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    Tutti individui-network?

    Luigi Guglielmoni – Fausto Negri

    (NPG 2013-07-50)


    «Il Santo Padre si prepara a “cinguettare”». Ironia e battute si sono accavallate quando, prima del 12 dicembre dello scorso anno, è stato dato l’annuncio che era pronto a fare il salto di qualità e a districarsi tra follower, retweet e hashtag. «Twitter – ha spiegato mons. Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali – ha oltre 500 milioni d’iscritti e di essi oltre 140 milioni sono attivi. Di loro oltre il 40% è composto da giovani. Il desiderio del Papa è di entrare in contatto con il maggior numero di uomini e donne del nostro tempo, dovunque essi si trovino e con qualunque mezzo sia possibile». Per questo «Twitter si presta, per la sua natura di mezzo rapido e di forte divulgazione, a diffondere le ‘scintille di verità’ e le ‘perle di saggezza’ che il Papa vorrà scrivere». Le lingue dei tweet del Papa sono 8: inglese, spagnolo, italiano, portoghese, tedesco, polacco, arabo e francese. L’indirizzo centrale è in inglese: @pontifex; quello italiano è @pontifex_it.
    È in preparazione anche una versione per gli smartphone android. La app permetterà di seguire in diretta i discorsi e le omelie del Papa. Mons. Celli ha anche annunciato una serie di sei ebook per l’anno delle fede.
    Sono scelte nate per una necessità indispensabile, per saggia preveggenza o per un cedimento alla modernità?

    I media sono «ambienti»

    Lo studioso canadese Marshall McLuhan nel 1964 ha pubblicato un testo, dal titolo «Gli strumenti della comunicazione», che è di una straordinaria attualità. In esso afferma che i media si differenziano dagli strumenti tradizionali creati dall’uomo per due motivi. Il primo è il seguente: mentre una scopa è uno oggetto con un’unica funzione precisa che viene riposto a compito ultimato, per i media non è così: essi sono oggi interconnessi, avendo perso i confini tra loro. Il telefonino – oggetto-simbolo – serve per inviare sms, fare foto, collegarsi a Internet, giocare, vedere filmati, ecc.
    Il secondo motivo è ancora più importante. Mentre la scopa – per ritornare all’esempio precedente – non modifica la nostra vita, i media cambiano il nostro rapporto col mondo: essendo estensione dei nostri sensi, essi consentono nuove forme di percezione e di esperienza, e dunque cambiano le modalità con cui ci mettiamo in rapporto col mondo. I media non sono «utensili» ma «pròtesi» che modificano la nostra sensibilità.
    McLuhan va ancora più a fondo nell’analisi, quando scrive che «non possiamo sfuggire a questo continuo abbraccio delle nostre tecnologie quotidiane, a meno che non sfuggiamo alle tecnologie stesse e ci ritiriamo in una caverna come eremiti». I media, dunque, più che strumenti sono «intensificatori di sensibilità» e riduttori di distanza. Sono come l’acqua per il pesce; non per nulla, oggi si parla di «società liquida». Gli strumenti sono normalmente neutri, i media assolutamente no. L’ambiente mediatico mira ad una spettacolarizzazione, tutta basata sul «sentire»: mira a creare un consenso empatico, a sedurre anziché dialogare.
    La conseguenza è che oggi i media plasmano le nostre aspettative, definiscono le nostre opportunità, orientano gli umori e le reazioni emotive. Il coniuge, il genitore, l’insegnante, il prete e anche il datore di lavoro non possono prescindere da essi.
    Certo, i media non esauriscono la realtà ma, in qualche modo, ne dettano le regole. È come se continuamente, in modo sovrabbondante, con grande velocità e riempiendo ogni istante della nostra esistenza, dicessero a ciascuno: «Questa è la realtà, è così che va il mondo, non ha senso pensare altrimenti». Se un giovane (ma anche una persona adulta) cercasse di vivere facendone a meno, immediatamente si sentirebbe «tagliato fuori» (pensiamo, ad esempio, ad uno studente delle medie – ma anche ad uno scolaro delle elementari – che dicesse in classe di non possedere un telefonino).
    Siamo dunque di fronte ad una «sbornia mediatica» e ad un vero e proprio mutamento antropologico, cioè ad un cambiamento del modo di pensare e di agire dell’uomo.
    Negli «Orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020, dal titolo Educare alla vita buona del Vangelo» si afferma che siamo giunti ad un’epoca «post-mediale» e che i media costituiscono a pieno titolo un nuovo «contesto esistenziale»: «Agendo sul mondo vitale, i processi mediatici arrivano a dar forma alla realtà stessa. Essi intervengono in modo incisivo sull’esperienza delle persone, e permettono un ampliamento delle potenzialità umane. Dall’influsso più o meno consapevole che esercitano, dipende in buona misura la percezione di noi stessi, degli altri e del mondo» (n.51).
    Il reale e il virtuale si confondono e completano a vicenda. Tra loro, almeno per «i nativi digitali», non c’è contrapposizione.

