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    L'uomo

    della Bibbia

    Giuseppe Barbaglio

     

    Nel primo incontro vedremo quale visione dell'uomo emerge dalla storia di Israele, narrata nell'Antico Testamento, nel secondo quale visone emerge dalla storia di Gesù presente nel Nuovo Testamento

    1. L'uomo come emerge dalla storia d'Israele

    È necessario chiarire anzitutto la prospettiva in cui ci si deve collocare. Nella bibbia troviamo delle antropologie, delle visioni dell'uomo, delle ideologie sull'uomo. Per esempio, mentre noi oggi diciamo, grazie all'influsso del pensiero greco, che l'uomo ha un corpo, gli ebrei dicevano che l'uomo è un corpo. Ma non sono queste visioni dell'uomo ad interessarci. Sono schemi culturali del tempo e come tali possono essere superati. Non credo che si possa assumere come punto di riferimento necessario per noi oggi il modo di pensare, il modo di vedere l'uomo da parte del popolo d'Israele o da parte di Paolo. Non dagli schemi culturali propri del tempo emerge qual è il destino, il cammino, la speranza dell'uomo, ma dalla parola di Dio, dalla storia in cui noi crediamo che Dio si è rivelato al popolo di Israele e in Gesù.
    Non ci interessa sapere come Paolo o come il popolo d'Israele vedevano l'uomo. Ci interessa, potremmo dire, come Dio vede, progetta e vuole l'uomo.
    Però questa parola di Dio, questo progetto di Dio non lo si coglie in una dottrina, in una teoria ma emerge dalla storia. E confrontando questa storia del popolo di Dio, confrontando la storia dell'umanità come viene interpretata nella Bibbia, confrontando l'uomo nella vicenda di Cristo, possiamo ricostruire il progetto di Dio sull'uomo, possiamo avere quel punto di riferimento necessario per interpretare e comprendere la nostra fede.
    In questo modo noi cogliamo e comprendiamo veramente ciò che è l'uomo, secondo il progetto di Dio, così come Dio lo vuole, e lo comprendiamo là dove l'uomo si rivela, cioè nella storia, nella storia di fronte a Dio, nella storia di fronte agli altri, nella storia di fronte al mondo. Quindi propriamente non abbiamo uno schema ideologico, sia pure sacro, sia pure rivelato, ma abbiamo una storia, abbiamo un attore di storia che è l'uomo e questo attore emerge in questa configurazione.
    Data la vastità del discorso mi limito ad alcuni aspetti importanti dell'uomo così come emergono dalla storia interpretata dalla Bibbia.

    L'uomo di fronte a Dio è creatura

    Un primo aspetto dell'uomo, come emerge dalla testimonianza biblica e dalla storia di cui la Bibbia si pone come riflessione, è l'uomo come creatura di fronte a Dio.
    Abbiamo un'espressione che ritorna spesso nella Bibbia, soprattutto nelle tradizioni di preghiera, di lode innica di Israele: "l'uomo è l'opera delle mani di Dio".
    Nei noti racconti della creazione l'interesse del discorso biblico non è tanto e principalmente per l'azione di Dio che crea, per come ha creato il mondo, ma soprattutto per l'esistenza dell'uomo come creatura. La testimonianza biblica dà molta importanza all'uomo in quanto deve porsi come creatura di fronte a Dio. L'uomo emerge come creatura di fronte a Dio che è il creatore.
    Se l'uomo è creatura vuol dire che non può essere Dio. Il grande peccato dell'uomo è l'autodeificazione, è l'orgoglio e l'autosufficienza dell'uomo, che si erige ad essere il signore di se stesso ed il signore degli altri. L'uomo, secondo la bibbia, è un essere che deve ammettere per se stesso un signore, il signore Dio, che gli chiede conto. L'uomo non può fare a meno di Dio. Nel racconto della Genesi l'uomo vuole mangiare il frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male, cioè vuole determinare arbitrariamente il bene ed il male, vuole mettersi al posto che è di Dio, non accettando la propria creaturalità. Nella bibbia si trovano tante condanne dell'orgoglio dei popoli e della prepotenza dei re: i popoli forti, gli uomini forti vogliono diventare Dio nei confronti degli altri. Questo aspetto è importante non tanto nella prospettiva di accettare un Dio sopra di sé, quanto nell'accettare se stessi come creature che sono di fronte ad esigenze che le trascendono: il bene e il male.
    La Bibbia ci dice continuamente che l'uomo è un essere dipendente da una esigenza di bene e di male, che lo trascende, è dipendente da un ordine morale di cui non può essere l'arbitro, ma solo il fedele osservante.
    L'uomo è un essere che non può erigersi come Dio del mondo, come Dio degli altri.
    Ci sono riflessi estremamente concreti nella valutazione dell'esistenza umana dalla considerazione dell'uomo come creatura. Per esempio San Paolo nelle sue lettere dice, quando fa un elenco minuto dei doveri dei cristiani nelle diverse situazioni, nei diversi stati: "Voi signori, voi padroni, ricordatevi che c'è un signore sopra di voi, che vi chiederà conto".

