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    Il Servizio Civile Nazionale: un tesoro in vasi di creta



    Il disagio interpella la pastorale /2

    Andrea Sebastiani

    (NPG 2010-08-51)


    C’era una volta il Servizio Civile. È così che dovrebbe iniziare quest’articolo. Eh sì, perché questa istituzione rischia di scomparire e con esso il bagaglio di esperienza formativa che ha rappresentato per le nuove generazioni. Il Servizio Civile è una di quelle belle intuizioni di cui il nostro Paese si è arricchito; è stato istituito con la legge 64 del 2001 e per diversi anni ha rappresentato un’esperienza unica nel panorama europeo (la Francia e la Gran Bretagna stanno pensando ora di istituire un loro Servizio Civile): in nessun altro paese fino a pochi anni fa vi era una legge che permettesse ai giovani di svolgere un’esperienza per farli maturare come cittadini responsabili. Ma adesso sul futuro del Servizio Civile gravano la mancanza di fondi, a causa dei pesanti tagli operati dall’attuale Governo,[1] ed il conflitto tra Regioni e Governo sulle competenze di gestione ed organizzazione. Di fronte a tale scenario è importante allora approfondire il senso del Servizio Civile, le sue finalità educative, il suo rapporto con la Pastorale Giovanile al fine di individuare alcuni punti di riferimento che ci permettano di affrontare la situazione attuale, certamente non positiva, e nel contempo prospettare delle linee di lavoro per il futuro.

    La dimensione formativa del Servizio Civile Nazionale

    Il cuore del Servizio Civile, il mo­tivo per cui è nato, è quello di formare i giovani alla cittadinanza e alla solidarietà, renderli cittadini partecipi e responsabili di questo Paese. È figlio dell’obiezione di coscienza, che pur in un regime di obbligatorietà e con alcune ombre, ha costituito un’esperienza fondamentale per far maturare i giovani rispetto all’impegno sociale e civile, per farli sentire parte di una comunità, per offrire loro la possibilità di sperimentarsi soggetti attivi e responsabili dello Stato.
    Il Servizio Civile, in un regime non più di obbligatorietà ma di libera scelta, è uno strumento per formare ed educare i giovani, per renderli cittadini migliori: è questa la sua finalità principale e la sua ragion d’essere. Purtroppo questa prospettiva è stata e viene continuamente smarrita; ciò accade quando il Servizio Civile viene asservito ad altre logiche e prospettive, pur giuste ed importanti, ma non adeguate e che personalmente ritengo riduttive.
    Facciamo alcuni esempi.
    – Il Servizio Civile come parte delle Politiche Sociali: si riscontra in quelle posizioni che considerano il Servizio Civile una componente delle politiche sociali ed uno strumento finalizzato alla risposta ai diversi bisogni sociali. L’equivoco credo possa nascere anche da come il Servizio Civile si esplicita, manifesta e concretizza. Infatti, gran parte dei progetti riguardano temi e problematiche specificatamente sociali (es. i problemi dei minori, degli anziani, degli immigrati, …). Ma questi sono solo alcuni degli ambiti in cui il Servizio Civile interviene; infatti, altri progetti intervengono nel settore dell’ambiente, del patrimonio artistico e culturale, della protezione civile… Ma soprattutto non ne rappresentano la radice, il motivo ispiratore e fondante. In altre parole: il Servizio Civile non nasce per dare risposte ai bisogni sociali. Questa posizione mi pare sia quella espressa dalle Regioni, le quali ritengono che il Servizio Civile debba essere di loro esclusiva competenza, appunto perché annette al tema delle politiche sociali in virtù della riforma del titolo V della Costituzione. Dietro questa contrapposizione potrebbe esserci una sorta di compensazione determinata dall’attuale periodo di crisi che viviamo: la riduzione di risorse, stanziamenti e trasferimenti per le politiche sociali viene compensata con il trasferimento del Servizio Civile alle Regioni; come se si dicesse: ci sono meno soldi, ma vi diamo più personale (i volontari del Servizio Civile) per portare avanti i servizi. È sicuramente un pensiero peregrino, anche perché se così fosse, sarebbe davvero molto triste.
    – Il Servizio Civile come manodopera a basso costo per gli enti: sono sicuro che nessuna delle organizzazioni che accolgono giovani in Servizio Civile è disposta ad accettare una tale affermazione. Essa è contraria non solo alle finalità del Servizio Civile e alla Carta Etica che tutti gli enti sottoscrivono, ma anche alle intenzionalità esplicite delle organizzazioni stesse. Ma, se andiamo a vedere con attenzione, spesso emerge una mentalità di utilizzo dei giovani volontari finalizzata ai bisogni esclusivi dell’ente: al primo posto non c’è la preoccupazione per la crescita e la maturazione dei giovani, ma le esigenze e i bisogni delle organizzazioni accoglienti. Questo si manifesta con più evidenza in questo momento di difficoltà che il Servizio Civile sta vivendo, quando i progetti non vengono approvati e non si ha più la sicurezza di poter avere dei giovani; davanti a tale situazione gli enti si ritirano perché si dice «il gioco non vale la candela», perché non è più conveniente, perché non vale la pena. Sarebbe il caso allora di chiedersi: di quale utilità stiamo parlando? Dell’utilità per i giovani o quella per i nostri enti? Non vale la pena: per chi? Per i giovani o per le nostre organizzazioni?

