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    La missione educativa

    della famiglia

    Domenico Simeone

     

    I profondi mutamenti che hanno investito la famiglia pongono nuovi interrogativi e aprono inedite prospettive educative. Il passaggio dalla famiglia normativa alla famiglia affettiva1 ha favorito un rapido mutamento delle strategie di socializzazione e di educazione dei figli. Si sono modificate le relazioni e i vissuti all’interno della famiglia, è cambiato il ruolo materno e paterno, si sono trasformati i rapporti tra le generazioni2, ma anche se cambia la morfologia familiare, il compito educativo dei genitori resta immutato; anzi, oggi diventa ancora più urgente di prima, poiché le radicali modificazioni che stanno contrassegnando i rapporti familiari hanno indotto nei coniugi e nei figli insicurezze e fragilità nuove. La famiglia rimane, dunque, l’ambito fondamentale “dell’umanizzazione della persona”, il luogo privilegiato della cura degli affetti e dell’educazione. “Nell’orizzonte della comunità cristiana, la famiglia resta la prima e indispensabile comunità educante. Per i genitori, l’educazione è un dovere essenziale, perché connesso alla trasmissione della vita; originale e primario rispetto al compito educativo di altri soggetti; insostituibile e inalienabile, nel senso che non può essere delegato né surrogato”3. La famiglia è il luogo per eccellenza del legame affettivo, ma anche il luogo generativo di responsabilità. Alla famiglia è chiesto di prendersi cura dei legami che costituiscono la fitta trama che sostiene la persona nel suo processo di crescita e che incrementano la qualità della vita di una comunità.

     

    1. La famiglia luogo di relazioni generative

    L’avventura di diventare uomini e donne si gioca nell’intreccio dei rapporti tra le generazioni e tra il maschile e il femminile. «Affinché la genitorialità possa essere riscoperta, in un tempo che sembra privilegiare l’occasionalità e lo sperimentalismo nel campo dei legami interumani, risulta indispensabile procedere alla ridefinizione del rapporto tra i sessi e tra le generazioni. (...) Di qua la necessità di procedere alla elaborazione e diffusione di una cultura del dialogo coniugale, parentale, intergenerazionale, in cui la dimensione del confronto risulti l’elemento idoneo a garantire l’avvaloramento delle realtà personali nell’intreccio dei legami interpersonali avviati»4.

    La coscienza della differenza e della parzialità rappresenta il primo passo per costruire un nuovo modello di reciprocità tra uomo e donna. A partire dal riconoscimento della differenza va dato valore alla relazione perché è nell’incontro autentico di esistenze originali che le specificità non si annullano, ma danno vita alla novità. Nella vita familiare l’appartenenza di genere e i cambiamenti relativi ai ruoli genitoriali rappresentano la cifra del cambiamento in atto nei rapporti di coppia. Tali cambiamenti se da un lato possono condurre ad una maggiore condivisione delle attività, delle decisioni, delle scelte familiari ed educative, delle responsabilità e dei compiti di cura, dall’altra possono generare dubbi ed incertezze, possono incrementare le difficoltà nella ridefinizione nelle delle reciproche aspettative. “Siffatta tendenza, in mancanza di modelli alternativi a cui ispirarsi, è causa tanto di fragilità delle identità coniugali/genitoriali maschile e femminile quanto di fragilità delle funzioni educative materna e paterna. Uomo e donna appaiono disorientati nel modo di relazionarsi e di porsi ‘uno di fronte all’altro”5

    I genitori che stanno abbandonando gli schemi rigidi del passato non sanno ancora prefigurare il nuovo. Tale incertezza può dare vita a nuovi scenari per il futuro, a patto che offra l’opportunità per pensare e realizzare nuove modalità per vivere le relazioni familiari. La famiglia può essere così intesa come una sorta di laboratorio sociale in cui sperimentare nuove modalità di relazione tra il maschile e il femminile e tra le generazioni. . Si tratta di non avere paura del nuovo e di avviare un rapporto impostato sul riconoscimento della differenza e della reciprocità . «La condivisione genitoriale implica un “pensare insieme”, un “aver cura” insieme, un mettere in comune le proprie esperienze, parteciparsi reciprocamente speranze, timori, attese di cui è costruita la preoccupazione educativa. La condivisione genitoriale pro-voca (chiama fuori) entrambi i generi ad uscire dalla cittadella dei propri ruoli tradizionali e ad incontrarsi con l’altro, a mettere in comune progetti e aspettative, preoccupazioni e gioie, poiché la genitorialità è l’unica relazione educativa costitutivamente duale»6.

