Pastorale Giovanile

    Home Indice

    Pastorale Giovanile

    Attesi dal suo amore
    Proposta pastorale 2024-25 

    MGS 24 triennio

    Materiali di approfondimento


    Letti 
    & apprezzati


    Il numero di NPG
    luglio-agosto 2024
    600 cop 2024 2


    Il numero di NPG
    speciale sussidio 2024
    600 cop 2024 2


    Newsletter
    luglio-agosto 2024
    LUGLIO AGOSTO 2024


    Newsletter
    SPECIALE 2024
    SPECIALE SUSSIDIO 2024


    P. Pino Puglisi
    e NPG
    PPP e NPG


    Pensieri, parole
    ed emozioni


    Post it

    • On line il numero di LUGLIO-AGOSTO di NPG sul tema degli IRC, e quello SPECIALE con gli approfondimenti della proposta pastorale.  E qui le corrispondenti NEWSLETTER: luglio-agostospeciale.
    • Attivate nel sito (colonna di destra "Terza paginA") varie nuove rubriche per il 2024.
    • Linkati tutti i DOSSIER del 2020 col corrispettivo PDF.
    • Messa on line l'ANNATA 2020: 118 articoli usufruibili per la lettura, lo studio, la pratica, la diffusione (citando gentilmente la fonte).
    • Due nuove rubriche on line: RECENSIONI E SEGNALAZIONI. I libri recenti più interessanti e utili per l'operatore pastorale, e PENSIERI, PAROLE

    Le ANNATE di NPG 
    1967-2024 


    I DOSSIER di NPG 
    (dall'ultimo ai primi) 


    Le RUBRICHE NPG 
    (in ordine alfabetico
    e cronologico)
     


    Gli AUTORI di NPG
    ieri e oggi


    Gli EDITORIALI NPG 
    1967-2024 


    VOCI TEMATICHE 
    di NPG
    (in ordine alfabetico) 


    I LIBRI di NPG 
    Giovani e ragazzi,
    educazione, pastorale

     


    I SEMPREVERDI
    I migliori DOSSIER NPG
    fino al 2000 


    Animazione,
    animatori, sussidi


    Un giorno di maggio 
    La canzone del sito
    Margherita Pirri 


    WEB TV


    NPG Facebook

    x 2024 400


    NPG X

    x 2024 400



    Note di pastorale giovanile
    via Giacomo Costamagna 6
    00181 Roma

    Telefono
    06 4940442

    Email


     

    La parrocchia:

    Chiesa che vive

    tra le case degli uomini

    Renato Corti

     

    Parlare di parrocchia oggi significa accettare di addentrarsi in un discorso impegnativo. Lo sanno quei vescovi che sono già intervenuti sull’argomento, sia attraverso vere e proprie lettere pastorali, sia attraverso riflessioni inviate alla Segreteria della Conferenza Episcopale. La parrocchia oggi ci appare come una realtà in forte movimento, che per tanti versi sembra sfuggire ad una presa solida e rendere, in qualche misura, provvisori i nostri discorsi.

    Tuttavia, il nostro contesto ecclesiale si attende che della parrocchia si parli: per sostenerla, per tranquillizzare di fronte ai cambiamenti che tutti vediamo (si pensi al numero dei preti che la animano in costante calo, al problema di parrocchie da rivedere nella loro dimensione, da accorpare, ecc.), per mostrare che si intuiscono, almeno per grandi linee, delle indicazioni per il futuro. Il contesto ecclesiale italiano si attende che le nostre parole offrano chiari orientamenti sul centro della figura parrocchiale, sui ministeri necessari a farla vivere, sui legami con altre realtà ecclesiali, sul rapporto col territorio.

    In vista di un discernimento pastorale

    Di fronte a simili attese, è più che giusto precisare da subito quale sarà il punto di vista a partire dal quale, in questa assemblea, dobbiamo parlare della parrocchia. Come vescovi siamo chiamati, insieme con le nostre Chiese, a fare un esercizio di discernimento. Faremo nostre le richieste di Paolo alla comunità di Tessalonica: “Esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono” (1Ts 5,21). Per compiere un discernimento corretto dobbiamo certamente affinare lo sguardo, esaminare la situazione nella sua complessità, nei suoi risvolti molteplici e inaspettati per poi giungere a discernere ciò che è buono[1].

    La relazione che ora propongo vorrebbe aiutare a ricostruire l’orizzonte dentro il quale compiere il discernimento, ristabilendo le giuste proporzioni di ogni aspetto della figura parrocchiale odierna. Accennerò invece soltanto al secondo passo del discernimento, quello del giudizio vero e proprio (“Tenete ciò è buono”). Questo potrà essere il compito della presente assemblea, e poi via via delle Chiese locali che costituiscono la Chiesa italiana.

    Esercitando in questo modo il nostro discernimento affermeremo che siamo qui riuniti per comprendere sempre più e per lavorare insieme ad una trasformazione ecclesiale che ci sta toccando tutti e che chiede di poter vedere in noi vescovi degli esempi di docilità allo Spirito che guida la sua Chiesa, dei maestri di una Chiesa che si pensa sempre più come comunione.

    La Chiesa ha bisogno della parrocchia

    Prima di addentrarmi nella riflessione, voglio indicare una certezza che guiderà tutto questo mio intervento: il futuro della Chiesa (italiana ma non solo) ha bisogno della parrocchia. La Chiesa ha bisogno di un luogo che generi la fede nel quotidiano della vita della gente. L’Es. Ap. Christifideles laici presenta la parrocchia come un luogo di questo genere. Ne parla, in modo particolare, nel contesto della “Chiesa – Comunione” (cap. II). Dopo aver affermato che “la comunione è il mistero stesso della Chiesa” (nn. 18-19), si diffonde sulla Chiesa come “comunione organica”, “caratterizzata dalla compresenza della diversità e della complementarietà di vocazioni e condizioni di vita, di ministeri, di carismi e di responsabilità” (nn. 20-25). In questo quadro emerge il riferimento alla parrocchia: “La comunione ecclesiale, pur avendo sempre una dimensione universale, trova la sua espressione più immediata e visibile nella parrocchia: essa è l’ultima localizzazione della Chiesa; è in certo senso la Chiesa stessa che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie” (n. 26).

    Questa certezza non è un cedimento ad una visione romantica di un passato che non c’è più, non è il tentativo nostalgico di affermare l’immagine di una Chiesa che sembra invece al tramonto, ma è l’affermazione convinta di una figura di Chiesa che vede nel suo carattere popolare e diffuso tra la gente un bene prezioso per la vitalità dell’annuncio e della trasmissione del Vangelo.

    Ne abbiamo conferma in alcuni documenti recenti del Magistero. Penso, per esempio, all’Es. Ap. Ecclesia in Europa. Mentre viene chiesto un “costante rinnovamento” della parrocchia, le viene riconosciuta una “missione indispensabile e di grande attualità in ambito pastorale ed ecclesiale” nei Paesi europei. Essa infatti “rimane in grado di offrire ai fedeli lo spazio per un reale esercizio della vita cristiana, come pure di essere luogo di autentica umanizzazione e socializzazione sia in un contesto di dispersione e anonimato proprio delle grandi città moderne, sia in zone rurali con poca popolazione” (n. 15 § 2). A sua volta, con un messaggio rivolto direttamente a noi vescovi, l’Es. Ap. Pastores gregis ricorda che “di questa comunità, eminente fra tutte quelle presenti in una diocesi, il vescovo è il primo responsabile: ad essa pertanto egli deve riservare soprattutto la sua cura.

    La parrocchia infatti rimane ancora il nucleo fondamentale nella vita quotidiana della diocesi” (n. 45 § 2). Queste parole ci suggeriscono di vivere la presente assemblea avendo ben presenti tutti coloro che – sacerdoti, diaconi, consacrati, laici – si stanno dedicando con generosità in favore della vitalità della parrocchia. Un “grazie” dobbiamo certamente esprimere, in modo particolare, ai sacerdoti. Lo possiamo fare con le parole stesse del Papa nell’Es. Ecclesia in Europa. Dopo avere ricordato che “oggi l’esercizio del sacro ministero incontra non poche difficoltà”, “sono ancora più degni di stima, di gratitudine e di vicinanza i sacerdoti che con ammirevole dedizione e fedeltà vivono il ministero loro affidato. A loro dico il mio incoraggiamento «Non perdetevi d’animo e non lasciatevi sopraffare dalla stanchezza; in piena comunione con noi vescovi, in gioiosa fraternità con gli altri presbiteri, in cordiale corresponsabilità con i consacrati e tutti i fedeli laici, continuate la vostra opera preziosa e insostituibile»” (n. 36)[2].

    ***

    Lo svolgimento di questa relazione prevede quattro capitoli:

    -          la figura di Chiesa che la parrocchia è chiamata ad esprimere, a partire dai tratti che contraddistinguono la sua vita quotidiana;

    -          il suo compito fondamentale, che è il servizio alla fede in favore delle persone che la frequentano o la incontrano;

    -          le azioni che la costruiscono, e anzi la generano;

    -          la responsabilità di tutti per la vitalità della parrocchia.

     

    I – Dire la fede in un luogo e in un tempo

    Questo capitolo non è solo introduttivo. Dà evidenza a una caratteristica molto significativa della parrocchia: è chiamata ad esprimere un rapporto vivo e costante con la vita della società in un luogo e in un tempo, come dice l’Es. Ap. Christifideles laici, citata poco fa. Per cogliere i tratti salienti del volto attuale di questa istituzione ecclesiale, il percorso migliore è quello di osservarla nella sua realtà quotidiana, così come la vedono, se la immaginano e cercano di realizzarla coloro che la abitano tutti i giorni, cioè i fedeli che tramite essa si accostano all’esperienza cristiana, e i sacerdoti che sono chiamati ad animarne la figura.

