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    Giobbe ricercatore del senso della vita


    Una meditazione per animatori

    a cura di Antonio Martinelli

    (NPG 1987-07-60)


    Il libro di Giobbe ha sempre suscitato grande interesse nella storia della vita spirituale dei credenti. Risponde a esigenze continuamente riemergenti nel cuore dell'uomo; affronta il problema della vita di un povero che vive difficoltà, in apparenza insormontabili; rischia la solitudine piú nera pur di restare fedele ai suoi ideali; offre un'indicazione pratica e insuperata circa il come credere in Dio in modo gratuito; esprime con parole sublimi il dramma che è dentro la storia dell'umanità e di ogni essere nella ricerca di Dio, nonostante le contraddizioni, il caso, le situazioni irrazionali. Ogni pagina del testo biblico, ogni evento presentato sono carichi dell'affanno del capire. «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?».
    Nello sfondo del dramma presentato dal testo sacro si evidenzia il bisogno di essere fedeli, di saper guardare oltre ciò che immediatamente appare, di non cedere né per debolezza né per tornaconto.
    Un lottatore, come un atleta, troverà la vittoria al termine del suo cammino, a coronamento dello sforzo e della costanza.

    DUE FEDELTÀ CHE SI RICERCANO

    Un primo singolare tratto della storia di questo pover'uomo è la fedeltà a tutta prova al suo Dio. Niente riesce a deviarlo dal suo cammino e ad allontanarlo dalla ricerca del suo Signore.
    La stanchezza di vivere; la noia disincantata perché si è soli e abbandonati da tutti; la mancanza di ogni certezza compresa quella che si ripone nei beni materiali ormai completamente perduti; ilnon riconoscimento da parte di coloro che sono piú vicini e condividono notte e giorno la propria esperienza di dolore, quali sono i familiari e gli amici; la sensazione di essere stato dimenticato perfino da Dio: nulla distoglie Giobbe dalla fedeltà.
    Il buio nella propria anima e attorno, nell'esistenza quotidiana, è difficile ad essere accettato. È radice della disperazione e dell'accusa rivolta a tutti gli altri, compreso Dio. Eppure Giobbe non dispera. Si lamenta, piange, impreca, maledice, ma continua a sperare.
    Il silenzio di Dio è insopportabile; lacera dentro lo spirito; sconvolge l'orizzonte delle proprie attese e dei progetti umani; toglie il respiro; provoca il dolore piú grande e la sofferenza piú indicibile.
    Al povero Giobbe non resta che una protesta: andare a sedersi fuori della città, in un immondezzaio, e cosí esprimere il suo lamento, la coerenza interiore e la condotta esemplare. L'avversità non gli fa perdere la sua innocenza: «Malgrado tutto, Giobbe non peccò con le sue labbra» (cf Job 2,10).
    La fedeltà a Dio è assolutamente gratuita: è l'insegnamento piú alto del libro e dell'esperienza di Giobbe.
    Niente turba la sua speranza. Al di sotto delle parole disperate e cariche di sofferenza alita la speranza. Nonostante tutto quello che è costretto a subire e a sentire dagli altri, ricerca sempre la sua giustizia in Dio. Vuole ad ogni costo essergli fedele, dall'inizio fino alla fine, nella felice come nella cattiva sorte. Alla fedeltà di Giobbe corrisponde la fedeltà di Dio. Non può rimanere indifferente e silenzioso. Deve intervenire e parlare. La situazione drammatica in cui si viene a trovare il pover'uomo, assurto a simbolo del dolore e della sofferenza umana (si dice un «povero Giobbe» quando si intende riferirsi ad uno circondato dalla fossa della morte), reclama la giustizia.
    E giustizia gli verrà fatta dal suo Signore: «Io so che il mio Vendicatore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere!... Io lo vedrò, io stesso, e i miei occhi lo contempleranno non da straniero» (Job 19,25-27).
    Poche parole descrivono Dio: vendicatore del povero e dell'afflitto, redentore di chi si sente perduto e abbandonato, difensore degli oppressi, testimone e giudice della propria innocenza.
    Finalmente Giobbe è ascoltato nel suo grido e nell'invocazione. È salvo per la fedeltà di Dio.

