Pastorale Giovanile

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    Pastorale giovanile in Spagna


    José Luis Moral

    (NPG 2005-07-50)

    Per ogni cosa c’è il suo momento,
    il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo.
    Un tempo per piantare
    e un tempo per sradicare le piante…;
    un tempo per perdere e un tempo per cercare…;
    un tempo per costruire
    e un tempo per demolire…
    (Qoèlet 3,1-6)

    «Per ogni cosa c’è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo…»: la pastorale giovanile in Spagna continua a cercare qual è il suo tempo, senza tuttavia trovarlo del tutto. Benché non siano pochi i risultati, sembra che la Chiesa spagnola viva un po’ attanagliata, mostrando il volto teso di chi gioca in difesa ed è convinta che, da un momento all’altro, vi saranno le occasioni propizie per il grande attacco. E i giovani sono coloro che subiscono maggiormente qualsiasi indecisione o, peggio ancora, quel tipo di atteggiamenti più alla ricerca del riparo che delle intemperie.
    Più che vivere regalando con gioia quanto ha ricevuto gratuitamente, la gerarchia ecclesiastica – in particolare – si ostina a delineare i tratti dell’attuale «nemico secolarizzato» con i caratteri più foschi possibili, immaginando così, per contrapposizione, di dotare il cristianesimo di un’identità più adeguata e chiara. Questa tecnica, tuttavia, mette solamente a nudo il piromane che aspira ad essere, o si crede, pompiere.
    Ci accingiamo a scrivere la presente riflessione precisamente quando ci giunge l’ultimo – e triste – rapporto «Giovani 2000 e Religione»;[1] per cui non possiamo che farci eco dei venti che tirano. I giovani spagnoli scappano alla grande dalla Chiesa: negli ultimi quattro decenni, la percentuale dei giovani spagnoli praticanti è passata dal 95% al 35% (oggi, per esempio, solo un 12% dei giovani tra 15 e 24 anni vive l’Eucaristia domenicale; il 79% non si confessa mai o quasi mai e il 31% riceve la Cresima); la Chiesa appare come l’istituzione pubblica in cui hanno meno fiducia e che suscita più rifiuto (solamente uno su ogni 10 giovani cattolici pensa che la Chiesa apporta valori validi per la vita).[2]
    Benché i vescovi gettino la colpa sulla secolarizzazione e la postmodernità, i sociologi che hanno redatto il rapporto non sono d’accordo e insistono su alcune cause che mirano direttamente alla responsabilità della stessa Chiesa, per non avere assunto il «cambiamento di modello» proposto dal concilio Vaticano II, per non collegarsi con le aspirazioni e i valori dei giovani di oggi e, infine, per avere consegnato la leadership interna a movimenti conservatori che soffocano il pluralismo ecclesiale.
    Insomma, tempo al tempo, finché non soffino venti migliori.
    Nell’interstizio, l’obiettivo di queste riflessioni è un breve ripasso della storia della pastorale giovanile per individuare, in tre tempi, le radici del suo sviluppo, gli elementi essenziali della sua identità attuale e le prospettive per il futuro.

    PRENDERSI TEMPO

    Giovani e pastorale giovanile non hanno ancora trovato il loro posto nella Chiesa spagnola. Ma c’è di più. Molti indici sembrano dar ragione a coloro che sostenevano che la Chiesa perse durante l’Illuminismo gli uomini di scienza; nel secolo XIX, la classe operaia; nel XX e tuttora, sta dando l’impressione di lasciarsi sfuggire – nell’ordine – i giovani e le donne. Profezia «ex eventu» o semplice generalizzazione, l’affermazione risulta più certa del suo contrario. In ogni caso, qui c’interessa ripercorrere la storia – per recente che sia, come lo è nel caso della pastorale giovanile – per comprendere un po’ meglio il presente e, soprattutto, rendere possibile un nuovo futuro.
    E allora, diamo un’occhiata al panorama della pastorale giovanile spagnola.[3] La prima cosa che risalta, da un lato, è la scarsità di dati e analisi – aspetto questo comune, sfortunatamente, allo sviluppo storico della pastorale giovanile –; dall’altro e nel caso della Spagna, il fatto che la pastorale diocesana o parrocchiale e quella proposta nei movimenti e istituzioni religiose camminano separatamente. Per quanto riguarda il primo aspetto, tenteremo di raggruppare gli elementi più rilevanti; escludiamo di accentrarci, per quanto riguarda il secondo, sui progetti di pastorale giovanile proposti da diverse congregazioni religiose. Benché siano stati indubbiamente i motori fondamentali della pastorale giovanile in Spagna, concentrarci su di essi ci condurrebbe a illustrare il panorama senza tuttavia chiarirlo, dal momento che, in fondo, non sono riusciti a penetrare in ogni Chiesa locale né a risvegliare la sensibilità collettiva delle diocesi.

