Pastorale Giovanile

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    I giovani

    e il bisogno

    di spiritualità

    Daniela Silvestri

    GIOVANIESPIRITUALITA


    Vorrei iniziare, in un tentativo non maldestro di individuare - o, almeno, di non perdere di vista - l'area di significato attribuibile alla spiritualità, con la domanda che Guardini stesso si pone:

    Quale dimensione di spiritualità avvertiamo più intensa e completa, il lavoro astratto dell'intelletto, attivo ad esempio nella ricerca matematica pura, o l'atto che ispira un'opera d'arte?... la costruzione di uno strumento, nella quale la perfezione della teoria si sposa con la pura precisione tecnica..., o la comunione tra due persone, nella quale entrambe maturano la piena libertà del proprio essere?... la redazione di un codice di leggi che regge uno Stato o la vita di un cuore umano, nella quale le realtà elevate, la totalità dell'esistenza vengono vitalmente sperimentate nell'interiorità e nel fervore? (1).

    La domanda e il ventaglio delle possibili risposte - nessuna delle quali è tale da escludere le altre - hanno il merito di portare all'evidenza quanto di implicito è sotteso alle riserve, obiezioni, perplessità che sull'argomento si avanzano. Obiezioni che invitano a considerare alla stregua di una inutile perdita di tempo il soffermarvisi, alludendo nella formulazione più sobria e convenzionale a una sua inattualità, al più oggetto di un esercizio euclideo della mente, di interesse paragonabile a quello che si può provare per un reperto archeologico. E, nella prospettiva più radicale, ne denunciano l'inconsistenza o, forse, l'inesistenza, in un oggi che mette di fronte in modo incontrovertibile all'esigenza sempre più pressante di stare al passo con tempi consacrati alla tangibile, concreta fattività: la sola che sarebbe in grado di incidere sulla problematicità del vivere, riorientandolo verso percorsi e mete non avare di umanità.
    Quando si sostiene tutto ciò, forse non si avverte che in quel momento si è portavoce di un punto di vista, di un presupposto che si è tacitamente impastato con la nostra cultura, sfuggendo troppo spesso a un ripensamento critico, fino a cementificarsi come deposito insindacabile: quello per cui dire spirito, è dire quanto di più lontano c'è dal nostro corpo, di più astratto c'è rispetto al nostro vivere.
    Accendere l'attenzione su quel punto di vista è d'obbligo, al fine di evitare che quanto ci appare evidente costituisca soltanto il frutto di un'assunzione acritica, che porta a collocarsi in quello spazio della «medietà»(2), dove si è già provveduto a codificare ciò che conviene, ciò che va accolto, ciò che va rifiutato. 

    Sbarazzarsi delle ovvietà

    Non è questo un passaggio fine a se stesso o vuoto esercizio retorico, ma è già abitare il territorio della pedagogia, perché si comincia a parlare di educazione, quando si cominciano a disimparare opinioni, punti di vista, approcci dati per scontati; a scartare percorsi già tracciati: ossia quel sapere non pensato, che corrisponde a come abitualmente si pensa. Perché lo sguardo critico è chiamato a misurarsi non solo con quanto si propone come novità, ma - e forse soprattutto - proprio con quanto si ritiene così evidente da godere di inalienabile immunità, tale da spegnere sul nascere ogni messa in discussione.
    L'eredità dualistica della tradizione platonica non è mai stata consumata: sopravvive ancora, celandosi nei nostri orientamenti di pensiero, insinuandosi nei nostri discorsi, specialmente quando essi ci appaiono sciolti da ogni pregiudiziale, in grado di coltivare un pensare puro, disimplicato oppure si presentano in termini così audacemente assertori che sembrano già avere dalla loro una certificazione oggettiva.
    Prendere le distanze da ciò che si dice spirito, spirituale, spiritualità può per certi versi rispondere - o costituire l'unica risposta - a prospettive dualistiche (3), che consegnano quanto dell'uomo è peculiare allo spirito come a ciò che, insediandosi in un ordine imperturbabile e indistruttibile, si fa garante dei valori della verità, bontà e bellezza sottratti alla corruzione del tempo e quindi affermati nella loro assolutezza; valori che indubbiamente appaiono portatori di significati frantumati e frantumatisi nell'universo d'oggi, radicalizzando ulteriormente il loro distacco dalla vita, che inevitabilmente riduce la corporeità a dolente dimora e oscura prigione, restituendo attualità all'argomentare del dialogo platonico del Fedone (66B-67B). Ma se, con queste mosse, si pensa di pervenire a sicurezza di riconoscimento dell'umano e a riaffermarne la concretezza esistenziale, si perde proprio quanto si cerca di guadagnare e si cade in un analogo errore, seppure di segno opposto. Se rifuggire da tutto ciò che abbia a che fare con spirito, assume, in tale contesto, i toni di una doverosa difesa dell'essere umano, di quanto è in lui energia vitale, che dal tempo (4) e dallo spazio ricava le condizioni della sua crescita identitaria e non il luogo del suo esilio, è tuttavia da prender atto che, anche in una tale prospettiva, l'uomo nella sua integralità d'essere e di esistere rimane ancora un auspicio: si finisce infatti con il mutilare quell'umano che si vuole difendere, consegnandosi e consegnandolo a quella cultura moderna, che «ha espulso da sé l'essere totale dell'uomo»(5).
    L'unilateralità, che, a differenza della parzialità, rifiuta di ammettere la non-assolutezza del proprio punto di vista, e quindi di aprirsi ad altri possibili percorsi e sviluppi, soffoca in partenza ogni disponibilità a incontrare la realtà, manca del tutto l'obiettivo, perché di fatto obbedisce ad altra esigenza: quella di ridurla ai propri schemi, afferrando di essa solo quanto si presti a tale operazione.
    Sfuggire a schemi, a idee precostituite significa inaugurare un movimento di ritorno all'uomo concreto, l'uomo che esiste come intero, come energia vitale che si esprime sia a livello istintivo, biologico, che psicologico, che spirituale; l'uomo nella totalità delle sue dimensioni e manifestazioni, fuori da ogni nullificazione o negazione e senza cercare, peraltro, un rimedio o un riscatto con l'operare semplicemente un ribaltamento che serve soltanto a far cadere nella posizione opposta. Senza ripetere l'errore, quello di assolutizzare una parte, in questo caso la corporeità, negando dignità e consistenza alle altre. 