    GENEROSO LOTTATORE PER LA GIUSTIZIA E LA VITA

    Dio aveva detto a Giobbe: «Chi mi affronterà e ne uscirà illeso?» (Job 41,3). E cosí avviene. Si ripete una scena del libro dell'Esodo. Dal confronto con Dio, Giobbe uscirà zoppicante, come Giacobbe dopo la sua lotta. Zoppicante ma contento. Ha visto il suo Signore, e quanto gli ha rivelato ha aperto a lui un mondo nuovo.
    Nella preghiera instancabile, nella testimonianza caparbia, nella ricerca senza tregua, nel suo dramma, Giobbe si presenta umile e ribelle, incontentabile fino alla fine, quando al termine della lotta ritroverà pienamente se stesso e la sua vita.
    Gli esegeti fanno notare come nei brani in prosa Giobbe è l'uomo paziente e umile, il pio che si adatta al destino inviatogli da Dio; nel dramma descritto dalla poesia Giobbe accusa Dio, si ribella a lui, si rifiuta d'accettare il destino mandatogli da Dio.
    È a questo secondo volto di Giobbe che riporto la riflessione per ritrarre i tratti piú significativi, nei quali si ritrova il messaggio piú profondo, piú utile e piú vicino alla sensibilità contemporanea.
    «Giobbe rispose al Signore: 'Riconosco che tu puoi tutto, che nessun piano è irrealizzabile per te. Tu hai detto - Chi è mai costui che offusca i miei piani, con parole senza senso? - Certo ho parlato, senza comprendere, di meraviglie che superano la mia comprensione. Tu hai detto - Ascoltami, che io parlerò, ti interrogherò e tu risponderai - Ti conoscevo solo per sentito dire, ora i miei occhi ti hanno veduto: per questo ripudio e abbandono la polvere e la cenere» (Job 42,1-6).
    La scoperta che Giobbe fa nell'insieme della sua triste/felice esperienza lo porta a rileggere con occhi rinnovati il senso della vita e la realizzazione della vera giustizia. Tra vita e giustizia si inserisce un terzo termine risolutore: la gratuità.
    È la gratuità alla radice della sua lotta. È ancora la gratuità a riempire la sua vita. E in ultima istanza la gratuità l'orientamento che assume la nuova giustizia.
    La polvere e la cenere sono un'immagine per esprimere una situazione di protesta e di lamento.
    «Ripudio e abbandono la polvere e la cenere» significa allora cambiare opinione.
    I discorsi di Dio gli hanno fatto cambiare atteggiamento; vede con chiarezza che non può continuare a parlare in tono di lagnanza. Ha combattuto per difendere un concetto e un atteggiamento di giustizia che Dio assolutamente non condivide. Non si può trattare con Dio facendosi condizionare da una giustizia legale.
    La giustizia da sola non ha l'ultima parola. Di fronte a Dio l'ultima parola appartiene alla gratuità, all'amore incondizionato, alla preferenza per il debole e il povero.
    Ecco il messaggio, il punto d'arrivo della lotta sostenuta: da una concezione giuridica della storia all'universo della grazia che tutto avvolge e compenetra. Non si può piú pensare ed agire riferendosi ad una giustizia che imprigiona Dio nei nostri gesti e nei nostri atti. Dio è oltre questa giustizia. Il Signore non è schiavo dello schema: tu mi dai, io ti do. Nulla, nessuna opera umana per pregevole che sia merita la grazia; se cosí fosse, questa non sarebbe piú tale.
    Siamo nel cuore del messaggio del libro di Giobbe e dell'esperienza credente di ogni povero Giobbe.
    Qui rinasce la vita. Non perché tutto diventa chiaro e comprensibile. Ma perché l'occhio è stato liberato dal suo reale male: l'incapacità di penetrare l'incognito, di accettare il mistero, di far volgere al bene l'incomprensibile.