    IL SERVIZIO CIVILE NAZIONALE NEL QUADRO DELLE POLITICHE GIOVANILI

    Per comprendere meglio il senso del Servizio Civile e la sua portata formativa per le nuove generazioni, penso sia utile metterlo a confronto con le altre esperienze e proposte di politiche giovanili che hanno come obiettivo la crescita alla cittadinanza e solidarietà nei giovani e coglierne le reciproche differenze:
    – Servizio civile regionale: in questi anni sono state emanate diverse leggi regionali di Servizio Civile.[2] In alcuni casi esse sono finalizzate a sostenere finanziariamente il Servizio Civile (ai sensi della Legge 64/01) con risorse proprie aggiuntive, ma in altri casi vanno a delineare un istituto autonomo, distinto e diverso da quello che fa riferimento alla legge 64/01. In questa seconda tipologia l’elemento fondante non è la difesa della Patria non armata, ma l’impegno volontario e la solidarietà. Si tratta di normative che intendono favorire, in coloro che vi partecipano, lo sviluppo di una cultura e sensibilità al volontariato e all’impegno civico. Tanto è diverso e autonomo rispetto al Servizio Civile della legge 64/01 che ad esso possono partecipare anche gli enti accreditati nell’Albo Nazionale e si rivolge a categorie che sono escluse dal Servizio Civile Nazionale (es. anziani, immigrati, giovani fino a 30 o 35 anni, minori tra i 16 e i 18 anni...).
    – Avs (Anno di Volontariato Sociale): può essere considerato il padre del Servizio Civile, sviluppatosi a partire dai primi anni ’80 per opera di alcune organizzazioni ecclesiali, in modo particolare sotto l’impulso della Caritas Italiana; si tratta di un’esperienza assai più ridotta del Servizio Civile come numeri, ma segno eloquente di gratuità e di condivisione. È la possibilità di passare un anno della propria vita al servizio degli altri, attraverso una partecipazione del tutto libera e volontaria. I partecipanti ricevono un piccolo compenso, proveniente dall’autofinanziamento dell’ente stesso. Ha rappresentato e rappresenta un’esperienza di crescita e maturazione (anche vocazionale) molto intensa, ma numericamente molto limitata. I giovani che vi partecipano provengono già da percorsi formativi avviati (in genere in ambito ecclesiale) e da lunghe esperienze nel campo del volontariato. Da un punto di vista più contenutistico si può rilevare che è meno esplicita la dimensione politica e di partecipazione alla vita dello Stato.
    – Evs (Servizio Volontario Europeo): è stato istituito a partire dal 1998 dalla Comunità Europa con il programma «European Voluntary Service for Young People». Attualmente è una delle azioni del nuovo programma denominato «Gioventù in azione» che sarà valido fino al 2013 e che ha come obiettivo quello di promuovere l’educazione non formale, i progetti europei di mobilità giovanile internazionale di gruppo e individuale attraverso gli scambi e le attività di volontariato all’estero, l’apprendimento interculturale e le iniziative dei giovani di età compresa tra i 13 e i 30 anni. Il Servizio Volontario Europeo offre la possibilità a giovani dei paesi europei di svolgere un periodo di volontariato (da 6 ai 12 mesi) in un altro paese dell’Unione Europea. Il volontario oltre a benefit di ordine formativo e professionale riceve un pocket money (piccolo compenso), la copertura della spese di viaggio e il vitto ed alloggio nel paese di destinazione. Anche quest’esperienza, di notevole impatto formativo, è un’esperienza settoriale, sia perché numericamente modesta (ogni anno sono circa un centinaio i giovani che vengano inviati ed accolti), sia perché coloro che vi accedono sono giovani che possiedono già un bagaglio di esperienze e con un livello culturale medio-alto. Inoltre, da un punto di vista contenutistico è molto più centrato sui temi del volontariato, del dialogo interculturale, dell’integrazione europea, piuttosto che sulla cittadinanza e solidarietà.
    – Programmi giovani: le politiche giovanili nell’attuale sistema statale italiano sono di competenza dell’ente locale (Comuni e Province) secondo un principio di sussidiarietà verticale. Con l’istituzione nella precedente legislatura del Dipartimento per le Politiche Giovanili e Sport e nell’attuale con il Ministero della Gioventù si sta cercando, da una parte di sostenere le iniziative locali, e dall’altra di promuovere un coordinamento (vanno in questa direzione i diversi APQ giovani o alcune sperimentazioni, come quella denominata Azione Provincegiovani) di tale settore che, gravato da un’endemica scarsità di fondi, si caratterizza frammentario, diversificato e residuale rispetto alle politiche messe in atto da parte degli enti locali. Credo sia possibile affermare che in Italia non esiste, al momento attuale, un quadro condiviso di cosa si intenda per politiche giovanili (si va dalla formazione professionale, all’accesso al credito) e non vi siano elementi minimi comuni, nonostante esperienze locali di grande valore, di approccio e di prospettiva.