    Per costruire un simile approccio possiamo tenere conto di una duplice serie di dati che ci sono messi a disposizione. Vi è anzitutto la nostra esperienza diretta, basata sulle visite pastorali che ciascuno di noi sta svolgendo, sui tanti volti e le numerose parrocchie che ci è dato di osservare, di accompagnare e di vagliare. Possiamo inoltre avvalerci anche dei risultati di indagini che le scienze sociali hanno di recente organizzato, mettendo a tema il cristianesimo italiano, le sue strutture, le sue istituzioni, le sue azioni pastorali.[3]

    Un simile sguardo, che a prima vista potrebbe apparire troppo lontano dall’oggetto della nostra riflessione teologica, può essere invece un passaggio utile per arrivare a cogliere il mistero profondo, quella parte del volto originario della Chiesa che la parrocchia custodisce[4]. È la via che in modo del tutto naturale percorrono quei cristiani che attraverso la miriade di parrocchie sparse nel mondo entrano in contatto con la Chiesa e, attraverso di lei, con Gesù Cristo, con la sua Parola e il dono della sua salvezza.

    Figura di una Chiesa radicata in un luogo

    Ad un simile sguardo, la parrocchia ci si presenta immediatamente come strumento che permette il radicamento della Chiesa in un luogo. Attraverso questa sua istituzione, la Chiesa riesce ad abitare territori e spazi sociali diversissimi; e allo stesso tempo, attraverso questa istituzione, la società con tutte le sue diversità, con tutte le sue ricchezze e le sue tensioni riesce a prendere contatto con la Chiesa. La parrocchia appare come la Chiesa nella sua traduzione spaziale e quotidiana. Questa capacità simbolica alla parrocchia è stata riconosciuta nel passato, e continua ad essere riconosciuta tuttora, anche di fronte a segni evidenti di crisi, legati al forte cambiamento conosciuto da tutto il territorio italiano[5].

    Tutti questi cambiamenti chiedono oggi alla Chiesa l’esercizio di una forte capacità di ascolto: non è più l’istituzione ecclesiale, attraverso le sue parrocchie, a disegnarne i contorni; al contrario, è la parrocchia che deve sviluppare capacità di interpretazione di tutti questi nuovi fenomeni sociali, per continuare a rendere presente nello spazio e nel quotidiano quella memoria cristiana di cui è custode e portatrice. Già questo primo richiamo chiede sensibilità ai pastori e dà evidenza al grande ruolo che i laici sono chiamati a svolgere non solo “in” parrocchia, ma, “a partire” dalla parrocchia, su tutte le frontiere, i problemi, le attese dell’uomo. Già qui si comprende che il riferimento al territorio è ben di più del suo aspetto topografico.[6]

    Figura di una Chiesa che accoglie e accompagna

    La parrocchia deve questa sua caratteristica di visibilità, di diffusione e di accettazione tra la gente alla sua natura specifica: essa continua ad essere vista dalle persone come la figura più conosciuta della Chiesa per il suo carattere di vicinanza e di accoglienza. Attraverso le trame di solidarietà che ha saputo generare, in molti luoghi la parrocchia è stata un fattore fondamentale per il costituirsi dello stesso tessuto sociale locale. In questo senso occorre riconoscere con gratitudine l’immenso contributo che la parrocchia continua a offrire esprimendo, in mille forme, “il Vangelo della carità”. È così ancora oggi: di fronte alle ferite anche profonde generate nella società locale dai rivolgimenti in atto (immigrazione, spostamento della popolazione, cambiamento della cultura, cambiamento delle forme del mondo del lavoro), la parrocchia si presenta come l’avamposto in grado di creare nuovi equilibri, di far emergere risorse che permettono nuovi modi di abitare il futuro. Il suo contributo prende la forma sia della testimonianza quotidiana in rapporto alle mille urgenze che si presentano, sia come richiamo e stimolo perché le istituzioni pubbliche si facciano seriamente carico delle loro responsabilità nei confronti dei più deboli e dei più poveri.

    Questa forte capacità di creare trame di solidarietà si esprime in termini di accoglienza anche dentro l’istituzione ecclesiale. Non si tratta di permissivismo o di semplice “lasciar fare”. Si tratta piuttosto di offrire a tutti (al maggior numero) la possibilità di intraprendere cammini di redenzione e di salvezza; di visibilizzare una Chiesa che accoglie tutti, nelle situazioni più disparate, e tutti accompagna, con fiducia e pazienza all’unico e medesimo Salvatore per accoglierne la grazia e viverne la sequela[7].

    Figura di una Chiesa semplice e umile

    Qualcuno potrebbe dire che per questo suo carattere di accoglienza, la parrocchia risulti più definibile per quello che non è, che per quello che è; per la sua debolezza aggregativa ed istituzionale più che per l’immagine ecclesiale che è in grado di proporre. Una tale affermazione, che potrebbe sembrare un’accusa nei confronti della parrocchia (e che certamente contiene un giusto richiamo alla vigilanza evangelica), può invece paradossalmente indicare un suo punto di forza: proprio questa sua sorta di debolezza le consente il vantaggio di accogliere e di assumere dentro la sua immagine di “Chiesa tra la gente” tratti diversi e complementari tra loro. In tal modo riesce a presentarsi come una istituzione vicina a tutti, capace di valorizzare ogni occasione di contatto come possibile punto di partenza per un reale cammino di fede fino alla santità[8]. La capacità di essere un’istituzione umile e semplice e di presentare gli elementi essenziali della fede cristiana, può fare di essa una provvidenziale porta di ingresso all’esperienza della fede cristiana anche per molte persone che, magari, se ne sentono escluse o si ritengono inadatte.

    La parrocchia fa del quotidiano il terreno di incontro e di annuncio della memoria cristiana, il luogo dentro il quale immaginare sempre nuove forme di ingresso al cristianesimo. Dovremo ricordarci di questa peculiarità della parrocchia, mentre vengono meno le forze che abbiamo a disposizione per sostenerne la diffusione dentro il territorio e ci troviamo confrontati con la necessità di rivedere la mappa parrocchiale che ha, fin qui, disegnato la figura del cattolicesimo in Italia.

    Figura del una Chiesa di popolo

    Forse è utile sostare su quest’ultima notazione: il cattolicesimo che ci ha generato alla fede è ciò che spesso definiamo nei termini di una fede popolare, di una Chiesa di popolo. Le migliaia di parrocchie disseminate sul territorio italiano hanno generato questo volto della Chiesa.

    Di fronte a chi rifiuta una simile figura di Chiesa o ne denuncia i limiti, la poca capacità a testimoniare la fede; e ancor più, di fronte a coloro che ne auspicassero la fine, dovremo fermarci a comprendere le ragioni della sua sopravvivenza, la figura di Chiesa che contiene, le sue potenzialità.

    Nonostante le previsioni contrarie, questa figura del cattolicesimo è stata il punto di aggancio che ha permesso a molti di sviluppare esperienze e cammini di fede più strutturati e maturanti. Ha svolto un ruolo di ingresso e luogo di accoglienza; ha avviato, con semplicità e nel quotidiano, dialoghi, esperienze di contatto e di confronto sull’uomo, la società, l’esperienza religiosa. La parrocchia rimane ancora il nostro avamposto, il tesoro prezioso che possiamo valorizzare come strumento capace di integrazione, anche in correlazione con le tensioni connesse con il fenomeno immigratorio.

    Se guardiamo al futuro, questa figura di cattolicesimo dovrà essere al centro della nostra attenzione per le trasformazioni che la stanno interessando: il cattolicesimo popolare di una volta si sta trasformando. A noi è chiesto un ruolo attivo e di vigilanza, perché non venga sostituito da forme di folklore o di semplice religione civile, ma resti una valida soglia di ingresso nell’esperienza cristiana.

    ***

    Lo sguardo che stiamo portando sulla parrocchia ci fa apparire sempre più questa istituzione come una struttura di base per l’esperienza di fede. Lo è dando visibilità al cristianesimo, attraverso le sue azioni, le sue persone e i suoi gruppi; aprendo punti di contatto e luoghi di incontro; ascoltando e trasformando le domande che i più pongono ancora oggi, bussando alle porte della Chiesa[9].

    Con questo non si vuol dire che tutta l’esperienza cristiana deve per forza coincidere con la realtà parrocchiale. Occorre ben guardarsi dal trasformare questa istituzione in una struttura che pretenda di inglobare in sé ogni forma possibile di vita cristiana, sia individuale che di gruppo. Oltre a non essere realizzabile, una simile prospettiva sarebbe sbagliata e impoverente per il cristianesimo. E tuttavia la parrocchia conserva una sua singolarità. Essa trova nel legame con il vescovo e con la diocesi il fondamento della propria identità e allo stesso tempo la garanzia della propria libertà; il fondamento della propria ecclesialità e allo stesso tempo le condizioni che le permettono di dare origine a figure concrete di parrocchia anche molto diverse tra di loro.[10] 

     

    II – Mettersi a servizio della comunicazione della fede

    Sullo sfondo della riflessione ecclesiologica è possibile ora concentrarsi sulle attese di questa assemblea: disegnare il volto missionario della parrocchia. Questo è il profilo specifico della presente relazione, raccomandato dalla parola del Papa, dagli Orientamenti dei vescovi italiani per questo decennio e da molte lettere pastorali dei singoli vescovi. Lo farò svolgendo soprattutto due riflessioni: quella relativa al compito fondamentale della parrocchia e quella dedicata a una responsabilità in parte nuova per la parrocchia.

