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    Giovani e lavoro

    Quali competenze professionali garanzia di futuro


    Sull’importante questione per un giovane di acquisire le giuste competenze per garantirsi e mantenersi un lavoro in un mercato assai fortemente competitivo e mutevole riportiamo di seguito l’introduzione di un recente studio, curato dalla Fondazione Italia Orienta e intitolato “Giovani e carriere. Le caratteristiche personali importanti nelle scelte educative e professionali”.

    L’ingresso nel mondo del lavoro costituisce una tappa importante nella storia di vita, rappresentando una situazione di passaggio sia interna all’individuo, sia nell’interazione con lo scenario lavorativo, con l’investitura di nuovi ruoli, l’introiezione di regole formali e informali di un nuovo contesto.
    In passato, il lavoro si svolgeva all’interno di un contesto organizzativo stabile, caratterizzato da processi produttivi standard che permettevano una pianificazione di vita a lungo termine; i lavoratori vivevano un senso di stabilità e di sicurezza psicologica che lasciava spazio alla progettualità in tutti gli ambiti della vita e la alimentava. Tale sentimento di stabilità, garantito dalla sicurezza di uno stipendio e dalla possibilità di sviluppare la carriera, predisponeva il lavoratore a corrispondere con una certa fedeltà ai superiori e all’organizzazione in generale. L’ingresso nel lavoro era segnato da un patto psicologico di tipo relazionale che rendeva il legame tra individuo e organizzazione stabile e prevedibile, ma allo stesso tempo appetibile per entrambe le parti in gioco, poiché ciascuna delle parti era soddisfatta.
    Nel nuovo assetto del mondo del lavoro, spesso colpito da repentine crisi economiche, restrizioni occupazionali o contrazione dei mercati, gli scenari lavorativi e organizzativi sono caratterizzati da profonde e continue trasformazioni. Nel contesto di lavoro attuale, riqualificazione, flessibilità, incertezza, mutevolezza diventano i temi che regolano le relazioni professionali. Ciò produce un cambiamento sensibile sia nel percorso di inserimento del mondo del lavoro sia in generale nella relazione tra individuo e organizzazione. Se da un lato muta il lavoro e le organizzazioni diventano sempre più flessibili, dall’altro si trasformano anche le rappresentazioni sociali del lavoro e la sicurezza lavorativa non è più una condizione costante né comune nella vita del lavoratore.
    In rapporto ai cambiamenti del mercato del lavoro, come la progressiva modificazione delle domande e dei contratti e la frammentazione delle carriere, il lavoratore ha necessità di acquisire nuove capacità per inserirsi nel mondo del lavoro e sviluppare la propria carriera. Al fine di adattarsi alle richieste del mercato del lavoro, inoltre, il lavoratore moderno assume una prospettiva temporale limitata, a breve termine, sia nella percezione dello scambio che nella valutazione della convenienza, adottando una logica di appartenenza temporanea che è condivisa anche dall’organizzazione lavorativa. Il concetto di “sicurezza del posto” si evolve in quello di “employability” (“occupabilità”; Ellig, 1998) ovvero la possibilità di contare sulle proprie competenze professionali per essere impiegabili continuamente nelle organizzazioni.
    In altre parole, nel contesto attuale gli sforzi del lavoratore o futuro lavoratore puntano verso una condizione di work security piuttosto che di job security (Argenterio et al., 2010): mentre quest’ultima è ancorata alla certezza di possedere un posto di lavoro nell’ambito di una organizzazione, la work security rimanda invece al profilo delle competenze. Il lavoratore deve assicurarsi una “professione” più che un “posto di lavoro”: sono i contenuti del lavoro e la capacità di gestione di questi a definire la sensazione di sicurezza occupazionale.
    Il concetto di work security abbraccia anche l’idea di processo di “apprendimento continuo” (continual learning) e della propria abilità di gestione del trasferimento delle capacità di occupabilità da un contesto di lavoro a un altro; l’organizzazione diventa il luogo in cui l’individuo e il sistema organizzativo, complessivamente inteso, realizzano e conseguono i rispettivi obiettivi, stipulati e reciprocamente condivisi.