    Avvicinare l'interrogare pedagogico

    Nel riportare l'attenzione sull'intero, che è anche riportare e mantenere il discorso entro l'alveo di una riflessione pedagogica, insofferente nei confronti di ogni prospettiva che proponga e sostenga visioni dimidiate dell'essere umano, utili soltanto a legittimarne una considerazione strumentale, rimane però inevasa la questione se sia di una qualche utilità parlare oggi di spiritualità e di spiritualità dei giovani e nei giovani. Ci si potrebbe acquietare, forse, in una teorizzazione capace di enunciati affiatati con il mondo dei principi, delle idee, ma sterile sul piano del vivere, che anela a ben altre sollecitazioni per trovare una misura non insignificante per i propri giorni.
    Forse proprio entro questo orizzonte si colloca la ragione che spinge a interrogarsi sul bisogno di spiritualità dei giovani e nei giovani. Dipende dalla propensione pedagogica a intrattenersi più volentieri con l'età evolutiva, ritenuta per tradizione l'età nella quale avanzare proposte educative, la cui concretizzazione competerebbe agli anni a venire? O, forse, perché sappiamo che nulla si improvvisa e che guadagnare quella consapevolezza che rende la vita degna d'essere vissuta, pur nell'accettarne (e forse proprio per questo) dolorosamente i limiti, chiede tempi lunghi e meditati? Certo, molte perplessità potrebbe suscitare l'idea di incorporare nell'età evolutiva quella giovanile, ma non manca chi oggi dilata tale fascia di vita fin oltre i trent'anni (6). Probabilmente anche questo costituisce un indizio non irrilevante della indistinzione in cui precipitano criteri e valutazioni. O non potrebbe prestarsi anche ad altra lettura, tesa a sottolineare come le definizioni, le sistemazioni che tendevano a incasellare le età della vita entro precise coordinate temporali mostrino la loro debolezza nel privilegiare un registro quantitativo ed esigano invece d'essere sostituite - o, almeno, integrate - da un approccio che riesca ad apprezzare maggiormente scansioni di tipo qualitativo, più rispettose della tonalità singolare e contestuale del vivere?
    Ma l'interesse per tale questione potrebbe trovare un radicamento ben più significativo nel disincanto, nello smarrimento, nel torpore, nell'apatia, ancor più nell'indifferenza, ma anche nella depressione (senza tacere rabbia e aggressività), che attraversano, ingoiandolo, il nostro tempo, rendendolo uno sconosciuto nemico da esorcizzare annullandosi, lasciando andare alla deriva ogni desiderio, slancio, iniziativa che lo vivifichi. E non sembra forse che tali atteggiamenti e comportamenti sia possibile toccarli con mano proprio nei giovani e tra i giovani? Non sembra proprio avvertibile in loro, quasi in modo tangibile, il venir meno della voglia di vivere, di amare la vita, di averne così tale fiducia da desiderare di cimentarsi lungo percorsi che hanno il sapore invitante dell'avventurarsi in territori ignoti sì da esperire e saggiare un esserci in prima persona, scansando la tentazione di «farsi trascinare e passar sopra la propria vita senza addentrarvisi»(7)?
    Eppure proprio all'età giovanile apparterrebbero quello slancio vitale, «quell'incondizionatezza delle idee» e quella «purezza delle intenzioni»(8), quella passione per imprese ideali che suggeriscono la possibilità di un pieno decollo delle soggettive potenzialità, tanto più che la vita appare così carica di promesse, da invogliare a osare, ad assumerne i rischi, «a immergersi nella sua dimensione ignota; ad accettare quelle obbligazioni che provengono da ogni amicizia, da ogni amore, da ogni matrimonio, da ogni scelta di una professione, da nuovi legami e imprese di ulteriore portata»(9).
    Le recenti indagini psico-sociali condotte dall'Istituto IARD (10) sugli stili di vita dei giovani portano all'attenzione gli aspetti su indicati, dipingono un quadro che chiede di soffermarvisi, rilevandone l'emergere di inquietanti atteggiamenti, ma costituiscono anche una sollecitazione per la riflessione pedagogica a non leggere quei dati, quei rilevamenti come il darsi di evidenze indiscutibili, ma a leggere in quei dati, in quei rilevamenti l'affiorare di domande inespresse che evocano esigenze tali da rinviare a una istanza di fondo: sfuggire alla deriva che essi prospettano. Non è un caso che da quelle indagini trapeli come fenomeno emergente - lo sottolinea Bellingreri (11) - un crescente impegno partecipativo dei giovani e giovanissimi a livello di volontariato a matrice religiosa, cui aderiscono credenti e non. Se è vero che l'ambito del volontariato giovanile conosce oggi una fase di stanchezza da imputare a varie ragioni, non ultima quella legata all'identità del volontariato stesso (12), esposto al rischio di restare ingabbiato nel fare, trascurando la riflessione su quel fare, non si può liquidare tuttavia la questione trasferendosi automaticamente dalla ricognizione alla valutazione, dal dato al valore. Se la partecipazione giovanile non conosce più forme di fiducia incondizionata nelle organizzazioni e nelle istituzioni, generando «una progressiva riduzione della partecipazione formale tradizionale», per un altro verso, manda segnali di «aumento dell'intensità emotiva e della fiducia nei confronti di quelle persone e di quelle organizzazioni che operano concretamente a favore della collettività o di categorie sociali più in difficoltà» (13). Come a sottolineare, ancora una volta, la necessità di prender in considerazione in modo appropriato una realtà che non si presta a nostalgiche categorizzazioni di stampo quantitativo, ma esige d'essere guardata con una sensibilità e una intelligenza capaci di discernimento piuttosto che di giudizio, termine che nella nostra cultura facilmente illude intorno alla possibilità di pervenire a certezze acontestuali.
    Resta sempre, come già osservato, esigenza imprescindibile della pedagogia, se vuol essere discorso critico che vaglia a quali condizioni poter e dover incrociare un personale divenire, quella di impegnarsi a considerare dal proprio punto di vista il dispiegarsi plurale di tale fenomeno, guardando oltre l'evidente o quanto tale appare.
    Bellingreri invita a cogliere l'essenziale in quegli stili e in quei comportamenti disorientati e disorientanti: essi attestano «inequivocabilmente, il loro essere assetati di senso e di testimonianza: tanto che il loro bisogno più grande può essere interpretato come inedita esigenza di sacro, anche solo nel senso di ricercare e poter affermare un significato globale, che 'salvi' la propria esistenza personale e la storia comunitaria» (14).
    Ma, allora, l'esigenza di un ragionare al plurale non può forse portare a chiederci se non si sia dinanzi al sintomo di una volontà di uscire dall'isolamento che strutture autoreferenziali alimentano? E che l'isolamento di cui si parla non è quello della solitudine amica del viaggio interiore, ma è piuttosto espressione di «un vuoto di comunicazione» (15), che diventa un vuoto d'essere - quasi una sorta di rifiuto di se stessi - giusta la consistenza relazionale che ontologicamente ci individua? Esigenza di ricerca di un senso che ristabilisca connessioni, che possa tessere legami, facendo esperire la vita come luogo e tempo in cui non avvertirsi più porzione insignificante di un cosmo indifferente?