    Il compito fondamentale

    Lo si è già accennato: il compito fondamentale della parrocchia è quello di essere il luogo che favorisce l’incontro tra la fede cristiana e le condizioni della vita di ogni giorno. È proprio questo servizio reso alla fede ciò che deve qualificare tutto il lavoro pastorale: sia quello che si rivolge ai ragazzi, sia quello destinato agli adolescenti, ai giovani e ai giovani adulti, sia quello che chiama in causa le famiglie (più ampiamente tutti gli adulti), e anche la terza età. In particolare, la vocazione cristiana non comporta l’abbandono della condizione assegnata dalle forme della vita umana (la famiglia, la professione, il lavoro, lo status sociale), ma richiede anzi che il Vangelo trovi casa dentro tale contesto. Il servizio alla fede degli adulti è quello che li conduce a compiere scelte evangeliche precisamente a proposito delle situazioni di vita e delle responsabilità che, umanamente parlando, appaiono loro le più rilevanti e che sono molto significative per manifestare le vere intenzioni del cuore.

    Perciò ogni parrocchia si deve verificare costantemente su questo servizio essenziale che deve svolgere in favore di tutte le età: chiedersi se viene compiuto, se si cercano le strade più idonee, se si vigila sui pericoli che la fede corre, se si ha rispetto e delicatezza per la fede dei semplici. Il volto missionario della parrocchia si manifesta là dove si offre a tutti la possibilità di crescere nella fede, di rendere possibile un autentico vissuto spirituale per il credente nella normale condizione di esistenza[11]. Oggi soprattutto appare urgente che la parrocchia si metta decisamente su questa strada[12]. 

    Due rischi

    Tale urgenza è accentuata anche dal fatto che sulla parrocchia premono richieste problematiche che il card. Ruini ha richiamato, sotto forma di domanda, nella prolusione al Consiglio Permanente dello scorso settembre: «È in grado la parrocchia di accogliere e attuare quella grande svolta che va sotto il nome di conversione missionaria della nostra pastorale, o è invece destinata a rimanerne purtroppo sostanzialmente al di fuori, restando prigioniera di due tendenze, tra loro parzialmente contrastanti ma entrambe poco aperte alla missionarietà: quella di concepirsi come una comunità piuttosto autoreferenziale, nella quale ci si accontenta di trovarsi bene insieme, e quella di una “stazione di servizio” per l’amministrazione dei sacramenti, che continua a dare per scontata in coloro che li richiedono una fede spesso assente?» (n. 4). 

    Nella post-modernità

    Questa situazione della parrocchia è oggi aggravata dalle condizioni complesse dell’esistenza postmoderna. Spesso le persone sembrano ispirarsi, nei vari contesti di vita (famiglia, scuola, lavoro, divertimento, amicizie, volontariato, ecc.) non solo a valori diversi, ma talvolta persino in contrasto tra loro. Per esempio, mentre il bisogno di sacro e di legami caldi esprimono l’esigenza di armonia personale e la ricerca di relazioni affettive nell’esperienza frammentata di oggi, nel contempo queste esigenze sembrano tradite in tante circostanze nelle quali le persone vengono ferite e i rapporti familiari e sociali appaiono gravosi e faticosi. In questo contesto le persone invocano guarigione, serenità e solidarietà. Alla fede sembrano chiedere cammini di salvezza che guariscano e accompagnino le situazioni personali. Ma che significa “servizio alla fede” in questo contesto? Non basta certamente fermarsi a questa attesa. Occorre invece assumerla ed elaborarla indicando percorsi di crescita nella fede, soprattutto da parte dei giovani e delle famiglie. Si tratta cioè – in presenza della richiesta dei sacramenti – di assumere, purificare e condurre con pazienza questa attesa nello spazio della fede personale ed ecclesiale. Ciò significa appassionarsi al “venire alla fede” delle persone e far sì che il sentimento religioso e il bisogno di vicinanza prendano la forma della buona relazione con il Signore Gesù e della comunione fraterna. 

    Fede e vocazione

    Un aspetto assolutamente qualificante del “venire alla fede” nel Signore Gesù all’in­terno del legame ecclesiale è la dimensione vocazionale della vita cristiana. Non dobbiamo chiudere gli occhi: il suo deperimento non solo in rapporto alle vocazioni di speciale consacrazione, ma anche per quanto riguarda le altre forme di vita cristiana (matrimonio, testimonianza professionale, dedizione stabile nel volontariato, passione civile e persino politica) è un segnale preciso e una sfida per la parrocchia di oggi. Anzi proprio qui va riconosciuta, a partire dalla vocazione battesimale, una fondamentale sfida missionaria: evangelizzare la vita delle persone perché la loro esi­stenza, nelle scelte più rilevanti, sia plasmata dalla fede cristiana. La prospettiva vocazionale indica un percorso di fede che va nella direzione della maturità. Si passa dal bisogno di sacro alla fede che prende il volto della testimonianza dentro le condizioni nelle quali il credente si trova a vivere. Egli mostra in questo modo che, proprio sul terreno del mondo, si esprime la coscienza cristiana e l’appartenenza ecclesiale[13]. 

    Parola, sacramento, comunità

    Il tratto qualificante del servizio alla fede nelle nostre parrocchie è quello che consiste nel dare centralità all’evangelizzazione. Una parola molto frequentemente usata e sulla quale occorre soffermarsi per comprendere bene che cosa significhi.

    Contro la tentazione di indebite riduzioni, la Dei Verbum ha indicato l’unità della missione evangelizzatrice con queste parole: l’«economia della Rivelazione comprende eventi e parole intimamente connessi» (n. 2). Ad essa corrisponde il profondo legame di Parola e Sacramento, come forme di trasmissione della rivelazione del tempo, che fanno sorgere la Chiesa quale segno visibile del Vangelo accolto per la vita del mondo. Parola, sacramento e fede ecclesiale sono così intimamente intrecciate ed esprimono il movimento con cui avviene la missione.

    La parrocchia è dunque chiamata a coniugare, al di là di tutte le separazioni e unilateralità, la tensione tra annuncio della parola, celebrazione sacramentale, vita personale ed ecclesiale[14]. L’apostolo Paolo mostra che l’unità della vita cristiana è il “culto spirituale” (cfr Rm 12,1), l’esistenza dell’uomo nell’al­leanza, l’appartenenza al popolo di Dio. L’annuncio della Parola, la celebrazione (eucaristica), la comunione delle vocazioni e dei carismi sono i fattori essenziali che plasmano la libertà cristiana dentro le condizioni concrete della vita del credente. La vita umana si coglie così in ascolto di un annuncio di salvezza (Parola) e si lascia generare dal dono che viene dall’alto (Sacramenti e preghiera), alimentando un cammino e una “storia” cristiana delle persone e delle comunità. Quando tutto questo avviene, il bisogno religioso e il desiderio di prossimità evolvono verso la verità e la pienezza prendendo la figura cristiana della sequela del Signore Gesù dentro una fraternità ecclesiale.

    Una responsabilità in parte nuova

    Nella sua azione pastorale e nel suo accompagnamento personale, la Chiesa italiana si trova di fronte a persone molto differenziate dal punto di vista della fede. Gli Orientamenti pastorali per il decennio comprendono, non casualmente, anche un invito rivolto ai cristiani fedeli perché si facciano carico della responsabilità apostolica nei confronti di quei fratelli battezzati che hanno solo labili rapporti con la comunità ecclesiale, e forse hanno smarrito il senso del battesimo ricevuto e della fede loro donata[15]. Si ricorda pure la responsabilità di comunicare il Vangelo con il riferimento alle nuove presenze, attraverso i flussi migratori e che spesso non sono cristiani[16].

     Proprio per questo l’azione pastorale della parrocchia oggi deve proporsi anche in forme nuove. Occorrerà, da un lato, comprendere queste situazioni differenti in rapporto al venire alla fede adulta e, dall’altro, immaginare un intervento di proposta del Vangelo attento alle diverse condizioni. L’evan­gelizzatore oggi sa che nulla può essere dato per presupposto e dev’essere capace di raggiungere le persone facendosi carico con rispetto e chiarezza della loro condizione spirituale. 

    Tre vicende spirituali da accompagnare

     Sostanzialmente tre tipi di vicende umane si affacciano alla porta della fede e della parrocchia. Ci sono i catecumeni in senso stretto, persone non battezzate che desiderano ricevere il battesimo. Non sono molti ancora in Italia, ma è prevedibile che il loro numero aumenti nei prossimi anni. Occorre che non solo la Chiesa abbia antenne per intercettare questa domanda, ma disponga di un luogo per accogliere, una sorta di pronao all’ingresso nel tempio, uno spazio discreto prima di abitare la casa della comunità.

    Poi ci sono coloro la cui fede è rimasta allo stadio della prima formazione cristiana. Hanno ricevuto l’iniziazione cristiana, ma la loro fede è rimasta latente e viene magari percepita come incompatibile con gli impegni della vita adulta. È come una fede sospesa, rinviata, che ad un certo punto riprende vigore a partire da una circostanza della vita, da un incontro, da una sofferenza, dalla conoscenza di un gruppo, di un ambiente, ecc. A queste persone non manca la lingua e l’immaginario cristiano, ma tutto ciò è rimasto come in forma infantile, e quindi la riscoperta da adulti appare come un nuovo venire alla fede.

    Infine, ci sono i battezzati (e quindi non propriamente catecumeni) il cui battesimo è rimasto sulla carta. Sono battezzati, forse hanno ricevuto anche la comunione, ma si sono sganciati dalla Chiesa, a volte per allontanamento quasi impercettibile, altre volte per presa di distanza cosciente.  Da parte loro non si tratta solo di riprendere una pratica sospesa e di rioccupare un posto dal quale si erano tenuti in disparte, ma di procedere a una vera rifonda­zione della fede. Il loro bisogno è certo quello di incontrare una comunità persuasiva per la sua vita liturgica, per le forme del suo annuncio, per lo slancio della carità, ma anche di poter disporre di cammini di ripresa della fede, di imparare forse per la prima volta la lingua cristiana, l’accostamento alla parola, il senso dei gesti della fede[17].