    L'uomo è creatura di fronte al creatore ed è il signore di questo mondo

    Secondo aspetto: l'uomo è creatura di fronte al creatore, però l'uomo, come emerge dalla riflessione sulla storia biblica, è il signore di questo mondo. Dio ha affidato questo mondo all'uomo, il quale poiché lo ha ricevuto da Dio non ne può disporre a piacimento, non può mutare il rapporto a piacere. L'uomo è il signore per delega di Dio. Dio non è geloso della potenza dell'uomo, anzi Dio vuole l'uomo signore del mondo. Per esempio, nel capitolo primo della Genesi, Dio fa l'uomo a sua immagine e fare l'uomo immagine di Dio vuol dire fare l'uomo rappresentante della signoria di Dio sugli esseri viventi: dovrà dominare sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo, cioè, sul mondo. Oppure nel capitolo secondo della Genesi, in un'altra tradizione, si parla di Adam, cioè dell'uomo, il quale dà il nome a tutti gli esseri. Dio conduce davanti ad Adam gli animali ed Adam assegna il nome. Questo assegnare il nome è tipicamente una funzione regale. Il faraone Necao (2Re 23,31-35) dopo aver vinto l'esercito di Giuda nel 609 e sconfitto e ucciso il re Giosia, nominò re il figlio di Giosia Eliakìm cambiandogli il nome in Ioakìm, per indicare il suo dominio, il suo potere.
    Ora Adam che dà il nome agli esseri terrestri è Adam che esercita il suo dominio sul mondo.
    Anche nel salmo 8, in un inno di gloria a Dio creatore, testo molto vicino a Genesi 1, si dice: "Se io guardo il cielo opera delle tue dita, o Signore, io guardo le stelle e la luna che tu hai fissato, che cosa è mai l'uomo perché tu te ne prenda cura, che cosa è mai il figlio dell'uomo perché tu abbia a correre in suo aiuto?" È il paradosso dell'uomo esternamente piccolo e fragile di fronte all'enormità del cielo e dello spazio, che ottiene la cura e la preoccupazione di Dio. Il salmo continua e dice: "Tu, o Dio, l'hai fatto di poco inferiore ad un Dio e tutto hai messo sotto i suoi piedi". Anche l'immagine del "mettere tutto sotto i suoi piedi" è un'immagine molto classica del tempo, quando il re, che aveva vinto i nemici, li calpestava col piede in segno di dominio.
    In altre parole, l'uomo è creatura, cioè l'uomo non è arbitro assoluto e dispotico del bene e del male, e deve rendere conto, ma l'uomo è il signore del mondo.
    C'è tutta una linea di riflessione nella Bibbia in cui dialetticamente si pone in contrapposizione l'uomo signore del mondo per vocazione e l'uomo invece servo del mondo nel peccato.
    Un secondo aspetto del peccato, del negarsi come creatura, dell'essere il Dio di se stessi ed il Dio degli altri, è l'idolatria.
    Questo aspetto lo troviamo ad ogni pagina della Bibbia. L'idolatria come fenomeno c'è ancora oggi, non è solo un fenomeno dei tempi andati. L'idolatria è quel fenomeno per cui l'uomo invece che essere signore del mondo, usare del mondo, serve il mondo, brucia l'incenso al mondo. Noi ci meravigliamo dei primitivi che bruciano l'incenso davanti a delle statuette, agli idoli; ma domandiamoci, nella nostra civiltà, nella nostra cultura, nella vita economica, quanto incenso noi bruciamo al profitto, quanto incenso noi bruciamo all'idolo del successo, all'idolo della gloria, del potere, della carriera. È idolatria.
    Cioè il mondo è cosa di cui fruire e usare nella misura in cui si ha bisogno. L'idolatria, invece, è quel fenomeno per cui l'uomo si mette in ginocchio di fronte al mordo. Cioè capovolge quel rapporto fondamentale che esiste tra lui e il mondo, tra lui e le cose, tra lui e le strutture.
    Un'altra forma di idolatria si ha quando l'uomo non solo brucia l'incenso alle cose, ma brucia l'incenso alle persone, quando si mette in adorazione delle persone, quando si presta al culto della personalità (culto: persone per le quali l'altro è Dio).
    Nella storia biblica l'uomo emerge invece come il signore del mondo, cioè colui che deve usare strumentalmente le cose, le istituzioni, il benessere, le leggi economiche per esempio, e non deve cadere nell'idolatria.
    La parola di Dio vuole l'uomo signore, a cui tutto è sottoposto. A questo mondo non c'è nessuna realtà che superi l'uomo, non c'è nessun valore che sia trascendente l'uomo, non c'è nulla davanti alla quale l'uomo debba chinarsi. Al contrario, tutto sotto ai suoi piedi: lui è il valore assoluto di questo mondo.
    Questo vale anche per la religione. La religione è una realtà di questo mondo, l'abbiamo fatta noi. Quando l'uomo è sacrificato alla religione, questa diventa un idolo. Ernst Bloch in "Ateismo nel Cristianesimo" (ed. Feltrinelli, 1971,) parla del Dio faraonico, cioè di quel Dio che la religione ha costruito, il Dio dispotico, il Dio di fronte al quale l'uomo è cosa, l'uomo è strumentalizzato. La cosa più impressionante che c'è nella testimonianza biblica è proprio questa concezione dell'uomo, secondo la quale al mondo non c'è nulla che superi l'uomo, non c'è nulla che valga l'uomo. L'uomo è il valore assoluto del mondo, perché così vuole Dio. Quindi l'uomo non può essere sacrificato a nulla, né alla religione, né al potere, né al danaro, né al profitto, a nessun idolo.

