protagonista nella Chiesa e nella società, a sentirsi chiamato ad essere apostolo degli altri giovani nella vita quotidiana.
    - Una PG dalla forte apertura missionaria.
    La pastorale dei giovani è chiamata ad assumere sempre più, nel contesto attuale, un dinamismo evangelizzatore e missionario.
    Essa, attraverso un processo educativo, deve presentare ai giovani il Cristo vivente e operante nella Chiesa, come unico Salvatore, perché, evangelizzati, evangelizzino e contribuiscano, con una risposta di amore a Cristo, alla promozione e alla crescita integrale degli altri giovani e delle persone nel proprio ambiente e nel mondo (Cf. Puebla 1166).
    La proiezione missionaria verso gli altri giovani e la stessa apertura alla missionarietà "ad gentes" sono, tra i segni più rilevanti per manifestare una reale crescita dei giovani nelle nostre comunità in un processo di maturazione di fede. L'esito, ma anche il contesto di una PG, - sottolinea l'Assemblea di Puebla - "nella linea dell'evangelizzazione deve essere un vero processo di educazione nella fede che porti alla propria, conversione e a un impegno evangelizzatore" (Puebla 1193).

    3. Alcuni problemi e prospettive di formazione

    a) La PG è per natura sua vocazionale
    Alcune forme di PG disattendono del tutto la dimensione vocazionale, mentre altre intendono la pastorale giovanile in modo solo strumentalmente vocazionale. In realtà la PG è per natura sua fondamentalmente vocazionale: chiamata a favorire la educazione e la risposta alle grandi domande esistenziali dei giovani nella loro identità e sui loro progetti di vita, conducendoli alla scoperta di essere chiamati per nome e scelti da Cristo per collaborare con lui a costruire una umanità nuova. Educare e orientare sono tra loro aspetti inscindibili e comple¬mentari. La PG, nella sua azione educativa, non si limita a prospettare ai giovani semplicemente delle possibilità, ma tende a guidarli: a scegliere e a organizzare una scala di valori, a essere veramente se stessi e a vivere in pienezza, a prendere coscienza delle proprie risorse interiori, a sviluppare le proprie capacità, ad aprirsi gradualmente ai problemi della Chiesa e del mondo, a investire la propria libertà e responsabilità in scelte stabili di vita e di servizio.

    b) La PG in una Pluralità di soggetti e di metodi, tende alla unitarietà di formazione dei giovani
    Se il soggetto primario della PG è la Chiesa particolare, è necessario che questa, all'interno di una progettualità dinamica e aperta a una costante incarnazione, elabori linee comuni di azione pastorale che tengano~no conto delle reali esigenze dei giovani nel territorio, delle esperienze di PG in atto, del servizio educativo già esistente da parte delle varie aggregazioni associative o di istituti di vita consacrata.
    Sembra richiesto molto più di una semplice "consulta giovanile" (per quanto importante e utile): si tratta di attuare e manifestare una Chiesa "comunione e servizio" in riferimento alla formazione unitaria del giovane. Dove unitarietà non va confusa con uniformità o centralismo, ma dove la ricchezza di una pluralità di soggetti educativi e di metodi converge in una sinergia educativa per la formazione unitaria della personalità integrale (umana e cristiana) dell'adolescente e del giovane.
    I progetti di PG che siano chiamati a elaborare e ad attuare devono essere "progetti di Chiesa" e di "Chiesa missionaria", ad ampio respiro, ma insieme capaci di esprimere alcune scelte determinate e comuni per un più efficace dialogo con la cultura attuale e la condizione dei giovani nel nostro paese. Alla lunga non servono e non appaiono particolarmente significativi progetti elaborati con visioni unilaterali nel chiuso di cenacoli giovanili, nel gioco sterile di contrapposizioni o di ricerca di falsi primati.
    L'unitarietà della formazione dei giovani oggi mi sembra debba essere ricercata e realizzata in riferimento alla unità armonica della persona a cui si vuole insieme servire, e in riferimento alla unitarietà della missione come Chiesa. Arrivare a delle linee progettuali comuni in una Chiesa locale o in regioni omogenee non è tutto, ma significa già molto, perché diventano un punto di riferimento e di collaborazione, sempre a servizio della crescita dei giovani.
    Ma la PG non dovrà preoccuparsi soltanto di coordinare la molteplicità dei soggetti educanti all'interno della comunità ecclesiale: si tratta anche di considerare modalità concrete di collaborazione con i molti soggetti dell'educazione dei giovani presenti e operanti nella società civile: scuola, progetti-giovani nelle amministrazioni comunali, comunità di accoglienza e di recupero, attività per il tempo libero e culturali, ecc...

