Pastorale Giovanile

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    Il Regno dei cieli è simile /3-6


    Itinerario alla fede con il Vangelo di Matteo

    Agostino Buccoliero - Luigi Orlando

    (NPG 1987-06-23)


    Offriamo in questo numero le ultime quattro tappe dell'«itinerario di fede» ritmato sul Vangelo di Matteo, preparato e «attualizzato» per la catechesi nelle comunità giovanili francescane.
    Le prime due tappe e la presentazione globale del materiale sono state offerte in NPG 4/87 («Dio Signore della storia») e 5/87 («I requisiti del candidato al Regno»).
    L'impostazione di fondo, lo ricordiamo, è la ricerca della fraternità, come modello evangelico di vivere la vita personale e collettiva, alla luce di un Vangelo che sembra essere il «Vangelo della comunità ecclesiale che vive attorno a Gesù condividendone la causa e invocando Dio come Padre».
    L'itinerario accompagna, sollecita la ricerca umana, lascia mettere in luce le domande e gli interrogativi che emergono dalla vita delle persone e della società, e permette che dentro la stessa vita risuonino, diventino vive le esperienze dei primi cristiani e le parole di Gesù.
    I contenuti anche «francescani» della proposta permettono un arricchimento e una specificazione concreta dell'itinerario di fede, mediante la «memoria» dei tratti originali della spiritualità ecclesiale di S. Francesco.
    Di questo itinerario, che conclude in questo numero le previste sei tappe, vediamo un'utilizzazione immediata in un campo estivo (i campi estivi biblici vanno di moda di questi tempi, ma hanno forse bisogno di passare da campo «biblico-esegetico» a campo «biblico-esistenziale»); ma questa non è ovviamente l'unica utilizzazione possibile o suggerita. Magari anche per un originale corso di esercizi spirituali.


    Terza unità:
    la ricerca dei segni del Regno

    Obiettivo: il giovane discerne i se- gni del Regno nella vita della comunità cristiana, maturando la «pazienza» di Dio nella tolleranza del male e la disponibilità al perdono.
    Tempo liturgico: Quaresima. Contenuto:
    * Biblico: 1. Il grano e la zizzania (Mt 13,24-30). 2. La rete da pesca (Mt 13,47-50). 3. Il tesoro e la perla (Mt 13,44-46). 4. Perdonare alla maniera di Dio (Mt 18,23-35). 5. Il padrone generoso (Mt 20,1-16).
    Gesù con le beatitudini ci ha detto che il suo Regno è senza padroni e i più piccoli e gli indifesi sono i più privilegiati e importanti: è una novità sorprendente. Gesù non dice mai cosa è il Regno dei cieli ma si guarda solo intorno: vede il muratore, il pastore, il contadino, il commerciante, il pescatore... Osserva la vita di ogni giorno e ci fa un dono grandissimo: rassomiglia questi personaggi con le loro azioni al Regno dei cieli.
    Gesù vuole aiutare la gente a capire che il Regno dei cieli è in loro. Fa scoprire Dio nel quotidiano. L'immediatezza di linguaggio e di situazioni contribuiscono a dare l'idea della vicinanza del Regno dei cieli.
    L'incomprensione nasce quando Gesù fa appello alla sua unica esperienza con il Padre. La parabola per Gesù è un modo nuovo per parlare del Padre, di essere unito a lui, di vedere il suo Regno in azione, di pregare.
    Una cosa è certa: il Regno dei cieli non è un territorio ma una comunità di persone che accetta Dio come suo Signore e sulla quale Dio regna.
    Il candidato al Regno che è già entrato in comunità e ha invocato Dio come Padre di tutti fa esperienza nel suo cammino di una Chiesa spesso divisa. Nonostante questo deve continuamente scegliere Gesù che ha trovato come un tesoro nascosto, perdonare alla maniera di Dio e offrire generosamente il propriocontributo per la crescita della stessa comunità.
    * Ecclesiale: la comunità esprime con la sua vita la presenza del Regno di Dio nella storia. Vive nella comunione e tuttavia deve superare tentazioni di logiche diverse per restare inserita nel dinamismo del Regno. La comunione è turbata dalla presenza della «zizzania» e da «pesci non buoni»: ma non spetta ad alcuno giudicare, «spiantare», fare la cernita... quanto maturare la stessa logica del Padre che perdona ed è generoso nella ricompensa per gli ultimi arrivati.
    L'attuale coscienza ecclesiale tradotta in piano pastorale punta fortemente sulla comunione all'interno e sul dialogo con tutti.
    La comunione diviene tratto caratteristico di mediazione al Regno maturando una relazione impostata sulla reciproca accoglienza e coinvolgimento e favorendo il processo di maturazione della comunità degli uomini.
    Si riscopra l'importanza e la ricchezza di Comunione e comunità e del convegno ecclesiale Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini, quale attualizzazione concreta ed esperienza di comunione nel continuo superamento di tensioni, per una esperienza di unità, pur nella pluralità di accentuazioni e di ambiti di intervento.
    * Francescano: nell'esperienza di Francesco l'accettazione incondizionata della persona ha garantito la relazione e la piena maturazione della stessa persona. La fraternità diviene la testimonianza in cui il perdono è possibile e concreto e la relazione supera di gran lunga l'affetto del vincolo di sangue.
    Essere reciprocamente «madri» - secondo l'invito di S. Francesco - è al contempo solidarietà, fraternità, affetto, comprensione, perdono... Far parte della fraternità, d'altra parte, è rischiare, dando via tutto per comprare il campo in cui c'è il tesoro, la perla preziosa.