    Un appello per la Chiesa e la parrocchia

    Le situazioni spirituali ora indicate ci chiamano in causa, e ciò avverrà sempre di più nel prossimo futuro. Si tratta di saper interpretare le domande di queste persone, ponendoci alcune questioni molto semplici: che cosa portano con sé, che cosa chiedono e che cosa si attendono? Quale immagine di Chiesa trovano? Quali sono gli spazi offerti dalla parrocchia per un ascolto attento, per un’esperienza autentica, per un contatto reale, per una prossimità che li aiuti a far crescere il desiderio di “ricominciare”? Li vediamo già forse apparire nell’orizzonte della pastorale con una domanda discreta, un’apparizione fugace, una presenza saltuaria. Essi sondano se mai vi sia una rilettura persuasiva della loro attesa, non ancora chiarita. Occorre che la Chiesa si metta dal loro punto di vista per vedere se l’esercizio della guida pastorale e la figura concreta della vita parrocchiale non suscitino l’impressione di un luogo impenetrabile, di uno spazio inaccessibile, di un clima poco ossigenato per chi deve ricominciare a porre fondamenta per la fede e a imparare la lingua e la pratica adulta della fede. E occorre domandarsi quali figure ministeriali, anche nuove, occorrono perché la parrocchia sappia rispondere a questi nuovi appelli. Per rispondere a questo “appello” la parrocchia comprende che non può vivere separata dalle altre parrocchie, ma può immaginarsi solo nella rete della diocesi e delle parrocchie vicine.[18]

     

    iii – Generare dei cristiani

     

    Dopo aver tratteggiato il volto missionario della parrocchia, è necessario indicare ciò che edifica il volto di una parrocchia in stato di evangelizzazione. Potremmo lasciarci guidare da una domanda: «Dove si genera la parrocchia?». Non intendo naturalmente rispondere in modo completo e articolato. Mi limito a richiamare alcuni capitoli fondamentali.

    L’aspetto generativo della Chiesa raccomanda tre gesti per la parrocchia missionaria: il momento in cui la parrocchia si lascia edificare, soprattutto nel giorno del Signore, dall’Eucaristia; il momento in cui la parrocchia genera figli alla fede e alla vita ecclesiale attraverso l’iniziazione cristiana; il momento nel quale l’agire ecclesiale accresce la sua forza missionaria perchè animato da un’esperienza di comunione che investe tutto il lavoro educativo e pastorale.

     

    1. La parrocchia che si lascia edificare dal Signore

    L’Eucaristia al centro del processo di crescita della Chiesa

    Incomincio dall’Eucaristia. Il Decr. Presbyterorum ordinis afferma che “l’Eucaristia si presenta come fonte e culmine di tutta l’evangelizzazione” (n. 5). Ricorda inoltre che “non è possibile che sia costruita una comunità cristiana se non avendo come radice e come cardine la celebrazione della SS. Eucaristia” (n. 6). L’Es. Ap. Christifideles laici afferma che ogni parrocchia “è fondata su una realtà teologica, perché essa è una comunità eucaristica. Ciò significa che essa è una comunità idonea a celebrare l’Eucaristia nella quale stanno la radice viva del suo edificarsi e il vincolo sacramentale del suo essere in piena comunione con tutta la Chiesa” (n. 26).

    Giovanni Paolo II riprende questi temi nel secondo capitolo dell’Enc. Ecclesia de Eucharistia, che ha come titolo significativo: “L’Eucaristia edifica la Chiesa”. Egli spiega che “la celebrazione dell’Eucaristia è al centro del processo di crescita della Chiesa” perché “ogni volta che il sacrificio della croce «col quale Cristo, nostro agnello pasquale, è stato immolato» (1 Cor 5,7) viene celebrato sull’altare, si effettua l’opera della nostra redenzione. E insieme, col sacramento del pane eucaristico, viene rappresentata e prodotta l’unità dei fedeli che costituiscono un solo corpo in Cristo (cfr 1 Cor 10,17)” (n. 21).

    L’amore di Cristo ci sospinge”

    È questo aspetto rivelativo del senso del mistero che celebriamo nell’Eucaristia quello che va considerato e assimilato da parte di ogni parrocchia. L’Eucaristia riguarda e raggiunge ogni uomo e tutti gli uomini. Il sacrificio di Cristo riguarda la salvezza del mondo. È per tutta l’umanità che “il corpo è dato” e “il sangue è versato”. Qui sta la segreta sorgente di grazia di una parrocchia missionaria: nel riconoscere l’avvenimento di salvezza celebrato dall’Eucaristia e nell’immergersi in esso insieme con il Signore Gesù Cristo.

    Infatti, come nota ancora Giovanni Paolo II, “unendosi a Cristo, il popolo della nuova alleanza, lungi dal chiudersi in se stesso diventa sacramento per l’umanità, segno e strumento della salvezza operata da Cristo, luce del mondo e sale della terra (cfr Mt 5,13-16)” (n. 21). Sappiamo da chi è costituito il popolo della Nuova Alleanza: nel Signore Gesù Cristo tutti i popoli sono invitati ad entrarvi. Il popolo eletto è ormai l’intera umanità. Né va dimenticato che i termini mondo e terra sono immagini che esprimono l’ampiezza della missione di Cristo. “Perciò – conclude il Papa – dalla perpetuazione nell’Eucaristia del sacrificio della croce e dalla comunione con il corpo e con il sangue del Cristo la Chiesa trae la necessaria forza spirituale per compiere la sua missione” (n. 21).

    Il “giorno del Signore”, avente al suo centro l’Eucaristia, va dunque riconosciuto come momento “costitutivo” della vita parrocchiale, motore segreto della sua missione. Qui la comunità cristiana si riceve dall’alto e si riconosce come evento di grazia. La missionarietà è veramente iscritta nel cuore dell’Eucaristia. La Messa non ci appartiene, ma noi apparteniamo al corpo del Signore per essere speranza di vita e risurrezione per tutti gli uomini. Proprio mentre l’Eucaristia domenicale diventa la carta di identità della parrocchia, essa ne dice la sua destinazione missionaria a tutti. Non è possibile alcun volto missionario della parrocchia, se essa non abita continuamente presso il costato crocifisso di Gesù, se non si mette alla duplice mensa della parola annunciata e del pane condiviso (DV, 21). Questo è il roveto ardente della parrocchia! “L’amore di Cristo ci sospinge, al pensiero che uno è morto per tutti” (2 Cor 5,14).

    Questa stessa intimità con Cristo Crocifisso, con il mistero del “corpo dato” e del “sangue sparso” è grazia che ci rende partecipi dei sentimenti di Cristo (cfr Fil 2,5) e dell’amore che egli ci ha testimoniato fino a morire (cfr Gv 13,1). In tal modo il mistero eucaristico allarga il nostro cuore e fa di noi delle presenze realmente qualificate dal comandamento della carità e dalla premura di portare amore dove c’è odio, giustizia dove giustizia non c’è, verità dove c’è menzogna, calore dove c’è freddezza, attenzione dove c’è solitudine.

    I fedeli che diventano apostoli

    A quanto detto fin qui si può aggiungere un riferimento esplicito alle nostre comunità parrocchiali e all’educazione che va offerta ai fedeli. Si legge negli Orientamenti pastorali per il decennio che, “se un anello fondamentale per la comunicazione del Vangelo è la comunità fedele al giorno del Signore, la celebrazione eucaristica domenicale, al cui centro sta Cristo che è morto per tutti ed è diventato il Signore di tutta l’umanità, dovrà essere condotta a far crescere i fedeli, mediante l’ascolto della parola e la comunione al corpo di Cristo, così che possano poi uscire dalle mura della Chiesa, con un animo apostolico, aperto alla condivisione e pronto a rendere ragione della speranza che abita i credenti (cfr 1 Pt 3,15). In tal modo la celebrazione eucaristica risulterà il luogo veramente significativo dell’educazione missionaria della comunità cristiana” (n. 48)[19].

    Questi suggerimenti raccomandano due istanze fondamentali. La prima riguarda la qualità della celebrazione e delle sue condizioni pratiche. Bisogna che si restituisca splendore alla celebrazione eucaristica, ai suoi tempi e ai suoi ritmi; occorre che si considerino opportunamente il numero delle celebrazioni e la sapienza del calendario liturgico; è necessario custodire i momenti affidati all’ascolto, alla preghiera, al canto, al silenzio, le figure e gli attori che vi intervengono, il decoro delle chiese come luogo celebrativo, il clima complessivo della celebrazione. In secondo luogo, è necessario un annuncio della parola di Gesù come esperienza di Vangelo vivo. L’omelia e la preghiera siano un vero alimento della vita spirituale togliendo tutto ciò che sovraccarica la genuina bellezza dell’itinerario di fede che il Vangelo dell’anno disegna per la coscienza del credente e per il cammino della comunità[20]. Anche la preghiera liturgica quotidiana, le devozioni della vita della parrocchia, le forme dell’ascolto e della lectio che si praticano durante la settimana diventeranno il terreno di coltura della qualità della celebrazione domenicale.[21]

     

    2. La parrocchia che dà volto alla “Chiesa madre”

    L’iniziazione cristiana e la “Chiesa madre”

    L’assemblea dei vescovi dello scorso maggio ha già dedicato al tema dell’iniziazione cristiana un ampio approfondimento. La relazione di mons. A. Caprioli ha efficacemente illustrato il tema. Il dibattito che ne è seguito ha consentito di mettere in luce il carattere strategico dell’iniziazione cristiana in generale, e dei ragazzi in particolare, per il futuro del volto della Chiesa italiana. L’iniziazione è il momento in cui la Chiesa-madre genera figli[22], ma così rigenera anche se stessa nel tempo. Essa richiama la Chiesa a un’attenzione specifica anche agli altri cammini di introduzione alla fede, in particolare al catecumenato[23]. Il tema dell’iniziazione s’inserisce naturalmente nel quadro della parrocchia che è il luogo emblematico dell’accesso alla vita cristiana. Anzi nell’ottica della parrocchia missionaria, i sacramenti che iniziano alla vita cristiana non sono un gesto tra gli altri della comunità, una tra le molte iniziative dell’an­no, ma sono il momento “generatore” della Chiesa, potremmo dire il suo volto missionario presso le giovani generazioni.