    c) La necessità di reinventare e di elaborare, con serena pazienza educativa, un linguaggio di comunicazione di fede con i giovani
    Non si tratta di operazione facile o superficiale, assumendo semplicemente un linguaggio "giovanilistico". È una ricerca che passa necessariamente attraverso un ascolto e una condivisione della cultura e delle domande più vere dei giovani in situazione e attraverso una incarnazione interiorizzazione della proposta cristiana in tale realtà, con il coinvolgimento dei giovani
    Spesso noi usiamo un linguaggio incomprensibile ai giovani, ci poniamo su una lunghezza d'onda differente dalla loro.
    È necessario che ci mettiamo salutarmente in crisi per rivedere certi modelli educativi, il nostro linguaggio, il nostro codice simbolico. Dobbiamo accettare di cercare e di imparare con i giovani un rinnovato linguaggio di fede.

    d) I luoghi educativi della PG
    La PG può contare su alcuni luoghi educativi tradizionali, che vanno indubbiamente rafforzati e valorizzati. E necessario tuttavia riflettere su un problema: spesso alcuni di questi "luoghi" sono più abituati a offrire proposte preconfezionate, senza la fatica di elaborarle in riferimento alle domande dei giovani; domande che per lo più vanno suscitate, educate e accompagnate.
    Come ridare freschezza educativa a tali luoghi?
    Si avverte anche la necessità di pensare nuovi luoghi di incontro e di dialogo, ma soprattutto la necessità di aprire i diversi luoghi all'accoglienza e alla ricerca di tutti i giovani, per superare la "distanza" tra la strada e la Chiesa.
    O, ancora meglio, per fare in modo che la "strada" dei giovani diventi "via della Chiesa".
    Come imprimere questa "missionarietà" alla PG? Quali le esperienze più significative in proposito? Quali modalità suggerire e proporre?
    Esiste, inoltre, l'esigenza di meglio coordinare i diversi luoghi educativi e la necessità di coniugare i luoghi della pedagogia della fede straordinari e ordinari, con i luoghi concreti e feriali in cui il giovane vive e agisce. Un grosso ruolo di mediazione pedagogica per la formazione di fede può essere offerto dall'appartenenza a un gruppo, come luogo delle relazioni personali e della presa di coscienza della realtà, dello stimolo alla crescita personale e all'impegno nell'ambiente. Ma questo richiede una corretta dinamica di gruppo e la presenza di animatori-educatori sapienti, l'apertura al dialogo e al mondo degli altri giovani e degli adulti nella società e nella comunità cristiana.

    e) PG e appartenenza ecclesiale dei giovani
    In una PG dalla prospettiva fortemente missionaria l'appartenenza ecclesiale dei giovani va vista in modo molto articolato, graduale e progressivo. Non sembra né educativo né evangelizzante un certo "aut-aut" (o dentro o fuori) posto da alcuni operatori di pastorale. Non tutti i giovani sono in grado di partecipare immediatamente a tutte le proposte di una comunità cristiana e a tutta la sua vita; all'interno di un progetto comune una corretta educazione ed una vera evangelizzazione prevedono diversità di obiettivi e cammini diversificati e graduali. Se dei giovani non comprendono ancora l'importanza dell'Eucaristia nella loro vita e ancora non vi partecipano, non è motivo per abbandonarli oppure per rinunciare alla centralità dell'Eucaristia nella vita cristiana. Più semplicemente di tratterà di accompagnare, con fatica e talvolta con sofferenza, un cammino di ricerca nel rispetto dei ritmi della persona e nella fedeltà alla totalità ed esigenze della proposta cristiana.

    f) La necessità di promuovere una spiritualità rinnovata, laicale e giovanile, incarnata nell'oggi.
    Non è mancato in questi anni lo sforzo di aiutare i giovani a ricostruirsi una struttura di personalità cristiana, capace di fare sintesi tra l'appartenenza al proprio tempo e la proposta avvincente del Vangelo. Tuttavia spesso si percorrono ancora vie che potevano essere buone ieri, ma oggi appaiono poco rispondenti e destinate a non reggere davanti alle sfide culturali.
    Eppure una formazione dei giovani che non diventi "spiritualità" non è formazione vera. Una spiritualità che trova il suo fondamento nel dimorare in Cristo come decisione di fede che si approfondisce continuamente nella vita quotidiana concreta. Spiritualità giovanile come vita nello Spirito, come esperienza di una viva presenza di Dio che impegna tutta la persona.
    Spiritualità non è vivere cose diverse da chi non crede, ma vivere in modo diverso la stessa realtà giovanile, illuminata dal di dentro da una presenza e azione misterica. Spiritualità giovanile come comunione con Dio, apertura al suo futuro, generatrice di fraternità e di condivisione, capace di dono e di servizio all'interno di tutta la realtà giovanile e laicale oggi.
    La spiritualità evangelica, espressa nelle "Beatitudini", sembra essere una via particolarmente in sintonia con le aspirazioni più profonde dei giovani.
    Come pensare e proporre una formazione spirituale autenticamente evangelica attenta all'oggi, e veramente laicale, per i giovani nelle nostre comunità?