    Azione Cattolica e pastorale giovanile

    Ci limitiamo ad alcuni margini temporali molto precisi entro cui si colloca la pastorale giovanile spagnola in quanto tale: dalla fine degli anni ’60 del secolo scorso fino ai nostri giorni. Il termine di quel decennio veniva segnato dalla conclusione del concilio Vaticano II e, in Spagna, dalla profonda crisi che angosciava i diversi gruppi dell’Azione Cattolica. Era precisamente l’Azione Cattolica che, in quegli anni e da molto prima, orientava la quasi totalità della pastorale giovanile diocesana. Ripassiamo un po’ la storia della crisi.
    Corre l’anno 1962. Nella primavera si succedono in Spagna diversi scioperi che vedono una presenza massiccia di militanti cristiani.
    Nel 1963, il quotidiano Pueblo accusa la Hoac (Hermandad de Obreros de la Acción Católica – Fraternità Operaia di Azione Cattolica) di essere un sindacato cristiano clandestino; nello stesso tempo si taccia l’Azione Cattolica di «anacronismo clericale». Molteplici cambiamenti all’interno di quest’ultima tendono a negare con fermezza tale accusa.
    Verso il 1966 la situazione comincia a diventare esplosiva. Dal 9 al 12 giugno di quell’anno si celebrano le «VII Giornate Nazionali dell’Azione Cattolica». Sono le prime dopo il Concilio. Vi assistono cinque vescovi e bisogna chiudere le iscrizioni. Le giornate si trasformarono in uno spazio pubblico dove affermare la responsabilità del laicato, fondarla teologicamente e legittimarla a partire dal Vaticano II.
    Si formula una richiesta per istituzionalizzare il dialogo gerarchia-laici. In poco tempo incomincia a delinearsi la risposta da parte dell’episcopato. In luglio, appena un mese dopo, si riunisce l’Assemblea Plenaria dello stesso episcopato per fissare le norme secondo cui devono svolgersi le riunioni nazionali dei movimenti apostolici; infine, in vista di ciò che la gerarchia ecclesiastica considera nuovi «problemi dottrinali e pratici», i vescovi pubblicano nel 1967 quello che venne chiamato «il decretone», cioè il documento sull’«Aggiornamento dell’Apostolato Laicale in Spagna» – Actualización del Apostolado Seglar en España (AASE), cui seguì la destituzione di tutti i consiglieri nazionali più significativi dei diversi gruppi di Azione Cattolica e la conseguente dimissione in massa del resto dei dirigenti laici.[4]
    L’ AASE dava un carattere ufficiale al conflitto, rendendo pubblica la rottura. Definiva un nuovo terreno di gioco per l’Azione Cattolica: a partire da allora si sarebbe dovuta limitare all’evangelizzazione, alla santificazione e alla formazione cristiana delle coscienze (AASE 6); lasciando da parte l’opzione su materie opinabili e dedicandosi a diffondere fedelmente i principi, gli orientamenti e gli insegnamenti della gerarchia sull’ordine temporale (AASE 7). Perciò, si definisce strettamente una duplice struttura: i «cappellani-consiglieri», come rappresentanti dell’autorità pastorale della gerarchia (AASE 8), e un organismo censore che garantisca sull’orientamento delle pubblicazioni (AASE 11).
    Dopo quel documento, dirà Cristobal Robles – Consigliere Nazionale della JEC (Gioventù Studentesca Cattolica) alcuni anni dopo la crisi –, «i fatti si succedono nella linea di ostacolare e, infine, negare qualunque possibilità di dialogo. Dovettero essere dure le condizioni venutesi a creare quando tutto sembra un susseguirsi di errori su errori.[5] Il cardinale Tarancón confessa quello che fu un elemento chiave del conflitto: «Tutti noi vescovi spagnoli avevamo accettato di cuore la dottrina conciliare, ma senza peraltro avere compreso le conseguenze importanti che da essa derivavano in questo campo dell’azione ecclesiale dei laici. Non sapevamo, inoltre, come avremmo potuto applicare alcune delle sue indicazioni, specialmente quelle contenute nella costituzione dogmatica Lumen gentium, soprattutto il capitolo sul Popolo di Dio...; la costituzione Gaudium et spes, che si scontrava praticamente con la realtà religioso-politica spagnola..., e la Dignitatis humanae, per il principio della libertà religiosa che era in effetti una dura critica contro la posizione che la Chiesa in Spagna aveva sempre mantenuto».[6]
    Non possiamo dimenticare la dinamica ideologica e politica di quel periodo, cioè la dittatura franchista, in buona misura riconosciuta e appoggiata dalla Chiesa. D’altra parte, quelle risoluzioni dell’Assemblea Plenaria dell’Episcopato Spagnolo del 1967 furono seguite da vicino dalla stessa Santa Sede e proprio Paolo VI si lamentò di quanto stava succedendo.[7]
    Le conseguenze della crisi trasformano in un deserto pastorale – per quanto riguarda l’ambito giovanile – il decennio degli anni ’70. L’Azione Cattolica non si porrà affatto il problema e i vescovi non toccheranno il tema della pastorale giovanile, se escludiamo i riferimenti indiretti che appaiono in documenti catechetici. Cambierà il panorama grazie al risveglio e allo sviluppo di una gran quantità di gruppi giovanili che sorgono nell’ambito di diverse congregazioni religiose e di vari movimenti.[8]