     Mistagogia e prossimità

    Occorre una viva consapevolezza che è in gioco nientemeno che l’accesso delle generazioni future non solo alla vita sacramentale, ma attraverso di essa alla fede nel Signore Gesù. Come per la maternità umana, la generazione dei figli di Dio è ad un tempo dono inatteso e frutto della capacità della Chiesa di ricevere quel dono facendosi grembo accogliente e madre premurosa per i bimbi, i ragazzi, gli adolescenti e i giovani e per coloro che verranno di nuovo alla fede. Il volto missionario della parrocchia assume oggi il tratto luminoso della Chiesa madre che deve generare alla fede. Su questo punto il fenomeno consolante della presenza di innumerevoli schiere di catechiste e catechisti è forse, nonostante le difficoltà, uno degli aspetti che merita un’atten­zione forte da parte delle diocesi e delle parrocchie. La promozione di una corale cura della catechesi, ma soprattutto dei catechisti, è il gesto dove la Chiesa diocesana può dire la sua preoccupazione materna per le parrocchie.

    Tale preoccupazione dovrà trovare molta attenzione a quanto detto negli Orientamenti pastorali per il decennio, là dove si giudica vitale la qualità kerygmatica e mistagogica degli incontri di catechesi. Il motivo è che, non raramente, già i fanciulli hanno bisogno del primo annuncio del Vangelo quando iniziano il cammino catechistico. Tener conto di questo dato di fatto significherà accompagnarli curando molto l’esperienza religiosa in un rapporto personale e affettuoso con Gesù, attraverso la preghiera e la partecipazione alla liturgia, e insieme suggerendo l’obbedienza al comandamento della carità attraverso una concreta esperienza di prossimità. Questa attenzione – aggiungono i vescovi – dovrà accompagnare ancor più la catechesi dei ragazzi e dei giovani e ci dovrà sospingere a ripensare l’iniziazione cristiana nel suo insieme e gli strumenti catechistici che l’accompagnano[24].

    E la famiglia?

    La condizione culturale odierna avverte che la famiglia fatica ad indicare ai figli un vigoroso cammino di crescita. Essa sembra non raramente inadeguata ad essere il soggetto primario dell’educazione alla vita e alla fede. Questa situazione potrebbe improvvidamente suggerire alla parrocchia di fare a meno della famiglia. Ma non è così: non lo è in nessun caso, nemmeno quando la famiglia fosse in grande crisi. Al contrario, questo dato di fatto raccomanda alla parrocchia (anzi esige) una vicinanza cordiale alle famiglie. Esse potranno così essere aiutate a scoprire che il momento generativo nella vita dei genitori consiste anche nel donare una speranza per vivere e una vocazione da accogliere. Per questo la pastorale parrocchiale deve riscoprire la pastorale delle famiglie, instaurare un rapporto più assiduo, capillare, costruttivo con la coppia e l’esperienza familiare. Si tratta anzitutto di aiutare la famiglia a trasmettere i fondamentali dell’esistenza: la fiducia nella vita come un bene promesso; la capacità di fare le piccole e le grandi scelte nell’esistenza; il senso di una relazione umana ricca di legami, l’intui­zione che la vita va scelta come un bene da condividere e da spendere per gli altri. Se oggi la famiglia è più lo spazio affettivo in cui si sta bene e il luogo affidabile di partenza per l’avventura umana, la parrocchia non potrà non cercare di favorire in tutti i modi la famiglia riconoscendola, anche per la grazia del sacramento del matrimonio, come il tessuto di base per la vita parrocchiale. Una coraggiosa e perseverante attenzione alla famiglia sarà un tratto concreto e molto significativo del volto missionario della parrocchia.[25]

    L’agenda per il prossimo futuro circa l’iniziazione cristiana

    L’assemblea dei vescovi dello scorso maggio ha rilanciato la necessità di un forte coordinamento delle esperienze, delle risorse e delle decisioni fondamentali per l’iniziazione cristiana, mettendone in agenda i temi più importanti su cui dare un orientamento comune: l’ordi­ne dei sacramenti, gli attori dell’ini­ziazione (genitori, padrini, catechisti, comunità cristiana), le condizioni essenziali per l’ammissione ai sacramenti, la sinergia con altri soggetti (movimenti e gruppi ecclesiali), la messa in rete delle esperienze più importanti – parrocchiali e diocesane – di iniziazione cristiana, ecc. Su questo elenco di temi si dovranno raccogliere i cammini più significativi presenti sul territorio nazionale per trovare consenso sulle decisioni fondamentali per il futuro.[26]

     

    3. La parrocchia che accresce la sua forza missionaria

          accrescendo la comunione

        Fare della Chiesa “la casa e la scuola della comunione” (NMI, 43)

    Aggiungo, infine, che il momento generativo della parrocchia si esprime nello stile di lavoro pastorale comune dove tutti i soggetti della pastorale assumono uno stile di corresponsabilità, ciascuno con il proprio dono e ministero. Ciò richiede sempre più insistentemente una pastorale integrata. L’espressione disegna lo stile della parrocchia missionaria e della “conversione pastorale” più volte invocata. Non c’è missione efficace, contrassegnata dal segno evangelico della communio, se non dentro uno stile di comunione e la consapevolezza della comune missione. La Chiesa non si realizza se non dentro l’unità della missione. Questa unità deve visibilizzarsi anche in una pastorale comune. Ciò significa realizzare gesti di visibile convergenza, dentro percorsi costruiti insieme, perchè la Chiesa non è frutto di scelta da parte del singolo, ma si riceve dall’alto attraverso un dono che “istituisce” la pluralità dei carismi e l’unità di missione. Perciò la proposta di una “pastorale integrata” mette in luce che la parrocchia di oggi e di domani non dovrà più concepirsi con le porte chiuse, ma dentro una trama di stabili relazioni. Due direttrici sono decisive per vivere la pastorale integrata.

    Il tutto nel frammento

    Anzitutto la parrocchia deve pensarsi in rete con altre parrocchie vicine (vicariato, zona) e in particolare in riferimento alla Chiesa diocesana e al vescovo. La parrocchia non esiste isolata, ma mantiene il suo legame con la traditio riferendosi all’apostolicità della Chiesa, che si rende presente nel vescovo con il suo presbiterio. Essa vive alimentandosi all’apostolicità della Chiesa diocesana, a sua volta in comunione con la Chiesa universale, sotto la guida del vescovo di Roma[27]. La parrocchia è la cellula base della Chiesa, non è semplicemente una suddivisione amministrativa della diocesi, ma è un vero spazio ecclesiale, nel quale la diocesi si dà come il tutto nel frammento. La parrocchia, allora, deve superare la sua chiusura nella cordiale adesione alla linea pastorale del vescovo, alle sue indicazioni e alla geniale capacità di attuarle sul territorio. Il tessuto delle parrocchie costruisce una trama di relazioni ecclesiali: sotto la guida del vescovo, i parroci con il presbiterio dovranno suscitare nuovi ministeri e significative corresponsabilità.

    L’agire pastorale della parrocchia deve mantenere il senso di due momenti essenziali: quello “domestico” che vive i gesti costitutivi della comunità parrocchiale; quello “estroverso” che immagina tutti gli interventi che servono i bisogni materiali e culturali delle persone dentro l’interazione con altre parrocchie e con la diocesi. Al primo ambito appartengono i gesti che fanno della parrocchia la comunità credente (le forme dell’annun­cio, la celebrazione sacramentale, la relazione fraterna, i giovani e le famiglie, gli itinerari di fede e i ministeri essenziali). Al secondo ambito appartiene l’ampio panorama delle attenzioni e delle iniziative con cui la parrocchia insiste sul territorio, serve alla vita delle persone: caritas, lavoro, scuola, sanità, cultura, comunicazione, volontariato. A questo secondo fronte soprattutto si riferisce il tema della pastorale integrata per valorizzare risorse, unire iniziative, dialogare con le istanze sociali e civili del territorio; più profondamente, per dare visibilità alla Chiesa comunione e all’unità della missione.

    Associazioni e movimenti

    La parrocchia deve pensarsi anche in profonda interazione con gli altri soggetti ecclesiali presenti sul territorio. Nell’Es. Ap. Ecclesia in Europa Giovanni Paolo II scrive: “Mentre esprimo la mia grande stima per la presenza e l’azione delle diverse associazioni e organizzazioni apostoliche e, in particolare, dell’Azione Cattolica, desidero rilevare il contributo proprio che, in comunione con le altre realtà ecclesiali, e mai in via isolata, possono offrire i nuovi movimenti e le nuove comunità ecclesiali” (n. 16)[28].