    Con il cambiamento delle aspettative in direzione di una maggiore insicurezza e instabilità, sono sempre più frequenti le richieste di transizioni successive alla prima, che possono implicare cambiamenti di ruolo, di organizzazione o del tipo di lavoro svolto (Redstrom-Plourd, 1998). Collegata alle trasformazioni della natura del rapporto di lavoro – dalla job security alla work security – si sono andate sviluppando sempre più la cultura e la pratica dell’outplacement, un insieme di servizi che le organizzazioni offrono ai propri ex collaboratori per fronteggiare la perdita di lavoro e la conseguente gestione del processo di transizione verso una nuova opportunità occupazionale.
    L’outplacement, dunque, emerge per rispondere all’esigenza di risolvere questioni di redditività e problemi sociali connessi agli interventi di riallineamento organizzativo necessari per essere competitivi in uno scenario sempre più globale. La soluzione offerta da un intervento di outplacement mette a disposizione del management “uno strumento capace di aiutare gli individui a transitare da un’organizzazione, riducendo gli oneri gestionali e contenendo i costi socio- psicologici dei collaboratori e dei manager”.
    In questo quadro storico va sottolineata anche l’importanza che ha assunto l’orientamento, e il suo evolversi verso la formulazione di teorie che valutano un crescente numero di fattori coinvolti nello sviluppo della carriera lavorativa, intesa come processo che abbraccia l’intero arco della vita.
    Il termine “orientamento professionale” si associa principalmente all’insieme delle pratiche finalizzate a sostenere la persona, in qualunque età e fase della vita si trovi, nelle sue scelte formative e lavorative e nella gestione della carriera. Non va trascurato che l’orientamento indica innanzitutto la capacità di governo autonomo della propria storia formativa e lavorativa.
    La psicologia dell’orientamento si caratterizza quindi per la duplice attenzione rivolta, da un lato, all’individuazione dei principi esplicativi dell’evoluzione naturale della carriera delle persone e, dall’altro, allo sviluppo di pratiche di sostegno a questo processo. Guardando all’evoluzione storica della disciplina è possibile identificare differenti fasi, ciascuna delle quali caratterizzata da uno specifico modello interpretativo (Pombeni, 1996).
    Il modello diagnostico-attitudinale (Pearson, 1937, 1951) ha predominato nel campo dell’orientamento professionale nei primi decenni del Novecento ed è espressione dell’approccio psicotecnico. Esso prende avvio dagli studi condotti dalla ricerca psicofisiologica sulle componenti psicosensoriali alla base delle prestazioni individuali. Si considera che le attitudini individuali, quali ad esempio abilità motorie, verbali, numeriche, rappresentino disposizioni ereditarie misurabili, per cui l’obiettivo dell’orientamento è quello di indagare come raggiungere un livello di coincidenza tra attitudini individuali e caratteristiche richieste per l’esercizio di una professione. Secondo tale approccio le scelte professionali sono compiute razionalmente per cui lo scopo delle pratiche orientative è quello di informare la persona rispetto alle proprie caratteristiche e alle richieste che ciascuna professione avanza, per fornire gli elementi atti a compiere la giusta scelta. Il soggetto è visto, di base, come passivo, e c’è pertanto scarsa attenzione all’autorealizzazione individuale: in altri termini, si segue la filosofia di collocare l’uomo giusto al posto giusto (ciò che gli inglesi chiamano matching). Nonostante i numerosi limiti di tale approccio, che trascura totalmente l’individuo e la sua sfera emozionale e psicologica, a esso va comunque riconosciuto il merito di avere introdotto rigore scientifico nella costruzione di strumenti di assessment delle caratteristiche personali.