    L'uomo responsabile di tutto ciò che avviene nel mondo

    Una terza dimensione del progetto divino, della parola di Dio sull'uomo: l'uomo in quanto signore del mondo è costituito dalla volontà di Dio come colui che è responsabile di tutto ciò che avviene a questo mondo. Se avviene qualche cosa in una casa che non va bene, si chiede conto al padrone di casa. Il padrone di questo mondo è l'uomo. Lui è responsabile di tutto ciò che avviene.
    È responsabile innanzi tutto del suo destino. C'è un'espressione molto densa nella tradizione sapienziale in Israele (nella tradizione sapienziale ci sono riflessioni sull'esistenza umana di tipo universalistico, valide per tutti). Dio dice: "Io metto oggi dinanzi a te, o uomo, il bene ed il male, la vita e la morte" (Deut 30, 15). L'uomo è questo essere che si trova di fronte al bene ed al male, alle due strade, al bivio, libero di scegliere e di decidere. Nell'interpretazione della storia biblica l'uomo è colui che crea il suo destino o che lo distrugge. L'uomo non è un dato, ma è una possibilità di fare, di creare, o anche di distruggersi nelle sue scelte, nelle sue decisione. Noi non "siamo", piuttosto siamo "possibilità di essere". Cioè siamo persone che possono costruirsi in un senso o nell'altro. Qui sta la differenza fondamentale tra l'uomo e la natura. L'albero è quello che è, sin dall'inizio. Dal seme noi riusciamo a stabilire che albero sarà. Invece l'uomo non è qualche cosa che è prefissato, che è prestabilito da Dio. L'uomo è tutto da scoprire, è la sorpresa. Il domani, ad esempio, per l'uomo è una possibilità di farsi o di distruggersi.
    Nella visione greca e nella visione mesopotamica, visioni della realtà che circondavano Israele, l'uomo non era percepito invece come colui che si faceva o si distruggeva, ma come un essere condotto. Noi diremmo telecomandato, telecomandato verso quella strada, verso quel destino.
    Il tipo classico è Edipo. Sin dalla nascita già si sa che Edipo ucciderà il padre e commetterà incesto con la madre. Quando Edipo dall'oracolo di Delfi viene a sapere del suo destino, cerca di sfuggirvi, scappando da casa, nella speranza così di non uccidere il padre e di non avere rapporti incestuosi con la madre. Ma la fuga è inutile. Mentre vaga lontano da casa sua, dopo diverso tempo, Edipo incontra suo padre, e, non avendolo riconosciuto, per un diverbio banale lo uccide e, sempre dopo tanto tempo, si incontra con sua madre, e, non conoscendo la sua identità, si unisce incestuosamente a lei. Edipo nella tragedia greca, nella mentalità greca, come anche per la verità nella mentalità orientale, mesopotamica, è il modello esemplare dell'uomo telecomandato, che non può sfuggire al destino assegnatogli dagli dei.
    L'uomo invece, secondo il progetto di Dio, è un essere al bivio, è un essere responsabile, è un essere che determina il proprio destino di vita o di morte.
    Non solo l'uomo è responsabile del suo destino ma l'uomo è responsabile del destino della storia.
    Quando hanno domandato a Gesù Cristo quando verrà la fine, risponde: "Gli uomini non lo sanno, gli angeli non lo sanno, il figlio dell'uomo, poi, che sono io, non lo sa e lo sa il Padre eterno". È un testo che ha creato da subito delle difficoltà ed è presente in Marco, che è il più originale e primitivo. Luca, consapevole delle difficoltà, elimina il "non lo so" di Gesù.
    Ora Gesù non lo sa perché non è predeterminato, non è prestabilito. Il traguardo della storia non è qualcosa che Dio decide al di sopra delle nostre teste. Il traguardo della storia, dice la Bibbia, è la vita o la morte, è la nuova creazione o il disastro e tutto dipende dall'uomo. L'uomo ha in mano la storia, il cammino della storia umana è nelle nostre mani. Non è Dio che stabilisce gli avvenimenti, che stabilisce il corso della storia, ma è l'uomo. Dio ha voluto che l'uomo determinasse la storia.
    Quando succede un terremoto e si dice: "Questo è un segno del cielo, di Dio che castiga gli uomini", oppure quando scoppia una guerra e si dice che l'ha voluto Dio perché naturalmente gli uomini sono peccatori e devono fare penitenza ecc. in modo da allontanare l'ira di Dio, questi comportamenti sono indice del sacro terrore dell'uomo ad assumersi la responsabilità enorme del proprio destino, rifugiandosi in una predestinazione di Dio. Dio predestina alcuni in un senso, altri in un altro, così l'uomo è salvo, cioè è liberato dalla terribile responsabilità di avere in mano il suo destino e di giocarselo tutto.
    Oppure la responsabilità viene attribuita alla storia, agli avvenimenti, all'economia, alla vita sociale. L'uomo crea un Dio a sua immagine, un idolo a cui trasferire quella responsabilità che non sa assumersi. Sono sempre stato molto impressionato dal discorso che il gran Inquisitore, nel romanzo di Dostojevski "I fratelli Karamazov" rivolge a Gesù Cristo, nella prigione. Il grande Inquisitore Cardinale dice: lo so bene chi sei tu e ti ho anche fatto arrestare. Ti ho fatto arrestare perché non posso perdonarti una cosa, che tu abbia dato in mano all'uomo la libertà, mentre gli uomini cercano sempre qualcuno a cui affidare questa libertà, cercano sempre qualcuno a cui affidarsi, qualcuno che indichi la strada da seguire, qualcuno che ci conduca. Tu invece hai dato in mano all'uomo la libertà e questa libertà scotta, perché libertà è responsabilità, perché libertà vuol dire rispondere di sé.
    Non avendo il coraggio di assumersi in pieno la responsabilità della storia, allora attribuisce la guerra alla volontà di Dio, per castigare i malvagi e perché i buoni, grazie alla sofferenza, vadano in Paradiso. È drammatica questa visione, perché se la guerra è voluta da Dio, è inutile e vano combattere contro la guerra: occorre fare la volontà di Dio. Se invece la guerra la vuole l'uomo allora ci sono responsabilità precise, allora si può lottare contro la guerra, si può lottare contro gli uomini che vogliono la guerra.
    L'uomo come emerge dalla considerazione biblica è colui che tiene in mano il proprio destino ed il destino della storia, il destino di tutti, il destino del mondo. Se il mondo, va male, nella misura in cui va male, la colpa e la responsabilità sono solo unicamente degli uomini, sono solo nostre. Non dobbiamo trasferire a Dio quel che è nostro. Dio ha fatto l'uomo signore del mondo, signore di se stesso, signore della storia. È Dio che ha voluto l'uomo così e l'uomo riconoscendo Dio, riconoscendosi come creatura, si riconosce come signore di questo mondo, per delega, ma signore vero e responsabile, in tutto.

