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    «Laudato si'»,

    terzo pilastro

    sulle questioni sociali

    Mauro Cozzoli

     

    La Laudato si’ di papa Francesco è un’enciclica appartenente alla Dottrina sociale della Chiesa, di cui costituisce uno snodo storico d’importanza pari alla Rerum novarum di Leone XIII e alla Populorum progressio di Paolo VI. Encicliche in cui la Chiesa si è misurata con le grandi questioni sociali della modernità: la Rerum novarum con la questione operaia, la Populorum progressio con la questione del sottosviluppo, la Laudato si’ con la questione ecologica. Una questione sociale è tale in rapporto a eventi nuovi che comportano rivolgimenti radicali e ad ampio spettro per l’umanità e il mondo, e da cui la Chiesa non può dirsi fuori. Senza per questo invadere ambiti o attribuirsi compiti che non le competono. Il Papa affronta la questione ecologica con la competenza e il metodo del magistero sociale della Chiesa, scandito dalla denuncia dei mali e dei rischi da scongiurare e dall’annuncio dei beni e dei fini da perseguire. Sul primo versante, c’è l’analisi critica dei dissesti ecologici, delle loro minacce e della loro portata planetaria. Non solo sul piano ricognitivo d’ogni forma d’inquinamento, delle dissipazioni delle risorse, degli squilibri ecosistemici e climatici, dell’estinzione di specie viventi, del consumo avido e sprecone. Ma anche sul piano etico-sociale delle ingiustizie che sperperi, soprusi, cupidigie e negligenze significano; della corruzione e della speculazione in campo ecologico, dei «crimini contro la natura», delle omissioni e delle complicità della politica; e insieme del «deterioramento etico e culturale, che accompagna quello ecologico».
    Sul secondo versante, sono tracciate le linee di pensiero e di azione di una sensibilità e premura per il creato, che devono sollecitare e ispirare programmi e comportamenti. Linee riconducibili a questi tre assi tematici su cui polarizziamo qui l’attenzione: «conversione ecologica», «ecologia integrale», «spiritualità ecologica». Espressioni insieme del primato delle motivazioni e delle finalità sui programmi, le legislazioni e le soluzioni tecniche. Esse mirano alla formazione delle coscienze che muovono la prassi, e della cultura che crea mentalità e disponibilità. Le migliori regole e i più aggiornati manifesti ecologici varranno poco senza motivi e scopi persuasivi: «Non possiamo pensare che i programmi politici o la forza della legge basteranno ad evitare i comportamenti che colpiscono l’ambiente, perché quando è la cultura che si corrompe e non si riconosce più alcuna verità oggettiva o princìpi universalmente validi, le leggi verranno intese solo come imposizioni arbitrarie e come ostacoli da evitare». A questo bisogno di significati, valori e princìpi risponde l’enciclica, a un livello di pensiero universalmente umano e specificamente cristiano.
    La «conversione» dice di una disponibilità e un impegno per l’ambiente possibili solo a cominciare da una revisione in radice dei paradigmi di giudizio e dei modelli e stili di vita, senza cui l’ecologia o non affiora alle responsabilità delle coscienze o resta solo una moda e una sensibilità di facciata. La conversione ecologica è un processo «personale e comunitario» di liberazione da mentalità e prassi dettate dal «consumismo ossessivo», dalla «cultura dello scarto» e «dello spreco», dal «paradigma tecnocratico» e «tecno-economico», da «una visione della natura unicamente come oggetto di profitto e di interesse», dal «mito del progresso». Liberi da questi determinismi si diventa liberi di «scelte e soluzioni alternative», volte alla custodia e alla cura dell’ambiente e all’utilizzo equo e responsabile delle risorse, per un verso; all’inclusione dei non-produttivi e nonconsumatori (i poveri e gli emarginati), per altro verso. Libertà innervata e illuminata dalle «virtù ecologiche»: sobrietà, semplicità, umiltà, solidarietà, gratuità, giustizia, amore. Virtù che dispongono a «passare dal consumo al sacrificio, dall’avidità alla generosità, dallo spreco alla capacità di condividere», plasmando nuove mentalità e stili di vita. L’approccio all’ecologia e ai suoi problemi dev’essere «integrale», perché «tutto è connesso» e «interdipendente» nella «casa comune».