    Riaffiorare di un bisogno assopito: essere fedeli alla propria unicità

    Non appare allora semplice dato da incamerare e accumulare accanto ad altri, ma fenomeno che dà da pensare il fatto che proprio in questo nostro tempo si assista a un ridestarsi dell'attenzione per la spiritualità in Paesi la cui tradizione culturale sembrava caratterizzarsi per una forte impronta pragmatica. È di questi ultimi decenni il crescente interesse, teorico e pratico, negli Stati Uniti e in Australia per la riscoperta della vita spirituale. Per i primi, risale agli anni Ottanta del secolo scorso, l'attenzione nei confronti dell'aver cura spirituale, specialmente nell'ambito della nursing professioni (16), così come se ne registra ultimamente una analoga e crescente attualità nell'ambito del counseling, avvertendo il «bisogno di preparare i counselors a rispondere alle esigenze spirituali dei clienti» (17). È soprattutto di quest'ultimo decennio, in Australia, il dibattito sul rapporto tra dimensione spirituale e educazione nell'attenzione sia alle questioni poste a livello teorico che alle esperienze condotte (18).
    In Europa, specialmente in ambito protestante, avanza una letteratura che concentra la sua attenzione sulla spiritualità infantile, sull'educazione alla spiritualità, dal punto di vista delle religioni mondiali (19). In chiave pluralistica si muove anche una associazione belga ed europea - European SPES-forum (20) - che incoraggia la spiritualità nell'economia e nella società, suggerendo come non sia così ovvio parlare solo del rapporto tra spiritualità e religione/religioni, cercandone distinzioni e intrecci, ma come lo sguardo sulla spiritualità cominci ad abbracciare orizzonti più ampi, divenendo una questione che interessa e interroga le varie sfere del fare e dell'agire umano «nel costruire connessioni tra le quotidiane attività e una interiore domanda di significato» (European SPES-forum, 2011).
    Il termine spiritualità non fa quindi più riferimento esclusivo ed escludente alla religione, in rapporto alla quale si aggomitolano nessi e distinzioni, ma si ricollega a un più vasto «movimento di ricerca di senso», che pare cifra identificante un tempo, come il nostro, in cui l'ormai diffusamente avvertita assenza di punti di riferimento canonici, tali da orientare il vivere, rende più consapevoli del fatto di non poter più accreditare dall'esterno appartenenze solo perché ratificate dalla tradizione e invita alla ricerca di un senso in cui la soggettività sia parte attiva, vitale, protagonista efficace, non più solo membro o adepto, acriticamente fiducioso, ma capace di tracciare un proprio percorso identitario, dove l'inquietudine dell'ignoto può farsi evocativa di sensi inediti, tali da accendere slanci sopiti, anestetizzati; può far ritrovare parole sapienti, quelle che sanno ridare sapore all'esistenza e sottraggono al torpore di un vivere alla periferia di se stessi, consegnati alla ripetizione di ruoli e di tracciati che non si allontanano mai dalla superficie delle cose.
    L'apprezzare una prospettiva olistica dell'essere umano (21) - approccio richiamato anche nei documenti sull'educazione, federali e statali, australiani (22) - porta a ritenere la spiritualità, riconosciuta distinta dalla religiosità, una dimensione identificante, propria dell'umano sviluppo, non diversamente dall'identità cognitiva, emotiva, sessuale e, come tale, presenza ineliminabile dal percorso educativo. L'ampio consenso intorno a tale prospettiva ripropone la legittimità del rapporto spiritualità-educazione anche in direzione più generale e pare in grado di arginare molte delle controversie che riguardano il rapporto religione-istituzioni educative e formative pubbliche negli Stati Uniti, giusta la separazione tra chiesa e stato ivi vigente, anche se distinzione non comporta divisione o negazione, giacché, come sostiene Taylor, «la religione può essere vista come un ponte verso la spiritualità in quanto incoraggia modi di pensare, sentire e comportarsi che aiutano le persone a esperire un senso di pienezza di significato» (23).
    La presa di distanza dal rischio di produrre una particolare - e quindi esclusiva - definizione come da quello di dar fuori a concettualizzazioni così ampie da risultare prive di significato (meaningless) ha orientato la riflessione verso costrutti proposti e confermati (supported) dalla ricerca, ormai trentennale, in campo sociologico e psicologico, quali spiritual wellness e spiritual well-being. La preferenza accordata al primo rintraccia la sua origine nel movimento medico della wellness e articola le plurime dimensioni del benessere spirituale non diversamente da quanto si fa per il benessere fisico, muovendo non da astratte costruzioni concettuali (divorced from experience) né da credenze accettate di «seconda mano», ma da costrutti «risultanti dall'esperienza», quali «speranza, significato, scopo nella vita, connessione, onestà, compassione, perdono, rituali, riconoscimento di ciò che è considerato sacro, credenze/esperienze intorno al trascendente fino a poter includere il senso di una potenza più alta» (24). Quel bene-essere che viene inteso come indiscussa meta (goal) educativa per l'integralità della sua prospettiva e colto come inscindibile dalla spiritualità, tanto da chiederne un accreditamento nella scuola pubblica secolare (25), incorpora quindi una definizione della vita spirituale che, più che definire, rinvia a una costellazione di aspetti, valori, virtù non solo ineludibili, se si vuole parlare di una vita buona, desiderabile, ma anche indisponibili a essere circoscritti in una precisa, definita dimensione, per abbracciare appunto un modo di essere, non soltanto un modo di fare o di sentire o di pensare.
    Mi sembra, inoltre, non trascurabile il richiamarsi all'esperienza, come luogo e interlocutore privilegiato dello spirituale. Né è un caso che anche l'esplorazione filosofica di De Monticelli metta in campo, nei suoi lavori, l'espressione «esperienza dello spirito», punto di intersezione con la mistica, per la quale come richiama Evdokimov, «la spiritualità non è una dottrina, né una teologia, ma la vita stessa» (26). 