    L'uomo non è individuo, ma è famiglia, è popolo, è umanità

    L'uomo poi, come emerge dalla storia della bibbia - ed è un quarto aspetto - non è visto come individuo. Le considerazioni fatte sull'uomo creatura, sull'uomo signore del mondo, sull'uomo quindi responsabile del suo destino e della storia riguardano l'uomo come comunità, diremmo oggi. L'uomo è famiglia, l'uomo è popolo. Non è indifferente che la storia paradigmatica di Dio con l'uomo, quel modello che Dio ha presentato per dire come è tutta la storia dell'umanità, sia una storia con il popolo di Dio. Perché Dio non ha fatto la storia con 100 individui, o 1000 individui, ma ha fatto la storia con un popolo? Perché l'uomo è popolo, perché l'uomo è umanità.
    Il peccato ci dice per contrasto qual è il destino dell'uomo, qual è il progetto di Dio sull'uomo. Una aspetto fondamentale del peccato è l'autodeificazione, come idolatria, il peccato è sfuggire alla propria responsabilità, il peccato è la disunione, la disgregazione. La disgregazione in seno alla famiglia è il divorzio, un'esperienza amara che Israele accettava come esperienza di peccato e di colpa, la disgregazione in seno al popolo di Dio è la scissione nei due regni; la disgregazione della umanità è la confusione delle lingue, presentata nel racconto della torre di Babele, uno dei simboli più chiari del peccato dell'umanità. I popoli non si capiscono più tra di loro e si separano, andando ciascuno per la sua strada.
    L'uomo è un essere di riconciliazione in seno alla famiglia, all'unità familiare come unità di amore, del "sarete due una sola carne", una sola persona; è un essere di riconciliazione all'interno del popolo di Dio; un essere di riconciliazione dell'umanità.
    L'uomo è famiglia, è popolo, è umanità unita, l'uomo è possibilità ad essere unione nella famiglia, ad essere unione nel popolo, ad essere unione nell'umanità.
    Nei racconti della creazione appare il progetto di Dio sull'uomo: Dio crea l'Adamo e l'Adamo vuol dire l'umanità, vuol dire il genere umano come un'unica famiglia.
    L'uomo, l'umanità, la creatura non sono chiamati a decidere in modo arbitrario del bene e del male, perché c'è un Signore al quale render conto. L'uomo è signore del mondo, non idolatra del mondo e degli altri; l'umanità è responsabile del suo destino nella storia e del Regno di Dio. L'umanità è chiamata a realizzare questa profonda comunione ai diversi livelli, familiare, di popolo, di umanità.

    L'uomo è colui che può sperare

    E - ultimo aspetto - l'uomo, come emerge dalle pagine dell'Antico e del Nuovo Testamento, è colui che può sperare, nonostante tutto. C'é l'esperienza amara, drammatica, tragica dell'uomo di fronte al male, di fronte alla morte, alla morte non solo come disfacimento fisiologico, ma come il "troncamento dell'amore" fra due persone (la morte come fatto tragico, come fatto insopportabile per noi, la morte come fine, come scacco, come rottura profonda della conoscenza, dell'amicizia, dell'amore, del rapporto con gli altri, dei progetti, dei sogni, dei desideri). C'è l'esperienza dell'uomo confrontato con la radice del male, con il peccato, cioè con l'uomo che si fa Dio, con l'uomo che adora il mondo e gli altri, con l'uomo che sfugge alla responsabilità di determinare il suo destino, di determinare la storia, con l'uomo che disunisce.
    L'esperienza molto realistica, dolorosa ed incredibilmente crocifiggente del male, della morte, del peccato, ha condotto i popoli vicini ad Israele, tutta la cultura mesopotamica e tutta la cultura greca, ad una posizione di disperazione, anzi addirittura di serena disperazione. Il male, la morte tragica, il peccato, la colpa, l'orgoglio, la prepotenza, l'ingiustizia dell'uomo, ebbene tutto questo costituisce una barriera di fronte a cui l'uomo deve alzare le braccia ed arrendersi. L'uomo è schiavo del male, della morte, del suo peccato, l'uomo non ci può fare niente. Se Dio vuole così non c'é niente da fare, ritenevano i popoli mesopotamici. Chi può andare contro la volontà di Dio? I greci parlavano di destino, di fatalità, contro cui non si può far niente. Nell'uno e nell'altro caso l'uomo non può sperare che il domani sia diverso, non può sperare di cambiare la situazione.
    Oggi si parla di cambiare la società e cambiarla molto in profondità, radicalmente. È un discorso anche molto generoso, ma perché non appaia ingenuo, occorre chiedersi se noi possiamo cambiare la società, se noi abbiamo le forze per cambiare il mondo. Secondo quanto emerge dalla storia interpretata dalla bibbia l'uomo è colui che può sperare sempre nonostante tutto. Cioè non c'è un giorno per l'umanità in cui possa dire che è finita. Non c'è un errore, uno sbaglio, una colpa dell'uomo che possa essere l'ultima parola sulla storia. L'uomo nella storia, come Dio ce lo rivela, nonostante le sue colpe, nonostante i suoi sbagli, ha sempre una possibilità di ribaltare la situazione. In altre parole l'uomo non è mai fuori gioco una volta per tutte.
    Tutto il discorso biblico sulla conversione, sul perdono dei peccati non è una amnistia, un chiudere un occhio, un condono della pena. L'amnistia libera un criminale dalla prigione, ma rimane criminale. Il perdono invece è un far sì che chi ha sbagliato, chi ha peccato si ritrovi nuovo di fronte ancora al bivio della strada, a decidere ancora della strada, ad avere la possibilità di scelta. Nella visione della storia di Dio con l'uomo, nella visione della Parola di Dio, nessun uomo, per quanto abbia sbagliato, è irrecuperabile di fronte a Dio. Cioè l'uomo nella storia è sempre "una possibilità di fare", una possibilità di rifarsi dopo aver sbagliato.
    In altre parole, l'uomo è colui che può sperare nonostante tutto, nonostante tutto ciò che è fuori di sé e nonostante tutto ciò che è dentro di sé, nonostante tutto ciò che ha fatto. L'uomo nella storia è sempre una possibilità nuova: il domani per l'uomo può essere sempre un giorno nuovo, diverso da oggi, diversissimo da ieri, esattamente il contrario di oggi, esattamente il contrario di ieri. L'uomo è libero dal suo passato. Edipo è sempre stato perseguitato dal suo passato nella vita, eternamente il fato aveva stabilito che lui fosse il parricida e l'incestuoso della madre. Per quanto ha fatto nella vita, Edipo non è mai riuscito a liberarsi dal suo passato, dal suo destino eterno. L'uomo nella visione biblica è colui che è libero di fronte al suo passato, a qualsiasi suo passato. Il domani per lui è un giorno nuovo, veramente nuovo: è una possibilità nuova di farsi, di ricostruire, di ricrearsi. L'uomo nella vita non può mai legittimamente, fondatamente, disperare di sé, disperare della vicenda umana, disperare della storia.
    Che il regno di Dio verrà sta a significare che l'uomo nella storia non è mai condannato irrevocabilmente. Qualsiasi sbaglio dell'uomo nella storia non è mai l'ultima parola, ma solo la penultima. All'uomo rimane sempre una possibilità. L'uomo nella vicenda umana, non si trova mai privo di una carta decisiva da giocare sul suo destino, sul destino dell'umanità, sul destino della storia. Cioè l'uomo può legittimamente sperare. L'uomo se spera non è un illuso. La dimensione del futuro, e per dimensione del futuro si intende un giorno nuovo, una possibilità nuova, una reale strada nuova, una possibilità di cambiare a fondo l'umanità, la società, rimane sempre aperta all'uomo.