    I VALORI EDUCATIVO-PASTORALI DEL SERVIZIO CIVILE NAZIONALE

    Da questa veloce panoramica emerge con evidenza quanto il Servizio Civile sia un istituto fondamentale ed insostituibile per formare le nuove generazioni ai temi della cittadinanza, della solidarietà, dell’impegno civile e politico. Esso si differenzia dalle altre esperienze prima indicate per i seguenti motivi:
    • esperienza di massa: il Servizio Civile è un’esperienza di massa non solo per le dimensioni quantitative, in quanto coinvolge ampi strati della popolazione giovanile,[3] ma soprattutto perché è in grado di riferirsi a giovani di diversa condizione ed estrazione sociale e culturale, di diversi contesti geografici e territoriali. Inoltre per le sue dimensioni rappresenta un investimento da parte del mondo adulto e della comunità civile nei confronti delle nuove generazioni, con un impatto notevole in termini di benefici non solo sui giovani, ma anche sulle comunità locali;[4]
    • difesa non armata della patria: ciò che differenzia il Servizio Civile rispetto ad altri programmi e proposte è proprio il suo fondamento: la difesa non armata della Patria che rimanda ai principi della Costituzione (art. 52). Un concetto di difesa della Patria che anche grazie all’esperienza pluriennale dell’obiezione di coscienza si è sviluppato in ampiezza ed in profondità. Considerare la Patria semplicemente come un territorio delimitato da confini entro i quali abitano popolazioni con una comune identità, è una visione anacronistica e falsa.[5] Il Servizio Civile ci fa capire che la Patria è la comunità degli uomini che si riconoscono tali e che fondano il loro vivere insieme sui valori che scaturiscono dal riconoscersi reciprocamente come persona. In tal senso il concetto di patria-comunità diventa più ampio ed abbraccia non solo il livello nazionale ma anche quello internazionale e mondiale (ed infatti il Servizio Civile si svolge anche fuori in confini nazionali);
    • la cittadinanza: il Servizio Civile non solo propone un percorso formativo alla solidarietà e volontariato, ma arricchisce e sostanzia quest’esperienza di un’ulteriore dimensione che è la dimensione pubblica e comunitaria. Il volontario opera all’interno di una singola organizzazione, in un contesto territoriale specifico, ma, attraverso questa sua attività si colloca in collegamento con lo Stato (non è indifferente che il giovane sottoscriva un contratto con l’Ufficio Nazionale per il Servizio Civile – Presidenza del Consiglio dei Ministri) e la comunità politica più ampia. I giovani possono così scoprirsi costruttori, protagonisti, responsabili di un Paese che da adulti abiteranno e che invece spesso li considera solo fruitori di beni e servizi, dove il cittadino rischia di essere trasformato in consumatore,[6] dove l’etica della responsabilità personale e sociale viene sostituita dall’interesse e tornaconto individuale. In effetti, già il fatto che oggi si debba parlare, educare, difendere la cittadinanza ci fa capire come rappresenti un valore debole; essa, infatti, non dovrebbe essere insegnata, ma si dovrebbe acquisire per osmosi, in modo spontaneo, attraverso la partecipazione alla vita sociale, attraverso un percorso che dovrebbe legare qualsiasi cittadino alla realtà sociale della quale fa parte e nella quale vive e si costruisce come persona. Ma la rottura del legame tra persona e comunità e l’affermazione sempre più forte dell’individuo [7] fanno sì che la cittadinanza debba essere proposta, insegnata, sviluppata;[8]
    • pace e non violenza: è la terza radice del Servizio Civile, per la verità un po’ in ombra rispetto al periodo dell’obiezione di coscienza, dove il rifiuto delle armi e la testimonianza pacifista erano, in quei giovani che sceglievano il Servizio Civile al posto del servizio militare, molto più forti, evidenti e marcate. Essa ha avuto un valore di testimonianza e di profezia (anche in ambito ecclesiale): i giovani con le loro scelte sofferte ed osteggiate (ricordo che i primi obiettori di coscienza venivano puniti con la reclusione per la loro scelta, perché l’ordinamento non prevedeva la possibilità, fino al 1972, di svolgere un servizio militare alternativo) hanno affermato i valori della pace e non violenza, hanno preannunciato un modo diverso di leggere i rapporti tra le nazioni e i popoli, ci hanno insegnato una modalità diversa di approcciare i problemi sociali e di intendere i rapporti tra le persone, i gruppi e le istituzioni. È su quel filone che anche in ambito ecclesiale si sono manifestate figure di grande valore, basti pensare a testimoni del calibro di Padre David Maria Turoldo, Mons. Tonino Bello, Don Lorenzo Milani o Padre Ernesto Balducci. È stato un momento intenso di riflessione, denuncia, profezia, la cui riscoperta oggi si rende più necessaria ed attuale che mai.

