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    Maria di Nazareth animatrice della comunità ecclesiale


    Una meditazione a cura di Antonio Martinelli

    (NPG 1987-06-55)



    La riflessione su Maria non è mai pienamente compiuta nell'esperienza della chiesa e dei credenti. La situazione verificata all'inizio della nuova storia è, in qualche modo, regola e criterio per gli spezzoni di storia in cui ciascun credente è chiamato all'esistenza e al contributo personale nel compimento del Regno di Dio.
    Maria si rende presente in una chiesa che prende coscienza di sé: è questa una motivazione del primitivo silenzio su Maria da parte dei primi scritti sacri.
    L'iniziale predicazione apostolica e le principali e profonde riflessioni sul mistero di Cristo, come possiamo cogliere negli scritti paolini, danno poco spazio alla figura di Maria.
    Semplice dimenticanza degli agiografi? oppure previdenziale attesa di un momento piú adatto?
    Il riferimento a Maria aiuta la chiesa che si ritrova in un mondo nuovo, in una cultura diversa rispetto al momento della sua germinazione, a ritrovare la forza della testimonianza e il coraggio del confronto.
    Maria convoca attorno alla Parola del Signore, all'amore del Padre che raccoglie i figli dispersi e lontani, al dono inesauribile dello Spirito che riempie i cuori dei fedeli, la nuova chiesa che inizia a sperimentare le prime tensioni interne, i contrasti che nascono dalla diversa comprensione della fede, i pericoli esterni della persecuzione e del martirio.
    Luca e Giovanni diventano cosí i testimoni di un'esperienza particolare salvifica in cui la figura e la funzione di Maria trovano nei vangeli una collocazione significativa per ciascun singolo credente e per le comunità.

    LE PROSPETTIVE DELLA MEDITAZIONE SU MARIA

    La meditazione qui proposta non intende ripercorrere tutte le indicazioni bibliche che riguardano Maria. Ha pretese piú contenute, in quanto si sofferma a considerare la riflessione che Giovanni compie all'interno dell'annuncio del vangelo, e in un secondo momento cerca di approfondire la presentazione che Maria stessa fa di sé nel cantico del Magnficat riportato dall'evangelista Luca.
    La descrizione riportata da Giovanni della funzione di Maria nella comunità credente, giunta ormai al termine del primo secolo dell'era cristiana, e la percezione di sé espressa da Maria, figura e prototipo della comunità, nel vangelo di Luca, sollecitano a due esigenze sempre presenti nella chiesa.
    Innanzitutto, non distaccare Maria dal contesto comunitario, perché in esso vive, da esso trae forza la sua funzione, all'interno di esso si esprime pienamente la vocazione propria di questa «madre e figlia» della chiesa.
    In secondo luogo, saper collegare la funzione di Maria e il cammino della comunità nascente sulla stessa direttrice di conversione e di rinnovamento: la comunità della chiesa compie il cammino di evangelizzazione e di salvezza degli uomini, vocazione primaria della sua esperienza, se come Maria esprime innanzitutto la disponibilità all'opera del suo Signore, e si fa quindi dispensatrice della ricchezza dei doni ricevuti.