    Per l'attualizzazione

    Le nostre comunità hanno certamente patine e incrostazioni che non fanno brillare il dinamismo di comunione. E lo stesso gruppo - mediazione ed esperienza di Chiesa - ha in sé tendenze negative evidenziate nelle parabole: gelosia, giudizi, difficoltà di perdono.
    Un possibile punto di partenza è rilevare fenomeni tipici della vita di gruppo perché siano ricompresi in se stessi e alla luce della proposta evangelica. I disturbi più frequenti nella comunione sono dati dalla poca disponibilità verso i nuovi, daigruppetti all'interno, dalla gestione dei ruoli con stile «duro» o discontinuo... L'esemplarità della fraternità vissuta nello stile francescano può essere di riferimento per rinnovare la dimensione comunionale all'interno del gruppo e nei rapporti con l'esterno. Nella realizzazione della presente unità possono essere utilizzati positivamente esercizi o tecniche di animazione per una lettura più oggettiva della situazione di gruppo, per far emergere dinamismi e per favorire la coesione. (Ad esempio, si può utilizzare: M. Jelfs, Tecniche di animazione, LDC, 1986, soprattutto pp. 47-71).

    1. IL REGNO DEI CIELI È SIMILE...

    Testo base: Mt 13,24-30.47-50.44-46.