    Fare esperienza dello spirito: comporre la melodia della propria vita

    E la vita spirituale non è solo vita intellettiva né solo vita affettiva o vita etica o estetica o mistica, ma piuttosto vita interiore, in cui trovano la loro dimora elettiva gratuità, libertà, ulteriorità, profondità, levità, bellezza, novità - «l'insieme di tutto ciò che non è dovuto» (27).
    Direi le qualità che rendono la vita un'opera d'arte, espressione ricorrente, che evoca quell'armonia che nasce dall'impegno a integrare sé con se stessi, con gli altri e con il mondo in cui viviamo, frutto mai precoce di una composizione mai interrotta; una composizione che accompagna tutta la vita «come una melodia», in cui si esprime la «forma temporale della personalità», il suo costruirsi attivo nel tempo, suggerendone il fermento vitale, che, nel variare degli strumenti, dei ritmi, dei tempi, ritorna, ma non ripete, così da coniugare il permanente e l’impermanente; l'essere e il divenire, dove inizio e fine si coimplicano a sottolineare continuità e processualità, perché «la vita non è un affastellamento di parti, bensì una totalità che - con una espressione un po' paradossale - è presente in ogni punto dello sviluppo» (28).
    Risuona in tutta la sua portata simbolica, il biblico rûah, che condensa nelle sue valenze di vento, soffio, respiro l'elemento qualificante della vita dello spirito come libertà e come dono vivificante il nuovo, sì da invitare a un più d'essere, prospettando un vivere che non sta ai margini della vita, ma abita la propria trascendenza. Respiro non è solo nozione che da subito convoca l'esperienza e l'esperienza di ciascuno. Respiro è esperienza originaria: nella sua polarità indica il ritmo stesso della vita, la costituisce, ne disegna con tratto nitido e pieno, insieme, il profilo. Non si può stare, occorre aprirsi per poi lasciar andare, non trattenere. Per tal modo, il divenire assume tutta la sua concretezza: non è più solo un termine - la categoria - cui il pensiero ricorre per tentare di ridurre a concetto e incasellare quel molteplice e diverso e cangiante con cui la vita parla, ma segnala la calda vitalità di una spiritualità incarnata, che non teme di cimentarsi con l'irrisolta complessità del vivere, con l'inatteso che l'accompagna e chiede valutazioni situate; che, più della parola concettuale, ama quella corposa che porta con sé - complice fecondo - il riconoscimento di un rinvio, l'allusività di un silenzio quale riserva di significato indispensabile per costruire nessi con quanto è stato disgiunto.
    Perché la spiritualità è intensa e vitale «quando produce forme concrete e genera la sfera d'interiorità del cuore» (29); dove cuore dice lo spirito vicino al sangue e alla fibra viva e sensibile del corpo; spirito «non staccato, persino astratto, bensì spirito divenuto caldo nel sangue, accessibile al destino, vulnerabile e, contemporaneamente, custodito» (30). Non dunque lo spirito puro, lontano, indifferente verso la vita, lo spirito teoretico, pago della logica senza tempo del concettualizzare; ma lo spirito che si incarica di vivere pienamente la sua condizione incarnata, lo «spirito valutante», che ama la propria unicità, che sente vede e afferma qui e ora «con viva decisione», radicando nel cuore la connessione vitale tra pensare, sentire, comunicare. Non è qualcosa di separato dal corpo né appartiene a un altrove, ma intride di sé ogni dimensione e ogni attività, ne dice la qualità, suggerisce come l'energia creativa possa essere pervasiva, sì da poter sostenere che «lo spirito si presenta con tanta maggior potenza quanto più profondamente si immerge nell'unità con l'elemento corporeo», senza peraltro dimenticare la propria vocazione. Sia spirito che corpo sono «realtà originarie, nessuna delle due si può dedurre dall'altra, nessuna delle due si può ricondurre all'altra: sono però dimensioni interdipendenti e formano un'unità nel senso che ciascuna si fa valere nell'altra in ogni punto e in ogni comportamento» (31) disegnando il profilo di un rapporto autentico, che è quello della tensione, «dell'unità nella differenziazione». In questa tensione, mai componibile, in questo «nostro esistere umano [che] si trova in un ambito di oscillazione» (32), la vita spirituale può esperirsi nella forma di un essere-per-via, come luogo e tempo per esplorare la propria capacità di rinnovarsi.
    Equilibrio mai fisso, oscillante: un'espressione che condensa, nel suo darsi paradossale, significati che non mortificano la fragile, vulnerabile condizione dell'essere umano concreto. È interessante e consolante, insieme, che Guardini consideri l'equilibrio possibile solo come «momento transitorio»: se costante sarebbe «paralizzante», minaccia di morte, perché «la vita finita non è mai in pari, bilanciata...» (33), proprio per questo le è costitutiva l'apertura, le appartiene l'andar oltre, l'assumere «l'atteggiamento dell'incessante andare; ...un passaggio senza sosta nella rinuncia ad ogni equilibrio permanente, ad ogni presente duraturo» (34).
    E l'offerta di una chiave di lettura, che non è forgiata da un pensare che rinnega la vita, ma è frutto di una riflessione che parte dall'esperienza, che muove dalla concretezza, che è anche la concretezza dello stesso vivere di Guardini, così da poter sostenere che «tutta l'estensione della vita umana sembra dominata dal dato di fatto degli opposti... Probabilmente non soltanto della vita umana; essi stanno, forse, alla base di ogni realtà viva e forse d'ogni realtà concreta. Mi limito tuttavia espressamente al campo dell'umano, a ciò che mi si offre quando guardo me stesso» (35). Forse, proprio perché nasce da un pensare che vuol mantenere viva la vita, senza tacerne alcun aspetto, ma accogliendola in tutta la sua fluida enigmaticità, una tale chiave di lettura aiuta a cogliere e produrre un senso anche nel susseguirsi convulso e contraddittorio degli eventi, ricordando che ogni certezza è destinata a frantumarsi, se certezza vuol dire risoluzione a priori della complessità della vita.
    Nel nostro tempo, così arido di certezze e, insieme, così avido di certezze anche se non più quelle della tradizione, la riflessione di Guardini è un caldo, concreto, vitale dare ricovero a chi avverte la difficoltà del vivere, aiutandolo a non sentirsi per questo meno adatto a vivere, quanto piuttosto a rendersi conto, pensoso, che cogliere della vita - nella propria vita - la sua fragile, oscillante ricerca di equilibrio, di misura e di centro, è condizione per assaporare la vita stessa nella pienezza che le è concessa, vivendo ogni momento nella dimensione dell'inizio.
    Non si può vivere senza radicarsi, ma non si può neppure vivere senza trascendersi, «verso l'alto e verso l'interno»: se questo accade, se non è fedele alla propria ulteriorità, lo spirito si ammala, sfiorisce. Il che può dar ragione del clima asfittico, del respiro corto, superficiale del nostro tempo. Quando non c'è più posto - o non troviamo più posto - per nascere di nuovo, e così mettere al mondo il mondo, rigenerarlo con la presenza di uno sguardo rinnovato, accogliente e partecipe; quando veniamo meno al «potere di iniziare a far essere qualcosa, di dare esistenza o vita ad altre cose, nel tempo» (36), perdiamo anche il contatto con noi stessi, con il fondo dell'anima, con lo spirito: non suscita meraviglia, allora, il fatto che la nostra, come sostiene Vannini, «sia una società di malati, e non solo nel senso spinoziano ed hegeliano..., ma anche in uno più banale e consueto, come società alla ricerca di terapie dell'anima di vario tipo, da quelle farmacologiche a quelle psicologiche» (37). Che la ricerca/domanda non sia di scarso rilievo è verificabile dal moltiplicarsi delle offerte sul mercato. Ma l'offerta non riguarda la salute - salus, salvezza e salute, insieme -; spinozianamente, «l'essere nell'essere», fuori da ogni alienazione, ma solo «la possibilità di tirare avanti», di riuscire ad adattarsi alle esigenze sociali, a stare e a pensare là dove stanno e pensano gli altri.
    E, se un guadagno c'è «in termini di riduzione della sofferenza», il costo è pagato ampiamente «con la perdita di autonomia, di fiducia in se stessi e nella propria ragione, dunque con una perdita di libertà, essenza dello spirito, che, alla lunga, non può che emergere drammaticamente» (38). 