    LA DONNA FEDELE AL SUO SIGNORE E AI FRATELLI

    Un passo del concilio è particolarmente significativo nella presentazione di Maria: «...anche la beata Vergine avanzò nella peregrinazione della fede» (LG 58). Non è una semplice notazione biografica esteriore, ma il richiamo all'atteggiamento principale che fa di Maria una credente, la prima credente della nuova comunità. E il cammino della fede è cammino di fedeltà. Non è riconducibile ad una fedeltà episodica, ad un facile impulso d'entusiasmo.
    In Maria la fedeltà è tradotta con la costante vicinanza al Cristo.
    La vita di Maria non è trascritta in appunti ricercati per evidenziare i momenti eroici e sublimi di una storia. I pochi cenni evangelici la relegano nell'impegno quotidiano, nell'operosità silenziosa di una famiglia, nella precarietà, compagna di ogni esistenza che si abbandona fiduciosamente al mistero di un Dio presente.
    Perciò fedele anche nei momenti in cui la prova diventa piú dura o la difficoltà dell'imprevisto potrebbe vincerne la saldezza. La fedeltà è forza che supera il tempo.
    In Maria la fedeltà assume due connotazioni ugualmente importanti.
    È fedeltà al suo Dio nella persona del Cristo, e all'uomo nelle sue esigenze piú fondamentali.
    Giovanni esprime nel vangelo, fin dall'inizio, le due prospettive, con l'episodio delle nozze di Cana.
    I commentatori affermano che la presenza a Cana significa la fedeltà di Maria all'antica alleanza e chiede ai servitori (figura dei discepoli) di essere loro pure fedeli alla nuova alleanza espressa nell'abbondanza del vino per la festa di nozze.
    Una lettura cosí intesa potrà risultare nuova o forse estranea alla nostra sensibilità. Non è la situazione di Giovanni che scrive e si riferisce ad un episodio ormai passato da molti anni, ma presente nel ricordo e letto e interpretato alla luce del cammino che la chiesa ha compiuto nel primo secolo della sua storia.
    Definendo il miracolo dell'acqua tramutata in vino un «segno», lo colloca in una prospettiva particolare, e cerca nelle apparenze esteriori una realtà piú intima; rapporta il tutto al mistero di Cristo.
    Un appassionato esegeta, M. Thurian, scrive a proposito dell'episodio evangelico di Cana: «Nel suo atto di fede e nella sua preghiera, Maria appare come rappresentante l'umanità in difficoltà ed il giudaismo nella sua speranza messianica: essa è la figura dell'umanità e di Israele che attendono una liberazione, misteriosa per l'umanità, messianica ma ancor troppo umana per Israele».
    Donna fedele è Maria, perché nella sua qualità di madre si rende «serva» della parola del Cristo, nella fede aperta sull'incognito.
    Già Israele era stato incoraggiato a fare espressione di fedeltà a Dio: «Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo» dirà il libro dell'Esodo (Es 19,8). «Quanto egli vi dirà, fatelo», richiederà Maria ai servi.
    Come il dono dell'antica legge mosaica fu preceduto da una pronta dichiarazione di fede e di fedeltà da parte di Israele, cosí il dono del vino di Cana, simbolo profetico della nuova legge di Cristo, è preceduto dal totale abbandono di Maria alla volontà del Figlio: «Quanto egli vi dirà, fatelo».

    LA MADRE DISCEPOLA DELLA COMUNITÀ NUOVA

    Un secondo episodio del vangelo di Giovanni è significativo nella presentazione della funzione e del ruolo di Maria nella storia di ogni credente. È riportato al capitolo 19, ed è conosciuto da tutti coloro che hanno anche solo una minima informazione sui dati biblici.
    Nel momento in cui la morte opera, apparentemente, la suprema separazione tra madre e figlio, tra Maria e Gesú, e il Cristo sta per compiere con il dono della vita l'opera che il Padre gli aveva affidato, egli si stringe piú strettamente che mai a Maria, trasformandola in madre di tutti i suoi discepoli. La consacra, nella sua morte, come madre di tutti i salvati e perciò, a doppio titolo, come donna, come nuova Eva, vera figlia di Sion, cosí come il libro della Genesi lasciava trasparire al momento del peccato dell'uomo.
    L'episodio evangelico colloca cosí la figura di Maria non solo nell'immagine dell'addolorata, ma in modo piú comprensibile e significativo nell'immagine della madre della chiesa.