    C’è un’interazione tra tutte le componenti, viventi e non, umane e preumane; «tra la natura e la società che la abita», «gli ecosistemi e i diversi mondi di riferimento sociale»; tra le comunità nello spazio e le generazioni nel tempo. L’interdipendenza è un dato e insieme un compito. Compito di riconoscimento del «valore proprio di ogni creatura» e «delle diverse specie in se stesse», e della tutela che il valore comporta, ivi compreso l’essere umano e la sua natura. Compito di acquisizione dei beni ecologici alle esigenze del «bene comune». Compito di responsabilizzazione della società e delle istituzioni alle urgenze ambientali. Compito di giustizia, che si fa carico dei costi e dei «debiti ecologici», e non li scarica sulle aree più povere e indifese del mondo e sulle generazioni future. Compito di «dialogo con tutti», senza egemonie di parte, «per cercare insieme cammini di liberazione». «L’interdipendenza ci obbliga a pensare a un solo mondo, a un progetto comune». Per questo «diventa indispensabile lo sviluppo di istituzioni internazionali più forti ed efficacemente organizzate.
    Urge la presenza di una vera autorità politica mondiale». Senza con questo evadere dalle responsabilità di ciascuno, da ciò che ognuno può e deve fare: «Un’ecologia integrale è fatta anche di semplici gesti quotidiani nei quali spezziamo la logica della violenza, dello sfruttamento, dell’egoismo». La coscienza e la prassi di un’«ecologia integrale» ha un forte impatto educativo e performativo, volto a «concepire il pianeta come patria e l’umanità come popolo che abita una casa comune».
    Per il cristiano l’ecologia e i suoi compiti hanno significato e valore «spirituale». La spiritualità cristiana «non è disgiunta dal proprio corpo, né dalla natura o dalle realtà di questo mondo, ma vive con esse e in esse, in comunione con tutto ciò che ci circonda». La spiritualità ci schiude al bello, dandoci uno sguardo contemplativo, ammirato e grato del creato. Sguardo liberatore da ogni attitudine captativa e consumistica: «Prestare attenzione alla bellezza e amarla ci aiuta ad uscire dal pragmatismo utilitaristico». Ci fa liberi e fedeli nell’amore. «La natura è piena di parole d’amore», che solo un vedere contemplatore sa leggere. La spiritualità cristiana inoltre iscrive le responsabilità ecologiche nella relazione creaturale e salvifica dell’uomo con Dio.
    Questo significa che hanno una carica di motivazione e di finalità più che secolare e umana. Esse appartengono alla fedeltà dei figli al Padre e al suo amore provvidente per tutte le creature; alla fedeltà a Cristo, «il Verbo incarnato, che ha incorporato nella sua persona parte dell’universo materiale, dove ha introdotto un germe di trasformazione definitiva»; alla fedeltà alle mozioni dello Spirito, «intimamente presente nel cuore dell’universo, animando e suscitando nuovi cammini». Fedeltà attinta ai sacramenti, dove «la natura viene assunta da Dio e trasformata in mediazione della vita soprannaturale».
    Fedeltà vivificata dall’Eucaristia, in cui «il Signore, al culmine del mistero dell’Incarnazione, volle raggiungere la nostra intimità attraverso un frammento di materia».
    Fedeltà anticipatrice e prefiguratrice nella storia di quella «meraviglia condivisa, dove ogni creatura, luminosamente trasformata, occuperà il suo posto e avrà qualcosa da offrire ai poveri definitivamente liberati».

    (Avvenire, 14 luglio 2015)


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