    PROSPETTIVE DI FUTURO

    Partendo dal fatto che il Servizio Civile in questo momento vive delle oggettive e gravi difficoltà, provo a delineare delle possibili piste di lavoro che possono dare un futuro a questa esperienza oggi fortemente minacciata e a rischio di estinzione:
    • ragionare in una prospettiva di ambito piuttosto che di servizio: la proposta è che il Servizio Civile venga collocato all’interno di un ambito più ampio che è l’educazione alla cittadinanza e solidarietà come formazione al bene comune.[9] Credo che in un’organizzazione ecclesiale (ed in effetti in molti contesti già così avviene) piuttosto che l’ufficio o il settore Servizio Civile debba esistere l’area cittadinanza e solidarietà, un ambito ed un contesto nel quale andrebbe poi collocata come esperienza fondamentale e prioritaria quella del Servizio Civile Na­zionale, eventualmente affiancata da altre proposte e percorsi (l’Avs, l’Evs…). Ma perché non si riduca solo ad uno solo slogan, ad un parola priva di spessore, è necessario che quest’obiettivo venga declinato in modo operativo e sistematico. Mi sembrano allora due le attenzioni da avere:
    • una formazione esplicita e tematizzata: non è vero che la formazione alla cittadinanza e alla solidarietà avviene spontaneamente come naturale conseguenza dei normali percorsi formativi ecclesiali (es. catechismo, gruppi parrocchiali…). L’esperienza ci insegna che possiamo formare degli ottimi cristiani, ma non è assolutamente detto che avremmo degli ottimi cittadini (e quindi, in verità, neppure dei buoni cristiani);
    • una formazione continuativa e ancorata al quotidiano: non si educano, o meglio, non si formano i giovani alla solidarietà con esperienze isolate, occasionali, sganciate dalla vita quotidiana (in tal senso dovremmo chiederci quale è il valore formativo di alcune esperienze estive nei paesi in via di sviluppo, che talvolta si riducono ad una sorta di turismo socialmente responsabile). È necessario un percorso sufficientemente lungo e che dia la possibilità ai giovani di sperimentarsi nella prassi quotidiana, ancorando la prassi, e la riflessione su di essa, alla vita politica e sociale del territorio nel quale si vive;[10]
    • accettare la sfida della complessità sociale e sviluppare relative competenze: sia che ci si riferisca al Servizio Civile, sia che si faccia riferimento ad altri programmi o proposte è oggi richiesto alle organizzazioni (anche ecclesiali) lo sviluppo di competenze adeguate per muoversi all’interno di tali ambiti. Mi sembra che le prospettive da sviluppare possano essere le seguenti:
    • imparare a lavorare insieme agli altri (anche quando sono diversi da noi): si tratta di sviluppare la capacità di confrontarsi con altre culture, organizzazioni, valori, superando un certo atteggiamento di autosufficienza o di paura del diverso. Oggi è sempre più necessario fare rete, coordinarsi, mettersi insieme perché da soli non si va lontano;