    Commento esegetico

    * Il grano e la zizzania (Mt 13,24-30). In uno stesso campo il padrone semina il grano e il nemico la zizzania. Grano e zizzania germogliano e crescono insieme. Il dialogo:
    - i servi domandano al padrone sull'esistenza della zizzania tra il grano. Il padrone risponde che la zizzania è stata seminata dal nemico;
    - i servi propongono al padrone di raccogliere la zizzania. Il padrone replica di lasciar crescere il grano e la zizzania insieme.
    Alla mietitura: la zizzania è bruciata e il grano è conservato.
    Si notino i termini opposti: grano-zizzania; padrone-nemico; grano conservato-zizzania bruciata.
    La posizione dei servi. I servi si fanno portavoce presso il padrone di una mentalità diffusa nel mondo giudaico: la separazione del bene dal male. Se il grano rappresenta il bene e la zizzania il male, si capisce subito che la richiesta dei servi è quella di eliminare il male.
    La posizione del padrone. Il padrone propone il superamento del problema nella convivenza del grano con la zizzania. Il male deve essere rispettato e deve crescere insieme al bene. Gesù ci dà l'e-sempio: non elimina Giuda dal gruppo dei dodici. Mt ha capito che nella sua comunità devono convivere i cristiani impegnati e quelli disimpegnati. Per stimolare alla conversione questi ultimi e consolidare nella fede i primi, usa un linguaggio apocalittico molto presente nella propaganda giudaica missionaria. Alla fine dei tempi i buoni avranno il premio eterno e i cattivi la condanna eterna: il grano è conservato e la zizzania è bruciata. Mt fa leva sulla paura del futuro per il ravvedimento nel presente.
    Gesù non vuole formare una società in cui si rifiutano e condannano i cattivi, ma una comunità accogliente di perdono gratuito e di convivenza paziente e promozionale.
    * La rete da pesca (Mt 13,47-50).
    È molto simile alla parabola della zizzania. Mt, solo lui, la racconta dimostrando come Gesù non si stanca mai di insegnare le stesse cose anche se con sfumature diverse.
    La missione di Gesù è la fase della raccolta. La rete è gettata. Attorno a lui si raccoglie ogni tipo di persona: malati, peccatori, farisei, pubblicani, prostitute, gente indifferente, curiosi, brontoloni, gente anonima. Giovanni Battista voleva l'eliminazione di tutti gli ingiusti e come i profeti dell'AT pensava che la venuta del Messia sarebbe coincisa con la cernita dei pesci e la loro rispettiva e definitiva sorte.
    Gesù invece colloca tra la venuta del messia, la sua venuta, e la cernita dei pesci un lungo periodo di raccolta: è il tempo storico della Chiesa. L'opera della Chiesa è quella del pescatore che trasporta a riva la rete piena di ogni sorta di pesci. È la fase della raccolta e non della distinzione. Il pescatore non seleziona i pesci mentre la rete è in alto mare e viene trascinata a riva e spera che tutto il pesce sia buono. Non si può anticipare nel tempo alcuna valutazione: positiva o negativa, anzi bisogna essere animati dalla speranza che tutto si risolva nel modo migliore. È un ammonimento ai responsabili della Chiesa a non formulare giudizi sui buoni e sui peccatori, sui gruppi ecclesiali progressisti, moderati o tradizionalisti. Bisogna accogliere la pluralità degli apporti e accettare il diverso come ricchezza e stimolo alla crescita. La rigida posizione puritana è incapacità di accoglienza e fonte di scissione già nella fase di raccolta.
    Confronto. La parabola del grano e della zizzania sottolinea un'idea generale: la convivenza del bene e del male. La parabola della rete specifica meglio il bene e il male: sono i vari cristiani o gruppi che agiscono in modo dignitoso e zelante o in modo indegno e scadente.
    * Il tesoro e la perla (Mt 13,44-46).
    Le due parabole hanno lo stesso schema letterario: il Regno dei cieli è simile; scoperta dir una grandissima ricchezza; decisione di vendere tutto per acquistarla.
    Il tesoro. È mentalità diffusa nascondere sottoterra il proprio tesoro in un recipiente, in caso di pericolo. A volte il tesoro rimane sepolto e ignoto a causa della morte improvvisa del proprietario. Accade che un operaio, contadino se lavora la terra, muratore se scava le fondamenta di una casa, lo trova inaspettatamente.
    La perla. Al tempo di Gesù era ormai affermato il commercio delle perle preziose, specie di quelle provenienti dal mar Rosso o dall'Oceano Indiano. Ogni commerciante insegue la fortuna e aspetta l'occasione propizia per dare una svolta alla sua vita.
    I destinatari delle due parabole possono essere i pagani che, come il bracciante, incontrano per caso Gesù, oppure igiudei che, come il commerciante, da tempo aspettano il messia. A questi come a quelli Gesù rivolge indistintamente l'invito a cogliere il momento favorevole per lasciare tutto e seguirlo. Bisogna rischiare e agire con urgenza: il presente è l'ora decisiva.
    Il problema di Mt. L'evangelista racconta queste parabole alla sua comunità. Probabilmente in essa c'è chi da tempo ha cercato e aderito a Gesù e chi da poco e forse per caso, ha iniziato un cammino di fede. Sorge l'invidia verso gli ultimi a cui è promessa la stessa comunione con Gesù. Mt invita a superare ogni rivalità perché la ricchezza trovata è un dono generoso di Dio che va al di là di ogni merito e aspettativa del bracciante e del commerciante. È importante soltanto il tesoro o la perla trovata.