    (Ri)strutturazione della pastorale giovanile

    I fatti successivi più importanti si snodano attorno ad alcuni eventi di seguito ricordati. Innanzitutto, dopo il Sinodo del 1974 e la pubblicazione dell’Evangelii nuntiandi, si cercano ovunque formule nuove per superare l’isolamento pastorale dei giovani. Si succedono riunioni e incontri di ogni tipo. I vescovi annunciano che dedicheranno un’Assemblea Plenaria per riflettere sulla situazione della gioventù rispetto alla Chiesa e riproporre la pastorale giovanile (di fatto, la promessa non arriverà a realizzarsi, e tale plenaria dedicata ai giovani non avrà mai luogo né, fino ad oggi, è stata riproposta).
    Quell’assemblea non nata, tuttavia, come felice risultato provocò tutto un movimento collaterale. Alcuni frutti: il dossier «Gioventù 1975», affidato all’Istituto Calasanzio di Scienze dell’Educazione, che offre una panoramica ampia della situazione della gioventù in relazione alla Chiesa, e l’Incontro di Valencia-75 che riunisce esperti, delegati delle diocesi (40) e diversi vescovi (7). La riunione prende atto dell’abbandono di fatto e della lontananza dei giovani dalla Chiesa-istituzione, così come della problematica che richiede un autentico lavoro pastorale nel mondo dei giovani, suggerendo una gran quantità di proposte per «mettersi in cammino». Infine, l’incontro termina facendo appello alla conversione rispetto al modo di agire con i giovani: «bisogna servire la gioventù – si afferma testualmente – e non servirsi di essa».[9] La prima risposta alle proposte di Valencia consistette nell’iniziare il coordinamento della pastorale giovanile da parte della Conferenza Episcopale, che sfociò nella creazione, nel 1978, della Sottocommissione della Gioventù all’interno della Commissione Episcopale dell’Apostolato Laicale.
    Tra il 1978 e il 1980, questa sottocommissione porta avanti una serie di iniziative attraverso cui redige il documento intitolato «Una experiencia de Pastoral Juvenil» (Un’esperienza di Pastorale Giovanile) – che non mutò mai il suo aspetto iniziale di ciclostilato –.[10] È un testo prolisso, senza uniformità terminologica e molto eterogeneo, ma è specificamente il primo dedicato alla pastorale con i giovani e, inoltre, nasce dall’insieme delle esperienze che allora si vivevano nelle diverse diocesi spagnole.
    Sono momenti di grande ebollizione di iniziative, tutte tese a (ri)strutturare la pastorale giovanile: nei successivi incontri di Los Negrales (Madrid), El Escorial ed Avila si va profilando il progetto-quadro di pastorale giovanile, la cui prima bozza costituisce il testo al quale ci riferivamo nel paragrafo precedente; praticamente in tutte le diocesi continuano a sorgere le Delegazioni Diocesane o Segretariati di Gioventù, coi loro rispettivi delegati.[11] A partire dalla fine degli anni ’70 si moltiplicano anche i progetti di pastorale giovanile diocesani.[12] Per la maggior parte, anche se in misura differente, hanno come base gli orientamenti o le linee concrete del «progetto salesiano di pastorale giovanile» e schemi di catechesi applicati alla gioventù. Contengono inoltre un miscuglio di elementi contenuti nel documento della Sottocommissione della Gioventù: alcuni parlano di progetto, altri di proposta, altri ancora di linee, altri di chiavi o di esperienze; qui si tratta di opzione pastorale, lì di atteggiamenti... È certo un decisivo passo in avanti, benché non siano pochi i rischi che si corrono «copiando testi» senza assumere la mentalità che essi comportano. I progetti... delineano con attenzione e aumentano a dismisura i riferimenti normativi – non solo quelli provenienti dalla gerarchia, ma anche quelli derivati dalla Scrittura –: accentuano i contenuti teologici, orientati prevalentemente verso il cosiddetto slancio missionario della pastorale giovanile, l’ispirazione catecumenale e l’aspetto comunionale, ma risultano indefiniti e confusi nella loro articolazione; non situano chiaramente gli obiettivi e gli itinerari con i loro corrispondenti processi metodologici, mentre predomina una certa ottica «funzionalista» dell’educazione (sempre unita al ritornello «al servizio di»...); vengono inclusi solo dettagli di programmazione e non sono concretizzati criteri e modelli di valutazione.
    Le parole del Congresso su Evangelizzazione e uomo di oggi (1985), la più viva e partecipata delle assemblee nazionali della Chiesa spagnola del postconcilio, esprimono insuperabilmente la conclusione della questione: «La Chiesa non ha fatto l’opzione per i giovani. E, soprattutto, i giovani percepiscono un’immagine di Chiesa che essi respingono....».[13] La denuncia non entrò in nessun elenco di priorità, ma rimase nel testo delle relazioni. Nella stessa direzione, i vescovi – personalmente o collettivamente – poche volte hanno parlato esplicitamente dei giovani e di pastorale giovanile. La loro voce e il loro magistero, al riguardo, si levano quasi sempre «in occasione di» – in occasione di messaggi, allocuzioni o esortazioni –: ci si riferisce ai giovani e alla necessità della pastorale giovanile in occasione della Giornata del Seminario, della Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni o di quella dedicata all’Azione Cattolica; allo scopo di «risvegliare nuove vocazioni», di «promuovere un laicato adulto», o cose di questo genere. È curioso constatare la profusione di inchiostro con cui ecclesiasticamente si accoglie l’Anno Internazionale della Gioventù (1985) o l’emotività che permea l’«Esortazione pastorale dei Vescovi spagnoli in occasione della IV Giornata Mondiale della Gioventù (Santiago, 1989) e la visita del Papa»; alla fine, sembrano voler dire: «Abbiamo riconosciuto che i giovani sono essenziali per la Chiesa, in seguito parleremo direttamente con essi; per di più, da poco siamo stati insieme a Santiago e... con il papa presente! Che cosa ci si può chiedere ancora?.[14]

    TEMPO PER CERCARE E PER PIANTARE

    Il tempo della ricerca, nonostante tutto, continua a dare i suoi frutti. Soprattutto due: in primo luogo il testo della Conferenza Episcopale Spagnola che delinea gli «Orientamenti per la pastorale giovanile» [OPG] (Orientaciones sobre Pastoral de Juventud), con cui si chiude il periodo della ricerca finora descritto; il secondo, la pubblicazione del «Proyecto-marco de Pastoral de Juventud» [PqPG] (Progetto-quadro di Pastorale Giovanile) – con il suggestivo titolo «Giovani nella Chiesa, cristiani nel mondo» – documento della Commissione Episcopale dell’Apostolato Laicale, che pone le basi per un nuovo futuro della pastorale giovanile in Spagna.[15]
    Commentiamo brevemente entrambi i documenti che sono, senza dubbio, la migliore espressione dell’identità attuale della pastorale giovanile: essi ci permettono di riconoscerne sia gli indubbi aspetti positivi sia quelli problematici, e nel contempo contengono una promettente dose di prospettive nuove per il futuro.[16]

    Orientamenti per la pastorale giovanile (OPG)

    Si tratta del primo documento di pastorale giovanile che porta la firma della Conferenza Episcopale Spagnola e che viene approvato in una Assemblea Plenaria (LV) della medesima. Il testo dei vescovi intende fissare le linee fondamentali per elaborare un progetto-quadro per la chiesa in Spagna e si struttura attorno a quattro nuclei fondamentali: fondamento e opzioni, elementi del progetto, profilo dell’animatore e linee operative per lo sviluppo degli orientamenti.
    Anzitutto, il testo definisce la pastorale giovanile – articolata attorno ai poli della salvezza-liberazione, la comunità cristiana e i giovani – come «tutta quella presenza e tutto un insieme di azioni attraverso cui la Chiesa aiuta i giovani a interrogarsi e a scoprire il senso della propria vita, a scoprire e ad assimilare la dignità e le esigenze dell’essere cristiano; propone loro le diverse possibilità di vivere la vocazione cristiana nella Chiesa e nella società, e li anima e accompagna nel loro impegno per la costruzione del Regno» (OPG 15). Questa palese complessità redazionale forse rispecchia soltanto problemi sintattici, anche se sarebbe stato più chiaro identificare il soggetto con le comunità ecclesiali e riferire il complemento oggetto alla salvezza-liberazione.