    • saper gestire l’incertezza: nel lavoro sociale (soprattutto in periodi di crisi come questo) non sempre gli obiettivi prefissati vengono raggiunti e gli sforzi messi in campo non sempre raggiungono gli esiti sperati. E questo può genere stanchezza e frustrazione. Bisogna accettare che non si può procedere secondo una logica di razionalità assoluta, perché questa è destinata al fallimento. Allora è necessario acquisire, come singoli ed organizzazioni, la capacità di abitare la complessità (che talvolta diventa incertezza) senza lasciarsi schiacciare dalle problematiche, ma avendo l’abilità di fronteggiarle trasformandole in forze positive e propositive;
    • professionalizzarsi: lavorare nel sociale (ma lo stesso discorso vale anche per altri settori, quali, ad esempio, scuola o la formazione professionale), richiede lo sviluppo di specifiche competenze e conoscenze.
    Le realtà ecclesiali non possono pensare di andare aventi basandosi sulla buona volontà del religioso di turno o sul volontariato occasionale e spontaneo, vi è bisogno di dotarsi di adeguati modelli gestionali ed organizzativi: il lavorare per progetti, l’adozione del monitoraggio e valutazione come prassi ordinaria, la gestione delle risorse umane, la collaborazione e valorizzazione dei laici, gli adeguati investimenti in termini di personale e di risorse finanziarie.
    Al momento in cui concludo questa nota (6 agosto 2010) ricorre l’anniversario (65 anni) della bomba atomica lanciata da un aereo americano che distruggeva la città giapponese di Hiroshima. Tre giorni dopo una bomba simile sarebbe stata sganciata sulla città di Nagasaki. Morirono così subito oltre 100.000 persone, e migliaia nei mesi ed anni successivi per l’effetto delle radiazioni.
    Mi sembra quindi giusto chiudere quest’articolo con quanto don Milani scriveva nella sua «Lettera ai giudici» del 18 ottobre del 1965, un messaggio che ci dà il senso di quanto il Servizio Civile Nazionale sia necessario per i giovani e per la nostra società:

    «Un delitto come quello di Hiroshima ha richiesto qualche migliaio di corresponsabili diretti: politici, scienziati, tecnici, operai, aviatori. Ognuno di essi ha tacitato la propria coscienza fingendo a se stesso che quella cifra andasse a denominatore. Un rimorso ridotto a millesimi non toglie il sonno all’uomo d’oggi. E così siamo giunti a quest’assurdo che l’uomo delle caverne se dava una randellata sapeva di far male e si pentiva. L’aviere dell’era atomica riempie il serbatoio dell’apparecchio che poco dopo disintegrerà 200.000 giapponesi e non si pente. [...] C’è un modo solo per uscire da questo macabro gioco di parole. Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l’unico responsabile di tutto. A questo patto l’umanità potrà dire di aver avuto in questo secolo un progresso morale parallelo e proporzionale al suo progresso tecnico».