    Questo testo conduce a ricordare che un primo segno dello stile di comunione potrà essere offerto dai gruppi e le associazioni che articolano la vita parrocchiale nel suo interno. Sospinge anche a considerare costruttivamente il rapporto con i movimenti e le diverse forme di aggregazione ecclesiale presenti in Italia. La parrocchia non dovrà concepirsi semplicemente contro o accanto a tali configurazioni, ma dovrà offrire il massimo di ospitalità, chiedendo nel contempo una cordiale convergenza sui cammini fondamentali che generano l’esperienza di Chiesa. Essa si farà carico di trovare anche qui, analogamente a quanto s’è detto a proposito della relazione tra le parrocchie, le forme reali di una “pastorale integrata”. A loro volta, queste nuove realtà ecclesiali si faranno premura di riconoscere nella parrocchia la presenza concreta e visibile della diocesi in quel luogo. Sono molte le ricchezze spirituali e apostoliche presenti in Italia. Si può avere fiducia che proprio l’accento posto sul grande e urgente compito dell’evangelizzazione potrà renderci tutti più sensibili all’unità della missione e darci il coraggio di compiere i necessari passi di conversione. Ai vescovi tocca indicare alcune opportunità che potranno dare forza e luminosità alla testimonianza che il Signore ci chiede.[29] 

     

    IV- TUTTI RESPONSABILI

    In questo breve capitolo conclusivo vorrei dare evidenza alla responsabilità che ci è chiesta in favore della vitalità evangelica e missionaria delle nostre parrocchie. In maniera sintetica vorrei ricordare soprattutto tre figure: anzitutto quella della comunità parrocchiale come tale; in secondo luogo, quella del vescovo e del presbiterio; in terzo luogo quella che lo Spirito Santo rende possibile, in mille forme, ad ogni cristiano.

    La responsabilità della comunità parrocchiale nel suo insieme

    Mi soffermo anzitutto sulla comunità parrocchiale come tale. Il CIC, al can. 515 § 1, ci ricorda che la parrocchia non è pensabile come una semplice porzione di territorio delimitata da un confine, ma va intesa soprattutto come l’insieme delle persone (communitas christifidelium)[30] che si riconoscono nella memoria cristiana vissuta e trasmessa in quel luogo; l’insieme delle persone che con questa memoria si identificano, se ne nutrono e la trasmettono a loro volta. Ciascuna di queste persone, singolarmente considerata, è responsabile del Vangelo e della sua comunicazione. Ma va anche tenuto conto del volto complessivo che la comunità offre di se stessa perché la testimonianza al Vangelo passa, e non secondariamente, anche da lì. Tutto il libro degli Atti degli Apostoli è illuminante a questo riguardo. Nella parrocchia va dunque riconosciuta anche una responsabilità collegiale nei confronti della fede e una capacità reale per la sua comunicazione.

    Forse ci può aiutare a comprendere la rilevanza del volto che la comunità parrocchiale offre, in ordine al servizio da rendere alla fede, una vicenda esemplare di conversione. Mi riferisco ad Agostino e agli anni decisivi che ha vissuto a Milano. Qui ha “visto” la Chiesa e ha conosciuto i tratti fondamentali del suo volto. A visibilizzarla sono stati, in modo singolare, diverse persone sicuramente molto importanti per lui. Ma lo è stata anche la comunità cristiana nel suo insieme. È stato questo incontro che, per grazia di Dio, lo ha condotto a “entrare” nella Chiesa. Egli scrive: “Vedevo la Chiesa popolata di fedeli: chi vi andava in un modo, chi in un altro”[31]. Si trattava di gente di ogni ceto sociale, dai semplici ai dotti. Quella comunità ha reso agevole per Agostino capire che cosa ne stava al centro. Si ritrovavano infatti, insieme con il vescovo, attorno al Signore Gesù Cristo. Ambrogio diceva: “Tutto abbiamo in Cristo e tutto è Cristo per noi”[32]. Non gli è stato difficile nemmeno capire che cosa costituiva l’ispirazione del cammino di quella comunità. Ambrogio meditava le Sacre Scritture e le predicava in maniera costante e abbondante: “È necessario triturare e rendere farinose le parole delle Scritture celesti, impegnandoci con tutto l’animo e con tutto il cuore, affinché la linfa del cibo spirituale si diffonda in tutte le vene dell’anima”[33]. Quel popolo era incoraggiato a vivere la sobria ebbrezza dello Spirito: “Cristo sia nostro cibo / nostra bevanda sia la fede / lieti beviamo la sobria / ebbrezza dello Spirito”[34]. Agostino ascoltava commosso questo popolo che cantava[35]. Lo ammirava soprattutto perché lo faceva anche nei giorni difficili. L’ebbrezza dello Spirito diventava clima di gioia e di coraggio nella comunità. Diventava anche esperienza di uomini e donne che si consacravano totalmente a Dio. Fu questo clima a fare della comunità cristiana di Milano un giardino affascinante per coloro che erano ancora incerti sulla fede. Non solo il canto contribuiva a dare fascino e bellezza a quella Chiesa. Erano ancor più i martiri. Il vescovo tributava loro il massimo onore e voleva che tutto il popolo leggesse la propria esperienza di fede mettendosi in paragone con coloro che, per amore di Cristo, avevano addirittura sacrificato la vita. Né mancava, a Milano, un’attenzione al confronto con la società e la cultura del tempo. Erano preziose a questo riguardo, alcune personalità singolarmente dotate per offrire un simile contributo. 

    Il legame con la “traditio”

    In secondo luogo, va detto che la parrocchia vive come suo compito specifico quello di essere la memoria cristiana di generazione in generazione. Questa funzione chiama in causa, in particolare, la figura del vescovo, che rimane il responsabile ultimo della cura pastorale della parrocchia, e i sacerdoti, sia singolarmente considerati come parroci, sia riuniti nel presbiterio. Spetta loro un compito che non è semplicemente di rappresentanza passiva; più profondamente, è loro affidato un compito positivo di annuncio di questa memoria, di educazione e di formazione. 

    Lo spazio del presente: i carismi suscitati dallo Spirito

    In terzo luogo, va ricordato che la parrocchia è uno spazio nel presente: lo spazio della risposta suscitata nel cuore di tutti i christifideles dallo Spirito Santo all’annuncio del Vangelo in un determinato luogo. È in questo spazio che si genera in continuazione la Chiesa come un dono che riceviamo e come novità mai totalmente prevedibile. Di questo dono, accolto con l’ardore del cuore, è un segno particolarmente prezioso la vita consacrata. Il vescovo e i sacerdoti sono a servizio di questa ricchezza, in funzione della sua custodia e della sua piena accoglienza; sono a servizio dello Spirito Santo che, come ha detto Gesù, comunica la forza per essere testimoni di lui nel mondo (cfr At 1,8). La loro più grande gioia è quella di contemplare stupiti la presenza operante dello Spirito Santo nel cuore e nella vita di tutti i fedeli; la loro passione è quella di favorire la fioritura di tutti questi doni negli ambiti dell’agire quotidiano; la loro saggezza è quella che li fa strumenti di unità perché i doni di ciascuno fruttifichino per l’utilità di tutti (1 Cor 12,7).

     

    CONCLUSIONE 

    Da quanto detto fin qui emerge chiaramente un triplice invito. Anzitutto si tratta di rivisitare l’ampio territorio della pastorale ordinaria, in tutti i suoi ambiti, per valorizzare, in forme anche rinnovate, le opportunità preziose di cui ancora oggi disponiamo. Ciò significa «discernere, valorizzare e sviluppare le molteplici potenzialità missionarie già presenti, anche se spesso in forma latente, nella nostra pastorale ordinaria, nello svolgimento della quale ci è dato di accostare molte persone che appartengono alla Chiesa in maniera debole e precaria, o anche che non sono credenti: se ci avvicineremo a loro con animo accogliente e con slancio missionario i frutti non mancheranno. È dunque ingiustificato e controproducente concepire la “svolta missionaria” quasi in alternativa alla pastorale ordinaria e sottostimare quest’ultima quasi fosse, di sua natura, soltanto statica gestione dell’esistente»[36].

    Questo invito permette, anzitutto ai parroci (ma anche a noi vescovi), di comprendere che quanto ci viene chiesto concerne propriamente il lavoro quotidiano a cui ci dedichiamo e la più opportuna maniera di impostarlo.

    Emerge anche l’urgenza di una particolare attenzione alla famiglia, e più largamente agli adulti. Solo in questo modo verrà efficacemente affrontato il grande capitolo dell’iniziazione cristiana. Nulla infatti aiuta le nuove generazioni quanto il vedere, dinanzi a sé, adulti che credono nel Signore Gesù e trovano, nella sequela di lui, “il centuplo in questa vita, anche con persecuzioni, e la vita eterna” (Mc 10,30). Occorre quindi «dare uno spazio centrale alla pastorale degli adulti, e quindi in concreto anzitutto delle famiglie, ma anche degli ambienti di lavoro e di vita in cui gli adulti si trovano. Ciò richiede iniziative capaci di raggiungere le famiglie nelle loro case e di rendere presente la testimonianza cristiana all’interno degli ambienti di lavoro […]. Ma non meno importante è rimodellare per quanto possibile i ritmi di vita delle parrocchie, in modo da renderli realmente accessibili agli adulti che lavorano e alle famiglie: a questo fine, più che l’organizzazione di un gran numero di incontri, può servire uno stile pastorale caratterizzato da rapporti umani approfonditi e coltivati senza quella concitazione che deriva dalla brevità del tempo disponibile»[37].

    Emerge infine l’urgenza di aprire la parrocchia sull’orizzonte più ampio. Essa deve intendendersi come “campo base” che coltiva nei suoi membri il desiderio e la capacità di affrontare lo spazio aperto della società con la testimonianza semplice e coraggiosa. Suo compito è quello di «formare i cristiani che frequentano le nostre comunità, e per primi gli stessi sacerdoti e i seminaristi, a una fede che sia consapevolmente missionaria, nelle varie situazioni di vita e non soltanto all’interno dell’ambito parrocchiale o ecclesiale. Nelle circostanze di oggi una tale fede non può sottrarsi al confronto con le persone e gli ambienti che sono condizionati da una mentalità e cultura estranea o anche avversa al Vangelo e a volte se ne fanno sostenitori espliciti»[38].