    Giovani, educazione, fede e Chiesa

    Queste parole ci permettono di sottolineare i contributi più preziosi del documento.
    Giovani ed educazione: da una parte, il punto di partenza della pastorale giovanile non può che situarsi nella loro vita (OPG 9) e deve svilupparsi in una maniera «adeguata alla concreta e diversa situazione dei giovani nei vari ambienti e occupazioni» (OPG 28); dall’altra, si intende che la pastorale giovanile possiede «una chiara dimensione educativa» (OPG 16).
    Così una pastorale «autenticamente evangelizzatrice», della quale parla il documento, evangelizzerà anche la Chiesa e ogni comunità cristiana, permettendo che i giovani siano parabola vivente, sfida e kairòs che muove tutti ad accettare con forza nuova lo «scandalo» dell’Incarnazione. In numerosi passaggi si accenna alla dimensione educativa della pastorale giovanile come «processo attraverso cui la comunità cristiana guida e accompagna il giovane dalla sua situazione concreta fino alla piena maturità umana e cristiana» (OPG 33). In tale processo, si afferma lucidamente, «non esistono ricette, né soluzioni esterne. È il giovane che scopre la propria vita ed è quello il luogo in cui può incontrarsi con Cristo attraverso la fede» (OPG 33).[17]
    Fede e Chiesa. Anzitutto, e assieme alle opzioni segnalate in precedenza, i vescovi ne indicano altre due: l’integrazione di fede e vita (OPG 24) e il vincolare sia il coordinamento che l’articolazione alla «unità di missione» della Chiesa (OPG 27) sia alla «manifestazione effettiva della comunione» (OPG 26). In questa direzione, si mette in evidenza il «protagonismo e la corresponsabilità dei giovani in una Chiesa-comunione» (OPG 19-20) e la «opzione preferenziale per i poveri» (OPG 21).
    Molti altri elementi notevoli sono presente negli orientamenti (l’importanza dell’animatore, presenza attiva – non rifugio (OPG 18) – della Chiesa e dei giovani tra i giovani, accompagnamento pastorale e incontro con Cristo, il gruppo come mediazione privilegiata della Chiesa, ecc.), e meriterebbero un commento più dettagliato che esula dalle possibilità di questa riflessione.

    Due logiche ecclesiali e pastorali?

    Il documento non si sofferma a considerare né i segni che la Chiesa deve offrire né esplicita come incontrare ed essere credibile davanti ai giovani. Una nota critica si potrebbe dirigere a questa grave mancanza di «orientamento» concreto.[18]
    Esiste un ridotto gruppo di giovani identificati con una «definizione forte» di Chiesa; ci sono inoltre quelli, più numerosi, che diffidano e persino prescindono da essa.
    Qualche sociologo afferma che, in fondo, si tratta di due logiche ecclesiali diverse che hanno il corrispondente correlato negli stessi giovani: «Da un lato, una Chiesa incentrata su se stessa, nella ricerca e contemplazione di se stessa, scommettendo fortemente sui propri segni d’«identità differenziata» al proprio interno e nel mondo…; dall’altro una Chiesa che investe più sull’«entrare» nel mondo così com’è, a partire della sua originalità ecclesiale, disponibile ad arricchirsi e ad arricchire in questo rapporto…».[19]
    Per molteplici ragioni, questo scenario condiziona in grande misura lo sviluppo della pastorale giovanile. Tutto ciò risente di una «socializzazione cattolica» che raggiunge solamente i giovani praticanti e «di destra», ma risulta debole nel permettere loro un discernimento rispetto alla socializzazione religiosa non cattolica, che essi ricevono tramite un’altra serie di mezzi di socializzazione… Questo fa sì che molti di questi giovani diventino più creduloni che credenti.
    In realtà, assistiamo in Spagna ad un processo di «ricostruzione della dimensione religiosa» nei giovani che si realizza, in gran parte, attraverso le proprie elaborazioni «individuali e soggettive». Influiscono molto, tuttavia, anche altri due fattori: la trasmissione dei valori religiosi da parte della famiglia e il riferimento permanente che costituisce la «comunità ecclesiale».
    Siccome il ruolo religioso della famiglia attraversa un palese momento di crisi, rimane l’«immagine di Chiesa» come fattore determinante della cosiddetta ricostruzione. E tutti i dati, riguardo a quest’ultimo elemento, coincidono nell’affermare che i giovani s’imbattono in una Chiesa dove predominano gli aspetti istituzionali e prevale dappertutto la sua struttura gerarchica.

    Il Progetto-quadro di Pastorale Giovanile (PqPG)

    Il Progetto-quadro di Pastorale Giovanile (PqPG) Giovani nella Chiesa, cristiani nel mondo è il frutto della lunga storia commentata sopra. Fu redatto prima che apparissero i citati Orientamenti,[20] vi furono quindi apportati gli opportuni ritocchi per adeguarlo ad essi. Il suo impianto è chiaro, concreto e molto adatto nell’intessere i contenuti. Quattro sono i nuclei fondamentali del progetto (PqPG 15-16):
    – Punto di partenza: «la situazione concreta dei giovani a cui ci rivolgiamo nella nostra azione evangelizzatrice».
    – Punto di arrivo: «l’obiettivo finale del progetto pastorale che iniziamo con i giovani» è quello di integrare fede e vita dentro la comunità cristiana.
    – Itinerario educativo per «intrecciare coerentemente il punto di partenza con l’obiettivo», dove hanno un ruolo rilevante gli animatori, e deve attuarsi attraverso la pedagogia pastorale e una metodologia attiva.
    – Opzioni: presenza della Chiesa tra i giovani, protagonismo giovanile, opzione preferenziale per i poveri, spiritualità che integra fede-vita, pastorale giovanile articolata.
    Il collegamento di tutto ciò si realizza attraverso la triplice struttura con cui deve funzionare un vero progetto di pastorale: analizzare la situazione, fissare le opzioni in funzione della stessa e concretizzare linee di azione-intervento specifiche. A dispetto di questa chiarezza e concretezza, il testo si complica superfluamente in una redazione dove appaiono numerose ripetizioni e sovrapposizioni, con una certa carenza di armonia e di sistematizzazione interna. Nonostante tutto e date le circostanze che accelerarono la sua pubblicazione, costituisce una buona piattaforma di lancio per la pastorale giovanile. «Non è qualcosa di definitivo» (PqPG 14), dice di se stesso, e dovrebbe suscitare la pubblicazione di altri progetti particolari che, in definitiva, conducano ad una nuova rielaborazione di Giovani nella Chiesa, cristiani nel mondo. Tale compito può contare su un lungo cammino già avviato, quello dei numerosi gruppi di giovani, delegati diocesani di pastorale giovanile e animatori che scrissero Un’esperienza di Pastorale Giovanile (Valencia, 1975) – a cui ci siamo riferiti precedentemente – e fecero sì che questa ulteriore redazione come «progetto-quadro» si situasse nella prospettiva «comunitaria, corresponsabile e missionaria», scommettendo più su una Chiesa in sintonia con la società attuale e, soprattutto, coi giovani; spingendo verso una pedagogia e metodologia attive e liberatrici; camminando con animatori testimoni della loro fede in mezzo ai giovani, gomito a gomito nel cammino e con gli impegni di tanti gruppi giovanili.