    Nelle relazioni educative familiari la piena realizzazione di sé non è frutto soltanto dell’impegno del singolo, ma è anche affidata all’altro. Se da un lato la coppia è il luogo in cui ciascuno può beneficiare della generosità dell’altro, in cui si affida all’altro la possibilità di contribuire alla propria realizzazione, dall’altro la famiglia, in quanto luogo elettivo dell’essere con, si qualifica come spazio della con-divisione, di ciò che inter-corre tra i suoi componenti. Il tra delle relazioni familiari non si qualifica infatti come un semplice “essere uno tra gli altri”, ma con l’essere “l’uno con l’altro”. L’essere “l’uno con l’altro” è quindi, nella famiglia, un “essere l’uno per l’altro” nel dono dell’amore reciproco, poiché la dignità della persona si mostra nella trascendenza verso l’altro, nel comprendere e “assumere” l’alterità in sé. “Essere generativi, in quanto maturità dell’identità umana e della sua capacità di relazione, significa essere grembo ospitale per la vita dell’altro e custode responsabile per ciò che si è fatto nascere. Di qui la centralità antropologica della famiglia, quale pienezza dell’amore sessualmente differenziato e biologicamente-psichicamente generativo”7. Lo spazio domestico del “noi” assume il significato della cura reciproca e le modalità educative della famiglia sono contraddistinte dall’accoglienza e dalla solidarietà. Porre l’accento sull’alterità significa riconoscere nell’altro “il maestro”. Il riconoscimento dell’alterità presuppone il trascendimento dell’io e diventa così una spinta ponderosa verso un’umanità solidale. La famiglia può quindi divenire uno “spazio ospitale” in cui è possibile l’incontro, senza pretese di omologazione e di possesso; in cui le differenze, di genere e di generazione, arricchiscono la rete delle relazioni e offrono nuove opportunità educative.

     

    2. Il compito educativo della famiglia: generare speranza

    Ogni famiglia, di fronte alle sfide che le relazioni educative pongono nelle diverse fasi del ciclo di vita familiare e nelle diverse situazioni, può essere risorsa, può attivare le competenze necessarie per favorire i processi di crescita e di cambiamento, può essere luogo fecondo di trasformazione, ma in alcune circostanze può reagire con paura, ritirandosi nel proprio privato. “La profonda modificazione strutturale dei legami coniugale e familiare sembra connettersi anche con una condizione di fragilità relazionale dei soggetti adulti sotto l’aspetto personale e sociale. (…) Si rileva da parte della coppia insicurezza nel campo delle scelte esistenziali, impreparazione a progettarsi nel presente e a disporsi a vivere il futuro, timore ad affrontare le incognite della vita quotidiana”8.

    La paura inchioda la famiglia all’hic et nunc, la espropria del futuro, inibisce la sua capacità progettuale. Una famiglia pervasa dalla paura e dal sospetto rischia di rimanere schiacciata sul presente o ripiegata sul passato senza prospettive per il futuro. La logica reattiva sostituisce quella progettuale, il sospetto prende il posto della fiducia, l’atteggiamento difensivo vòlto alla tutela di sé prevarica la disponibilità a promuovere la crescita dell’altro, mentre i figli hanno bisogno di genitori che sappiano assumere un compito “generativo”, che sappiano “compromettersi” nella relazione educativa, che sappiano aprire le porte al futuro perché sogni, desideri, progetti possano trovare dimora.

    La sfida educativa può essere affrontata solo ricostituendo il patto di fiducia tra gli adulti che condividono responsabilità educative senza il quale non è pensabile né la società né tanto meno il suo compito educativo. Infondere fiducia e speranza, questo è il compito che alla famiglia assegnano gli psicoanalisti D. Meltzer e M. Harris: “la speranza [sembra] in un certo qual modo dipendere dalla possibilità che le forze costruttive prevalgano su quelle distruttive, sia per quanto riguarda l’individuo che il gruppo […] In un’atmosfera ricca di speranza sarà possibile fare progetti […]; si svilupperanno energia e spirito di iniziativa e verrà così stimolato il desiderio di conoscere e d’imparare”9.

    Si tratta di recuperare una speranza affidabile10 come anima dell’educazione, solo in questo modo “Chi educa è sollecito verso una persona concreta, se ne fa carico con amore e premura cosante, perché sboccino nella libertà, tutte le sue potenzialità. Educare comporta la preoccupazione che siano formate in ciascuno l’intelligenza, la volontà la capacità di amare, perché ogni individuo abbia il coraggio di decisioni definitive”11.

     

    3. L’educazione: un dono tra le generazioni

    Al centro del legame familiare sta la dimensione del dono che produce relazione. Nella famiglia ciascuno entra nel rapporto contemporaneamente come creditore e debitore, alimentando quello scambio che rende vitali e feconde le relazioni familiari. Il dono obbliga nel senso proprio del termine “ob ligare”, è un atto capace di costruire e cementare legami12. Il dono come elemento che fortifica i legami ha bisogno di essere riconosciuto, di essere situato in un contesto che gli attribuisca un significato. Liberare il dono significa fare spazio alla logica della gratuità. “Il dono della vita e il dono di sé tra genitori e figli, tra uomo e donna, rappresenta la forma meno visibile, meno consapevole, meno legata a pretese di restituzione che la vita umana abbia saputo produrre”13.