    Nutrire la vita spirituale: gli incontri che interpellano l'essere

    Come la sorgente è, per il fiume, la fonte da cui zampilla, nascosta, l'acqua che gli darà vita, facendolo essere fiume, così è l'interiorità: sorgente di vita, culla nella profondità dell'essere del potere performativo e trasformativo dello spirito, condizione ineliminabile per poter incontrare la propria essenza.
    Ma, questo fiorire o appassire di quanto ci è più autentico o profondo, paradossalmente, dipende dall'idoneo nutrimento che l'altro da noi ci offre, perché non si diviene tutto quello che si può e si deve essere, se non si riceve quel nutrimento che ci porta a fidare e confidare nella vita - e nelle persone -, ad accettare e amare l'in-carico di essere fedeli alla propria natura non-terminata, a farsi nuovi, disponibili a sempre nuove nascite, chiamati alla fatica di mettersi continuamente al mondo, per non rinunciare alla propria trascendenza verso l'alto e verso l'interno.
    Possono essere esperienze che assumono la forma di un incontro: incontro è una conversazione, che non si dipana lungo i tracciati della convenienza, della scontatezza, generando stanchezza, insofferenza, senza dono di essere. Ma incontro è anche la lettura di un libro. Ci sono dei libri, delle pagine, che hanno il potere di interpellarci, di dislocarci rispetto a un semplice seguire il discorrere dell'autore; hanno la capacità di far apparire chi li ha scritti come se fosse qui, in carne e ossa. Leggere quelle pagine non ci lascia indifferenti né, tantomeno, annoiati, ma ci sollecita a dire la nostra, a prendere l'iniziativa di costruire un nostro punto di vista in merito. Nasce un desiderio non tacitabile.
    Non certo quello di prendere appunti in un modo più diligente del solito, per guadagnare un livello di analisi più puntuale, ma il desiderio, sollecitati da un senso di calda partecipazione, di scrivere, di prender la parola a nostra volta, per rispondere e o per corrispondere a questa sorta di invito a farsi presenti, inaugurando un dialogo.
    Inizia un tempo che sospende lo scorrere del tempo e che nutre lo spirito, perché regala distensione, letizia, leggerezza. E anche lo stesso respiro prende un ritmo disteso, pacato, ma profondo, permettendo di fare l'esperienza della «ricreazione... forse lo stato nascente di ogni nuova crescita `interiore'» (39). In un tale contesto, De Monticelli intravede un criterio significativo «dell'avere a che fare con il soffio animatore dello spirito [ed] è la precisa sensazione che proprio a noi le parole siano dirette, che proprio noi siamo interpellati e sollecitati, e in qualche modo rinviati a noi stessi» (40).
    Sono incontri, che, nel tempo dedicatovi portano verso altro, restando però in noi; possono irradiare energia vitale - un'energia che prima non avvertivamo - tanto da donare levità di sentire e di pensare, diffusività di benessere e, insieme, invogliando a proseguire o a cercare nuove, ma analoghe esperienze, perché, ritrovandoci gioiosamente rinvigoriti siamo pronti a dire sì al nuovo.
    Può essere soprattutto una relazione interpersonale, in cui ci si sente guardati per noi stessi, destinatari-interlocutori, colti nella nostra unicità grazie a uno sguardo che non ci attraversa come fossimo materiale inerte; uno sguardo, che, al contrario, ci fa sentire vivi, perché accolti e ri-conosciuti. E cercati per noi stessi. Perché, «alla radice della nostra capacità di riconoscerci e sceglierci», abita «l'istanza che ogni persona avverte in qualche modo - spesso solo confusamente - di essere preziosa per qualcuno, per un'altra persona. In ragione del fatto che, per sentirci vivi ed esistere lietamente, per essere, abbiamo bisogno di essere riconosciuti nell'essere; voluti e accolti e conosciuti, perché stimati» (41).
    Potrebbe così schiudersi «il segreto del cuore» (42), che può esserci disvelato quando un altro si fa a noi vicino, ci ri-conosce, nel senso che ci fa esperire la nostra unicità, il nostro valore e ci rende così possibile un nascere a noi stessi sul filo di una consapevolezza nuova: uno scoprire nostre possibilità, un apprezzare nostre capacità, in una misura prima impensabile. Non siamo più un qualcuno, ma cominciamo a esistere come un io e un tu. E ne potrebbe scaturire con freschezza sorgiva un ringraziare, perché tu ci sei.
    Ma cosa accade se non siamo guardati - se i giovani non sono guardati - con quello sguardo che risveglia e nutre l'essere?
    Come avanza la nostra vita, come avanza la loro vita se circondati da sguardi indifferenti o famelicamente interessati (43)? Non finiremmo, forse, con il non avere la possibilità di avvertire il nostro valore, di stimarne la consistenza, di giungere a quella profondità di noi dove incontrare, grazie agli incontri «giusti», noi stessi? Incontri che ci risvegliano a noi stessi e generano improvvisamente il dilatarsi «dell'orizzonte assiologico» e l'affiorare di una percezione, di un sentimento della realtà che rendono qualitativamente diverso il rapporto con le cose: non più viste solo nella loro utilità o funzionalità, ma per se stesse. Restituite alla loro essenza possono ora rivestirsi del valore che loro appartiene e che le individua nella loro peculiarità.
    È una considerazione che mi sembra possa esercitare un'altra restituzione o ridare vigore a una nozione spesso accantonata, scartata. Direi inattuale: quella di distacco, da ritrovare appunto nel suo significato di distanziamento da ogni «mentalità appropriativa» sia verso le persone sia verso le cose, da ogni logica di possesso e di dominio, che sfratta dal vivere perché riduce all'unidimensionalità del «servire a, servire per». Riprendendo in merito il discorso di Meister Echkart, Vannini sottolinea «come alla onestà del distacco, che rimane aderente alla verità delle cose, corrisponda la gioia del vivere, che è nella vita stessa, e non in presunti fini fuori di essa» (44). Per tal modo, «le cose non sono toccate, ovvero sono lasciate nel loro puro essere, non inserite in un disegno utilitaristico che le strumentalizza e le avvilisce per restare nella loro pura bellezza, nel bene che è implicito nell'essere stesso» (45). Pervenire a questa condizione, assentarsi da un guardare solo in vista del proprio vantaggio è far posto a un atteggiamento che non indebolisce, ma nutre lo spirito, perché rende possibile quel senso di intimo benessere e integrazione con quanto ci circonda, che prende il nome di meraviglia: «essa si rivolge alle essenze... al fatto che attraverso ogni essenza singola si esprime un che di incondizionato» (46). Provare meraviglia è ritrovare il rapporto originario con la realtà: anche se per barlumi di luce, per attimi di intensa partecipazione, ci è concesso sentire e comprendere il senso del tutto, del valore che ogni cosa, che ogni persona ha ed è. Ne resta il ricordo e, con esso, il desiderio e la speranza di ritrovare questa emozione, questa densità di sentire e pensare e agire fuori da ogni esercizio intellettualistico, per aprire piuttosto l'anima fino al suo fondo, lo spirito, al ringraziare, assaporando il sentirsi riconciliati con il mondo, e anche se pur sempre vulnerabili, sentirsi a casa nell'esistenza.
    È quanto può accadere nell'esperienza dell'innamoramento, quando qualcuno comincia a esistere agli occhi di un altro, quando non è null'altro che la sua unicità a renderlo insostituibile; allora, può darsi che vi corrisponda il sorgere di un sentimento specifico come se tutto all'intorno si dilatasse, pulsasse di nuova vita e ogni aspetto della realtà circostante si rivestisse di colori mai visti prima e assumesse forme così nitide e intensamente presenti da rendere trasparente, tanto da coglierne il legame invisibile sotteso, l'essenziale delle cose. E, analogamente, dentro pare avanzare in modo pervasivo quella peculiare sensazione o vibrazione che ci rende consapevoli d'essere vivi, quasi immersi nel flusso vitale dell'universo, come se solo in quel momento tutto avesse inizio. O, meglio, noi vivessimo una nuova nascita; la vita avesse ricevuto il dono di un nuovo inizio, così da poterla sentire pienamente nostra. Potrebbe nascere anche, in momenti come quelli, «un bisogno che non è di possesso, ma di espressione... Un bisogno di parola, di ringraziamento... o, almeno, di raccontare, di inoltrarsi... in molte avventure del significato; ma ancor più... un bisogno di forgiare, di creare» (47).
    Quando quello sguardo, quelle parole sono veramente per noi, quando siamo ri-conosciuti e amati può accadere che anche il tempo cambi fisionomia: se prima un fluire anonimo e indifferente, che cerchiamo di arginare con le modalità del fare e produrre, cedendo alla trappola dell'accumulare quasi a voler placare l'ansia che il suo scorrere imprevedibile suscita o aggrappandoci al passato o fuggendo in avanti verso un «futuro ancora malleabile all'attesa e al desiderio» (48), ora il tempo ci viene restituito come tempo presente: l'unico tempo nel quale poter influire sul nostro futuro, perché, restituiti anche alla presenza di noi a noi stessi, consapevoli, possiamo generare quel cambiamento, che, più che un modo per risolvere problemi o un modo per ottenere determinati risultati, è un modo per «esplorare e coltivare il regno dell'essere», cominciando col «prestare attenzione» ora, qui «e risvegliarci alle cose così come sono» (49). Abitando consapevolmente nel qui e ora, prendendoci cura dell'adesso, entriamo «nella spiritualità che mette al centro il creato» e la benedizione che l'accompagna e invita a continuare a creare, sentendoci uniti a ciò che amiamo, così da assaporare una pienezza che apre all'esperienza della gioia, dove l'accumulare e il consumare non avrebbero più ragion d'essere.
    Il creato... ha bisogno più di persone che sappiano assaporare, che di persone che sappiano catalogare... Se noi assaporassimo di più compreremmo di meno. Saremmo meno compulsivi e meno insoddisfatti... Se noi assaporassimo di più comunicheremmo anche più a fondo, ci relazioneremmo più integralmente... saremmo meno in competizione e saremmo capaci di far festa in modo più autentico. Saremmo in relazione più profonda con noi stessi, con il creato e tutte le sue benedizioni'' (50). 

