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    Un rinnovato senso ecclesiale


    Editoriale

    Alberto Martelli

    (NPG 2015-02-02)


    È il primo dei criteri di rinnovamento che abbiamo indicato nel nostro numero di apertura del 2015.
    Occorre, dicevamo, rimettere al centro il tema della comunità ecclesiale come luogo, protagonista e fine della pastorale giovanile.
    Siamo convinti che la Chiesa, intesa nella sua totalità di popolo di Dio nella compresenza di diverse vocazioni e di diverse generazioni, è l’unica ed essenziale protagonista della pastorale giovanile.
    Ecco da qui alcune osservazioni:

    1. Per fare pastorale giovanile occorre una comunità perché l’azione pastorale nel suo insieme di educazione ed evangelizzazione è una azione culturale che può essere compiuta soltanto all’interno di una comunità e per opera del lavoro dell’intera comunità. La proposta fatta ai giovani di vivere la vita umana nella stessa forma in cui questa è stata vissuta da Gesù Cristo, non può trovare altro luogo e altro esempio se non all’interno di una plurale comunità culturale ed ecclesiale che ne sia protagonista e culla. In secondo luogo e collegato a questo, non è possibile per nessun giovane diventare adulto se non all’interno di una comunità, ossia di una rete di relazioni che gli consegnino un modello di vita sotto forma di costumi condivisi da riprendere e fare propri attraverso una personale assunzione di responsabilità e di protagonismo grato.

    2. Per fare pastorale giovanile occorre una comunità intergenerazionale. L’aforisma, ormai perfino abusato, che dice che per fare un figlio occorre un intero villaggio, è indice di questa convinzione: la pastorale giovanile è l’accordatura all’età giovanile dell’intera comunità nella pluralità delle sue vocazioni. Per fare pastorale giovanile non occorre essere tutti giovani e non è territorio dei soli giovani, è responsabilità e grazia per tutte le generazioni.

    3. Per fare pastorale giovanile occorre l’intero popolo di Dio. Soltanto la pluralità e compresenza delle vocazioni ecclesiali crea l’humus e permette di intravedere il fine per una corretta ed efficace pastorale giovanile. Essa non è appannaggio del solo “incaricato” sia esso ordinato, consacrato o laico; non è compito del solo “professionista” della pastorale o di chi, forse un po’ impallinato, si vuole occupare dei giovani. I giovani hanno il diritto di vivere e di vedere l’intera Chiesa nella compresenza dei suoi stati di vita i quali si suddividono la responsabilità operativa e gestionale della pastorale giovanile sulla base del proprio apporto carismatico al progetto comunitario costruito insieme.

    4. Fare pastorale giovanile vuol dire riscrivere l’intero rapporto delle relazioni e dei progetti comunitari. Non è una attività che si può accostare alle altre. Occorre riaccordare almeno parte del lavoro comunitario sulla base dei giovani e delle tensioni e caratteristiche della loro propria età della vita. La pastorale giovanile non è questione di questa o quella attività, ma di un modo di essere comunità che coinvolge tutti e che permette un serio progetto di iniziazione cristiana attraverso itinerari di crescita nella fede che si innestano nella vita reale comunitaria e personale di ciascuno.

    5. Soltanto una comunità può progettare la pastorale giovanile, perché soltanto uno sguardo multiplo e complesso è in grado di elaborare una conoscenza della complessità della vita del giovane senza cadere in paure o in preconcetti limitanti e fuorvianti.

    6.Il fine della pastorale giovanile è la piena partecipazione ecclesiale (e sociale) da parte del giovane,quindi ancora una volta, il fine è la comunità.
    Tutti questi motivi ci spingono ad una serie di domande alle quali occorrerà rispondere con una approfondita analisi e una efficace prassi. Tra le domande più urgenti: quale il ruolo dell’adulto nella pastorale giovanile ed in particolare, quale intrecci tra pastorale giovanile e pastorale famigliare? Come comporre pastorale giovanile e animazione vocazionale nella compresenza dei tre stati di vita? Quale apporto specifico portano i tre stati di vita alla pastorale giovanile e, oggi tema forse oltremodo attuale, quale apporto alla pastorale giovanile dalla diversità di genere degli operatori e dei destinatari? Come intendere il ruolo della diocesi e dell’incaricato diocesano di pastorale giovanile nella compresenza di molti protagonisti e nella stringente realtà che soltanto la diocesi è porzione del popolo di Dio universale? Allargando poi la visione alla questione della missionarietà della Chiesa:quale relazione tra l’intero popolo di Dio e la missionarietà nei confronti dei giovani non cattolici e non cristiani? E infine, dal punto di vista comunitario sacramentale (ma questo sarà oggetto forse di uno studio a parte) quale centralità e quale esemplarità può avere la celebrazione comunitaria dell’eucaristia come fons et culmen della vita ecclesiale nei confronti della pastorale giovanile?

    Ci siamo limitati ad alcuni spunti, certamente incompleti, per stuzzicare l’attenzione del lettore. Come NPG siamo convinti che la strada da percorrere sia quella qui segnata. Molte risposte non ci sono ancora, anzi, a volte anche molte domande non sono affatto chiare. È il percorso che vorremmo fare con tutti voi.
    Buona lettura.


    T e r z a
    p a g i n A


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