    Pastorale giovanile come «processo educativo»

    Il PqPG affronta sicuramente la situazione dei giovani rispetto alla fede, alla religione e alla Chiesa. Insieme a questo, gli altri aspetti più positivi sono: aver fissato opzioni per articolare i processi educativi e la presenza dei giovani nella comunità cristiana; aver delineato a grandi linee gli itinerari, vincolati all’opzione per una «pedagogia attiva e liberatrice» – positivamente allacciata alle dinamiche di gruppo – e l’attenzione prestata agli animatori.
    Sebbene la descrizione della situazione dei giovani risulti un poco disarticolata (I parte), così come gli obiettivi e opzioni (II e III parte) corrono il rischio di confondersi con un indefinito «insieme di massime pastorali» (basti segnalare che l’integrazione fede-vita si articola attorno a queste due chiavi: 1/ «Dio, il Padre rivelato nel suo Figlio Gesù Cristo, nucleo centrale della nostra fede»; 2/ «La Chiesa, come riferimento comunitario per la nostra vita cristiana»), l’«itinerario educativo» (IV parte) – vero nucleo del documento – apporta una coerenza consistente a tutto il PqPG, di modo che, se si fosse scelta una sintesi dei suoi contenuti per formulare tanto i criteri come le opzioni, il progetto-quadro risponderebbe in realtà al contenuto di entrambe le espressioni e costituirebbe un tutto armonico, perfettamente disposto per l’elaborazione dei progetti particolari. L’itinerario o processo evangelizzatore, pur mantenendosi nella classica divisione tripartita delle tappe (missionaria, catecumenale e pastorale), apporta una rilettura suggestiva delle stesse, alla luce della situazione attuale dei giovani: il momento missionario interpretato come ricerca del senso della vita per accogliere la proposta cristiana e i suoi diversi momenti; il catecumenale, come iniziazione alla vita cristiana e apertura ai differenti aspetti dell’impegno – corrispondente alla tappa pastorale – nella comune missione dei cristiani.
    Le parti V e VI trattano, rispettivamente, degli animatori di pastorale giovanile e della pedagogia pastorale e metodologia attiva come stile di tutto un progetto di evangelizzazione. Nella stessa linea della parte precedente, viene presentata una redazione più curata e si offre una prospettiva globale coerente, pensando bene di dedicare un capitolo al tema degli animatori – per sottolineare la loro importanza, oltre a tracciare un profilo della loro identità, i processi di formazione, ecc. – e sottolineando l’opzione per una pedagogia participativa e creatrice di comunità.

    A metà strada tra la catechesi e la pastorale

    Ciononostante, il PqPG continua a non risolvere alcuni dei punti interrogativi più abituali della pastorale giovanile in Spagna: inesistenza di criteri teologici specifici – suppliti da ampi elenchi di «massime pastorali», quando non di esposizioni dottrinali proprie dei trattati di dogmatica –, incongruenza rispetto a che cosa si intende e come deve realizzarsi l’integrazione di fede e vita, definizione di una «spiritualità» che difficilmente può intendersi come «giovanile» e, infine, una preoccupazione «ecclesiocentrica» quasi ossessiva circa adesioni e appartenenze, intrecciate in una specie di «ecclesiologia psico-sociologica» che fa prevalere i «segni di Chiesa» al di sopra dei «segni del Regno».[21]
    Infine, Giovani nella Chiesa, cristiani nel mondo si situa nel mezzo di due punti che tocca quasi allo stesso modo: un piano di catechesi giovanile e un progetto di pastorale giovanile. Temi di catechesi sono, in particolare, gli sviluppi contenuti nelle parti II e III, sebbene la prospettiva catechetica predomini in tutto il documento, a volte, perfino al di sopra dello specifico di pastorale giovanile. Da qui la moltiplicazione e la conseguente indefinitezza di criteri teologici e opzioni. In un autentico progetto di pastorale giovanile, entrambi gli aspetti – insieme agli orientamenti metodologici – devono servire per confrontarsi con la situazione e formulare una linea chiara di «educazione alla fede» che permetta in verità l’annuncio della salvezza ai giovani: queste tre realtà sono quelle che certamente specificano che tipo di pastorale giovanile si pretende portare avanti. Per questa incongruenza, il progetto-quadro si colora di «schema catechistico». I criteri rimangono enunciati come semplici contenuti della fede, senza arrivare ad esprimere una gerarchia di verità e la loro traduzione nella vita pratica e nella relazione con i giovani.[22]

    A CONTRATTEMPO

    I brevi dati indicati, particolarmente i due ultimi documenti, riempiono di futuro la pastorale giovanile. Ma gli sviluppi posteriori non rispettano del tutto la semina, preferendo altre coltivazioni più primaticcie.
    Come dicevamo all’inizio di queste riflessioni, giovani e pastorale giovanile non hanno ancora trovato il loro posto nella Chiesa spagnola;[23] tuttavia, il tempo non è passato invano: quanto meno, tutti siamo meglio preparati per superare qualunque contrattempo.
    Ecco la strada: un quadro da comporre… in clima di contrattempo.

