Lettera ai ragazzi
Donato Negro
(NPG 2002-09-57)
Carissimi ragazzi,
non vi stupite che senta il bisogno di parlarvi. Voi, sin dal principio, siete particolarmente cari al cuore di Dio; la storia sacra delle origini mostra la sua predilezione per i figli minori: Abele è preferito a Caino, Isacco a Ismaele, Giacobbe a Esaù, Giuseppe ai suoi fratelli maggiori e anche Davide è il più piccolo. Voi siete i piccoli della nostra comunità e su voi si posa il nostro sguardo di predilezione. Uno sguardo, per la verità, carico di nostalgia.
C’è un’immagine bellissima, di cui voglio servirmi, in un notissimo scritto di Giovanni Pascoli, che molti di voi avranno forse letto a scuola: il fanciullino. In esso l’età adulta viene paragonata al mare ormai affaticato dall’ansia della vita; la vostra età giovane al canto dell’usignolo. Il mare è grande e l’usignolo è piccolo; eppure le sue note da sole riempiono l’universo. La comunità che vi accoglie è il mare immenso, voi siete quel canto. Ed è di esso che noi adulti abbiamo nostalgia.
Consentitemi, dunque, di fermarmi un attimo ad ascoltare la voce del fanciullo che è anche in me perché essa è l’unica capace di proiettare nell’abisso della verità. Sì, perché in fondo il Vangelo, come dice il Papa, “è profondamente permeato dalla verità sul bambino. Lo si potrebbe persino leggere nel suo insieme come il “Vangelo del bambino””. Che cosa ha voluto dire, infatti, Gesù quando ha ammonito severamente: “Se non vi convertirete e non diventerete come bambini, non entrerete nel Regno dei cieli”?
Che cosa avete voi che non può mancare a noi se vogliamo essere cittadini di questo Regno?
Riflettete: voi avete la capacità di dire in modo schietto e semplice le cose che vedete; sulle vostre labbra non fioriscono mai le parole doppie e artificiose che spesso abbondano nei nostri discorsi. Sentite in modo limpido, realizzate cioè la purezza di cuore delle beatitudini. Guardate tutto con meraviglia, come se vi capitasse ogni cosa sotto gli occhi per la prima volta e vi stupite ancora dell’alba e del tramonto, di un fiore e di una stella, di un cucciolo e di un albero.
Sapete inginocchiarvi e farvi piccoli per vedere, ma sapete anche arrampicarvi e farvi grandi per ammirare, a differenza di noi che spesso non andiamo né al di sotto né al di sopra della nostra statura.
Siete allenati a contemplare l’invisibile, la luce vi fa sognare, il buio vi fa paura. Ma soprattutto siete splendidi perché sapete sciogliervi in lacrime che salvano e sapete rendere umano l’amore con quei gesti tenerissimi di cui solo voi siete capaci. Forse è questo ciò che di voi ci affascina di più.
Nei vostri occhi trasparenti guizzano mille interrogativi a cui ci chiedete di dare risposte. Perdonateci se alle vostre domande di senso noi rispondiamo colmandovi di cose. Ci chiedete ascolto e installiamo parabole sui balconi perché non perdiate un solo programma di Cartoon Network. Mendicate attenzione e vi organizziamo il tempo libero con tutte quelle attività che riempiono la vita ma non scaldano il cuore.
Sapete, noi adulti siamo davvero il grande mare, stanco dell’onda e della risacca, delle tempeste e delle mareggiate. Ma voi non privateci del vostro canto. Forse all’inizio ci disturberà ma poi riusciremo anche noi a scoprire, in un cantuccio della nostra anima, le note eterne di quel canto luminoso che colma le distanze tra la terra e il cielo.
Cantateci la speranza: la vostra Chiesa ne ha bisogno, il vostro paese ve la chiede. Il mondo intero la invoca. Viviamo tempi difficili, si addensano tante nubi al nostro orizzonte. Prestateci la purezza del vostro sguardo per scorgere la primavera che irrompe sui tronchi inariditi.
Cantateci la gioia di vivere: ne avete tanta e la manifestate con la vostra esuberanza, con il sorriso, con il dono dell’amicizia, con la curiosità dell’intelligenza, con la passione che infondete nelle piccole cose. Cantateci l’attesa del futuro: voi lo sognate felice, vi aspettate che i sogni si realizzino, immaginate un mondo pulito, credete all’utopia di relazioni umane limpide, inseguite l’ideale di una società giusta: tutte cose che forse trovano noi adulti un po’ disincantati.