    Secondo J. T. Godbourt il dono è costitutivo del legame familiare. Il dono è una caratteristica del legame incondizionato: il legame familiare si alimenta di azioni che prestano fiducia all’altro14. Nel sistema del dono lo scambio si snoda tra il dare, il ricevere e il ricambiare, ma la molla del ricambiare non è mossa solo dalla necessità di sdebitarsi, quanto piuttosto dal desiderio di restituire, identificandosi con la fonte del dono, cioè donando a propria volta.

    La gratitudine di chi restituisce consente di inserire una componente di libertà nell’obbligo-debito, componente che si trova sempre nel donatore. Quando il sistema del dono è operante, le persone si trovano in una condizione di “debito rovesciato” o di “debito positivo”. Lo scambio simbolico, tipico delle relazioni familiari, consiste dunque nel dare all’altro ciò di cui si pensa e si auspica abbia bisogno. Esso è sostenuto dalla fiducia che l’altro ricambierà al momento opportuno con un equivalente simbolico. Più propriamente la restituzione avviene nell’arco delle generazioni e non necessariamente nell’arco della vita del singolo15. Riconoscere di essere stati generati, accogliere il proprio limite, accettare la propria figliolanza permette di accedere alla genitorialità, libera la propria capacità generativa. L’atto del ringraziamento, la riconoscenza per ciò che abbiamo avuto genera alla vita. Il senso della vera genitorialità non sta nello stabilire dei legami di dipendenza, quanto piuttosto nel “mettere al mondo”, cioè offrire lo spazio necessario perché il figlio diventi se stesso nella libertà. Riconoscere di essere stati destinatari di un dono apre alla capacità di donare: nelle relazioni intergenerazionali vi è una sorta di “genealogia del dono”, doniamo qualcosa che abbiamo ricevuto da altri.

    L’incapacità di donare e la perversione del dono, invece, costituiscono forme di patologia relazionale. Il dono convive con l’altra faccia della medaglia, cioè il debito e l’obbligo. A volte il debito e l’obbligo possono soffocare il dono.

    Lo psichiatra Vincent Laupies mette in luce tre perversioni del dono:

    a) L’indifferenziazione, nella quale la relazione e fusione, al punto che il dono viene vissuto in base all’immagine dell’onnipotenza, sia da parte di chi dona sia da parte di chi riceve;

    b) Donare all’altro senza prestare attenzione ai suoi bisogni e ai suoi desideri, cioè senza considerarlo veramente un soggetto;

    c) Il dono a senso unico provoca nel destinatario incapace di donare qualcosa in cambio, una dipendenza, o anche il sentimento di un debito insolvibile.

    Perciò le tre condizioni del dono autentico, cioè fonte di vita e non di morte sono:

    a) la differenziazione

    b) il riconoscimento dell’altro come soggetto

    c) l’apertura al dono di ritorno16

     

    Nella relazione genitoriale, mentre riconosciamo di aver ricevuto un dono siamo al tempo stesso consapevoli di non essere padroni dell’avvenire del nostro dono. Il dono è sempre un rischio. Donare è rinunciare a ogni progetto sugli effetti del dono. Essere destinatari di un dono che non vincola, ma che crea un legame liberante predispone ad una relazione generativa, nella quale il dono ricevuto può essere rimesso in circolo e offerto alle generazioni successive.

     

    4. Dalla generatività nasce la responsabilità educativa

    Già Erikson aveva individuato la generatività e la capacità di cura come caratteristiche fondamentali dell’essere adulti. La generatività, che non può essere ridotta alla sola generatività biologica, è intesa come capacità di prendersi cura dell’altro. La cura, nel pensiero di Erikson, rappresenta la qualità fondamentale dello stadio adulto, che scaturisce dall’antitesi tra generatività e stagnazione e rappresenta “una forma di impegno in costante espansione che si esprime nel prendersi cura delle persone, dei prodotti e delle idee che ci siamo impegnati di curare” 17. In questa prospettiva l’adulto si qualifica per la possibilità di realizzare il compito generativo non soltanto attraverso la generazione biologica, ma anche attraverso la creatività. Secondo Erikson, vi è nell’uomo un aspetto procreativo che, nel mondo contemporaneo, viene spesso negato e represso. Ma la spinta verso la pro-creazione, intesa come atto progettuale, proiettato in avanti, non può essere annullata. La disponibilità ad avere cura propria dell’adulto ne è una testimonianza. La generatività porta con sé la possibilità di un nuovo ethos generativo, che si traduce in una cura universale, nella disposizione delle generazioni adulte verso il miglioramento della vita delle nuove generazioni nel loro complesso. L’atto del generare e il desiderio ad esso sotteso si colloca in una doppia temporalità, quella lineare dell’ordine delle generazioni e quella circolare del ciclo nascita-vita-morte.