    Un quadro da comporre…

    Indubbiamente, la pastorale giovanile spagnola offre oggi un panorama ricco e plurale, strapieno di movimenti e gruppi di giovani. Le diocesi contano tanto su progetti propri come su un coordinatore di pastorale giovanile accompagnato, in non pochi casi, da una équipe in cui sempre sono presenti i giovani.[24] Ma persiste – e si amplia pure – una netta separazione tra i giovani e la Chiesa. Risalta immediatamente alla vista, per esempio, il declino della «socializzazione religiosa» e la progressiva diminuzione dell’appartenenza a «gruppi religiosi», essendo oggi un scarso 3,5% il numero di giovani che partecipa ad essi; d’altra parte, la Chiesa suscita a malapena interesse in mezzo alle nuove generazioni (in una lista di quattordici istituzioni, occupa l’ultimo posto e solo un 2,7% dei giovani spagnoli segnala la Chiesa nel momento di indicare dove si dicono cose importanti per orientarsi nella vita): cosicché ci troviamo davanti alla «prima generazione di giovani che non sono stati educati religiosamente», frutto della brutale accelerazione del cambiamento religioso in Spagna, ma effetto altrettanto collegato ad una specie di «perdita della realtà» da parte della Chiesa e dei suoi membri (per questo motivo, agli occhi dei giovani appare quale istituzione antica e passata, nella quale non trovano riferimenti attraenti…).[25]
    La risposta a problemi di questo genere si sta ora delineando, da una parte, nella spiegazione di cambiamenti come quelli segnalati in termini di «perdita» e, dall’altra, tornando a strategie di riaggregazione, pastorale di mantenimento e «ricostruzione catechetica» come cammino – si afferma dalle istanze ecclesiale più elevate – per tornar ad essere e a «fare veri cristiani». Non è strano, dunque, che la gerarchia ecclesiastica spagnola centri i problemi della pastorale giovanile sulle questioni di identità, confessionalità e presenza pubblica della Chiesa. Simile presa di posizione si vincola strettamente alle «Giornate Mondiali della Gioventù» che, a partire da quella di Santiago di Compostela del 1989, si considerano come una decisiva strada alternativa, così come suppongono un cambiamento di opzione e strategia: la Chiesa spagnola ha optato per i cosiddetti «nuovi movimenti ecclesiali», a scapito della fiducia accordata fino a non molto tempo fa alle congregazioni e istituti religiosi.
    In questo modo, si acutizza quello che forse è il problema capitale della pastorale giovanile spagnola: la sua pratica riduzione a «catechesi giovanile». Come indirettamente abbiamo già suggerito, anche questa sembra essere la ragione per cui né gli «orientamenti» né il «progetto-quadro» abbiano ottenuto un vero cambiamento di rotta. I miglioramenti conseguiti finiscono per riferirsi agli aspetti più esterni del tema – organizazzione, elaborazione di progetti diocesani a partire dal nazionale, scuole di pastorale giovanile, ecc. – anziché al nucleo dell’educazione alla fede. Perché di questo si tratta e in ciò risiede il midollo della sua identità-specificità: nell’intendere la pastorale giovanile come un cammino di «educazione alla fede» o un spazio pastorale nel quale educazione e fede sono allo stesso modo fondamentali, senza che usiamo la prima come un semplice strumento in mano alla seconda, è necessario prima intrecciarli profondamente in processi di «mutua implicazione».
    In questo senso, risulta sufficientemente chiaro che il «nucleo problematico» della pastorale giovanile è, essenzialmente, ermeneutico-educativo: da una parte, la «frequenza d’onda» della vita dei giovani non riesce a captare quella dell’amore e delle parole di Dio; dall’altra, ci troviamo con una comunicazione così piena d’interferenze, rumori e distorsioni… che né la Chiesa arriva a capire i giovani, né essi si connettono con la vita e il messaggio ecclesiale. R. Tonelli ha fatto un’acuta analisi del tema, considerando i legami tra la rivelazione e la cultura, i disturbi nella comunicazione sul piano del rapporto intersoggettivo, del messaggio, dell’intenzionalità, dello strumento espressivo e sul piano della contestualità. Giustamente, egli considera che «la sfida a cui la pastorale è chiamata a dare risposta, assume il tono inquietante dell’interrogativo che sta alla radice della crisi attuale dell’esperienza religiosa: si può amare questa vita e sognare felicità in compagnia di tutti gli uomini, confessando contemporaneamente che Gesù è il Signore…?».[26]

    … in clima di contrattempo

    Ogni tempo è, anche, fuori tempo e contrattempo. Fuori tempo come cattivo tempo e come tempo inaspettato; contrattempo come perturbazione che, nonostante tutto, facilita un ritmo di ore cariche di vita nuova, di vita... a contrattempo!
    Contrattempo è il vangelo e a contrattempo ci tiene e ci terrà la «buona notizia». Un contrattempo di speranza fino a che si instauri nelle nostre vite il «regime del dono» (P. Ricoeur) e accogliamo il regalo dell’amore col quale Dio ci visita a tutte le ore.
    A contrattempo vivono i giovani che, disgraziatamente, son passati dal rappresentare l’immagine e la prefigurazione del futuro, ad offrirci il riflesso dei capricci socioeconomici e politici del presente.
    Nessuno voglia vedere, in quanto appena detto, un’immagine negativa o pessimista. Per questo viaggio non mancano bisacce. Il desiderio di entrare in dialogo con i giovani è presente in tutte le Chiese diocesane spagnole. In una gran maggioranza di esse si può già contare su programmi e iniziative in corso. Ma continua ad essere ridotto il gruppo di giovani coi quali si è in sintonia: a volte non si sa usare il linguaggio adeguato, altre volte mancano i segni che renderebbero possibile la credibilità e l’incontro; in non poche occasioni i giovani vivono nell’inganno di prendere la vita come spettacolo o sono catturati da risposte egoiste.
    Infine, i giovani sono come sono. La buona notizia non può essere altro che buona e notizia. Incominciamo, dunque, a non contraddire quest’ultimo dato. In e per Gesù di Nazaret la salvezza si è fatta carne, cioè non è caduta dal cielo, ma è posta (incarnata) negli aneliti e nei desideri profondi della vita dell’uomo. Continuiamo su questa strada: mai annunciarla indipendentemente da quegli aneliti e desideri che muovono la vita dell’essere umano in ogni momento.
    E… abbiamo un uomo e un giovane nuovi, una cultura e un linguaggio che poco ha a che vedere con la cultura e il linguaggio che veicolavano, fino ad ora, il messaggio cristiano. Questo sfasamento si concreta nell’allungamento delle distanze tra la fede espressa dalla Chiesa e le aspettative del sentimento religioso dei giovani, e nella svalutazione dell’immagine e della voce della Chiesa. Questa, ci ricorda l’Evangelii nuntiandi, deve interrogarsi costantemente se «è più o meno adatta per annunciare il vangelo e per inserirlo nel cuore dell’uomo con convinzione, libertà di spirito ed efficacia» (EN 4). I giovani di oggi ci spingono verso le intemperie, e dobbiamo accettare che non disponiamo di diagnosi prefabbricate. Niente può scusarci, allora, di non intraprendere compiti urgenti in relazione alla pastorale giovanile. Senza voler fare un elenco, eccone alcune.

    * Ogni comunità cristiana deve impegnarsi in un’attenzione costante verso l’uomo con uno sguardo permanente di simpatia verso il mondo. Tutti dobbiamo costruire una Chiesa dialogante e carica di gesti in questo senso, accogliente e abitabile; cioè, una Chiesa che ascolta, si lascia interrogare e aggiorna le sue strutture conformemente ai nuovi valori sui quali converge il compito comune dell’umanizzazione (leggasi solidarietà e multiculturalità, pluralismo e democrazia, uguaglianza della donna, pace ed ecologia...).