    Cercare la relazione che ri-conosce

    Dicevo prima: parole sapienti, parole che hanno sapore - non disgiunte quindi dall'esperienza -; parole che non sono narcisistiche, parenetiche, ma che sanno parlare alla vita, frantumando gli schemi calcareizzatisi; che sanno invogliare a cercare la propria strada, scansando l'omologazione. Ma chi sarà capace di una tale parola, che, quasi parola creativa, accenderà sussulti, scuoterà torpori, risveglierà dall'oblio di sé, se non la parola di chi ha mostrato nella sua vita come una tale parola possa fecondare la vita stessa nella sua quotidianità?
    Affiora esplicitamente un richiamo alla coerenza. La coerenza non cerca proseliti, non accerchia con mosse manipolatrici né impone conversioni; ricerca soprattutto - forse soltanto - la fedeltà: l'essere fedele ai valori, ai principi, che, in un esercizio di discernimento, ha visto e sentito meritevoli d'essere accolti e praticati, esprimendosi in atti liberi, voluti. È ricerca di unità d'essere e di esistere, lasciando essere l'altro secondo la sua essenza. Anzi, questo è forse tutto quello che chiede: cercare la propria coerenza, senza nascondere i costi, i rischi, i cedimenti esistenti- vi cui si espone.
    Avanza la nozione greca di parresia, condizione propria di colui che parla con franchezza, libero dall'obbligo o dal bisogno di persuadere l'altro. Socrate nel Lachete (188 d-e) richiama la gioia che viene dal «contemplare come il parlante e le cose da lui dette si concordino e armonizzino. Un uomo simile lo sento proprio come un musico, che accordi in una armonia bellissima... la sua vita stessa in accordo fra parole e azioni». Giustamente Mortari parla di «uno stare in relazione vivente con la verità, nel senso che si dice il vero quando non c'è discrepanza fra il proprio dire e ciò che si fa» e questo implica che «forse è solo quando il vero passa attraverso il proprio essere, quando cioè è incarnato, che il dire la verità diventa dirompente, sposta l'ordine costituito delle cose introducendo altro» (51).
    È, questa, un'istanza, che chi ha a cuore l'educare, non solo occupandosene ma anche preoccupandosene, fa lievitare costantemente. Si parla di «mediazione educativa», come «capacità adulta di compromissione con il quotidiano nella testimonianza di valori prescelti e duraturi» (52)52 o ci si interroga su quell'educatore «che non è capace di destare, incontrare e riconoscere la persona dell'educando, probabilmente in ragione del fatto che lui stesso non si è destato a sé» (53).
    Nella diversità degli accenti, ritorna il bisogno di dire chi si è e, prima di tutto, dirlo a se stessi. Sostenere che «gli insegnanti hanno bisogno di sviluppare il coraggio di insegnare 'chi essi sono'» (54) trova conferma anche sul terreno esperienziale, quando si chiede per loro e per gli allievi «tempo per essere, contemplare, sognare, essere se stessi, e onorare una connessione con il mondo» quali condizioni per poter sviluppare un senso di benessere spirituale» (55).
    Non è certamente questione di colpevolizzare gli adulti, ma si tratta di rendersi conto che una discutibile coerenza da parte loro o, più propriamente, un senso di smarrimento che li pervade - e che potrebbe essere letto anche come tentativo di scansare il compito di essere e fare gli adulti - può spegnere nell'altro il desiderio di esistere, di vivere pienamente, condizione irrinunciabile per elaborare il senso del proprio esserci. In altre parole, è in gioco la consapevolezza, consapevolezza di sé, che è avvertire e accettare i propri limiti e possibilità. E la propria responsabilità, senza cercare coperture che aggirino o mimetizzino la sfida che l'esporsi comporta. Ma se si comincia con il dichiarare una responsabilità assediata dalla soverchiante ingerenza dell'ambiente nelle sue magmatiche contraddizioni, nelle sue maldestre e malsane suggestioni, nelle sue proteiformi seduzioni, rassegnandosi a una mera, anche se raffinata, trasmissione culturale destituita d'ogni nesso con la vita interiore, ci si è già confezionati un alibi per le proprie inadempienze.
    In ogni caso, si finirebbe con il sottrarsi alla responsabilità di vivere l'unico tempo in cui possiamo agire e accogliere lo stimolante invito a percorrere la via dei «maestri della conoscenza di sé» (56).