    I genitori, rileva H. Arendt, “non si limitano a chiamare i figli alla vita, facendoli nascere, ma nello stesso tempo li introducono in un mondo. Con L’educazione si assumono la responsabilità nei due ambiti, a livello dell’esistenza e della crescita del bambino e a livello del continuazione del mondo”18. È compito del genitore non tradire la domanda di senso inscritta nel nascere, ma anzi riconoscerla. “Col fatto di venire al mondo, ogni neo-nato, così come ogni nuova generazione, attua una rottura con l’esistente. Esprime una novità che ci interpella con bisogni e attese che domandano un prendersi cura denso di significati educativi.”19.

    La responsabilità educativa nasce, quindi, da un atteggiamento di disponibilità che muove dall’adulto, il quale si sente interpellato dai bisogni del minore e si sente convocato nello spazio della relazione educativa. Ad un tale appello corrisponde una decisione ed una responsabilità qualificabile appunto come “educativa”, nel senso che ci si decide di “rispondere”, di venire incontro alla domanda di educazione20. Tale responsabilità si declina nella relazione educativa asimmetrica che si stabilisce tra genitore e figlio. P. Ricœr ci ricorda che la «responsabilità ha come vis-a-vis specifico il fragile (…). Il fragile è qualcuno che conta su di noi; egli attende il nostro aiuto e le nostre cure; confida nel fatto che noi lo faremo»21. La capacità di farsi carico della situazione dell’altro scaturisce dall’assunzione di responsabilità come risposta all’appello costituito dalla presenza di un volto, in questo caso il volto di un essere per il quale questa risposta è l’unica condizione di sopravvivenza. «L’essere che si esprime si impone, ma appunto facendo appello a me con la sua miseria e con la sua nudità – con la sua fame – senza che io possa restare sordo al suo appello. Così, nell’espressione, l’essere che si impone non limita ma promuove la mia libertà, facendo nascere la mia bontà»22. Il figlio, nel pensiero di Lévinas, rappresenta emblematicamente l’altro, la presenza di fronte alla quale il potere e il possesso perdono terreno per fare posto alla cura e all’amore. L’amore e la fecondità, che trae origine dall’incontro con l’altro – maschile o femminile – sono il luogo dell’epifania di un volto nuovo, per molti aspetti estraneo. “È estraneo perché la sua presenza si qualifica come resistenza etica a qualunque forma di potere, sia esso manipolatorio o semplicemente legato all’idea precostituita di “figlio” che spesso si costruisce nell’immaginario dei genitori»23.

    La casa è lo spazio di vita e di relazione della famiglia, è il luogo primo nel quale l'uomo sperimenta la dimensione dell’aver cura e la possibilità che qualcuno si prenda cura di lui. Qui si realizza l’incontro autentico. Senza cura non vi è umanità24. La famiglia che vive la dimensione dell’aver cura, iscrive i suoi comportamenti nella molteplicità delle possibilità dei modi dell'essere su questa terra. Apre l'esistenza dei singoli membri del nucleo familiare al potere essere, alla progettualità esistenziale. Diventa, quindi, una relazione generativa. “Aver cura dell’esistenza porta con sé un desiderio di trascendenza, di oltrepassare una situazione data per porsi di fronte al possibile, a ciò che autenticamente rappresenta il proprio potere; aver cura è, in questa prospettiva, «farsi soggetti capaci di generare mondi»”25.

     

    6. La famiglia di fronte alla sfida educativa

    Per far fronte alle esigenze dei figli che crescono nella società dell’informazione e della globalizzazione l’educazione deve offrire contemporaneamente sia le “mappe” di un mondo complesso e sempre in continua evoluzione, sia “la bussola” (gli strumenti) per orientarsi e trovare la propria strada. I figli hanno bisogno di trovare in famiglia, non soltanto un mondo di cose e di informazioni, ma uno spazio di esperienza che dia senso e rilievo alla loro autonomia e una direzione ai loro compiti di sviluppo. Tramite il linguaggio dell’accettazione, i genitori possono incoraggiare il processo di crescita che porta i figli al passaggio dalla dipendenza all’autonomia e getta le basi per uno sviluppo sereno e una adeguata maturazione affettiva. I genitori possono aiutare i figli a vivere nella prospettiva dell’«esistenza autentica» e contribuire così all’avvento di una comunità di uomini aperti al dialogo, in grado di attivare relazioni nuove. Le giovani generazioni hanno bisogno di adulti credibili che sappiano porsi al loro fianco, disposti a camminare con loro. Compagni di viaggio discreti e affidabili, che sappiano fuggire le tentazioni dell’autoritarismo e della seduzione per porre la propria autorevolezza al servizio di chi sta compiendo lo sforzo di crescere.