    La suprema accoglienza tra madre e figlio

    Della ricca storia che si sviluppa sul Calvario mi preme segnalare alcune prospettive, feconde per la spiritualità di un animatore.
    Innanzitutto accenno alla fecondità dell'amore: la vita nasce dalla morte.
    Una parola cara al Cristo quando intende esprimere l'opera che «deve» svolgere, è parlare della «sua ora».
    Ciò fa dell'«ora» un tempo teologico, un tempo di Dio, il momento particolare del Padre e che Gesú vuole totalmente condividere; ora verso cui intende orientare tutta la sua attività, e da cui ricava spiegazione tutto il comportamento del Figlio.
    Perciò l'«ora» dimostra tutta la sua fecondità, perché è carica dell'amore.
    Cessa di essere un momento negativo la stessa morte, perché porta frutti incalcolabili di vita. E piú volte il vangelo comprova questa legge della vita dalla morte: quando parla del chicco di frumento (Gv 12,24), quando riferisce del dolore della donna che partorisce (Gv 16,21), quando riporta il dono dello Spirito legato alla morte del Signore (Gv 19,30).
    Nell'ora di Gesú trova un suo posto particolare la presenza di Maria. In secondo luogo va colto nell'episodio che stiamo considerando un elemento che ricolloca Maria dentro la comunità: «Da quell'ora il discepolo la prese nella sua casa» (Gv 19,27).
    La traduzione riportata è quella piú comune e conosciuta, quella che ordinariamente viene offerta nella stessa predicazione. Sarà opportuno però sapere, per una meditazione piú appropriata e piú feconda di conseguenze sul piano spirituale, che molti traducono in maniera piú ricca: «E da quell'ora il discepolo l'accolse tra le sue cose proprie».
    Il momento della preghiera non può essere il momento di una ricerca tecnica ed esegetica. Riporto perciò le conclusioni che sono al termine dì un lungo ed accurato studio.
    Le «sue cose proprie» non sono da identificarsi semplicemente con la «casa» che egli certamente poté offrire a Maria come abitazione. C'è anche questo. Ma vi è di piú.
    Sono da annoverare tra le cose proprie: i beni spirituali e i valori della fede. Quei beni e quei valori di cui l'amore di Gesú faceva dono al discepolo, come la parola ( 17,8), il pane eucaristico ( 6,51), lo Spirito Santo ( 20,20), ecc. In sostanza «tali cose proprie» equivalgono alla «fede del discepolo» nei confronti del Maestro, all'ambiente vitale in cui egli ha ormai situato la propria esistenza.
    In altri termini, la comunità in cui si vive e si cresce, e alla cui scuola tutti i credenti sono invitati a porsi con docilità ed intelligenza.
    Cosí, a partire dall'evento pasquale, la vera ora del Signore Gesú, tutti i seguaci del Cristo, quanti si metteranno alla sua sequela, troveranno in Maria uno dei tesori che costituiscono la «proprietà» della loro fede.
    Si può ripetere una parola di Paolo VI: «Se vogliamo essere cristiani, dobbiamo essere mariani, cioè dobbiamo riconoscere il rapporto essenziale, vitale, provvidenziale che unisce la Madonna a Gesú, e che apre a noi la via che a lui conduce» (24.4.1970).
    Nel cristianesimo Maria non è il centro, ma è centrale: una centralità voluta dal Cristo morente, accolta dal discepolo che il Signore amava in rappresentanza della nuova comunità, vissuta nell'esperienza quotidiana da ogni fedele.