    (In: AA.VV. I giovani e l'educazione. Saggi di pedagogia, Guerini 2102, pp. 213.234)

     

    NOTE

    1. R. Guardini, Etica, tr. it., Morcelliana, Brescia 2003, p. 191.

    2. M. Heidegger, Essere e tempo, tr. it., Longanesi, Milano 1976, p. 201.

    3. Giova ricordare quanto la visione biblico-cristiana originaria, per la quale l'uomo non ha soltanto un corpo, ma è corpo «nell'interpretazione tradizionale del corpo, come la si trova nella teologia e nella filosofia cristiana rimase fin troppo velata dalla concezione greco-tardiva ed ellenistica del corpo» (l.B. Metz, Corporeità, tr. it. Queriniana, Brescia 1972, p. 331), consegnandosi a un dualismo che non le apparteneva. Così è da ricordare la prospettiva gnostica, nella quale «è primario... il sentimento di una totale frattura tra l'uomo e ciò in cui si trova collocato, il mondo» (H. Jonas, Lo gnosticismo, tr. it., SEI, Torino 1991, p. 341). Una prospettiva non così arcaica, se Jonas ne coglie affinità e analogie con l'esistenzialismo e il nichilismo. Ivi, pp. 335-356.

    4. Il tempo, come condizione dell'inizio, del dare nascita all'esistere umano, «della coscienza» come «della scelta di vivere e del sapere della morte», inizia - ci dice J. Hersch con struggenti e incantate parole - con il gesto di Eva, che fende «l'eternità verticale», rendendola «evento del presente... Senza di lei, nulla avrebbe avuto mai inizio. Nessuno sarebbe morto, nessuno avrebbe scelto, vissuto, amato». J. Hersch, La nascita di Eva, tr. it., Interlinea ed., Novara 2000, pp. 17 e 18.

    5. M. Zambrano, Per un sapere dell'anima, tr. it., Raffaello Cortina, Milano 1996, p. 14.

    6. Cfr E De Lauso, «La partecipazione giovanile», in AA.Vv., La sfida della partecipazione gionanile. Il contesto nazionale e il panorama umbro, AURvolumi, Perugia 2010, p. 75.

    7. M. Zambrano, Per un sapere dell'anima, cit., p. 79.

    8. R. Guardini, Etica, cit., pp. 601-602.

    9. Ivi, p. 609.

    10. Cfr. C. Buzzi, A. Cavalli, A. De Lino (a cura di), Giovani nel nuovo secolo. Quinto rapporto IARD sulla condizione giovanile in Italia, il Mulino, Bologna 2002; Id., Rapporto giovani. Sesta indagine IARD sulla condizione giovanile in Italia, il Mulino, Bologna 2007.

    11. Cfr. A. Bellingreri, La cura dell'anima. Profili di una pedagogia del sé, Vita e Pensiero, Milano 2010, p. 30. Si veda anche E Garelli «Nuove e tradizionali forme di partecipazione religiosa», in B.R. Geli (a cura di), Le nuove forme della partecipazione, Carocci, Roma 2009.

    12. Cfr E. Alecci, M. Bottaccio (a cura di), Fuori dall'angolo. Idee per ilfuturo del volontariato e del terzo settore, Rubbettino, Soveria Mannelli 2010; www.Affaritaliani.it, Volontariato in transizione. La ricerca.

    13. R. Grassi, «Partecipazione e rappresentanza giovanile. Nuove sfide per la società contemporanea», in AA.Vv., La sfida della partecipazione giovanile, cit., p. 26.

    14. A. Bellingreri, La cura dell'anima, cit., p. 31.

    15. L. Pati, «Mondo giovanile e comunità ecclesiale», in Id. (a cura di) La giovinezza. Un nuovo stadio per l'educazione, La Scuola, Brescia 2000, pp. 285-286.

    16. Si veda C.M. Lanzt, «Teaching Spiritual care in a Public Institution: Legal Implications, Standards of Practice, and Ethical Obligations», in journal of Nursing Education, 2007, 1, p. 33.

    17. J.E. Myers, K. Williard, «Integrating Spirituality into Counselor Preparation: A Developmental, Wellness Approach», in Counseling and Values, 2003, 47, p. 142. Cfr. C.S. Cashwell, J.S. Young, «Spirituality in Counselors Training: A Content Analysis of Syllabi From Introductory Spirituality Courses», in Counseling and Values, 2004, 48.

    18. Cfr. L. Burrows, «Does spiritual wellbeing have a piace in public education? AARE Conference paper/presentation 2006», in www.aare.edu.au./06pap/ bur06182.pdf.

    19. A. Dillen, «Tra eroismo e deficit. Le sfide per la ricerca sulla spiritualità dei bambini in una prospettiva teologica cristiana», in Concilium, 2007, 5, pp. 76-90.

    20. www.eurospes.be.

    21. Cfr. AA.Vv., The Heart of Learning. Spirituality in Education, Steven Glazer ed., Penguin Group, New York 1999.

    22. Cfr. L. Burrow, «Does Spiritual Wellbeing ...», cit., p. 1.

    23. E.J. Taylor, Spiritual Care: Nursing theory, research, and practice, Prentice Hall, Upper Saddle River, NJ 2002, p. 10.