    Tutte queste attenzioni possono diventare un modo di condividere le gioie e i dolori di ogni creatura umana. Più profondamente, sono un modo per fare dono ad ogni uomo di ciò che l’apostolo Paolo chiede nella sua preghiera al Padre per i cristiani di Efeso: “Possa egli farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi credenti secondo l’efficacia della sua forza che egli manifestò in Cristo” (Ef 1,18-20a).


    ALLEGATO

     

    La parrocchia: Chiesa che vive tra le case degli uomini

    Domande per l’approfondimento

    L’osservazione di base: tenere ben ferma l’attenzione sul tema centrale, che è quello della conversione missionaria della parrocchia, mettendola risolutamente “a servizio della fede”, vera questione seria per la Chiesa di oggi.

    1. Chiesa tra la gente

    Nella relazione è stata offerta la descrizione di alcuni lineamenti della figura di Chiesa che la parrocchia è chiamata ad esprimere. E’ questa l’immagine che vogliamo coltivare?

    Quale capacità di ascolto e di interpretazione di quanto avviene dentro la vita della società ci sembra che abbia la parrocchia oggi? Quale aiuto concreto offre al costituirsi del tessuto sociale e a sospingere la società civile ad essere comunità? Come una parrocchia può testimoniare una presenza intelligente e anche operativa di fronte ai rivolgimenti in atto per far emergere e sostenere le risorse che possono preparare un futuro degno dell’uomo, e nel quale vi sia spazio soprattutto per i più deboli? Con quali strumenti la parrocchia può farsi carico nel creare trame di prossimità e solidarietà?

    Quali mutamenti di immagine sono intervenuti da cinquant’anni a questa parte? Che cosa oscura questa immagine: i numeri eccessivi (o troppo ridotti) degli abitanti? La pesantezza delle strutture e una certa burocratizzazione? Una “forma mentis” del sacerdote che lo conduce ad attribuire importanza, più che alla relazione interpersonale e alla vicenda concreta delle famiglie che abitano in parrocchia, ad altre esigenze, pure giuste, ma non vissute con la giusta misura e in un insieme armonico? 

    2. Una figura centrale nella parrocchia: il parroco

    Quale figura di parroco ci occorre per una parrocchia totalmente ricentrata sul “servizio alla fede”? Come ascoltare i parroci, anche da parte del vescovo, e come aiutarli a poter avere un ritmo quotidiano di vita personale e di lavoro apostolico che sia sopportabile ed equilibrato?

    Come affrontare, anche a questo scopo, il momento nel quale un sacerdote viene designato parroco? Quale mobilità del clero è ritenuta più opportuna? Quali sono le forme più idonee, per il sacerdote stesso e per il bene delle comunità, di metterla in atto? Che dire delle nomine “ad tempus”, messe in relazione con la “paternità” che il sacerdote è chiamato a coltivare e ad esprimere?

    Quale formazione permanente proporre ai giovani preti in vista della futura responsabilità come parroci? E quale formazione coltivare anzitutto per i candidati al sacerdozio?

    Come aiutare i sacerdoti a sentirsi sempre più “presbiterio” e ad aprirsi a un servizio pastorale più comunionale? 

    3. Laici collaboratori nella vita della parrocchia

    Quale educazione (o rieducazione) in ordine al “servizio alla fede” è necessario mettere in programma perché tutti gli organismi di partecipazione, a cominciare dal Consiglio Pastorale Parrocchiale, siano un vero motore per la vita di fede? Come il Consiglio Pastorale può farsi carico, nel suo normale lavoro, della qualità evangelica e apostolica della parrocchia?

    Quali proposte ed esigenze esprimere anche nei confronti delle molte altre collaborazioni laicali in campo educativo-pastorale presenti in parrocchia (Oratori, Gruppi, Pastorale Giovanile, ecc.) perché tutti questi “soggetti ecclesiali” abbiano sommamente a cuore anzitutto per se stessi l’esperienza di una fede che illumina tutta la vita e la cambia? 

    4. Laici in famiglia: primi responsabili dell’educazione alla fede

    Quale rapporto stabile instaurare con le famiglie per essere al servizio della loro fede e per farne dei “soggetti” reali per la comunicazione della fede? Come articolare questo rapporto?

    Come dovrebbe lavorare nelle parrocchie la Commissione Famiglia, a cominciare dai fidanzati, per poi far sentire una vicinanza anche umanamente significativa della parrocchia alle famiglie lungo le varie tappe dell’esistenza umana?

    Quali esperienze di pastorale familiare e di valido rapporto parrocchia/famiglia potrebbero essere realizzate anche in altre diocesi? 

    5. Parrocchia e parrocchie, parrocchia e unità pastorali,

        parrocchia e aggregazioni ecclesiali,

        parrocchia e vita consacrata: per una “pastorale integrata”

    Poiché la scelta di una “pastorale integrata” è obbligata, e anche non ulteriormente rimandabile, se vogliamo tener conto realisticamente della situazione nella quale ci troviamo, da dove cominciare?

    Che cosa di valido già esiste, anche in termini di Unità Pastorale? A quali condizioni esse possono costituire una valida risposta pastorale in termini di comunione e di missione? Come coltivare l’immagine di una comunità viva quando siamo messi di fronte alla necessità di sopprimere qualche parrocchia o di accorparla con altre parrocchie?

                Come affrontare questo orientamento pastorale al suo livello più determinante e più difficile: quello della mentalità dei sacerdoti e dei laici?

    Che passi dobbiamo assolutamente compiere, nella relazione tra parrocchia e aggregazioni ecclesiali, in favore di un “servizio alla fede” attuato senza disperdere indebitamente le energie spirituali e apostoliche donate dallo Spirito Santo?

    Quale attenzione e quale valorizzazione della vita consacrata e dei vari carismi che essa esprime?

     

    6. Fedeli laici responsabili del Vangelo nel mondo

    Come e dove la parrocchia deve “servire la fede” degli adulti perché sappiano essere veri testimoni nel modo di affrontare le più serie questioni dell’uomo?

    Come far crescere la vitalità spirituale dei laici – giovani e adulti – perché, attraverso di loro, chiunque li incontri  (in famiglia, a scuola, sul lavoro, ecc.) incontri un segno vivo di una Chiesa “madre” e avverta in loro gioia, coraggio, pienezza di esistenza umana?

    Come valorizzare tutti i doni che lo Spirito Santo semina nel cuore dei laici? 

    7. La parrocchia a servizio della fede dei credenti

         perché diventino apostoli

    Quale spazio dare, nelle nostre comunità, al lavoro formativo? Che ne è, nelle nostre parrocchie, della gioia, del coraggio, della “ebbrezza dello Spirito”? Quale consapevolezza vi è circa la corresponsabilità a proposito dell’immagine di Chiesa che si offre? Come affrontare i gesti più abituali e gli appuntamenti classici della vita pastorale lasciando agire la presenza operante dello Spirito Santo?

    In particolare, in che modo fare del “giorno del Signore” la più grande opportunità a disposizione della parrocchia per “il servizio alla fede” dei credenti che partecipano alla celebrazione dell’Eucaristia?

    Come favorire una reale esperienza di ascolto della parola del Signore? Come fare della celebrazione intera, e in particolare della comunione eucaristica, l’alimento di una fede effettiva e affettiva? Come fare dell’Eucaristia la radice più profonda e forte della prossimità?

    Come svegliare la gioia di uscire dal portale della chiesa per essere nel mondo gli inviati di Gesù, ciascuno secondo la propria condizione di vita?

    8. La parrocchia e l’introduzione

        delle nuove generazioni al cristianesimo

    L’Assemblea dello scorso maggio ha indicato “un’agenda” che comprende scelte rilevanti e difficili, anche perché in parte innovative: ordine dei sacramenti, attori dell’iniziazione cristiana, condizioni essenziali per la missione ai sacramenti, sinergia tra parrocchia e aggregazioni ecclesiali per il cammino dei ragazzi, messa in rete delle esperienze parrocchiali e diocesane più importanti.

    Che dire di tutto questo, soprattutto volendo privilegiare la questione della fede in tutto l’enorme lavoro che viene svolto nelle parrocchie? 

    9. La parrocchia e l’attenzione ai non praticanti,

        ai non credenti, ai non cristiani:

        situazioni spirituali da accompagnare

    Come può essere immaginato e impostato un “servizio alla fede” di coloro che sono diventati indifferenti, o vivono uno spaesamento, o hanno consapevolmente deciso un distacco dalla Chiesa (e magari anche dal Signore Gesù)?

    Chi può fare questo lavoro? Con quale formazione?

    Quali spazi di accoglienza e di ascolto andrebbero creati nelle nostre parrocchie, o su un’area più ampia, o appoggiandoci ai santuari, ecc.?

    Relazione svolta nell’Assemblea straordinaria dei vescovi italiani

    Assisi, 18 novembre 2003



    [1]    Gli Orientamenti pastorali per il primo decennio del 2000 raccomandano “una paziente e coraggiosa revisione di tutto il tessuto pastorale dal punto di vista missionario”, pronti a compiere quella “conversione pastorale” che risultasse necessaria (cfr CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, Appendice, n. 4). Il capitolo della parrocchia rientra evidentemente in questo lavoro.

    [2]    Si veda anche CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Il presbitero, pastore e guida della comunità parrocchiale, 4 agosto 2002, n. 29; cfr. l’allegato posto alla fine di questa relazione, n. 2.