    * La teologia pratica o pastorale è digiuna di sviluppi specificamente pratici che facilitino il nuovo cristianesimo che richiede l’epoca attuale. La pastorale giovanile spagnola vive alimentata da pochi studi, senza riflessione costante, senza neanche una facoltà specificamente dedicata ad essa... Ristabilire la comunicazione Chiesa-gioventù, educare (educare-ci) e riformulare la fede in riferimento alla vita reale dei giovani e concretizzarla in una spiritualità nuova, rielaborare una pedagogia catechetica e biblica vicina al loro mondo, reinterpretare e sperimentare pastorali sacramentali alternative... non possono attendere né risolversi con la buona volontà e dedizione della gran quantità di animatori di pastorale in questo impegnati.

    * È necessario (ri)pensare e (ri)costruire con i giovani la fede e la religione, trasmetterle con un linguaggio nuovo e ristabilire, in definitiva, la comunicazione tra i giovani e la Chiesa. L’essere e sentire delle nuove generazioni non riconosce immediatamente il peso delle tradizioni; la loro fede si alimenta non tanto di dogmi o dottrine, quanto di forme e impulsi la cui radice risiede piuttosto nell’immaginazione, nei desideri e nei sentimenti personali…; col risultato che, in generale, abbiamo bisogno di una nuova educazione del senso religioso.

    Tutto ciò che discende dal sole è doppio: luce e ombra, giorno e notte, sonno e veglia, amore diviso. Non c’è un posto dove il cuore possa mettersi per intero. Ma non può essere che il cuore riposi, né si addormenti. A contrattempo dobbiamo essere instancabili cercatori di patria per i giovani, senza voler scacciare tutti i demoni, rischiando così di allontanare anche gli angeli; accettando pericoli e rischi, dato che solo in essi – come direbbe Rilke – si annida e affiora la salvezza. A contrattempo, dunque, vagabondi esternamente ma pieni di vita e fantasia all’interno, dato che… «niente è cattivo per l’uomo buono».

    NOTE

    [1] Cf J. González Anleo (Coord.), Jóvenes 2000 y Religión, Fundación «Santa María», Madrid 2004.

    [2] Lo stato della situazione è palpabile in cifre di questo tipo: nel 1960 si dichiaravano cattolici «praticanti» il 91% dei giovani spagnoli, il 45% nel 1994 e solo il 35% nel 1999; di fronte al 78% che affermava di credere in Dio nel 1981, ora lo fa il 65%; la pratica religiosa della gioventù è diminuita del 50% negli ultimi 15 anni e, attualmente, appena il 12% frequenta settimanalmente la Chiesa (cf, per questi e altri dati simili, J. Elzo et Alii, Jóvenes españoles ’99, Fundación «Santa María», Madrid 1999, 263-354; M. Martín Serrano-O. Valverde, Informe Juventud en España 2000, Instituto de la Juventud, Madrid 2001, 615 ss.; A. de Miguel, Dos generaciones de jóvenes 1960-1998, Ministerio de Trabajo y Asuntos Sociales/Instituto de la Juventud, Madrid 2000, 319-377).

    [3] Abbiamo trattato il tema della storia della pastorale giovanile in altri studi: cf, per esempio, J.L. Moral, Los jóvenes cristianos en la Iglesia de hoy, in Instituto Superior de Pastoral, La Iglesia y los jóvenes a las puertas del siglo XXI, Ed. Verbo Divino, Estella 2001, pp. 151-204; Id., Jóvenes en la Iglesia/1, «Misión Joven» 192-193 (1993), 27-33.

    [4] Cf J. Iribarren, Documentos de la Conferencia Episcopal Española. 1966-1983, Bac, Madrid 1984 (Comisión Permanente de la Conferencia Episcopal, Actualización del Apostolado Seglar en España, pp. 404-411; Id., La Iglesia y el orden temporal a la luz del Concilio, pp. 370-403; Id., La acción en la etapa postconciliar, pp. 359-370); Episcopado Español, Documentos del Episcopado Español, Edice, Madrid 1974, 320 ss.; F. Urbina, Reflexión histórico-teológica sobre los movimientos especializados de la Acción Católica, «Pastoral Misionera» 3-4 (1972), 268-363; P. Escartín, Veinte años de apostolado seglar asociado, in J.M. Laboa, El postconcilio en España, Encuentro, Madrid 1988, 313-350; J. Guerra, Crisis y conflicto en la Acción Católica española y otros órganos nacionales de apostolado seglar desde 1964. Documentos, Adue, Madrid 1989; Equipo «Pastoral Misionera», Jerarquía y apostolado seglar en España, «Pastoral Misionera» 4 (1967), 75-87; Id., Jerarquía y apostolado seglar en España, «Pastoral Misionera» 3 (1969), 76-98.

    [5] C. Robles, Los movimientos, una experiencia de frontera llamada a crecer, «Sal Terrae» 4 (1976), 253.

    [6] V. Enrique y Tarancón, Confesiones, Ppc, Madrid 1996, 327-329.

    [7] Cf V. Cárcel, Pablo VI y España, Bac, Madrid 1967, 883-890.

    [8] Jesús Mairal, allora direttore della rivista di pastorale giovanile «Misión Joven», lanciava dalle pagine della rivista il suo «aspettano risposte», titolo di un editorale che conteneva affermazioni di questo tipo: «Per la sua trascendenza e gravità, per essere il campo prioritario della nostra missione e perché sentiamo il dovere di ricordare costantemente a tutti i quadri dirigenti della Chiesa questa preoccupazione essenziale, abbordiamo il tema delle risposte che aspettano i giovani, frequentemente dimenticati in quasi tutti i livelli decisionali, e quelli ecclesiali non fanno eccezione». Lanciamo un appello cordiale all’«esodo», a sapere «uscire» da posizioni o criteri facili, comodi o abitudinari, nelle nostre programmazioni, linee e organi di decisione, e nelle susseguenti verifiche periodiche. La cosa più tragica per un pastore – e ancor più per un pastore di giovani – è perdere il contatto con la realtà, con i propri destinatari: non adattarsi, non essere flessibile, non avere quel senso della provvisorietà, all’interno di una meta di «fedeltà dinamica», che è quella che trasforma i propri sforzi e fatiche in autentico servizio creativo, in atto continuo di amore efficace, con quell’efficacia tipica degli uomini che hanno scoperto e vivono a fondo la speranza cristiana («Misión Joven» 5-6 (1977), 3-4.