E permettetemi, da amico e da fratello maggiore, di unirmi al vostro coro per celebrare una sola importante verità: in fondo a tutte le cose della vita c’è il Signore. Lui non si aggiunge, non è un’esperienza in più, è il senso stesso delle cose.
Avete seguito itinerari di formazione nella catechesi. Alcuni di voi si preparano a partecipare per la prima volta al banchetto dell’Eucaristia, altri progettano di assumere impegni concreti di testimonianza con il sacramento della Confermazione. Tutto questo è molto bello ma rischia di diventare solo un rito se non incrocia la vita.
Che cos’è, infatti, l’Eucaristia se non condivisione, sull’esempio di Colui che non ha tenuto nulla per sé donando la sua stessa vita? E che cos’è quest’effusione di olio se non un riconoscimento ufficiale della nostra dignità agli occhi del Signore, che ci consacra re, sacerdoti e profeti?
Pensate! Siamo gente destinata al Regno! Non schiavi, donne e uomini liberi ! La libertà che sentiamo batterci nel cuore e che voi soprattutto assaporate quando, senza riserve, parlate agli alberi, ai sassi, alle nuvole, alle stelle per intuirne il mistero. Quando correte sui verdi prati lasciando che il vento penetri tra i vostri capelli e avete la sensazione di librarvi in cielo. Quando con slanci di abbandono volate incontro alle persone che amate e gustate la felicità di un abbraccio. Sapete, ogni volta che andiamo incontro alle creature in fondo cerchiamo il Signore. È tra le sue braccia che tutti noi vorremmo naufragare.
Siamo sacerdoti, costruttori di ponti! In questo voi riuscite meglio di noi adulti. Non serbate rancore, avete fantasia, sapete far credito al di là di tutto ciò che accade, vi aprite ogni giorno alla vita con slancio rinnovato e con la vostra freschezza interiore riuscite a ricomporre l’unità. Nel vostro cielo si leva sempre l’arcobaleno: anche il Signore lo guarda e ricorda in eterno di essere amico dell’umanità.
E siamo anche profeti chiamati a lasciare le impronte di Dio in tutte le realtà umane. L’unica impronta di origine controllata che gli uomini di oggi sono disposti a riconoscere è quella della tenerezza che si esprime in delicatezza, dolcezza, premura, sensibilità. Capi di abbigliamento interiore che non sono mai passati di moda e che io, segno di Gesù Buon Pastore, intendo proporvi come valori in cui credere.
Negli ultimi tempi, sui giornali e riviste appaiono inquietanti e sconfortanti statistiche secondo cui l’età dell’insolenza scende sempre più. Psichiatri ed esperti dell’educazione si affannano a ricercare le cause del disagio, che esprimete talvolta attraverso comportamenti aggressivi e violenti. Cause tutte attribuibili inevitabilmente al sistema di valori che noi adulti vi abbiamo trasmesso. Vi abbiamo fatto credere, perché ne siamo convinti anche noi, che la carriera vale più della persona, il denaro e il successo più della dignità, il piacere ad ogni costo più del sacrificio. Vi abbiamo convinti che l’affermazione di sé è l’unico ideale da inseguire con ogni mezzo lecito o disonesto.
Ma c’è una proposta affascinante, tanto antica eppure sempre nuova, capace di rinnovare i rapporti, di capovolgere le logiche perverse e di porre finalmente le basi per la costruzione del mondo più pulito che voi sognate: “Beati i miti, beati i misericordiosi, beati i puri di cuore, beati gli operatori di pace...”. Parole che risuonano da duemila anni ormai, ma che giungono a noi fresche come il soffio roseo dell’aurora, come la rugiada mattutina.
Carissimi ragazzi, non svendete mai la freschezza del vostro cuore, non barattate la vostra spontanea bontà, non rinunciate alla vostra fantasia. Finché potremo contare sulla trasparenza dei vostri occhi, ci sentiremo riconciliati con il cielo.
Crescete anche voi, come Gesù, “in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini”. Non permettete mai a nessun dispiacere di contristare la vostra vita e a nessuna angoscia di spegnere il canto delle vostre labbra. E se proprio la vostra strada incrocerà il dolore, ricordate che non siete soli: accanto a voi c’è un Altro, portando la sua croce, camminate verso la vita che non muore.
Con affetto grandissimo
don Donato, Arcivescovo
Otranto 2002