    L'ITINERARIO DELLA VITA DEL CREDENTE

    Una premessa diventa indispensabile, mentre ci si introduce nel cammino che intende approfondire l'esperienza di Giobbe, e che si riflette nella storia dell'uomo credente oggi.
    Per cogliere quello che Giobbe ha provato non abbiamo altra luce, non ci è offerta altra possibilità che riferirci alla gloria della croce.
    Nella passione di Cristo Signore c'è come una realizzazione di quanto Giobbe aveva lasciato intravvedere. In Gesú c'è il compimento spirituale di quello che la storia materiale di Giobbe aveva preannunciato. La parola della croce (cf 1 Cor 1,18) è la suprema sapienza per intendere il destino che lega l'uomo a Dio. Nella croce c'è la ricapitolazione e il compimento di ogni sofferenza spirituale.
    Non è possibile presentare in modo dettagliato un cammino incontro alla vita, cosí come l'esperienza del libro di Giobbe può offrirci.
    Mi interessa però segnalare i grandi passaggi, che esprimo attraverso le tre tappe:
    - l'esperienza perturbatrice del dolore, del silenzio di Dio e della solitudine
    aprono in modo concreto all'incontro con il mistero della propria vita, al senso profondo dell'esistenza. Vivere fino in fondo l'esperienza della solitudine, quella che il Signore Gesú esprimerà con le parole del Salmo: «Dio mio, Dio mio, perché mi ha abbandonato?» è iniziare il cammino verso la vita senza fine;
    - il ritrovato senso della vita si traduce in concreto nella scoperta di Dio. Nell'esperienza di Giobbe Dio è trovato attraverso la croce, una croce né idealizzata né drammatizzata, ma avvicinata nella sua realtà di mistero dentro la vita concreta. Solo piantandola al centro della vita come realtà che nessuno può aggirare, si riesce a far fruttificare gli aspetti di vita che nasconde dentro di sé. Cosí per Gesú, e cosí per tutti i credenti. Se la croce viene collocata lontano dall'esistenza, si favoriscono le rappresentazioni idealizzate oppure terrificanti: ed è il modo piú concreto per svuotarla della sua forza e di privarla della capacità di esprimere l'amore, unica strada che aiuta allo svelamento di Dio;
    - dalla scoperta di Dio al riconoscimento della propria dignità il passo è breve e naturale. Il modo di esprimersi di Giobbe è legato al suo tempo e alla sua cultura religiosa. Rivendica la sua dignità con violenza, però in modo convincente: perciò risulterà vittorioso. È una partita in tre tempi, giocata con coloro che si presentano come amici, ma in realtà sono i suoi accusatori, piú accaniti, ingiusti ed ottusi. Giobbe costruisce la sua difesa in modo intelligente: cerca un arbitro, si appoggia ad un testimone, si attende un liberatore. Ci si riferisca per questo a tre testi chiave ed espressivi: i capitoli 9,33-35; 16,18-22 e 19,21-27.
    Giobbe intavola con Dio quasi un giudizio: è necessario un arbitro, per poter cosí parlare «senza timore» (9,34-35). Ciò manifesta nello stesso tempo l'alto concetto che Giobbe ha di Dio e la chiara coscienza della sua rettitudine che va comunque difesa. È deciso a tutto (Job 13,14-16). Chi aiuterà Giobbe in questo combattimento senza pausa? Chi diverrà suo testimone? E in un impeto di dolore invoca: «Se c'è in cielo il mio testimone, e nelle altezze il mio difensore, giudichi lui tra un uomo e Dio, tra un mortale e ilsuo amico» (Job 16,19-21). È certo di trovare chi lo difenderà nel giudizio con Dio che, si noti, chiama «amico», nonostante tutto. Il suo apparente nemico è anche il suo amico piú sincero.
    Assistiamo ad un crescendo della fede e della speranza di Giobbe: da una nebulosa richiesta di un arbitro, passando all'affermazione della necessità di un testimone, per giungere finalmente alla manifestazione della fiducia di un liberatore che verrà a riscattarlo. «Io so che è vivo il mio Vendicatore e che alla fine si alzerà sopra la polvere: dopo che mi avranno straziato la pelle, ormai senza carne vedrò Dio; io in persona lo vedrò, e non da estraneo, i miei occhi lo vedranno. Il cuore mi si strugge nel petto!» (Job 19,25-27). La coscienza della propria dignità porta Giobbe perfino a operare quasi uno sdoppiamento in Dio: un Dio giudice e, al tempo stesso, un Dio che lo difenderà nel momento supremo. Due volti nello stesso Dio a servizio del povero Giobbe, di ogni pover'uomo della storia quotidiana.