    La memoria ecclesiale

    La comunità offre la testimonianza e la mediazione al Regno, mediante la comunione. Evidenziamo alcuni aspetti essenziali per discernere la vita della propria comunità e per maturare un'appartenenza fondata sulle prospettive di Mt.
    La Chiesa italiana ha formulato per gli anni '80 il piano pastorale Comunione e Comunità. È stimolata da una situazione per alcuni aspetti simile a quella per cui Mt scrive il suo vangelo, e dalle aspettative che la «comunità degli uomini» oggi manifesta nei riguardi della Chiesa stessa.
    All'interno della comunità si è notata una certa incomprensione soprattutto tra movimenti ecclesiali, a motivo delle modalità di azione e di presenza all'interno e fuori. Comprensioni unilaterali rischiano:
    - di sostituirsi alla logica del padrone nella valutazione dell'intervento più giusto nella coltivazione del campo;
    - di anticipare la cernita dei pesci quando non si è ancora a riva;
    - di espellere dalla comunità chi per caso ha trovato Gesù da parte di chi crede di possederlo.
    Le diverse tematiche: pluralismo, dialogo, mediazione, riaggregazione... su cui la comunità in questi ultimi anni si è confrontata per ricomprendersi e ricomprendere il suo ruolo, fanno constatare l'insufficienza di qualsiasi metodo se non si interiorizza anzitutto l'insegnamento di Gesù per una comunità accogliente, paziente, promozionale.
    A partire dalla consapevolezza dei termini in gioco: comunione e comunità, si può stabilire un punto corretto di partenza nella ricerca di una testimonianza, all'interno e nella comunità degli uomini, che affermi la propria gioia per aver trovato la perla preziosa.
    Comunione è «un dono dello Spirito per il quale l'uomo non è più solo né lontano da Dio, ma è chiamato ad essere parte della stessa comunione che lega tra loro il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo... Per il dono della comunione dobbiamo vivere nella città e costruire fra noi quell'unità in cui Cristo ha individuato la condizione perché il mondo possa credere nel suo messaggio» (CeC 14).
    Comunità ecclesiale è «la forma concreta di aggregazione che nasce dalla comunione: in essa i credenti ricevono, vivono e trasmettono il dono della comunione» (CeC 15).
    Certamente le nostre comunità non potranno pienamente esaurire la profondità e l'ampiezza della comunione, tuttavia ne sono il segno.
    Tale segno sarà sempre più luminoso quanto più i credenti si renderanno conto del dono prezioso ricevuto da Dio e lo sapranno preferire a tutte le ricchezze del mondo. Ed ancora se le comunità rinunceranno ad essere «giudizio ultimo sull'uomo e sul mondo» (La forza della riconciliazione 40) per esprimere nel lavoro paziente la propria fedeltà al Regno.

    L'esperienza di Francesco d'Assisi

    La fraternità voluta da Francesco è l'immagine della Chiesa. Nel particolare momento in cui la fraternità umana tenta di ridire le motivazioni fondamentali dello stare insieme, la fraternità cristiana è impegnata a rinnovare la qualità della testimonianza. La fraternità francescana tenta, a sua volta, una testimonianza alla stessa Chiesa e al mondo, riscoprendo le caratteristiche e la vivacità perseguite da Francesco.
    Precisiamo solo alcuni di questi tratticaratteristici in riferimento ai brani biblici e all'impegno della chiesa italiana.
    La fraternità è immagine di Chiesa perché testimonia l'amore del Padre per tutti gli uomini. Come Francesco sperimenta Dio come Padre e in lui ripone ogni fiducia e speranza, allo stesso modo desidera che attraverso la fraternità i frati e tutti gli uomini condividano la gioia di avere Dio come padre.
    La fraternità è immagine di Chiesa perché si fonda sui rapporti fraterni.
    È una fraternità aperta a tutti, e non richiede alcuna condizione per essere ammessi, se non la docilità e la disponibilità alla Parola. Il rapporto non è fondato sul ruolo, ma sulla considerazione del fratello come dono di Dio. Francesco si commuove quando il Signore gli dona il primo fratello che desidera condividere con lui una nuova vita. «Gli parve che il Signore avesse cura di lui, donandogli il compagno di cui ognuno ha bisogno e un amico fedele» (FF 361).
    La fraternità è immagine di Chiesa per la continua solidarietà tra i suoi membri, perché si è reciprocamente «madri», sia nelle necessità materiali che spirituali.
    La fraternità offre la testimonianza di come la comunione con Dio si concretizza in comunità: amare il fratello, stabilire rapporti «materni», di solidarietà, di aiuto, di comprensione, di conforto... «Ciascuno ami e nutra i suoi fratelli come la madre nutre e ama il proprio figlio» (FF 32).