    II modello caratterologico-affettivo (Rogers, 1951; Murray, 1964), che ha caratterizzato le pratiche di orientamento nel periodo compreso tra gli anni Trenta e Cinquanta, focalizza invece l’attenzione sulla rilevazione degli interessi professionali. In tal modo esso ha aperto la strada all’applicazione delle teorie della personalità allo studio dello sviluppo di carriera, applicazione che è stata approfondita durante la fase clinico-diagnostica che ha prevalso nel campo dell’orientamento negli anni Cinquanta-Sessanta. Nell’ambito degli approcci fondati sulla psicologia della personalità troviamo due principali modelli: quello disposizionale e quello interazionista. Il modello disposizionale identifica nella personalità una struttura latente interna composta da un insieme di tratti stabili, che rappresentano degli elementi costanti e stabili del carattere condizionanti le manifestazioni psicologiche e comportamentali in situazioni differenti. Il modello interazionista sostiene invece che la personalità è la risultante dell’interazione dinamica tra variabili situazionali e personali nello specifico ritiene che le molteplici interazioni tra individuo e ambiente determino il comportamento ma che allo stesso tempo l’individuo sia protagonista attivo delle interazioni con l’ambiente, nella misura in cui l’interpretazione data dal soggetto alla situazione e quindi la componente cognitiva ed emotiva individuale risultano determinanti nel definire le modalità dell’interazione.
    Infine, a partire dagli anni Settanta, le teorie che si sono affermate in questo campo sono accomunate da un modello maturativo-personale (Super, 1957, 1980), ovvero da una particolare attenzione a leggere lo sviluppo di carriera nel contesto più ampio dello sviluppo personale. L’esperienza lavorativa acquista un senso all’interno dello sviluppo globale della persona e dell’articolazione tra i differenti ruoli sociali che la persona riveste. La carriera lavorativa diventa l’insieme dinamico dei cambiamenti che intercorrono nel rapporto tra l’individuo e l’attività lavorativa, cambiamenti che incidono inevitabilmente anche sui propri ruoli sociali. La scelta della professione può essere descritta come un processo teso all’adeguamento tra sé stessi e il proprio ambiente. Ne deriva che un ruolo centrale è assunto dal concetto di “sé professionale”, che riguarda la costellazione di attributi del Sé che un individuo considera rilevanti nella scelta di una vocazione e che possono o meno tradursi in una preferenza professionale. Il processo di sviluppo della carriera si basa quindi sul processo di sviluppo e attuazione del concetto di sé e la soddisfazione lavorativa è legata all’attuazione del concetto di sé professionale.
    Nella pratica, la finalità generale delle attività di orientamento in cui oggi la comunità scientifica e professionale si riconosce è di conseguenza quella di perseguire lo sviluppo personale e sociale dell’individuo, promuovendo la sua capacità di maturare scelte consapevoli e far fronte alle transizioni che connotano l’evoluzione della propria storia formativa e lavorativa.
    Le pratiche di orientamento attuali possono essere ricondotte alle tre macrotipologie di servizi di orientamento: information, guidance, counseling. Le attività finalizzate all’informazione comprendono i servizi di accoglienza, filtro, erogazione diretta e indiretta di informazioni, organizzazione di incontri ed eventi.