    UN CREDENTE INNAMORATO DELLA VITA

    La meditazione sull'esperienza di Giobbe offre oggi l'occasione per richiamare alcuni elementi piú significativi che compongono l'immagine di credente. Non è la quantità di tratti che importa evidenziare, ma l'espressività dei lineamenti. Una prima caratteristica dell'uomo di fede è la gratuità. Per esprimerla in modo concreto, anche se con termini al negativo: la religione non si converte in un baratto, l'umiltà in una polizza di assicurazione, la moralità in pesante moneta d'acquisto della libertà divina.
    È possibile una religione disinteressata? ci sono ancora credenti che sanno parlare con Dio in termini di gratuità? permane una mentalità diffusa da vecchio testamento, e ancor prima dell'esperienza di Giobbe, di un legame indissolubile tra prosperità e amore di Dio, tra privazione e lontananza da Dio?
    Giobbe si erge a modello di credente ogni qualvolta nel cambio di un'epoca si è tentati di tirare Dio dalla propria parte,barattando la propria vita, i comportamenti e le scelte con assicurazioni da manuale di psicologia e con scommesse che poco hanno del senso religioso e tanto invece di ambiguità. Si provi ad esemplificare anche sul terreno della moralità, evidenziando le mille espressioni da pagani che si annidano nei comportamenti quotidiani. Riscoprire Giobbe è ritrovare la gratuità della fede. Un tratto caratteristico dell'immagine del credente di sempre resta la difficile amicizia con il suo Signore. Da Giobbe a oggi, sempre nella storia dell'incontro con il Signore, la compagnia di Dio, anche se molto beatificante, porta i segni della lotta e della difficile accettazione. Il libro di Giobbe non è l'apologia della rassegnazione, né il sussulto della rivolta. Descrive l'angoscia di colui che si trova abbandonato. Scoprirsi incompreso, escluso, abbandonato fa male piú di qualsiasi dolore fisico.
    E la fede oggi spesso vive in situazione di difficoltà. La sfida è la condizione ordinaria dell'esistenza credente. Dio è sempre un amico difficile. La croce si erge su tutte le strade percorse dal cristiano. Dove nasce l'amore, si presenta immancabilmente un cammino di umiltà e di obbedienza, di rinuncia e di dono totale, si presenta la via della croce. Dove
    l'amore cresce non crescono proporzionatamente le spiegazioni; si fa piú vivo un rapporto, si percepisce una certezza, si ascolta un'unica risposta, quella detta da Dio a Gesú sulla croce e a Giobbe sull'immondezzaio: «Io sono sempre con te, amico e amante della vita».

    GIOBBE RICERCATORE DEL SENSO DELLA VITA

    Traccia di lavoro per gruppi di animatori
    Gianni Ghiglione


    Indichiamo una possibile utilizzazione della meditazione offerta da A. Martinelli con un gruppo di animatori alla ricerca della propria maturazione spirituale. Mi pare importante evidenziare, tra le tante, tre tematiche sulle quali innestare un lavoro di verifica personale e di gruppo.