    La relazione educativa autentica supera la tentazione di possedere, di trattenere l’altro per lasciare spazio al desiderio di liberarlo e di promuoverlo. “Scopo dell’educazione dunque non è condizionare, ma liberare; essa non va intesa come un’imposizione arbitraria ed eteronoma di contenuti o prassi già determinate, ma come graduale riconoscimento di un bene che precede ogni persona e di cui essa già partecipa”26. Il fine dell’educazione è lo sviluppo di una persona autonoma, libera e consapevole, capace di fronteggiare situazioni problematiche e di conferire significato alle proprie azioni. Perché ciò avvenga è necessario costruire un rapporto educativo improntato alla reciprocità, nel quale genitori e figli scoprono che ciascuno nella sua irripetibilità è portatore di un dono e di una “differenza” insostituibile con i quali scoprire in modo incessante il perché dell’agire. Si tratta di pensare la relazione educativa alla luce dell’”antropologia della relazione”, incentrata sul riconoscimento del ruolo fondamentale della gratuità nel percorso educativo del soggetto e nelle relazioni interpersonali che lo sostengono. Accettare l’altro, ascoltarlo autenticamente, comprendere la sua realtà, favorire il dialogo, significa consentire al Tu di percepire l’esperienza intima del rapporto e di sentirsi riconosciuto nella propria unicità.

    Il genitore che si rivolge autenticamente al figlio lo “individua”, lo fa emergere dall’anonimato, lo separa dalla molteplicità indifferente, favorendo una “responsabile progettazione dell’esistenza”, che, evitando i rischi della progettazione inautentica connotata da acriticità, incoerenza, unilateralità, assecondi la capacità di effettuare scelte orientate al futuro, aperte al cambiamento e volte alla piena realizzazione della persona nella sua globalità. Questo atteggiamento permette di aiutare i figli non solo per quello che già sono ma per ciò che possono e devono diventare. I genitori, nella consapevolezza che in ognuno c’è qualcosa di prezioso che non c’è in nessun altro, devono mettersi alla ricerca di quel tesoro segreto che ciascuno custodisce e che aspetta di essere scoperto e valorizzato. Tale responsabilità si declina nella relazione educativa asimmetrica che si stabilisce tra genitore e figlio.

    Il riconoscimento di tale asimmetria relazionale e l’assunzione della responsabilità educativa che ne deriva dovrebbe indurre i genitori a promuovere l’autorità come regola orientativa27 in grado di fornire ai figli i criteri per gestire il proprio progetto di vita con libertà e responsabilità, nella consapevolezza che l’incertezza esistenziale che qualifica la società contemporanea aumenta le difficoltà dei giovani a compiere scelte rilevanti e percepite dai soggetti come “irreversibili”. È la dimensione del rischio, connaturata ad ogni scelta, a mettere in crisi figli fragili ed insicuri; la ricerca di una libertà senza vincoli ha come effetto paradossale quello di ridurre la possibilità di compiere scelte autentiche.

    Sono figli che nell’adolescenza e nella giovinezza possono sembrare per certi aspetti determinati e autonomi, ma tale determinazione e autonomia, che si manifesta quando si muovono sull’asse del presente, segna il passo allorché sono chiamati a sintonizzarsi sulla linea della continuità temporale, a progettare itinerari che non si esauriscono nell’immediato. Di fronte alla necessità di compiere scelte, l’autonomia cede il passo all’insicurezza28. Per far fronte alle esigenze di una prospettiva progettuale, i figli hanno bisogno di orientamento, di qualcuno che insegni loro a mediare il desiderio.

    Il problema, allora, non è tanto preparare le giovani generazioni a vivere in una determinata società, quanto piuttosto fornire ad esse i punti di riferimento indispensabili per interpretare il tempo in cui viviamo e per comportarsi in maniera responsabile e giusta. Il ruolo fondamentale dell’educazione è quello di coltivare nei singoli soggetti la libertà di pensiero e di giudizio, di modo che essi possano compiere scelte libere e responsabili.

    Libertà e responsabilità procedono così di pari passo. “Non c’è veramente scelta se di diritto o di fatto non è possibile scegliere diversamente. Una scelta spontanea, inevitabile, in qualche modo predeterminata non è una vera scelta. Ma la possibilità di una scelta autentica viene meno anche quando manchi la norma, perché senza di essa non c’è criterio di discriminazione fra le diverse scelte possibili (che diventano allora indifferenti): è la norma che pone l’alternativa. La composizione delle due istanze è probabilmente il punto più difficile dell’educazione: è il cuore dell’educazione dell’uomo come educazione alla libertà”29. Il soggetto, se opportunamente sostenuto da appropriate azioni educative, diventa il protagonista delle proprie scelte e l’artefice del proprio progetto esistenziale.

    “Qui troviamo il paradosso di ogni educazione, che consiste nell’aiutare una libertà a realizzarsi, poi a crescere. In ultima analisi, l’educazione dà alla persona che viene educata i mezzi per fare a meno dell’educatore. Più esattamente, l’educatore dà alla persona l’aiuta ad acquisire i mezzi per la propria autonomia, il che significa che egli non mira ad essere indispensabile” 30.

    L’esperienza di questa accoglienza illimitata diviene stimolo ad una risposta altrettanto incondizionata e rigeneratrice. Solo l’esperienza dell’amore, che usa misericordia, può restituire oggi all’uomo il senso del suo valore, non disgiunto dall’accettazione della sua miseria, e fornirgli la capacità di aprirsi con fiducia al mistero dell’altro e degli altri.