    [9] Comisión Episcopal de Pastoral, Reunión de Delegados de Juventud en Valencia. Comunicado, «Ecclesia» 1.751 (1975), 982. Cf D. de Pastoral-I. Calasancio de Ciencias de la Educación, Juventud española 1975, Secretariado Nacional de Catequesis, Madrid 1975.

    [10] Cf Subcomisión de Juventud de la Comisión Episcopal de Apostolado Seglar (CEAS), Una experiencia de pastoral juvenil, Secretariado de la CEAS, Madrid 1983 (ciclostilato).

    [11] Cf Ibíd., pp. 44-92.

    [12] Cf A. Martínez, Pastoral Juvenil Diocesana. Estudio de documentos de las Iglesias locales, Ccs, Madrid 1993.

    [13] Cf Comisión Episcopal de Apostolado Seglar, Mensaje a los jóvenes con motivo del Año Internacional de la Juventud, «Boletín Oficial de la Conferencia Episcopal Española» 8 (1985), 182-183; Conferencia Episcopal Española, Exhortación pastoral ante la Jornada Mundial de la Juventud y la visita del Papa, «Boletín Oficial de la Conferencia Episcopal Española» 23 (1989), 112-113; H. Otero, Los jóvenes en Santiago. Claves y características, «Misión Joven» 153 (1989), 5-14; Id., Los jóvenes después de Santiago, «Misión Joven» 153 (1989), 67-78.

    [14] Cf Conferencia Episcopal Española, Orientaciones sobre Pastoral de Juventud, Edice, Madrid 1991; Comisión Episcopal de Apostolado Seglar, Jóvenes en la Iglesia, cristianos en el mundo. Proyecto-marco de Pastoral de Juventud, Edice, Madrid 1992.

    [15] Abbiamo scritto diversi commenti al riguardo: cf, per esempio, J.L. Moral, Gli «Orientamenti»: un commento, «Note di Pastorale Giovanile» 8 (1993), 48-51; Id., Orientaciones de la Conferencia Episcopal sobre Pastoral Juvenil, «Misión Joven» 181-182 (1992), 45-48; Id., Jóvenes en la Iglesia (1 y 2), «Misión Joven» 192-193 (1993), 27-33 e 194 (1993), 49-55.

    [16] La dimensione educativa esigerà, afferma anche il documento, una particolare attenzione alla pedagogia del processo evangelizzatore e alla metodologia e agli ambiti della formazione (OPG 37; 41 ss.) – come il sociale e il politico (OPG 23) – e ad impegni come quello legato all’opzione del volontariato (OPG 23), ecc.

    [17] Da un lato, gli «Orientamenti», alla fin fine, sembrano troppo generici… (alle volte basterebbe cambiare la parola «giovane» per quella di «adulto» e si potrebbe avere un altro documento intitolato: «Orientamenti per la pastorale degli adulti»). Dall’altro, anche se si parla della «logica dell’Incarnazione» (OPG 18), non appare sufficientemente postulata come criterio e chiave delle opzioni fondamentali che devono guidare ogni progetto pastorale.

    [18] Elzo, Aspectos de la religiosidad de los jóvenes, «Documentación Social» 124 (2001), 97-112 (aquí, p. 109).

    [19] Dopo la pubblicazione degli Orientamenti vi fu una certa fretta affinché venisse pubblicato il «progetto-quadro», e non vi fu altro da fare se non lasciare come base il «Progetto di Pastorale Giovanile» che, a partire dall’elaborato nell’Incontro di Valencia («Un’esperienza di Pastorale Giovanile») era oggetto di analisi in molti incontri di Delegati Diocesani di Pastorale Giovanile. Ciò fa sì che il testo si situi a metà strada tra quello che sarebbe un progetto in quanto tale e un piano di catechesi giovanile.

    [20] Bastino questi esempi: «Questa comunità (la Chiesa) lontano dal risultarci caduca o irrilevante suscita in noi un alto livello di stima. Alla stima va unita la fiducia nella sua competenza e nella sua onestà. […] La fiducia si intreccia con l’affetto. […] Tutti questi elementi… costituiscono un’adesione robusta…» (PqPG 33-34); «Credere nella Chiesa significa credere in Dio che ci rivela ciò che essa è» (PqPG 36); «I credenti riceviamo la salvezza non solo nella Chiesa, bensì dalla Chiesa e per la Chiesa (PqPG 37).

    [21] Richiama l’attenzione, al riguardo, la gran quantità ed estensione di citazioni testuali di documenti del magistero… Una di esse risalta particolarmente, quella che definisce la spiritualità giovanile attraverso gli «elementi più genuini della fede cristiana» (PQPG 59): tratti dagli Orientamenti sulla Pastorale Giovanile, i dieci punti genuini di questa spiritualità non concordano né realizzano la bella traduzione che lo stesso documento propone riferendosi alla «tappa catecumenale» (cf PQPG 78; 82 ss.).

    [22] Cf come evidenziazione dei sintomi o analisi di questa mancanza di una posizione dei giovani nella Chiesa: C. Floristán, Cara y cruz de los jóvenes en la parroquia, «Vida Nueva» 1486-1487 (1984), 56-59; J. González-Anleo, ¿Una Iglesia irrelevante para la juventud actual? Sugerencias desde la sociología a la Pastoral Juvenil, «Sal Terrae» 4 (1999), 309-319; J.L. Moral, ¿Alejados o nos alejamos? Reconstruir con los jóvenes la fe y la religión, «Misión Joven» 281 (2000), 15-25; Id., «Identidad creyente» de los jóvenes españoles, «Misión Joven» 290 (2001), 5-14; Id., Jóvenes cristianos: retrato con fondo, «Misión Joven» 300-30 1 (2002), 5-32/49-59.

    [23] Cf A. Martínez, Pastoral Juvenil Diocesana, o.c.

    [24] Cf J. Elzo et Alii, Jóvenes españoles ’99, o.c., pp. 57-80, 263 ss., 294-307 y 312-321.

    [25] R. Tonelli, Per la vita e la speranza. Un progetto di pastorale giovanile, LAS, Roma 1996, 58; e cf pp. 43-58.

    [26] Ib.


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