    Abitare il continente digitale

    Ogni giorno nel Regno Unito vengono inviati 93,5 milioni di messaggini. Questa frenesia ha provocato negli ultimi cinque anni un’impennata nelle lesioni al polso o alle dita: 38% in più di persone rispetto al 2001 che soffrono di questi problemi causati dalla ripetizione dello stesso movimento, mentre 3,8 milioni di persone denunciano ogni anno patologie alle dita provocate dagli sms. I numeri, del resto, sono impressionanti: più del 12% della popolazione invia 20 messaggi al giorno, il 10% addirittura 100 sms.
    Secondo gli psicologi, usare troppo sms e posta elettronica rende sempre più difficile avere una conversazione rilassata di persona. E porta dritti in ortopedia. Rimane il dato di fatto che il telefonino rappresenta un termine di relazione che serve a diminuire l’insicurezza dell’adolescente e la sua paura.
    Questa svolta «relazionale» è immediatamente visibile sulla rete è evidente non solo nello straordinario successo dei social network, ma anche nel crescente numero di messaggi, scambi, saperi, e persino mobilitazione politica (come è successo nella cosiddetta «primavera africana» e, da noi, con il MoVimento 5 stelle di Beppe Grillo).
    In tutto questo «ambiente» vi sono vari pericoli ma pure possibilità e alcuni bisogni che vanno intercettati, riconosciuti e ascoltati.

    I pericoli

    La rete è oggi un ambiente in cui i giovani vivono costantemente immersi. Essa è – dicevamo – come l’acqua per il pesce: invisibile, scontata. McLuhan affermava che l’acqua è l’elemento che il pesce conosce di meno. Più si è immersi in un ambiente, più è difficile sottrarsi ai suoi effetti: il rischio è di cadere nel ruolo di «idioti tecnologici».
    Alcuni rischi possono essere i seguenti:
    Solo il presente. La «digital generation» vive solo di «presenti». Se il passato è passato e il futuro fa paura, il tempo diventa «puntillistico», cioè una frammentazione di attimi «puntillistici», cioè brevi e veloci come un punto.
    Niente radici, nessun futuro e nessun centro. Per tanti giovani è come se il mondo fosse iniziato con la loro venuta. Ed è come se tutto finisse tra un attimo, proprio perché la percezione del futuro è miope, se non addirittura cieca. L’impegno è difficilmente duraturo, manca sia dell’approfondimento sia del coinvolgimento. Inoltre, la rete è un campo totale non solo privo di un centro ma anche di una qualsiasi autorità.
    Capovolgimento tra interiorità ed esteriorità. Grazie ai mezzi tecnologici, le persone e gli avvenimenti entrano in casa nostra dispensandoci dall’andare verso di loro. Ciò trasforma il nostro modo di fare esperienza, in una sorta di rivoluzione copernicana: il mondo non è più ciò che sta, ma a stare (seduto) è l’uomo, mentre il mondo gli gira intorno. Il mondo può diventare illeggibile per overdose di informazioni e l’uomo può perdere il bene più prezioso che è la capacità di fare esperienza. Siamo dei voyeurs condannati all’afasia? Stiamo rischiando di chiuderci in un «autismo digitale»?
    Un impegno solo «emozionale». La prima conseguenza di questi rilievi riguarda l’impegno. Lo si definisce come partecipazione e coinvolgimento nell’eseguire un progetto per tutto il tempo di applicazione richiesto. Questa dimensione manca nella digital generation: essa vive in un mondo, quello digitale, che c’è quando si accende il computer, finisce quando lo si spegne. Se dopo un attimo lo riaccende, riappare ma ha caratteristiche che non hanno alcun legame né di continuità logica né di vissuto con il precedente, per cui si tratta di un nuovo mondo che però dura la frazione del tempo in cui si mostra e si consuma. L’adolescente ha quindi un comportamento del tipo stimolo-risposta: se c’è uno stimolo è possibile una risposta, ma se manca egli è nel vuoto. Si può affermare che la digital generation vive le emozioni, ma non i sentimenti.
    I legami durano finché durano. In forma ancora più esplicita si tratta di una generazione incapace di legami sentimentali. L’emozione è la percezione di un cambiamento dentro di sé a seguito di uno stimolo. Vi è il sentimento dell’amore, dell’amicizia, della solidarietà. La loro caratteristica è di mantenersi attivi anche quando la persona a cui si è legati non è presente. Con il mondo digitale (computer, Internet) sono possibili emozioni e molto forti, non invece le relazioni sentimentali. Anche quando si chatta con un certo Peter di New York, egli forse nemmeno esiste e, se c’è, si tratta di uno dei tanti oggetti virtuali. Il vivere emotivamente e non sentimentalmente porta a cercare emozioni sempre più intense, ma non indirizza alla continuità dei sentimenti. Ed è invece su questa specifica caratteristica che si sostiene la sicurezza: una vera terapia alla paura. Le emozioni non producono sicurezza ma solo novità, eccezionalità, che hanno più a che fare con la quantità. La digital generation ha bisogno di emozioni sempre più forti come producessero una sorta di assuefazione per cui bisogna aumentare la quantità di una droga, onde avere lo stesso effetto che in precedenza si otteneva con una dose inferiore.