    Libero dalla paura

    Queste dimensioni dell'esistenza umana, della comprensione dell'uomo emergono non in certi schemi ideologici, in certe dottrine, in certe idee, ma là dove l'uomo agisce, là dove si trova come attore sul palcoscenico della storia, dove lui è chiamato a riconoscersi come creatura, dove lui è chiamato ad essere signore del mondo, ad essere responsabile del suo destino nella storia, ad essere comunità unita e ad essere colui che spera.
    Questo discorso non suggerisce immediate e univoche scelte concrete, ma è una prospettiva. Quando noi pensiamo veramente e profondamente che una struttura, una situazione è più forte di noi, noi ci creiamo l'idolo. Quella struttura diventa il nostro Dio che noi serviamo, con timore e paura. L'uomo signore del mondo è l'uomo libero dalla paura, dalla paura sacra, dalla paura religiosa del dio faraonico.
    Tutte le volte che noi ci arrendiamo adoriamo il mondo, siamo idolatri, siamo i servitori e non i signori di questo mondo, assumiamo la prospettiva degli antichi che vedevano le divinità nei boschetti sacri o nelle fontane. Oggi sono altri boschetti ed altre fontane che per noi sembrano divinità da adorare, da temere, a cui arrendersi.
    Un chiarimento. Quando faccio il discorso dell'uomo che non è mai all'ultimo giorno nel suo errore, nel suo fallimento, parlo di un discorso di umanità e di storia. La storia è sempre aperta e questo è il significato della presenza di Dio nella storia. La storia non è mai chiusa per noi sui nostri fallimenti, sui nostri errori.
    Nel discorso individuale l'uomo non è mai irrecuperabile nell'arco della sua esistenza, quindi nei limiti della sua esistenza. Ezechiele, capitolo 18, dice che se uno per tutta la vita ha fatto dei misfatti, dei crimini, e alla fine si converte, diventa nuovo. Se l'uomo alla fine si fa nuovo (il perdono dei peccati non è un'amnistia, è sempre una possibilità di farsi nuovo), ebbene costui vivrà e proseguirà.
    Quindi il discorso individualizzato sul singolo riguarda il corso della sua vita: nel corso della sua vita l'uomo ha sempre un domani. Il discorso invece posto sul piano della collettività, sul piano della società, dell'umanità, è il discorso sull'arco della storia umana. Non lo sa neppure Dio quando sarà la fine, come l'uomo giocherà l'ultima carta. Se lo sapesse quella carta sarebbe già predestinata, sarebbe l'Edipo e non l'uomo libero. Il Regno di Dio è sempre una realtà che viene, che può venire.

    2. L'uomo nella storia di Gesù

    La storia di Israele non è una storia banale, una storia di un popolo tra i tanti, ma è una storia preziosa, unica, perché è una storia da cui emerge la parola di Dio. Quando diciamo che Dio parla, non dobbiamo immaginare che Dio, con un grosso megafono, faccia calare sulla terra la sua voce. La parola di Dio sta nella storia, sta negli avvenimenti, sta nella storia di Israele. Se noi vogliamo ascoltare la parola di Dio dobbiamo meditare la storia di Israele e coglierne il significato.
    Ecco perché ci siamo interessati alla storia di Israele, alla storia umana come si manifesta nella storia di Israele, alla parola di Dio come risuona nella storia di Israele. Abbiamo visto che in questa storia l'uomo é compreso come la creatura nei confronti del creatore, e, nello stesso tempo, come il signore e il padrone di questo mondo e quindi chiamato a dominare le cose e non ha lasciarsi dominare da nessuno e da nessuna cosa. Abbiamo visto come l'uomo è responsabile del suo destino e del destino della storia e poi come l'uomo è famiglia, è popolo, è comunità, è umanità, è cosmo addirittura, e finalmente come l'uomo è un essere che può sperare nonostante tutto.
    Ora vogliano cogliere la parola di Dio sull'uomo, come emerge, non più dalla storia di Israele, ma dalla storia di Cristo. Non è che a noi interessa tanto quel che Gesù ha detto. Non pensate che siano molto preziose le poche parole di Gesù, che ci hanno tramandato. Gesù non è un microfono di Dio: quel che è prezioso e rilevante è la storia di Gesù, è la vicenda di Gesù, è l'essere di Gesù, il fatto globale. Al limite Gesù poteva essere muto, e non avremmo perduto niente, invece avremmo perduto tutto se Gesù non ci fosse stato.
    In altre parole, la parola di Dio definitiva, la parola di Dio ultima risuona nella storia di Gesù, negli avvenimenti di Gesù, nella vicenda di Gesù e noi meditando la vicenda di Gesù scopriamo la parola di Dio, la parola di Dio definitiva sulla storia, sull'uomo, su di noi.
    A noi non interessa pertanto eccessivamente ( ha comunque un certo interesse) ciò che Gesù ha detto, ma ciò che Gesù è, ciò che Gesù ha fatto. Nell'essere di Gesù, nell'agire di Gesù si manifesta Dio, la parola di Dio, risuona l'ultima parola, al di là della quale non c'é più bisogno che Dio parli, perché ha detto tutto ed ha detto tutto perfettamente ed ha detto tutto su tutto ed ha detto tutto su tutti, in Cristo.