    LA SERVA DELL'AMORE MISERICORDIOSO

    Della presentazione che fa Luca di Maria madre del Signore, raccolgo solo quanto offre alla meditazione religiosa e all'impegno spirituale il brano del cantico conuMemente detto il Magnificat.
    Le letture possibili sono molte.
    Il cantico può essere letto, innanzitutto, alla luce dei due Testamenti, alla luce della storia d'Israele: è cosí il canto del ringraziamento e delle meraviglie per le grandezze operate da Dio a favore del suo popolo.
    Al centro si trova l'Incarnazione del Figlio di Dio, segno dell'amore senza limiti per l'umanità bisognosa di redenzione e di misericordia. Attorno si dispongono tutti i prodigi operati nel tempo per esprimere nel vivo dell'esistenza quotidiana la presenza operosa di un Dio che cammina insieme con l'uomo: creazione, incontro con Dio, elezione, esodo, sviluppo del culto secondo la benevolenza del Signore, tutto canta i doni senza numero dell'amore divino.
    Ringraziamento e meraviglia perché la storia antica ha nuovi imprevisti sviluppi nel presente, nell'oggi di Maria che si trova cosí nel cuore della celebrazione di Dio, il quale vuole lei «benedetta e beata» di generazione in generazione. Se queste sono le origini dell'amore misericordioso, quale sarà lo sviluppo definitivo, preannunziato ed anticipato, della pasqua?
    Una seconda lettura possibile è cogliere la funzione profetica di Maria. Sarà lei, allora, l'interprete dei sentimenti e delle aspirazioni di quanti sono nella sofferenza e nell'ingiustizia, anelano perciò al riconoscimento dei loro diritti, insistono sull'urgenza della riconciliazione degli uomini tra loro e con Dio e si prodigano perché la buona novella raggiunga ogni uomo.
    Il canto profetico di Maria si sviluppa alla luce delle tre categorie, che sono primariamente bibliche e spirituali, ma non sono aliene da riferimenti di tipo sociale e politico: i poveri, gli emarginati e gli oppressi.
    Guardando e pregando da questa prospettiva, le parole del Magnificat diventano un richiamo forte ed impegnativo alla conversione verso i fratelli particolarmente nel bisogno.
    Una terza lettura, e non certamente l'ultima, mette in evidenza la ricchezza interiore di Maria, che dopo la risurrezione ha meglio approfondito il mistero di Dio, divenuto suo Figlio, e il suo ruolo di madre di una nuova famiglia.
    Non è una lettura intimista: resta sempre voce di tutta la chiesa, perché Maria diventa qui la profezia della chiesa e del credente, la profezia della storia universale.
    Presento gli aspetti piú significativi che possono essere considerati nella meditazione personale.
    Innanzitutto, il soggetto sia grammaticale sia logico di tutto il cantico è Dio visto con gli occhi di Maria. E di Dio si presenta come una piccola ma singolare rivelazione: signore, salvatore, onnipotente.
    L'esperienza di Maria è manifestata in tre momenti operativi: l'anima mia magnifica il Signore (Lc 1,46), ha guardato l'umiltà della sua serva (Lc 1,48), si è ricordato della sua misericordia (Lc 1,54).
    La lode, la grazia, e la fedeltà segnano le tappe fondamentali dell'incontro con Dio.
    La lode sgorga spontanea ed entusiastica perché Dio ama i poveri, Dio nasce da una vergine, Dio manifesta la sua gloria nell'umiltà.
    Sono cosí sconvolti tutti i comportamenti ordinari della vita: nasce una nuova legge; si esprimono nuovi criteri, propriamente quelli evangelici e dell'alleanza nuova.
    La grazia ha un «segno»: lo sguardo di Dio. «Se mai nella storia qualcosa è accaduto, è precisamente questo sguardo di Dio» (K. Barth).
    Perché amore, la grazia cerca il segno dell'amore espresso nello sguardo. È desiderio di vicinanza, è. attestazione di sensibilità ai bisogni e alle esigenze della persona amata, è vigile attenzione di difesa, è comunicazione di sé e della propria ricchezza.
    Il simbolo dell'occhio domina tutte le culture. Indica contemplazione, compiacenza, condivisione.
    La fedeltà infine ha una lunghissima cronaca dalla sua parte. Non è possibile trascriverla tutta: bisognerebbe ripresentare tutta la storia salvifica, che è proprio storia di fedeltà.
    I tre momenti, lode grazia fedeltà, sono l'esperienza che anche la chiesa ha fatto nell'ultimo concilio e che ha riespresso nelle quattro fondamentali costituzioni che reggono l'intero edificio dottrinale e di rinnovamento.
    La lode è ripensata nel documento sulla Sacra Liturgia, come riespressione del sacerdozio di Cristo vissuto da ogni credente.
    La grazia, come sguardo di Dio, è presente a piene mani nelle due costituzioni dogmatiche sulla Chiesa e sulla Parola di Dio. Ci sono nuove esigenze espresse nella riflessione ecclesiale che esigono, da una parte, di guardare a lungo il Signore, divenendo suoi discepoli e ascoltatori assidui della sua parola; e dall'altra, di farsi operatori della parola nell'annuncio che la luce delle genti è l'unico Signore e Cristo.
    La misericordia, la fedeltà e l'attenzione di Dio per l'umanità, per la piccola storia di ogni uomo, per il difficile cammino della conversione, trovano nella costituzione pastorale sulla chiesa nel mondo contemporaneo concrete realizzazioni, misurate dalle situazioni diverse vissute da ciascuno.
    Un'ultima riflessione potrà guidare l'impegno spirituale di una risposta generosa ai doni di Dio.
    Il credente per struttura interiore di grazia vive «decentrato» da sé nella lode e nella misericordia; e «concentrato» in sé, nella luminosa coscienza, nello sguardo di grazia di Dio, suo padre e suo salvatore.
    La storia di Maria è esemplare. Ciascuno trova rispecchiata la propria tensione di andare incontro al Signore. La chiesa intera rivive esemplarmente in lei il suo futuro di lode, di grazia, di fedeltà. fino allo sporgersi della domanda di vita nella direzione di un «di piú di senso» invocato e atteso.
    È all'interno dunque della vita e della domanda di vita che noi andiamo alla ricerca della domanda religiosa del preadolescente.
    E ciò nel rispetto di quel cammino faticoso e misterioso di affinamento, di approfondimento dei livelli diversi in cui la domanda giunge alla consapevolezza del preadolescente.
    Nella lettura dunque della «domanda di vita» del preadolescente saremo attenti ai diversi livelli, senza riduzionismi e senza mistificazioni che tentino di coetocircuitare la domanda.
    Ma dovremo anche assumere come punto di partenza la «domanda di vita» del preadolescente nelle sue forme piú elementari e povere; è al suo interno che occorre scavare e cogliere la espressione anche solo puntiforme, momentanea, della domanda religiosa o la possibilità di una sua germinazione attraverso un lento «viaggio in profondità».


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