    NOTE

    [1] Si passa dai 296 milioni di euro del governo Prodi nel 2007, ai 266 milioni del 2008, ai 210 milioni del 2009, ai 170 milioni del 2010, per arrivare ai 125 milioni per il 2011 e 2012, sui quali graverà un’ulteriore riduzione a causa della manovra finanziaria recentemente approvata (Decreto Legge n. 78 del 31 maggio 2010).
    [2] Ecco una panoramica delle leggi regionali alla data del 31/12/2009: Calabria legge n. 41 del 2009; Emilia-Romagna legge n. 20 del 2003; Friuli Venezia Giulia legge n. 11 del 2007; Liguria legge . 11 del 2006; Marche legge n. 15 del 2006; Sardegna legge n. 10 del 2007; Toscana legge n. 35 del 2006; Valle D’Aosta legge n. 30 del 2007; Veneto legge n. 18 del 2005.
    [3] I giovani che hanno partecipato al Servizio sono stati 57.119 nel 2006, 51.273 nel 2007, 35.840 nel 2008, 27.768 nel 2009 e 18.459 nel 2010 (cf Presidenza del Consiglio dei Ministri, Relazione sulla organizzazione, sulla gestione e sullo svolgimento del Servizio Civile, anno 2009, Roma, 2010).
    [4] Cf Undicesimo Rapporto sul Servizio Civile in Italia, Cnesc/Irs, Roma, Dicembre 2009; Decimo Rapporto sul Servizio Civile in Italia, Cnesc/Irs, Roma, Dicembre 2008; Nono rapporto sul servizio civile in Italia, Cnesc/Irs, Roma, Dicembre 2007.
    [5] «Lo stato non è una ‘cultura’ come le altre, è un’entità amministrativa e politica che ha delle frontiere ben definite, che evidentemente raccoglie individui portatori di numerose culture. Non esiste una nazione etnicamente pura. È sufficiente questo dato a confermarlo: nel mondo esistono oggi circa seimila lingue (la lingua è l’elemento più facile da identificare in una cultura), ma gli stati sono meno di duecento», T. Todorov, La paura dei barbari, Garzanti, Milano, 2009, pag. 94.
    [6] «Infatti, è legittimo chiedersi se la nazione moderna sia in grado di sostenere e rafforzare il legame sociale tra i suoi membri, di fronte al crescente produttivismo della società-mercato che rimette in causa un progetto civico basato sulla solidarietà», G. C. De Martini, F. Mazzocchio (a cura), Formare al bene comune, Editrice Ave, Roma, 2007, pag. 43.
    [7] «L’individuo è il peggior nemico del cittadino. Il cittadino è una persona incline a ricercare il proprio benessere attraverso il benessere della città, mentre l’individuo tende a mostrarsi freddo, scettico o diffidente nei confronti di concetti quali ‘causa comune’, ‘bene comune’, ‘buona società’… Riassumendo: l’altra faccia dell’individualizzazione sembra essere lo scardinamento e la lenta disintegrazione della nozione di cittadino», Z. Bauman, Modernità liquida, Laterza, Bari, 2006, pag. 29.
    [8] «Una delle scommesse decisive della formazione continua finalizzata all’empowerment è la ricostruzione dello spazio pubblico, progressivamente abbandonato, in cui gli uomini e le donne possano impegnarsi in una continua traduzione tra ciò è individuale e ciò che è comune, tra interessi, diritti e doveri privati e pubblici», Z. Bauman, Vita liquida, Laterza, Bari, 2006, pag. 142.
    [9] «Bisogna curare assiduamente l’educazione civica e politica, oggi particolarmente necessaria, sia per l’insieme del popolo, sia soprattutto per i giovani, affinché tutti i cittadini possano svolgere il loro ruolo nella vita della comunità politica» (Gaudium et spes, 75).
    [10] «Perciò è nella vita quotidiana, nei rapporti della vita di ogni giorno, al di là delle ideologie e dei ruoli, che si gioca anzitutto la solidarietà. Essa richiede di uscire dai ruoli, di dimenticare convenienze, per accorgersi di essere semplicemente, uomo o donna, un essere umano», M. Cacciari, C. M. Martini, Dialogo sulla solidarietà.


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