    Gesù è "l'uomo"

    L'affermazione da cui prendo le mosse è che Gesù è "l'uomo". Voi direte: sì, ma Gesù è figlio di Dio. Ma se voi dite che è figlio di Dio, vi metterei in gravi difficoltà se vi chiedessi cosa voglia dire.
    Gesù è l'uomo e, quando dico che Gesù è l'uomo, ho detto tutto. Non è che debba aggiungere che Gesù è anche figlio di Dio.
    Non ho detto Gesù è un uomo fra i tanti. Ciascuno di noi è un uomo, una singolarità, una individualità, ma Gesù non è riducibile ad essere "un" uomo. Gesù è "l'uomo". Questo lo dice Paolo per esempio in Romani 5, 12-21: "Gesù è il nuovo Adam" e Adam vuol dire uomo ; e ugualmente in 1Corinzi 15: "Gesù è l'Adam" (San Paolo non dice che Gesù è "un" Adamo, ma Gesù è l'Adam, l'Uomo); nella lettera agli Efesini Paolo dice che "Gesù è il nuovo uomo"; nella lettera ai Colossesi che "Gesù è l'uomo perfetto".
    Cosa vuol dire che Gesù è "l'uomo"? Avevo terminato il primo incontro parlando dell'uomo come di colui che può realizzarsi nel domani, come di colui che non è richiudibile nel passato e nel presente, come di colui che può sperare. Con questo volevo dire che l'uomo, a differenza delle cose, non è un dato di fatto che si constata, che c'è o non c'è, ma che è una possibilità reale di essere, di verificarsi, di creare, di fare, di rinnovarsi.
    Noi propriamente siamo quello che saremo, cioè il nostro vero essere non lo possediamo, ma il nostro vero essere sta davanti a noi, è nel futuro, nelle pieghe del domani e se noi camminiamo verso questo futuro abbiamo probabilità di incontrare veramente il nostro volto vero, genuino, autentico.
    Hernst Block, filosofo marxista, nel suo volume "Ateismo nel cristianesimo" dice che nella tradizione cristiana e nella tradizione biblica in genere è un punto fondamentale la rivelazione del Dio nascosto (Deus absconditus), del Dio misterioso segreto che parla, che si disvela, che si tradisce, che si consegna, che si offre, che si dà, che si apre.
    Pensiamo, ad esempio, al tema molto caro a Lutero del Dio nascosto, del Dio segreto che si rivela progressivamente nella storia. Si pensi al Dio che si manifesta a Mosè, al cespuglio in fiamme del Sinai: "Mosè, Mosè, io sono il Dio dei tuoi padri, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco". Dio si manifesta, si disvela: "Io sono colui che sono, o meglio, io sarò colui che mi dimostrerò essere e quindi tu vai in Egitto e di là fai uscire il mio popolo". Ecco il Dio nascosto dei padri, di Abramo, di Isacco, di Giacobbe che si disvela a Mosè.
    Oppure il tema del Dio nascosto che si rivela nel Nuovo Testamento, nel capitolo terzo di Giovanni: "Dio nessuno l'ha visto mai, ma il Figlio suo ne ha parlato." Gesù ce ne ha parlato, Gesù ha tolto l'oscurità, la nube dal volto di Dio ed ha fatto scoprire agli uomini che il volto di Dio è il volto del Padre. Block dice che a questo tema del Dio nascosto, che si rivela nella storia, bisogna sostituire (Block si professa ateo) il tema dell' "homo absconditus", dell'uomo nascosto, dell'uomo nascosto nel futuro che deve rivelarsi. Notiamo che ciò che deve essere rivelato da parte dell'uomo non è qualcosa che c'è ma non si vede perché celato, ma è ciò che non c'è ancora. Il disvelamento non è un processo puramente conoscitivo, cioè una realtà che ci è nascosta, e basta aprire una porta per vederla. Quando si parla di rivelazione di Dio nella Bibbia (in genere) non è mai solo un processo conoscitivo, puramente gnoseologico, ma è un processo realizzativo.
    Dio si è rivelato in Gesù Cristo, Dio si è verificato, si è creato, se così possiamo dire col nostro linguaggio imperfetto, mandando Gesù Cristo.
    Block parla del disvelamento nella storia, nel tempo, del vero essere dell'uomo, del suo volto genuino.
    Chi è questo "homo absconditus" che deve rivelarsi nella storia? Su questo punto per esempio la filosofia marxista, e Block è un filosofo marxista, potrebbe rispondere così: questo "homo absconditus" è una idealità. Se noi ci confrontiamo con la nostra esperienza ci accorgiamo, per esempio, di non riuscire a comunicare profondamente con gli altri. L'incomunicabilità non è solo una forma patologica, come abbiamo visto nei films di Antonioni, ma è una realtà di tutti i giorni, è una realtà che in una misura o nell'altra ci coinvolge, ci determina. Noi ci scopriamo come esseri che patiscono la difficoltà del comunicare profondamente con l'altro, e pertanto diciamo che il vero essere dell'uomo è un essere di piena comunicabilità. Ho così costruito un ideale.
    L'uomo di oggi verifica una esperienza, per esempio, di sfruttamento e di oppressione nel lavoro, di ingiustizia, ed allora ritiene che l'homo absconditus che deve rivelarsi nella storia, che viene incontro a noi dal futuro, è l'uomo nella giustizia. L'uomo si costruisce un ideale attraverso le frustrazioni del presente: le frustrazioni provocate dall'ingiustizia, dalle guerre che dilaniano l'unica famiglia umana.
    Che cos'è questo "homo absconditus" ideale? È la proiezione nel futuro dei nostri desideri del presente repressi; proiezioni in avanti delle nostre esigenze che non trovano oggi risposta positiva. Allora l'uomo si costruisce un ideale, un fantasma futuro; il presente non lo soddisfa ed allora, si rifugia nel futuro, trasferisce nel futuro i sogni, i progetti, i desideri, le volontà frustrate dal presente. Si elabora così una ideologia: poiché il presente è piuttosto frustrante, tu, uomo, tendi in avanti, verso questo ideale, che diventa un'idea-forza, un'ideologia che copre tutto, che spinge in avanti e consola per la situazione presente.
    A questo punto si presenta il vero problema, quello della effettiva realizzazione nel futuro dell'ideale. In altre parole, l'uomo è capace nella storia, nel tempo, di disvelare, nel senso di realizzare, quell'homo absconditus che si è costruito come ideale attraverso le frustrazioni del presente? È una domanda a cui praticamente, io credo, il marxista non riesce a rispondere.
    La risposta cristiana sull'homo absconditus non si pone sulla linea dell'ideologia o dell'ideale; è invece una risposta sulla linea della storia, dei fatti, degli avvenimenti, sia pure colti nella fede. Chi è questo homo absconditus la cui rivelazione noi tutti aspettiamo per noi, per gli altri, per il mondo, per l'umanità? Non è un ideale, non è un'idea, non è qualche cosa che proiettiamo in avanti sotto la spinta delle frustrazioni del presente; questo "homo absconditus" vero, il vero uomo è Gesù Cristo. È una persona storica, non è un ideale, un'idea che proiettiamo nel futuro. Si chiama Gesù di Nazareth, è nato, grosso modo tra 1972 ed 1980 anni fa, in un paese della Palestina, di condizione povera, senza studi superiori, di classe sociale non elevata. Gesù è ciò che noi saremo. Il disvelamento del nostro vero essere, il cammino verso la costruzione del nostro vero volto umano è il cammino verso Gesù. Gesù rappresenta il nostro futuro e quindi il nostro vero essere. In che senso Gesù rappresenta il nostro vero essere? La risposta è sul piano della storia e non sul piano della ideologia, sul piano di una persona che ha camminato sulle nostre strade, di una persona che ha sperimentato le nostre grandi esperienze di nascita, di dolore, di gioia, di morte.
    In che senso esatto è quell'homo absconditus che deve rivelarsi a noi sul piano della storia? In un duplice senso: innanzitutto Gesù è l'uomo che rappresenta ciò che noi saremo, il nostro vero essere, quello verso cui siamo chiamati innanzitutto sul piano della esemplarità, e poi sul piano della partecipazione.

