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    Introduzione al dossier: «Emozioni, sentimenti e pastorale giovanile»


     


    (NPG 2005-02-3)

    “Chiamale se vuoi... emozioni”.
    Quale educatore, di fronte al complesso mondo interiore dei giovani, non avverte l’importanza e il peso – presso i giovani stessi – della componente emotivo-affettiva che accompagna vissuti, comportamenti, scelte non solo quotidiane ma anche vocazionali?  Ma il vocabolario non aiuta a comprendere quel magma interiore, e anzi tende a conformare tutto, a definirlo sotto il termine di “emozione” che – alla fine quasi per definizione – sottrae tutto quel vissuto alla sua comprensione razionale e ad un possibile indirizzo pedagogico (e ancora più pastorale). Questo dossier parla della vita “interiore” degli adolescenti e dei giovani, tenta di gettare reti concettuali di comprensione (sia in termini sociologici che pedagogici e teologici) per offrire agli educatori la possibilità di capire e agire meglio.  Siamo d’accordo con Galimberti quando afferma che tutto il bagaglio della vita interiore, della forza emotiva del vissuto e dei sentimenti degli adolescenti e dei giovani, sono materia che resta perlopiù sconosciuta e di fronte a cui l’intento pedagogico si arresta, mentre invece avrebbe maggior bisogno di compagnia e di guida educativa. Presentiamo in queste note di introduzione il cammino che abbiamo seguito in redazione per arrivare al dossier così come è stato strutturato.

    La situazione

    Nel mondo dei giovani appare evidente la grande rilevanza della sfera emozionale-affettiva, sia nell’ambito personale e relazionale, sia nelle scelte di azione e di vita. Ma nello stesso tempo vi è povertà di un linguaggio per dirla, per distinguerla, per interpretarla. Appare dunque grande la diversità dal mondo degli adulti, che hanno appreso a vivere in una modalità di “controllo” delle emozioni (e a volte risultano incapaci di comprendere e accostarsi a tale mondo dei giovani. La stessa cultura mediata dai mass media tende a parlare a e formare essenzialmente l’homo sentiens, con il rischio di accedere a una visione antropologica di tipo biologico, in cui sotto le emozioni c’è il nulla: emozioni senz’anima. La stessa esperienza religiosa è valutata in base al “sentire”, all’emotività, al calore: “Dio esiste, io l’ho incontrato!”. Ci sono forme religiose in cui tale dimensione è accolta e riconosciuta, e talora predominante (cf la religiosità popolare). D’altra parte molta dell’educazione religiosa ricevuta (a parte la fanciullezza) sembra più sul versante dei contenuti da apprendere razionalmente che dell’esperienza che scalda il cuore... E la stessa pastorale giovanile corre il rischio di puntare le sue carte su eventi dove gioca solo l’emozione e l’appartenenza, sapendo che così può raggiungere le grandi masse e giovani che diversamente non si riuscirebbe a contattare.  Appare dunque evidente l’ambiguità della situazione e la sfida: la forza dell’emotività nella vita delle persone (rispetto all’apatia), e la sua potenzialità in campo educativo e religioso; e il rischio di una prigionia nell’emotività, nel narcisismo, nel consumo di esperienze di questo genere. È necessario superare l’empasse di un dualismo, di un misconoscimento della realtà multidimensionale dell’umano. Ciò tocca anche l’educazione alla fede.

    Un orizzonte di comprensione

    Pensiamo fondamentalmente a due orizzonti di comprensione.  
    Il primo è di tipo antropologico. Ciò implica la possibilità di riconoscere la differenza tra i vari concetti che entrano in gioco, tra emozioni (il puro reagire di fronte all’impatto con la realtà), sentimenti (l’interpretazione di senso di tali emozioni), desideri (il prolungamento nel tempo)...  Il sentimento come “sentirsi vivi”, come l’insieme degli affetti, come il sentimento del sé... E poi il riconoscerne la complessità: la compresenza nell’umano di emotività e razionalità, di sentire e agire, di cuore e mente..., di vie razionali e vie emotive per il raggiungimento di obiettivi.
    Il secondo orizzonte è quello teologico: la fede è la compresenza di ineffabile-mistero e di “detto”, ai vari livelli della percezione e comprensione umana. Nella comunicazione della fede occorre poi anche considerare la coniugazione di elementi razionali ed elementi emotivi nell’atto di fede, la sottolineatura di aspetti che puntano sul piacere, sulla bellezza, sull’estetica sia nella liturgia che nella stessa esperienza religiosa; il bisogno di un’esperienza “bella” nel vivere la fede, nel dirsi della fede; gli aspetti del “cuore” e del sentimento.  Quanto conta e interessa l’emotività, il sentimento nell’esperienza della fede e nella stessa “comprensione” razionale”-teologica della fede? Il tema della bellezza, la mistica, non aprono la via a una dimensione più “emotivamente vissuta” della fede?

    Per un’integrazione dell’emotività nell’orizzonte della persona

    Se emozione è la risposta “biologica” all’impatto con le cose (esperienze), e sentimento è la interpretazione “di significato” dell’emozione stessa, la domanda è come i giovani sanno interpretare (e nominare) le loro emozioni e se hanno gli strumenti per operare questo passaggio, per passare dall’epidermico al profondo, dall’essere vissuti al vivere, dal puro reagire alla comprensione. In effetti oggi si assiste a una stimolazione-esposizione eccessiva di emozioni, che per loro natura chiedono sempre di più. Emozioni che perlopiù passano attraverso un loro linguaggio particolare: l’immagine, la musica, le luci, il movimento... senza la parola. Il cammino educativo di integrazione deve dunque percorrere questo itinerario, ovviamente tenendo presente la crescita dei ragazzi e i diversi gradi di maturazione:
    – la verbalizzazione, la parola che attua una prima distanza critica dal vissuto, permettendo di riconoscerlo, di distinguerlo, di nominarlo, di raccontarlo, di condividerlo (dunque l’intervento della sfera razionale);
    – il linguaggio che permette tale distanziamento e “comprensione” ovviamente non è solo quello razionale, ma è anche quello del corpo che parla, che lancia messaggi perlopiù inascoltati (bisogni, sofferenze, paure, desideri...), il linguaggio del mimo...; – la capacità di selezionare gli stimoli che danno emozioni;
    – l’atteggiamento, le motivazioni, che non sono composti di pura razionalità, ma portano con sé forti componenti emotive;
    – una educazione dei sentimenti per la ricchezza della vita dell’uomo;
    – un’esperienza religiosa ricca, dove la fede ha connotazioni anche del “piacere”, del gusto;
    – fino al silenzio della ragione, intriso di impegno, adorazione, amore.

    Le condizioni

    Il processo della parola viene sostenuto da alcune essenziali condizioni che accompagnano l’atto educativo nella relazione:
    – l’educatore capace di dare-concedere-restituire la parola, un educatore capace di riconoscere le sue emozioni e sentimenti, capace di integrare in sé gli elementi discordanti, capace di amare e dire l’amore...;
    – la mediazione del gruppo come luogo dove apprendere a codificare le emozioni;
    – l’ascolto di se stessi e degli altri.

    Ecco allora l’articolazione del dossier che segue:

    – La voce dei giovani
    – Cultura e società tra eccesso e apatia
    – La fede di fronte ai registri razionali ed emotivi  
    – Dall’emozione al sentimento. Le condizioni educative  
    – Una PG del cuore?


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