    Lo spazio interpersonale è il luogo in cui può avvenire l’autentico “viaggio educativo”, che si configura come spazio non già di proprietà di un soggetto bensì alimentato dalla relazione tra soggetti; vero e proprio luogo di incontro, di comunicazione, di manifestazione di sé, di comprensione, di accoglienza, di progettualità. In questa prospettiva la relazione educativa spinge ad uscire da sé per incontrare l’altro. “L’incontro autentico è sempre davanti a noi. Questo cammino può essere chiamato esodo, che vien dal greco ex-odos, ‘cammino fuori da’, un decentramento. Amare significa trovare la propria vita nell’altro o, almeno, nel legame che mi unisce all’altro. (…) Accogliendo la persona dell’altro, e specialmente quella dei figli, accolgo l’avvenire. A loro volta i figli partiranno. Abbiamo aperto loro le porte del futuro e loro le apriranno a noi; ce le aprono già ora. E i pronipoti ricominceranno. Affronteranno le bufere dell’esistenza, le sue tempeste probabilmente, ma lo faranno con tanta maggior sicurezza se saranno cresciuti in una casa dalle mura e dal tetto solidi, dove avranno provato il gusto e il desiderio di edificare a loro volta”31. Qui abbiamo il movimento profondo di ogni forma di amore, che acquista una centralità tutta particolare nell’amore genitoriale: lasciare il posto all’altro.

     

    7. Una comunità che educa

    “L’educazione è sì una relazione personale, ma non un fatto privato, e la famiglia un soggetto sociale a tutto tondo, punto di incontro tra pubblico e privato, portatrice di una responsabilità educativa”32. L’esperienza della genitorialità non è soltanto un fatto privato, comporta anche una dimensione pubblica. Diventare genitori significa assumere una responsabilità anche nei confronti della società; una responsabilità che è sottolineata anche dall'articolo 30 della Costituzione nel quale si chiede ai genitori di mantenere, istruire ed educare i figli. Sotto l'aspetto pedagogico ed educativo il ruolo si arricchisce anche di una funzione genitoriale, cioè di una responsabilità educativa che si qualifica per il compito di cura. “Attraverso l'esercizio della propria funzione genitoriale, padre e madre mirano a “far nascere continuamente”, a “far venire alla luce in modo permanente” la piena umanità del figlio. In questi termini, la genitorialità non è circoscrivibile all’atto fisico della procreazione (generare) né ad un complesso di diritti/doveri sanciti dall’autorità pubblica. Acquista invece le caratteristiche, squisitamente educative, di un intenzionale processo di accompagnamento/sostegno/cura del nuovo nato nel suo affacciarsi e affermarsi nel mondo”33.

    D’altro canto la responsabilità dell’educazione delle giovani generazioni non è riconducibile ai soli genitori bensì all’intera comunità, la quale può favorire od ostacolare l’acquisizione delle capacità genitoriali34. A tal fine è indispensabile costruire alleanze educative che favoriscano la positiva interazione tra le diverse agenzie educative presenti sul territorio e la famiglia. È necessario, pertanto, incrementare le opportunità di formazione rivolte agli adulti, favorire lo sviluppo di competenze educative e relazionali da parte della famiglia, sviluppando il suo ruolo di soggetto sociale attivo sul territorio e collaborando alla realizzazione di una vera e propria comunità educante.

    La comunità educante si realizza quando gli adulti (genitori, operatori, amministratori) insieme ai bambini si mettono in gioco con la propria specificità personale, generazionale, professionale, istituzionale per realizzare progetti di crescita e di cambiamento. La comunità per essere educante dovrà essere un sistema aperto allo scambio con l’esterno. L’aggettivo “educante” qualifica la comunità, ne designa una sua peculiarità: l’essere al servizio della crescita e dello sviluppo della persona. L’educazione richiede il coinvolgimento di tutte le agenzie educative, anche se ciascuna di esse interviene in tempi e forme diverse secondo la propria natura, la propria metodologia e i propri mezzi, dando vita ad un sistema formativo integrato, in cui, famiglia, comunità cristiana, scuola, enti pubblici e privati, libere associazioni e società civile, cooperano per la costruzione di una rete di relazioni che favorisca la crescita e lo sviluppo delle potenzialità di ogni persona. Perché questo accada è necessario far crescere una cultura della relazione e del dialogo che assuma il principio dialogico come principio guida di ogni azione educativa .