    Gesù è l'uomo sul piano della esemplarità

    Gesù Cristo è l'uomo che deve rivelarsi a noi nella storia sul piano della esemplarità.
    Abbiamo un testo in Romani, 8, 29-30 "piacque a Dio nel suo amore di predestinare" (e questo predestinare non ha niente a che fare con la nostra predestinazione; ma vuol dire una volontà seria e politica di Dio, che non è la volontà dei politici, una volontà seria e politica di Dio di voler gli uomini come Cristo), "di predestinare (gli uomini) ad essere conformi all'immagine del figlio suo affinché egli fosse il primogenito di una moltitudine di fratelli". Dio vuole che tutti gli uomini abbiano a conformarsi personalmente, nella libertà, all'immagine, al prototipo del Figlio suo Gesù, affinché Gesù sia il primogenito, il fratello maggiore in mezzo a molti fratelli.
    Gesù è il prototipo dell'umanità, è il tipo che noi siamo chiamati a realizzare, è l'immagine che noi siamo chiamati a ricopiare sul piano della esemplarità. (Il prototipo è una macchina modello sulla quale si costruiscono le altre). Gesù di Nazareth è l'uomo "riuscito"di Dio, e Dio nella storia agisce perché gli uomini riescano come Cristo. Abbiamo detto che gli uomini non sono, ma sono chiamati ad essere, sono delle possibilità di essere, sono in cammino ad essere, e Dio è la scaturigine di questo cammino per cui gli uomini diventano se stessi, sull'immagine, sullo schema, sul tipo di Cristo. Gesù è l'uomo riuscito di Dio nella storia e che chiama tutti gli uomini sulla strada della sua realizzazione.
    Come Gesù si è realizzato come uomo vero e autentico lo sappiamo dai Vangeli, dal Nuovo Testamento. Tutte le testimonianze del Nuovo Testamento affermano che Gesù si è realizzato nella morte e nella risurrezione, il punto di arrivo di tutta una vita.
    Si potrebbe dire che Gesù è nato per morire, o meglio Gesù è nato per morire e risorgere.
    La morte di Gesù rappresenta una scelta, non una necessità. Cristo ha scelto di morire. La morte di Gesù non è il fatto banale, fortuito, tragico, drammatico; la morte di Gesù è la scelta lucida di una persona che ha dato un certo orientamento alla propria vita. Pensate alla bella immagine che usa Luca nel suo Vangelo, quando presenta la vicenda di Gesù come un grande cammino verso Gerusalemme, verso il monte del Golgota, monte della morte, ma anche della resurrezione.
    In altre parole, per usare un'espressione di Bonhöffer, Gesù si è realizzato, si è verificato, è l'uomo riuscito nella storia in quanto "uomo per gli altri". Gesù è l'uomo per gli altri ed in questo essere per gli altri ha verificato l'autenticità vera dell'uomo, è riuscito come prototipo.
    In Marco Gesù dice "il figlio dell'uomo non è venuto per essere servito ma per servire", per servire e dare la sua vita in riscatto degli altri, in riscatto dell'egoismo degli altri. Ecco perché la morte di Gesù è importante, perché la morte di Gesù, ripeto, non è una fatalità, non è una tragedia, non è un dramma, non è un caso fortuito, non è un incidente, ma è una scelta lucida di esistenza di colui che è per gli altri, di colui che si pone per gli altri.
    Gesù si è realizzato nella morte e nella resurrezione. Che cosa rappresenta la resurrezione per Gesù Cristo, per quest'uomo totalmente, esclusivamente per gli altri? Una esistenza umana, quella di Gesù, spesa totalmente per amore, per dedizione agli altri, come la sua, non poteva avere la parola "termine". Dio di fronte a questa vita riuscita di Gesù, a questa vicenda di realizzazione piena di Gesù, ha risposto con la resurrezione. E la resurrezione è il far continuare in modo potenziato questa vita per gli altri. È un sigillo di approvazione di Dio su questa vita, l'unica vita che è stata spesa bene in senso pieno. Il sigillo di Dio non può essere puramente approvativo, constatativo di ció che Gesù ha realizzato. Dio, che agisce sempre nel senso della creazione, ha innalzato ad estrema perfezione, ad estrema pienezza, ad estrema maturità la vita di Gesù.
    Gesù vive oggi, vive nel tempo come colui che è vissuto totalmente per gli altri. Gesù non è un'esistenza umana troncata dalla morte, ma è un'esistenza umana così piena di amore e di sacrificio per gli altri che Dio lo ha resuscitato. Dio ha resuscitato questa esistenza, l'ha fatta valere nella storia, l'ha resa viva e operante.
    Gesù allora è il prototipo sul piano della esemplarità nel senso che tutti siamo chiamati ad essere i fratelli minori, secondo quel testo bellissimo di Paolo. Tutti noi siamo chiamati a rivestire (altra bellissima immagine di Paolo) l'immagine di Cristo; tutti noi siamo invitati (questo è il senso della vocazione umana, del destino umano e della storia umana) al nostro futuro che è esattamente questo cammino sulla strada di Cristo, di colui che è vissuto totalmente per gli altri e proprio perché è vissuto totalmente per gli altri Dio non ha permesso che la sua vicenda terminasse, ma ha voluto che rimanesse vivo nella storia, che la sua vita continuasse nella pienezza.