    g) Formatori per quale formazione
    Moltissimi dei problemi e delle prospettive accennate rimandano alla figura-persona dell'animatore e dell'educatore nella PG. In proposito non manca una apposita riflessione. Sono stati anche chiariti alcuni aspetti e decantati altri, per avvertire lo spessore che tale animatore deve offrire, soprattutto in una prospettiva sempre più urgente e forte di educazione.
    Infatti si avverte sempre di più il ruolo importante che nella vita dei giovani giocano i modelli e gli operatori educativi.
    Tuttavia si ha l'impressione che il modo di interpretare la figura e il ruolo dell'animatore sia spesso stancamente ripetitivo, monocorde e statico.
    Come pensare un rinnovamento e un allargamento della figura dell'animatore?
    In ogni caso, la mediazione educativa a cui la PG è chiamata sembra oggi richiedere dei formatori capaci dl correlare tre livelli educativi irrinunciabili e complementari: l'animazione di gruppo, l'annuncio e la proposta di fede, la personalizzazione del rapporto educativo. Questo rimanda alla molteplicità-complementarietà di figure di formatori dei giovani, con alcuni elementi di formazione comuni e con alcune abilità educative più specifiche, ma tutte le figure caratterizzate da una particolare maturità umana e di fede, e da una sapiente apertura pedagogica.
    Come pensare e formare tali figure formative a livello di presbiteri e di laici, di giovani e di adulti? Come rendere complementari tali figure?
    Mons. E. Masseroni, in una sua lettera pastorale dal titolo "Giovani e Chiesa", così riassume l'identikit dell'educatore dei giovani: "L'educatore (sacerdote, religioso/a, laico) è il testimone di una sintesi sufficientemente armonica tra fede e vita, che non ceda all'instabilità, o alla condizionabilità tipicamente adolescenziale; è una sintesi tra autorevolezza e capacità di dialogo nell'attenzione paziente e amorevole per chi è in salita verso l'età matura. È anche il testimone di un esperienza vissuta, capace di rinnovare ogni giorno la sua forte passione educativa che si traduca in un rapporto personalizzato, in proposte puntuali e stimolanti, senza ripiegamenti nemmeno di fronte agli immancabili fallimenti. Insomma l'educatore è la persona che ha vissuto l'incontro con Gesù di Nazaret e ne vive il desiderio della comunicazione agli altri".

    Conclusione

    La prospettiva ecclesiale che ha aperto la nostra riflessione, è anche quella conclusiva.
    La scelta preferenziale per i giovani a cui i vescovi italiani invitano le nostre comunità ecclesiali, è una scelta che coinvolge non solo il fare ma anzitutto la qualità dell'essere Chiesa accogliente, educante e testimoniante.
    J. Vanire in un suo articolo, pubblicato nella rivista "Vie consacrée", partendo dalla sua esperienza delle comunità dell'Arca, parlava di giovani che nella società attuale spesso appaiono "destrutturati" e ridotti a una situazione di profonda precarietà e povertà, ma che proprio a partire da questa esperienza possono essere aiutati a ritrovare le proprie aspirazioni più profonde. Più che di un immediato bombardamento di parole e di insegnamenti - egli afferma - questi giovani hanno bisogno di fare una vera esperienza spirituale e di nuova qualità di vita dentro una comunità ecclesiale accogliente: "I giovani hanno bisogno di esperienze e soprattutto di un'esperienza spirituale. Più toccano le profondità delle loro sofferenze interiori, più si sentono destrutturati, più hanno coscienza della loro confusione sul piano delle idee e dei valori e più hanno bisogno di incontrare Dio, di fare esperienza dell'amore misericordioso del padre.
    Più che dei figli primogeniti la nostra società prepara dei figli prodighi! Ma la Chiesa è pronta a mostrare il volto di questo Padre pieno di tenerezza e di misericordia, che corre verso il figlio quando egli è ancora per la strada, lo prende tra le braccia e lo stringe sul cuore, rivelandogli di quale amore incondizionato è amato?
    Questa esperienza dell'amore del Padre tocca il giovane a un livello ben più profondo di qualsiasi esperienza di droga o di sesso, che possono averlo attirato per un momento, lasciandolo poi profondamente deluso. È un'esperienza ben più profonda dell'intelligenza razionale. È un'esperienza di pace e di luce, un'esperienza che l'aiuta a capire che ha un valore e che nel suo intimo è nascosta una sorgente di vita che può zampillare e dare la vita ad altri. Questa esperienza spirituale di incontro con la persona di Gesù o la persona del Padre è in realtà un'esperienza mistica donata dallo Spirito Santo".
    È evidente il richiamo analogico alla pagina evangelica del "Padre misericordioso", una pagina che può diventare la "magna carta" di una PG rinnovata, di cui soggetto siano delle comunità capaci di manifestare agli uomini di oggi, e ai giovani in particolare, non il volto del "fratello maggiore", ma il volto misericordioso del Padre.
    Nella convinzione che una PG realizzata nel segno evangelico della misericordia, sarà più facilmente una PG profeticamente più coraggiosa, ecclesialmente più organica, evangelicamente più intelligente.

    (3/3/1993)

    * Vice Direttore dell'Ufficio Catechistico Nazionale della CEI


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