     

    8. Il sostegno educativo alla famiglia

    Spetta ai genitori la responsabilità di stabilire una relazione educativa autentica, che sappia motivare e coinvolgere i figli, in un clima di reciproca fiducia e di piena realizzazione. Essi non possono prescindere dalla considerazione che ogni essere umano è impegnato in un cammino di crescita originale e, prima ancora di dedicarsi ad aiutare i figli, dovranno impegnarsi con determinazione nel proprio itinerario educativo. Così facendo, mentre si prendono cura del dinamismo evolutivo dei figli, attendono alla propria crescita personale. I genitori hanno la responsabilità di avviare la dinamica dialogale, rimuovendo, se necessario, le cause delle difficoltà interpersonali e favorendo l’istituzione di un clima educativo. Per far ciò è necessario – afferma Buber – “cominciare da se stessi: ecco l’unica cosa che conta… Il punto di Archimede a partire dal quale posso da parte mia sollevare il mondo è la trasformazione di me stesso”35. Il cambiamento di sé, l’essere implicati personalmente in un cammino educativo è premessa necessaria per lo sviluppo di una relazione interpersonale autentica, nella quale l’Io del genitore, libero da paure, manifesta la sua disponibilità ad accogliere il Tu del figlio. Questa accettazione dell’altro consente di avviare la comunicazione, di superare gli atteggiamenti difensivi, di riconoscere l’alterità.

    Si fa sempre più frequente da parte dei coniugi e dei genitori la richiesta di una formazione che li qualifichi sempre più come educatori e permetta loro di acquisire conoscenze circa le fasi di crescita della famiglia e i suoi compiti educativi. Essa nasce dalla consapevolezza che le abilità legate alla relazione di coppia e al ruolo genitoriale non possono essere improvvisate: richiedono un serio processo di apprendimento e di preparazione.

    La consapevolezza di tale difficoltà deve indurre alla definizione di percorsi formativi che evitino due rischi: lo spontaneismo educativo e la professionalizzazione del ruolo genitoriale.

    1. Spontaneismo educativo: secondo tale concezione i genitori, per il fatto stesso di aver messo al mondo dei figli, sono in grado di educarli. Essere genitori è considerato un dato “naturale” e non richiede quindi alcun apprendimento.

    2. Professionalizzazione del ruolo genitoriale: in questa prospettiva essere genitori responsabili significa imparare in modo preciso un insieme di tecniche che abilitano ad essere un buon genitore. L’attenzione si sposta sulla tecnica e sulle procedure mentre si perde di vista la relazione educativa con il figlio.

    Si tratta, invece, di avviare percorsi di formazione che favoriscano l’assunzione consapevole e responsabile della funzione educativa, sviluppando la capacità di apprendere dall’esperienza e dai propri errori. Non si nasce genitori, lo si può solo diventare, con l’impegno e l’applicazione, mettendosi in discussione come donne e uomini, quindi come persone legate da un comune progetto di vita. La formazione dei genitori si configura, pertanto, come uno strumento per rafforzare e sostenere le competenze educative della famiglia; per aiutare i genitori ad affrontare i problemi che si presentano nell’educazione dei figli; aumentare la consapevolezza intorno al proprio ruolo educativo; favorire uno stile educativo rispondente ai bisogni di tutti i membri della famiglia e aperto al cambiamento. “La Chiesa , pertanto, si impegna a sostenere i genitori nel loro ruolo di educatori, promuovendone la competenza mediante corsi di formazione, incontri, gruppi di confronto e di mutuo sostegno (…). La comunità cristiana, a partire dalle parrocchie, deve avvertire l’urgenza di stare accanto ai genitori per offrire loro con disponibilità e competenza proposte educative valide”36.

    Vi è una stretta connessione tra benessere della famiglia e benessere della società. Tale consapevolezza deve indurre a prospettare serie politiche di sostegno e di promozione della famiglia, intesa come bene sociale proprio per il valore aggiunto che essa porta con sé, per il suo essere luogo fondativo e rivelativo dell’alterità, per il suo mostrarsi come contesto privilegiato di relazioni educative e centro di elaborazione di valori personali e sociali. Di fronte alle difficoltà che le famiglie incontrano si tratta di promuovere processi di solidarietà nella società civile, nella consapevolezza che se si vuole tutelare quel capitale sociale primario che è la famiglia non è sufficiente varare qualche norma estemporanea di sostegno al nucleo familiare, ma si deve agire in modo pro-attivo a favore della famiglia, liberandola dalle strumentalizzazioni del mercato. La famiglia può essere un luogo di educazione e di solidarietà nella quale le diverse generazioni hanno la possibilità di accettarsi e di capirsi e dove l’incontro tra il maschile e il femminile costituisce il modello delle più ampie relazioni sociali e comunitarie. Al tempo stesso la famiglia è un bene per la comunità e come tale va aiutata e difesa, per questo è necessario promuovere iniziative che sostengano il compito educativo della famiglia.

    47a Settimana Sociale dei Cattolici Italiani: La famiglia, speranza e futuro per la società italiana - Torino, 12-15 settembre 2013

     

    1 AA.VV., Genitori e figli nella famiglia affettiva, Edizioni Glossa, Milano, 2002.

    2 L. Cadei, Riconoscere la famiglia, Unicopli, Milano, 2010.

    3 CEI, Educare alla vita buona del Vangelo, Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020, n. 36; cfr. Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica Familiaris consortio, 22 novembre 1981, n. 36.

    4 L. Pati, “Introduzione”, in AA.VV. Educare alla genitorialità tra differenze di genere e di generazioni, La Scuola, Brescia, 2005, p.7.