    Gesù Cristo è il prototipo sul piano della partecipazione

    Quando ho detto che Gesù è il prototipo, che Gesù è l'homo absconditus, ciò che noi siamo chiamati ad essere, il nostro vero volto chiuso nelle pieghe del futuro e destinato a rivelarsi sul piano della esemplarità, ho detto la cosa meno importante.
    Qualcuno potrebbe gradire come prototipo esemplare Gandhi o Martin Luther King o Che Guevara. Ma il Signore Gesù non è "un" prototipo come gli altri, ma è "il" prototipo.
    O noi cogliamo questa esclusività, Gesù come "il" prototipo, come l'uomo od altrimenti non cogliamo quello che è veramente il mistero di Gesù Cristo. Gesù Cristo è "il" prototipo, l'homo absconditus, è il nostro vero essere non solo sul piano della esemplarità, ma soprattutto sul piano della partecipazione.
    Se Gesù Cristo fosse solo il prototipo sul piano della esemplarità noi ci sentiremmo oberati dalla responsabilità di avere un modello esemplare impressionante e irraggiungibile. Potremmo addirittura essere ricacciati in una situazione di abbattimento. Come è possibile camminare sulla strada di Gesù Cristo? Sennonché Gesù Cristo non è solo l'uomo vero, l'uomo che noi siamo chiamati a realizzare, ma soprattutto Gesù è l'uomo vero in quanto è colui mediante il quale noi riusciamo a realizzare il nostro vero essere. E da questo punto di vista quello che vale è la resurrezione di Gesù.
    La fede cristiana si è sempre specificata e qualificata come fede in Cristo risorto. Ora Cristo risorto vuole dire che la vita di Gesù è così singolare e unica sul piano dell'essere esclusivamente per gli altri che Dio l'ha accolta non permettendo che questa vita venisse travolta dalla fine, dalla morte. Però c'è un significato molto più importante per noi nella resurrezione in quanto Gesù Cristo risorto, l'uomo pienamente riuscito di Dio, è anche la sorgente che ci rende possibile di essere fratelli minori di questo fratello maggiore.
    In altre parole, Gesù Cristo risorto è colui che è presente come energia traente della storia. Come colui non solo che io sono chiamato a verificare nella mia vita, ma come colui che costituisce per me la possibilità di essere come lui. Ossia, se Cristo è l'homo absconditus che deve rivelarsi nella storia, nel nostro cammino verso di lui, Gesù Cristo è veramente la forza, il viatico. Il viatico è il pane, il sostentamento che l'uomo si procura per un lungo viaggio. Cristo è il viatico per il nostro viaggio nella storia incontro a lui, ossia incontro al nostro vero essere, per realizzare il nostro vero volto di uomini secondo la chiamata di Dio, per essere a sua immagine.
    A questo proposito nella 1 Corinzi 15, 45-46 si dice che Cristo è il nuovo uomo in quanto è lo "spirito che dà la vita". Quando noi sentiamo la parola "spirito", la intendiamo come qualcosa che non si vede e non si tocca in opposizione a qualche cosa che si vede e si tocca, per esempio la carne, le realtà sensibili. Quando invece gli Ebrei parlavano di spirito, non intendevano ciò che non si vede in opposizione a ciò che si vede, ciò che non è materiale in opposizione a ciò che è materiale, ma intendevano ciò che è forte in opposizione a ciò che è debole, ciò che è potente in opposizione a ciò che è fragile. E soprattutto intendevano la sfera di Dio in opposizione alla sfera della creatura, cioè la sfera della vita, la sfera dell'espansione dell'essere, la sfera di colui che è il principio di una pienezza di esistenza in opposizione alla sfera della mortalità, alla sfera della fragilità, alla sfera della debolezza.
    Gesù Cristo nella resurrezione è diventato spirito vivificante, cioè la concentrazione della potenza creatrice sulla storia, l'energia che si irradia nella storia e che permette a noi di camminare verso gli altri, verso il nostro futuro, verso il nostro vero essere, verso il disvelamento dell'homo absconditus che noi aspettiamo. Ecco perché noi speriamo nonostante tutto, nonostante le nostre debolezze, le nostre fragilità, nonostante il nostro non essere spirito nel senso spiegato.
    L'uomo totalmente per gli altri, morto per gli altri Dio lo ha resuscitato come principio traente, come forza di cammino in avanti, come il futuro che ci prende e progressivamente ci fa avvicinare verso di lui. In questo senso soprattutto Gesù è il prototipo dell'uomo, l'homo absconditus che deve rivelarsi nella storia, non solo come un modello, come un esemplare da ricopiare, da imitare, da seguire, ma come una forza traente, come uno spirito di creazione nuova, di resurrezione dal niente, dalla morte delle nostre possibilità, delle nostre energie, delle nostre risorse per camminare in avanti verso il disvelamento pieno del nostro volto genuino, del volto dell'immagine di Dio che è apparso pienamente una volta nella storia in Cristo e che la storia per disegno di Dio, per volontà politica di Dio è chiamata a verificare sul volto di ogni essere umano, sul volto dell'umanità, sul volto del mondo.
    Lo spirito del risorto è la forza traente del cammino dell'uomo alla ricerca e alla creazione della sua vera identità, del suo vero volto che è apparso nella storia in unico caso esclusivo, in Gesù di Nazareth, l'uomo, non "un" uomo, l'uomo per cui ogni uomo può diventare uomo.


    Verbania Pallanza, 14 aprile 1972 e 28 aprile 1972


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