    [3]    Mi riferisco in particolare all’indagine svolta per conto della CEI dall’Università Cattolica, e pubblicata nel volume La Religiosità in Italia, Milano, Mondadori, 1995, e a quella recente sul clero, pubblicata nel volume di F. Garelli (ed.), Sfide per la Chiesa del nuovo secolo. Indagine sul clero in Italia, Bologna, il Mulino, 2003.

    [4]    Lo ricorda il Concilio Vaticano II nella Lumen gentium, là dove dice che “l’organismo sociale della Chiesa è a servizio dello Spirito di Cristo che lo vivifica per la crescita del corpo” (n. 8).

    [5]    Esso è uscito ormai da quella cultura agricola e contadina che ne ha contraddistinto il tratto per secoli ed entrato in modo definitivo in quella cultura urbana e post-moderna che invece ne sta disegnando il futuro. Questo mutamento di cultura si è tradotto in mutamento di spazi, in spostamento di popolazioni, in aumento del nomadismo personale e familiare, nella comparsa e nell’affermarsi dell’immigrazione, tutti fenomeni che incidono sul territorio e ne ridisegnano la figura, le relazioni, il modo con cui la gente lo sente e lo trasforma in un luogo.

    [6]    Cfr. l’allegato posto alla fine di questa relazione, n. 3. 6

    [7]    È significativo, a questo riguardo, quanto si legge nel C.I.C., al can. 529 § 1, a proposito del compito del parroco. Così lo riprende la già citata “Istruzione” della Congregazione per il Clero: “Da uomo di Dio esercita in modo integrale il proprio ministero, cercando i fedeli, visitando le famiglie, partecipando alle loro necessità, alle loro gioie; corregge con prudenza, si prende cura degli anziani, dei deboli, degli abbandonati, degli ammalati e si prodiga per i moribondi; dedica particolare attenzione ai poveri e agli afflitti; si impegna per la conversione dei peccatori, di quanti sono nell’errore ed aiuta ciascuno a compiere il proprio dovere, fomentando la crescita della vita cristiana nelle famiglie” (n. 22).

    [8]    Cfr Giovanni Paolo II, Es. Ap. Novo millennio ineunte, n. 31.

    [9]    Questa capacità della parrocchia, unica per disponibilità e flessibilità, conosciuta e studiata dalla riflessione ecclesiale e teologica, è ciò che viene definito come il “principio parrocchiale” del cattolicesimo. Attraverso questa sua istituzione, il cattolicesimo permette che ogni spazio, ogni luogo abbia la possibilità di incontrare l’esperienza cristiana e di accedervi. Si veda, a questo riguardo, K. Rahner, «Pacifiche considerazioni sul principio parrocchiale», in Id., Saggi sulla Chiesa, Roma, Paoline, 1969 (originale tedesco: 1955), pp. 337-394.

    [10]  Cfr. l’allegato posto alla fine di questa relazione, n. 1.

    [11] Nella Lett. Ap. Novo millennio ineunte Giovanni Paolo II ricorda la richiesta fatta a Filippo da alcuni greci, che erano saliti a Gerusalemme: «Vogliamo vedere Gesù» (Gv 12,21) e ne fa questo commento: “Come quei pellegrini di duemila anni fa, gli uomini del nostro tempo, magari non sempre consapevolmente, chiedono ai credenti di oggi non solo di parlare di Cristo, ma in un certo senso di farlo loro vedere. E non è forse compito della Chiesa riflettere la luce di Cristo in ogni epoca della storia, farne risplendere il volto anche davanti alle generazioni del nuovo millennio?” (n. 16).

    [12] L’Istruzione della Congregazione per il Clero, al n. 29, ricorda che “Priorità di singolare importanza per la Chiesa e, quindi per la pastorale parrocchiale, è l’impegno ardentemente missionario dell’evangelizzazione” (cfr Paolo VI, Es. Ap. Evangelii nuntiandi, n. 14). Citando la Novo millennio ineunte (n. 40), aggiunge: “È ormai tramontata, anche nei paesi di antica evangelizzazione, la situazione di una società cristiana che, pur tra le tante debolezze che sempre segnano l’umano, si rifaceva esplicitamente ai valori evangelici. Oggi si deve affrontare con coraggio una situazione che si fa sempre più varia e impegnativa, nel contesto della globalizzazione e del nuovo mutevole intreccio di popoli e culture che la caratterizza"

    [13] Cfr Giovanni Paolo II, Es. Ap. Novo millennio ineunte, n. 46

    [14] Cfr Concilio Vaticano II, Cost. Dogm. Lumen gentium, n. 26.

    [15] CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, cfr nn. 56-58. A proposito di questi battezzati, al n. 57 si scrive: «Sovente si tratta di persone di grande dignità, che portano in sé ferite inferte dalle circostanze della vita familiare, sociale e, in qualche caso, dalle nostre stesse comunità, o più semplicemente sono cristiani abbandonati, verso i quali non si è stati capaci di mostrare ascolto, interesse, simpatia, condivisione».

    [16] Cfr  CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, n. 58 § 2.

    [17] Cfr. CEI (Consiglio Permanente), L’iniziazione cristiana, 3. Orientamenti per il risveglio della fede e il completamento dell’iniziazione cristiana in età adulta, 8 giugno 2003.

    [18]         Cfr l’allegato posto alla fine di questa relazione, n. 9.

    [19] Si veda anche Convegno Missionario Nazionale, “Il fuoco della missione”, Bellaria, 10-13 settembre 1998, p. 287.

    [20] Cfr Concilio Vaticano II, Decr Presbyterorum ordinis, n. 4.

    [21] Cfr l’allegato posto alla fine di questa relazione, n. 7.

    [22] È opportuno ricordare quanto la Lumen gentium dice della Chiesa, vergine e madre, nel capitolo dedicato alla Vergine Maria, modello della Chiesa: “La Chiesa, contemplando l’arcana santità di Maria, imitandone la carità e adempiendone fedelmente la volontà del Padre, per mezzo della Parola di Dio accolta con fedeltà, diventa essa pure madre, poiché con la predicazione ed il battesimo genera ad una vita nuova e immortale i figli, concepiti ad opera dello Spirito Santo e nati da Dio” (n. 64).

    [23] Oltre al documento già citato - CEI (Consiglio Permanente), L’iniziazione cristiana, 3 -  sono da ricordare i due documenti precedenti dedicati rispettivamente agli adulti non battezzati (1997) e ai fanciulli e ai ragazzi (1999).

    [24] Cfr CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, cfr n 57.

    [25]  Cfr l’allegato posto alla fine di questa relazione, n. 4.

    [26]  Cfr l’allegato posto alla fine di questa relazione, n. 8.

    [27] Giovanni Paolo II, Es. Ap. Novo millennio ineunte, n. 43.

    [28] L’Es. Ap. prosegue notando che “Questi ultimi, infatti, aiutano i cristiani a vivere più radicalmente secondo il Vangelo, sono culla di diverse vocazioni e generano nuove forme di vocazione; promuovono soprattutto la vocazione dei laici e la portano ad esprimersi nei diversi ambiti della vita; favoriscono la santità del popolo; possono essere annuncio ed esortazione per coloro che diversamente non incontrano la Chiesa; spesso sostengono il cammino ecumenico ed aprono vie per il dialogo interreligioso; sono di antidoto contro la diffusione delle sette; sono di grande aiuto nel diffondere vivacità e gioia nella Chiesa”. Si veda anche Giovanni Paolo II, Es. Ap. Novo millennio ineunte, n. 46.

    [29]  Cfr l’allegato posto alla fine di questa relazione, n. 5.

    [30] Si veda anche Congregazione per Il Clero, Il presbitero, pastore e guida della comunità parrocchiale, 4 agosto 2002, n. 18..

    [31] Agostino, Le Confessioni, VIII, 1.2.

    [32] Agostino, La Verginità, 16.99.

    [33] Agostino, Caino e Abele, II, 6,22.

    [34] Agostino, Inno Splendor paternae gloriae.

    [35] Agostino, Le Confessioni, IX, 7.15.

    [36] C. Ruini, Prolusione al Consiglio Permanente dello scorso settembre, n.4; cfr anche CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, nn. 47-49; 57.

    [37] cfr Ruini, ibidem; cfr anche CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, nn. 50.52.

    [38] cfr Ruini, ibidem; cfr anche CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, nn. 54.58.61-62.


    T e r z a
    p a g i n A


    NOVITÀ 2024


    Saper essere
    Competenze trasversali


    L'umano
    nella letteratura


    I sogni dei giovani x
    una Chiesa sinodale


    Strumenti e metodi
    per formare ancora


    Per una
    "buona" politica


    Sport e
    vita cristiana
    rubrica sport


    PROSEGUE DAL 2023


    Assetati d'eterno 
    Nostalgia di Dio e arte


    Abitare la Parola
    Incontrare Gesù


    Dove incontrare
    oggi il Signore


    PG: apprendistato
    alla vita cristiana


    Passeggiate nel
    mondo contemporaneo
     


    NOVITÀ ON LINE


    Di felicità, d'amore,
    di morte e altro
    (Dio compreso)
    Chiara e don Massimo


    Vent'anni di vantaggio
    Universitari in ricerca
    rubrica studio


    Storie di volontari
    A cura del SxS


    Voci dal
    mondo interiore
    A cura dei giovani MGS

    MGS-interiore


    Quello in cui crediamo
    Giovani e ricerca

    Rivista "Testimonianze"


    Universitari in ricerca
    Riflessioni e testimonianze FUCI


    Un "canone" letterario
    per i giovani oggi


    Sguardi in sala
    Tra cinema e teatro

    A cura del CGS


    Recensioni  
    e SEGNALAZIONI

    invetrina2

    Etty Hillesum
    una spiritualità
    per i giovani
     Etty


    Semi e cammini 
    di spiritualità
    Il senso nei frammenti
    spighe


    Ritratti di adolescenti
    A cura del MGS


     

    Main Menu