    5 N. Galli, L. Pati, “Il difficile compito di educare”, in Pedagogia e Vita, 2012, n. 70, p. 38.

    6 V. Iori, “Padri e madri: oltre le fragilità e le rigidità dei ruoli”, in AA.VV. Educare alla genitorialità tra differenze di genere e di generazioni, La Scuola, Brescia, 2005, p. 138.

    7 Comitato Scientifico e Organizzatore delle Settimane Sociali dei Cattolici Italiani, La Famiglia, speranza e futuro per la società italiana. Documento preparatorio alla 47° Settimana Sociale dei Cattolici Italiani (Torino, 12-15 settembre 2013), n. 6.

    8 N. Galli, L. Pati, “Il difficile compito di educare”, in Pedagogia e Vita, 2012, n. 70, p. 37.

    9 D. Meltzer, M. Harris, Il ruolo educativo della famiglia, Centro scientifico torinese, Torino, 1986, pp. 55-56.

    10 Benedetto XVI, Lettera aala Diocesi e alla città di Roma sul compito urgente dell’educazione.

    11 CEI, Educare alla vita buona del Vangelo, Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020, n. 5.

    12 E. Scabini, O. Greco, “Dono e obbligo nelle relazioni familiari”, in AA.VV., Il Dono tra etica e scienze sociali, Edizioni Lavoro, Roma, 1999, pp. 85-105.

    13 C. Sità, Il sostegno alla genitorialità. Analisi dei modelli di intervento e prospettive educative, La Scuola, Brescia, p. 127.

    14 J. T. Gosbout, Il linguaggio del dono, Bollati Boringhieri, Torino, 1998.

    15 E. Scabini, V. Cigoli, Il familiare, Cortina, Milano, 2000.

    16 V. Laupies, “Le père, la loi, le don, in Esprits libres, settembre, 2001.

    17 E.H. Erikson, I cicli della vita: continuità e mutamenti, Armando, Roma, 1993, p. 53.

    18 H. Arendt, Tra passato e futuro, Garzanti, Milano, 1991, pp. 242-243.

    19 P. Malavasi, Etica e interpretazione pedagogica, La Scuola, Brescia, 1995, p.47

    20 C. Nanni, L’educazione tra crisi e ricerca di senso. Un approccio filosofico, Las, Roma, 1990².

    21 P. Ricœr, “Le sfide e le speranze del nostro comune futuro”, in Prospettiva persona, 1993, 4, p. 8.

    22 E. Lévinas, Totalità e infinito. Saggio sull’esteriorità, Milano, Jaca Book, 1983, p. 205.

    23 C. Sità, Il sostegno alla genitorialità. Analisi dei modelli di intervento e prospettive educative, La Scuola, Brescia, p. 113.

    24 L. Mortari, La pratica dell’aver cura, Bruno Mondadori, Milano, 2006.

    25 C. Sità, Il sostegno alla genitorialità. Analisi dei modelli di intervento e prospettive educative, La Scuola, Brescia, p. 121.

    26 Comitato Scientifico e Organizzatore delle Settimane Sociali dei Cattolici Italiani, La Famiglia, speranza e futuro per la società italiana. Documento preparatorio alla 47° Settimana Sociale dei Cattolici Italiani (Torino, 12-15 settembre 2013), n. 6.

    27 L. Pati, “L’autorità educativa tra crisi e nuove domande”, in Id., L. Prenna (a cura di), Ripensare l’autorità. Riflessioni pedagogiche e proposte educative, Guerini, Milano, 2008, pp. 15-32.

    28 P.C. Rivoltella, «Giovani e percezione del tempo: il punto di vista dell’educazione», in G. Ardrizzo (a cura di), L’esilio del tempo, Meltemi, Roma, 2003, pp. 51-73.

    29 C. Ciancio, «Libertà e scelta», in AA.VV., Relazione educativa ed educazione alla scelta nella società dell’incertezza, La Scuola, Brescia, 2008 pp. 11-24.

    30 X. Lacroix, Passatori di vita, saggio sulla paternità, EDB, Bologna, 2005, p. 200.

    31 X. Lacroix, Di carne e di parola, Vita e Pensiero, Milano, 2008, pp. 151-153

    32 Comitato Scientifico e Organizzatore delle Settimane Sociali dei Cattolici Italiani, La Famiglia, speranza e futuro per la società italiana. Documento preparatorio alla 47° Settimana Sociale dei Cattolici Italiani (Torino, 12-15 settembre 2013), n. 18.

    33 L. Pati, “Genitorialità e responsabilità educative, in Atti della Conferenza Nazionale ella Famiglia, Firenze 24-25-26 maggio 2007, Dipartimento per le Politiche della Famiglia della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Roma, 2008, p. 117.

    34 P. Triani (a cura di), Educare, impegno di tutti, AVE, Roma, 2010.

    35 M. Buber, Il cammino dell’uomo secondo l’insegnamento chassidico, Qiqajon, Magnano (VC), 1990, p. 45.

    36 CEI, Educare alla vita buona del Vangelo, Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020, nn. 36-53.


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