    Con il termine guidance, in Italia vengono identificate le azioni finalizzate a promuovere l’educazione all’auto-orientamento. Questa tipologia di attività si propone principalmente lo sviluppo di competenze finalizzate a preparare le persone ad affrontare le scelte in modo autonomo. Il primo obiettivo è far acquisire alla persona un atteggiamento e uno stile di comportamento proattivo rispetto alla gestione della propria storia lavorativa, promuovendo lo sviluppo di competenze, come capacita di attivazione, canalizzazione degli obiettivi, diagnosi dei problemi, che sono i prerequisiti minimi per affrontare positivamente snodi complessi del processo di orientamento scolastico e professionale e costituiscono la premessa indispensabile per un reale auto-orientamento. Il secondo obiettivo è far maturare nella persona competenze di automonitoraggio, ovvero la capacità di tenere sotto controllo lo svolgersi delle esperienze in atto (come il percorso formativo, la ricerca del lavoro, l’attività professionale). Tali risorse sono connesse alla capacità di mantenere un livello di consapevolezza critica sulle esperienze in corso e di saper valutare in maniera preventiva eventuali fattori di rischio. Infine il terzo obiettivo è far sviluppare al soggetto la capacità di affrontare gli eventi decisionali attraverso una progettazione di sé nel tempo. Tali risorse, definibili anche come “competenze orientative di sviluppo” della propria storia formativa e lavorativa, hanno a che fare con la capacità di darsi degli obiettivi di crescita (personale e/o professionale), di investire delle energie in vista di un obiettivo, di costruire dei progetti individuali assumendosi responsabilità e rischi connessi alla loro realizzazione; sono collegate alle situazioni di scelta e all’elaborazione di progetti formativi e lavorativi coerenti con il processo di costruzione della propria identità personale e sociale.
    L’attività di counseling, invece, si pone come obiettivo quello di accompagnare la persona in un precorso di risoluzione di un problema orientativo, ma soprattutto di attivare un processo di ridefinizione e di riorganizzazione delle dimensioni e dei fattori che permettono alla persona di gestire il suo rapporto con le criticità connesse all’evoluzione personale e professionale. In generale, il counseling di orientamento e di carriera viene definito come intervento rivolto principalmente a sostenere una ridefinizione del Sé professionale a partire dall’esperienza personale e dalla sua evoluzione progettuale attraverso la narrazione della persona e la competenza del consulente nell’identificare eventuali fattori ricorrenti a livello di comportamenti, atteggiamenti, vissuti emotivi o eventi critici che hanno segnato lo sviluppo dell’esperienza formativa e lavorativa passata. Per affrontare questa esperienza risulta fondamentale la motivazione all’autoriflessione e la capacità della persona di farsi carico attivamente e consapevolmente della propria storia formativa e lavorativa lungo tutto l’arco di vita.
    Secondo un report indagine sull’orientamento di Italia Orienta del 2015 oggi le azioni di orientamento più diffuse in Italia sono quelle di tipo “informativo” come open day universitari, saloni di orientamento, diffusione di materiali cartacei o digitali sui corsi universitari, incontri con referenti aziendali o di altri enti professionali (camere di commercio, associazioni di categoria). Esse tuttavia non risultano pienamente efficaci, tant’è vero che sia insegnanti che studenti appaiono insoddisfatti da un tipo di orientamento esclusivamente informativo, ed esprimono il bisogno di interventi formativi e non solo informativi.
    In secondo luogo nelle scuole italiane non esistono ancora programmi sistematici di orientamento guidati a livello nazionale o regionale e l’orientamento è affidato a professionisti che vengono ingaggiati per specifici progetti sebbene la professione non sia regolamentata a livello nazionale. Gli interventi esistenti non sono sottoposti a valutazioni controllate e i progetti valutati con metodologie di ricerca sono ancora scarsissimi in Italia.
    Secondo Guichard (2012), gli interventi informativi rappresentano un tipo di intervento di orientamento molto limitato, che non richiede al soggetto una riflessione su di sé. La raccolta di informazioni è solo un elemento minore del processo decisionale, che è determinato da fattori socio-culturali, fattori familiari e fattori individuali.
    Dunque l’orientamento, per garantire all’individuo il supporto che necessita nello sviluppare le competenze di “impiegabilità continua”, non può riguardare soltanto il versante informativo; piuttosto deve tener presente le caratteristiche di personalità del lavoratore che incidono sulla sua capacità di impiego.