    Le sfide del web

    Se gli ostacoli, le tentazioni e i pericoli dei media sono tanti, è anche vero che essi offrono oggi come non mai tante opportunità. Ed è pure vero che, per ogni educatore, essi rappresentano una grande sfida.
    – La riduzione della distanza. Il mondo, forse per la prima volta nella storia umana, è veramente diventato uno. Oggi si riesce a comprendere meglio di un tempo come l’umanità costituisca veramente una rete e che siamo tutti interconnessi tra noi.
    – La possibilità di scambio, di condivisione, di costruzione di dati e saperi. È questa la modalità di apprendimento (come pure di comunicazione in generale) che i giovani oggi praticano.
    Il contesto «orizzontale» e la riduzione della distanza mettono in crisi l’autorità, però danno la possibilità di mettere meglio in atto la prima mossa educativa: l’ascolto, il lasciare spazio all’altro. Sono, queste, le condizioni-base dell’incontro. Attraverso l’incontro quella distanza intergenerazionale che appariva come un fossato invalicabile, può trasformarsi in «alleanza intergenerazionale». Da questo può nascere, allora, la testimonianza autentica: una voce incarnata in un’esperienza e disponibile alla relazione può dare «radici» e «ali» ai ragazzi di oggi.
    Ascoltare, incontrare, testimoniare per abitare «con» e «per» i giovani. Sono, questi, pur nei diversi contesti, gli elementi che possono condurre gli educatori di oggi all’obiettivo di cui parlano gli orientamenti pastorali, che consiste nel «promuovere una nuova sintesi umanistica, un sapere che sia sapienza capace di orientare l’uomo alla luce dei principi primi e dei suoi fini ultimi, un sapere illuminato dalla fede» (n. 49).

    Alcuni criteri educativi

    La sfida è quella di non perdere di vista la dimensione umana, di stare fisicamente vicini ai giovani perché non sacrifichino la loro intelligenza a un idolo tecnologico; di creare dunque ambienti alternativi in cui ci si incontra e si fanno esperienze di vita insieme.
    Da qui alcuni criteri che potrebbero sottostare a tutto il lavoro educativo:
    – Il criterio della soggettività.
    L’educatore cristiano ha a cuore la persona nella sua integralità, in primo luogo la coscienza, la spiritualità e una mente critica. Per questo il suo «lavoro» è innanzitutto basato su un rapporto personale, empatico, sia all’interno del gruppo che verso ciascuno.
    – Il criterio della pluralità.
    L’educazione è irriducibile a un solo livello. Non basta far fare qualcosa (si cadrebbe nell’esperienzalismo), proporre comprensione di concetti (qui il rischio è l’intellettualismo), proporre giudizi (il rischio è il moralismo), affetti (si cadrebbe nel sentimentalismo). Come la rete esiste solo attraverso la connessione, così in educazione occorrono collegamenti a vari livelli. La coscienza umana è segnata da dinamismo di autotrascendenza che è di carattere intellettuale, morale e affettivo. Perciò è necessaria una proposta educativa con tre diversi percorsi-base: a livello intellettuale (proporre in modo intelligibile il vero), morale (un agire motivato non solo dal bene individuale, ma dai valori), religioso (affascinare con ciò che tocca l’interiorità e la spiritualità).
    L’educazione è poi irriducibile ad una sola metodica: l’educatore dei giovani dev’essere a conoscenza di pluralità di linguaggi (compresi quelli mediatici), così da saper proporre una continua varietà di proposte educative.