    1. Fedeltà gratuita a Dio. L'immagine di Giobbe, quale risulta dalla lettura del testo, è quella di un gigante, disposto a tutto. Ci richiama quella delle grandi figure dell'Antico Testamento: Abramo e Mosé che hanno saputo mantenersi fedeli a Dio nonostante le difficoltà, le prove, le sofferenze... In Giobbe tutto questo raggiunge punte da capogiro sí da diventare «l'uomo del dolore», ma la sua fedeltà non è piegata, anzi ne viene evidenziato il carattere disinteressato e gratuito.
    La riflessione può dirigersi verso vari filoni:
    - qual è la mia/nostra esperienza del dolore?
    - in ogni prova c'è sempre una percentuale di ambiguità: può diventare ostacolo all'incontro con Dio, al riconoscimento di Lui come Signore e Padre, oppure (come in Giobbe) trampolino per «andare oltre l'impossibile». In questa ottica, le esperienze precedentemente richiamate sono state segni e occasioni di fedeltà, oppure motivo per pensare che «il cielo è muto sopra di noi»?
    - la gratuità: verso il termine della meditazione ci sono interessanti interrogativi che possono essere ripresi e approfonditi e servire per verificare questo atteggiamento fondamentale del credente (religione, moralità...).

    2. L'immagine di Dio. La caparbietà e l'ostinazione con cui Giobbe è fedele al suo Dio sono basate sull'immagine che egli ha di Dio. Ritroviamo in questo libro alcune tra le definizioni piú belle su Dio di tutto l'Antico Testamento: vendicatore del povero e dell'afflitto; redentore di chi si sente perduto e abbandonato; difensore degli oppressi; testimone e giudice della propria innocenza; amico e amante della vita. Come sono lontani i sentimenti di rassegnazione, di paura o servilismo, di tracotanza e alterigia che segnano gran parte delle relazioni uomo-Dio: questo perché di Dio si hanno idee sbagliate. Pascal diceva di scommettere sul «Dio di Abramo, 'sacco, Giacobbe»; si potrebbe tranquillamente aggiungere «... e di Giobbe». Anche lui ha avuto il coraggio dei Patriarchi, fino a lottare con Dio!
    Un utile lavoro potrebbe essere quello di elencare i vari modelli di Dio che circolano oggi tra la gente, tra i giovani; come Dio viene presentato da certi pulpiti, su certi giornali «religiosi»... Ne uscirà un panorama interessante, tale da far capire:
    - il bisogno urgente di un'opera di purificazione, di scoperta, di discernimento circa la figura di Dio;
    - le conseguenze che il «Dio di Giobbe» comporta: nasce un senso nuovo per la vita e l'uomo acquista una dignità inalienabile.

    3. La risposta di Dio. In realtà non si tratta di qualcosa che segue la fedeltà dell'uomo, ma di un'offerta di giustizia e di salvezza che lo precede, da accogliere nella libertà e responsabilità.
    Questo dono è la fedeltà di Dio: una fedeltà esigente, che saggia e purifica (il discorso della croce), una fedeltà che va al di là di ogni attesa, che supera ogni desiderio, fino a far balenare la speranza dell'immortalità.
    Viene qui spontaneo pensare ad un filo diretto che unisce Giobbe a Cristo e questo potrebbe diventare un'ulteriore pista di lavoro e di approfondimento, ben sapendo che questo filo diretto non si è spezzato venti seco- li fa, ma raggiunge anche me/noi per comunicare la «buona notizia» del Dio fedele, amante della vita e per sollecitare una risposta gratuita.
    Queste tre tematiche vanno poi confrontate con il testo: sarà quindi indispensabile una lettura personale e diretta del testo per farlo diventare (ragione per cui fu scritto) punto di confronto e di rinnovamento di vita.
    Termino con una frase di L.A. Schökel, uno dei piú grandi studiosi contemporanei del libro di Giobbe: «È il 'libro del futuro', non solo il libro dell'oggi, perché tratta tutti gli eterni problemi dell'uomo e li tratta con una sensibilità che possiamo definire moderna».

     


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