    Alla luce di tale esigenza il nostro lavoro mira a descrivere la distribuzione, in un ampio campione di studenti del territorio italiano, dei principali fattori individuali implicati nelle scelte di carriera, e identificare eventuali differenze nella distribuzione di tali caratteristiche in funzione dell’area geografica e dei diversi tipi di istituto scolastico scelto. In linea con l’idea che l’esperienza lavorativa acquisti un senso all’interno dello sviluppo globale della persona, abbiamo selezionato per l’indagine un insieme di caratteristiche personali, descritte di seguito, che incidono notevolmente sull’efficacia ed il benessere quotidiani così come sulle capacità di scelta e di acquisizione di competenze trasversali e che risultano quindi importanti fattori legati all’employability:
    a) autoefficacia (Bandura, 1993): la fiducia nella propria capacità di ottenere gli effetti voluti con le proprie azioni. Essa influenza notevolmente il modo in cui gli individui sentono, pensano, trovano motivazioni e si comportano.
    b) assertività (Salter, 1949): capacità di far valere i propri diritti (agire, esprimere opinioni e sentimenti con sincerità e disinvoltura) rispettando al contempo i diritti altrui. Con lievi differenze tra i diversi studiosi, si ritiene che gli elementi costituitivi dell’assertività siano:
    – difesa dei propri diritti (implica anche la capacità di rifiutare richieste irragionevoli) – assertività sociale (come la capacità di iniziare, continuare e portare a termine le interazioni sociali, il più possibile con facilità e a proprio agio)
    – espressione dei sentimenti (capacità di comunicare i propri sentimenti alle altre persone)
    – assertività di iniziativa (riguarda l’abilità nel risolvere problemi e soddisfare bisogni personali come il chiedere favori, avanzare richieste)
    – indipendenza (esprime la capacità di resistere attivamente a pressioni e influenze individuali o di gruppo nella direzione del conformismo, dando voce alle proprie credenze e opinioni).
    c) locus of control (Rotter, 1954): stile di attribuzione causale (interno/esterno). Se un soggetto percepisce una situazione favorevole come determinata per lo più dalla fortuna, da altre persone o da altri fattori esterni (controllo esterno), egli è meno propenso ad accrescere le possibilità che tale situazione si ripeta. Chi, invece, considera la medesima situazione come determinata o determinabile dalle proprie capacità (controllo interno) è più fiducioso nelle proprie abilità e si adopera attivamente per ricreare tale situazione. Viceversa, nell’impossibilità di gestire una situazione sfavorevole, il soggetto che ripone molta fiducia nelle proprie capacità di controllo tende maggiormente ad accusarsi di “fallimento” o “colpa”.
    d) ottimismo (Seligman, 1991): modo di sentire e pensare contraddistinto dalla positività o dal suo prevalere sulla negatività. L’ottimismo disposizionale rappresenta una disposizione mentale ad attendersi esiti favorevoli in futuro: gli ottimisti tendono ad assumere un atteggiamento di fiducia e di persistenza poiché hanno l’aspettativa di raggiungere il loro scopo; valutano le avversità come sfide da accettare e vincere; vanno alla ricerca di opportunità che l’ambiente può offrire per risolvere i problemi e superare le difficoltà.
    e) stile di coping (Lazarus e Folkman, 1984): insieme di strategie mentali e comportamentali abitualmente messe in atto per fronteggiare le situazioni. Il concetto di coping fa riferimento alla modalità con cui le persone cercano di gestire eventi traumatici o situazioni quotidiane stressanti. Tradizionalmente il coping è stato considerato una caratteristica relativamente stabile di personalità, la quale determina le differenze individuali nel modo di reagire a eventi di vita traumatici.
    La prima fase del nostro studio si è concentrata sulla valutazione del profilo degli studenti italiani riguardo alle suddette caratteristiche. In un secondo studio di follow-up ci proponiamo di valutare la predittività di tali fattori rispetto alle scelte accademiche e/o lavorative effettivamente compiute e al successo ottenuto in tali percorsi.

    (Vedi: https://www.italiaorienta.it/cms/wp-content/uploads/2016/07/Giovani-e-Carriere-Rapporto-Italia-Orienta.pdf)


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