    Per concludere. La sfida è quella di non perdere di vista la dimensione umana, di stare fisicamente vicini ai giovani perché non sacrifichino la loro intelligenza a un idolo tecnologico; di creare dunque ambienti alternativi in cui ci si incontra e si fanno esperienze di vita insieme. Come sempre, il primo problema dei giovani sono gli adulti. Gli adulti in carne e ossa (non virtuali) quali spazi riempiono con una loro presenza (anche nelle parrocchie), disponibili all’ascolto, ad una testimonianza verso quanti cercano il benessere di una relazione significativa? Ridurre le distanze e allacciare alleanze è il compito che oggi spetta agli adulti.

    ALCUNI UTILI CONSIGLI

    • Proteggi la tua mente. Non avere altro cervello all’infuori del tuo.
    Il telecomando, il joystick o il mouse sono semplici oggetti nelle tue mani. Il pollice che serve per accendere la televisione, il computer o la play, è lo stesso che puoi usare per spegnerli.
    • Fare conoscenze virtuali, collegarsi col mondo, scambiarsi confidenze e chiacchiere, mostrare il lato migliore di sé… e sconnettersi con un click può essere piacevole e persino utile. Ad un patto, però: che la relazione virtuale non sostituisca quella reale. I legami on line non possono sostituire quelli «in carne e ossa». È solo parlandosi faccia a faccia, giocando insieme, litigando con gli amici (e facendo poi la pace) che si cresce veramente. Un conto è scrivere TAT su un display, un altro dire «Ti amo tanto» con un volto davanti.
    • Non diventare complice di chi usa sesso e violenza per avere più ascolto. Punisci chi offende la tua intelligenza, la tua fede o i valori in cui credi. È facile: cambia programma o esci dal sito.
    • Cura i rapporti in famiglia almeno quanto curi la tua play-station. Non tenere la Tv a capotavola. Non di sola Tv vive l’uomo (e la famiglia)!
    • Ricordati che dietro allo schermo della Tv o del computer vi sono enormi interessi e ci può essere sempre qualcuno che vuole farti pensare come lui o che vuole decidere per te. Se «l’ha detto la Tv» o «c’è scritto su Internet», non significa che sia vero: mille bugie non fanno una verità.
    • Varia le attività. Cercati alternative: lo studio, lo sport, il giornale, le letture, incontri e giochi all’aria aperta con gli amici… Segui il comportamento del comico Goucho Marx, il quale ha affermato: «Trovo la televisione molto istruttiva; infatti, non appena l’accendono, io vado nell’altra stanza a leggermi un libro».
    • Trova momenti di silenzio. Nella società dell’eccesso siamo tutti vittime del rumore e di un’inondazione di stimoli.
    • Ascolta e prega il tuo Dio. Anche quando nessuno ti manda un Sms, ti telefona o ti viene a cercare, ricorda che c’è Qualcuno che ti cerca da sempre.
    • Concludendo: l’essenziale è non sacrificare la nostra intelligenza a un idolo tecnologico, non diventare succubi di un oggetto o affidare a una macchina il potere di pensare e decidere per noi. Scrive lo psichiatra Vittorino Andreoli: «Sarebbe come tornare a inginocchiarsi davanti al sole, anzi molto peggio… Il dio Silicio ci riporta dentro la tavola degli elementi in cui stanno il litio, il carbonio e persino lo stronzio!».

    LIBERACI, SIGNORE!

    «A peste, fame et bello, libera nos Domine»! «Liberaci, Signore, dalle peste, dalla fame e dalla guerra». Così si pregava un tempo. Una preghiera che potremmo ripetere, aggiornandola, anche oggi. Con l’aggiunta di alcune disgrazie che si sono abbattute sul mondo occidentale…

    Dal bombardamento della pubblicità, dalle notizie-bomba, dai mostri in prima pagina:
    liberaci, Signore!
    Dal flagello dei maghi, astrologi, indovini e cartomanti…
    Dal tifo sportivo, dalla peste razziale, dalla guerra tra club…
    Dai programmi trash, cult e hard…
    Dai Varietà nazionali, dai films comici di Natale, dai tuttologi da palcoscenico…
    Dallo zapping, dallo share e dall’Auditel…
    Dai quiz milionari, dalla Fattoria, dall’Isola dei famosi, dal Grande Fratello e da tutti i reality…
    Dai divini divi, dagli idolatrati idoli, dalle stelline mega-galattiche…
    Dalle miss di ogni genere, dalle Veline e dalle Letterine…
    Dai fax inutili, dai giochi virtuali violenti…
    Dagli spam, dai siti porno, dalle chat futili, dai blog insignificanti…
    Dalle suonerie dei telefonini, dagli Umts e dai messaggini futili…: liberaci, Signore!


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