    24. R.E. Ingersoll, A.L. Bauer, «An Integral Approach to Spiritual Wellness in School Counseling Settings», in Professional School Counseling, 2004, 7, p. 1, da www.findarticles.com.

    25. Ibid.

    26. P. Evdokimov, La novità dello spirito, tr. it., Ancora, Milano 1997, p. 7. Né suoni inconsueto il nesso filosofia-mistica, se, come dice Vannini, la mistica è anche «la filosofia nel suo senso più reale e profondo» (M. Vannini, Mistica e Filosofia, Piemme, Casale Monferrato 1996, p. 20).

    27. R. De Monticelli, Sullo spirito e l'ideologia, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2007, p. 127.

    28. R. Guardini, Le età della vita, tr. it., Vita e Pensiero, Milano 1992, p. 74.

    29. R. Guardini, Etica, cit., p. 191.

    30. R. Guardini, La conversione di sant'Agostino, tr. it., Morcelliana, Brescia 2002, p. 249.

    31. R. Guardini, Etica, cit., p. 195.

    32. R. Guardini, L'opposizione polare. Saggio per una filosofia del concreto vivente, tr. it., Morcelliana, Brescia 1997, p. 206.

    33. Ibid, p. 126.

    34. Ibid, p. 205.

    35. Ibid, p. 183.

    36. R. De Monticelli, L'allegria della mente. Dialogando con Agostino, Bruno Mondadori, Milano 2004, p. 129.

    37. M. Vannini, La morte dell'anima, Le Lettere, Firenze 2008, p. 324.

    38. Ibid.

    39. R. De Monticelli, L'allegria della mente, cit., p. 26.

    40. Ibid., p. 19.

    41. A. Bellingreri, La cura dell'anima, cit., p. 55. Si veda anche HJ.M. Nouwen, Sentirsi amati. La vita spirituale in un mondo secolare, tr. it., Queriniana, Brescia 2007.

    42. A. Bellingreri, La cura dell'anima, cit., p. 54.

    43. Bellingreri ha pagine intense, che rendono dolorosamente vivo nelle sue implicazioni e conseguenze tale vuoto d'essere. (La cura dell'anima, cit., in particolare, ma non solo, alle pp. 62-67; 75-78).

    44. M. Vannini, La morte dell'anima, cit., p. 107.

    45. Ivi, p. 109.

    46. R. Guardini, Tre scritti sull'università, tr. it., Morcelliana, Brescia 1997, p. 41.

    47. R. De Monticelli, L'ordine del cuore. Etica e teoria del sentire, Garzanti, Milano 2003, p. 192.

    48. J. Hersch, La nascita di Eva, cit., p. 64.

    49. J Kabat-Zinn, Riprendere i sensi, tr. it., Corbaccio, Milano 2006, p. 585.

    50. M. Fox, In principio era la gioia. Originai Blessing, tr. it., Fazi, Roma 2011, pp. 53-54. Non posso non ricordare la citazione di E Turner (Beyond Geography: The Western Spirit against the Wildernss, Viking Press, New York 1980, p. 256) che l'autore ha posto in esergo al tema in questione: «A quanti seguirono Colombo e Cortés, il Nuovo Mondo doveva sembrare davvero incredibile a causa delle sue ricchezze naturali. La terra stessa si annunciava a miglia di distanza nell'oceano con la sua fragranza... Gli uomini della Hall Moon di Henry Hudson restarono disarmati per un po' dal profumo della costa del New Jersey. Le barche che navigavano lungo la costa a volte passavano in mezzo a tappeti di fiori galleggianti; dovunque essi mettessero piede a terra trovavano una grande varietà di colori e suoni, di selvaggina e di vegetazione lussureggiante. Se fossero state persone diverse da quelle che erano, avrebbero potuto scrivere una nuova mitologia. Ma, essendo le persone che erano, si misero a compilare un inventario». Ivi, p. 42.

    51. L. Mortari, Aver cura della vita della mente, La Nuova Italia, Firenze 2002, p. 135.

    52. L. Pati, «Mondo giovanile e comunità ecclesiale», cit., p. 289.

    53. A. Bellingreri, La cura dell'anima, cit., p. 76.

    54. Cfr. P Palmer, The courage to Teach: exploring the inner landscape of a teacher's life, California Jossey Bass, cit. in L. Burrows, «Does Spiritual Wellbeing ...», cit., p. 13.

    55. Ibid.

    56. E. Stein, La mistica della croce. Scritti spirituali sul senso della vita, tr. it., Città Nuova, Ro   ma 1991, p. 52.

     

    ORIENTAMENTI BIBLIOGRAFICI

    AA.Vv., La sfida della partecipazione giovanile. Il contesto nazionale e il panorama umbro, AURVolumi, Perugia 2010.

    AA.Vv., The Heart of Learning Spirituality, in Education, Steven Glazer ed., Penguin Group, New York 1999.

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    Bellingreri A., La cura dell'anima. Profili di una pedagogia del sé, Vita e Pensiero, Milano 2010.

    Burrows L., «Does spiritual wellbeing have a place in public education? AARE Conferente paper /presentation 2006», da www.aare. edu.au. /06pap/bur06l82.pdf.

    De Monticelli R., L'allegria della mente. Dialogando con Agostino, Bruno Mondadori, Milano 2004.

    Id., L'ordine del cuore. Etica e teoria del sentire, Garzanti, Milano 2003.

    Dillen A., «Tra eroismo e deficit. Le sfide per la ricerca sulla spiritualità dei bambini in una prospettiva teologica cristiana», in Concilium, 2007, 5.

    Evdokimov P., La novità dello spirito, tr. it., Ancora, Milano 1997.

    Fox M., In principio era la gioia. Original Blessing, tr. it., Fazi, Roma 2011.

    Guardini R., Etica, tr. it., Morcelliana, Brescia 2003.

    Id., L'opposizione polare. Saggio per una filosofia del concreto vivente, tr. it., Morcelliana, Brescia 1997.

    Heidegger M., Essere e tempo, tr. it., Longanesi, Milano 1976.

    Hersch J., La nascita di Eva, tr. it., Interlinea, Novara 2000.

    Ingersoll R.E., Bauer A.L., «An Integrated Approach to Spiritual Wellness in School Counseling Settings», in Professional School Counseling, 2004, 7, da www.findarticles. com.

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    Pati L., «Mondo giovanile e comunità ecclesiale», in Id. (a cura di), La giovinezza. Un nuovo stadio per l'educazione, La Scuola, Brescia 2000.

    Stein E., La mistica della croce. Scritti spirituali sul senso della vita, tr. it., Città Nuova, Roma 1991.

    Vannini M., La morte dell'anima, Le Lettere, Firenze 2008. www.eurospes.be.

    Zambrano M., Per un sapere dell'anima, tr. it., Raffaello Cortina, Milano 1996. 

     


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