    Per l'attualizzazione

    Dalla ricchezza della proposta biblica e della memoria ecclesiale e francescana, emerge una importante affermazione: la fraternità giovanile francescana è il luogo di comunione che nel perdono e nella solidarietà, fa esperienza di Chiesa e manifesta il Regno ai propri giovani e a quelli del territorio.
    Nella fase di attualizzazione della presente unità, articolata in tre momenti, sarà precisato:
    - la dinamica della fraternità;
    - la crescita nella soluzione dei problemi attraverso la «correzione fraterna» e il perdono;
    - le finalità: promozione della persona, incontro con la comunità, impegno per il Regno.
    Vivere in fraternità è il nostro modo di stare insieme e di fare gruppo. Si afferma nello stesso tempo la capacità di organizzarsi, di realizzare obiettivi, e, in modo più significativo, la relazione fraterna attraverso cui tutto ciò si attua.
    Fraternità è il nostro modo di maturare l'appartenenza ecclesiale nella comunione con Dio e con i fratelli.
    Fraternità è anche la risposta alla voce dello Spirito che invita a vivere il Vangelo alla maniera di Francesco.
    È indispensabile comprendere i dinamismi della vita in fraternità.
    La fraternità è scoperta e perseguita come «tesoro» e «perla preziosa», per la quale sacrifichiamo altre appartenenze e opportunità. Abbiamo intuito che la relazione interpersonale da maturare in un tempo di forte dispersione e ambiguità nei rapporti, è possibile in una fraternità accogliente, nuovo mondo vitale che aiuta nella chiarificazione personale e abilita alla valutazione critica della proposta dell'attuale cultura.
    La comunione è l'anima della fraternità perché afferma, oltre il comune e poco significativo «stare bene insieme», la sua continua ricerca e condivisione di valori e di progetti. Condivisione, tuttavia, nondice un modo «unico» di realizzare valori e progetti. Non dice conformismo di gruppo, per cui tutti pensano e agiscono allo stesso modo.
    La grande tentazione da superare è il costituirsi come fraternità di puri, in cui la zizzania è estirpata con le «nostre mani». La riconsiderazione della dignità di ogni uomo, porta a scoprire e a capire che ciò che valutiamo «zizzania» è solo l'emergere di insoddisfazione o insofferenza di molti giovani.

    Domandiamoci

    - La domanda cruciale: alla luce della proposta biblica e della testimonianza ecclesiale e francescana, qual è la nostra vita di fraternità?
    - Dalla scoperta della fraternità all'appartenenza, purifichiamo e maturiamo le motivazioni. Raccontiamo la nostra esperienza.
    - Ci destreggiamo tra diverse appartenenze per non precluderci alcuna possibilità. In una scaletta da I a 5, quale posto occupa l'appartenenza alla fraternità?
    - La fraternità è il positivo «mondo vitale» a condizione che si apra, senza pregiudizi, a tutti e soprattutto ai giovani più poveri. Quale significato diamo all'affermazione: «fraternità aperta»?

    2. PERDONARE ALLA MANIERA DI DIO

    Testo base: Mt 18,23-35.

    Commento esegetico

    È la cosidetta parabola del «servo spietato». È collocata nel «discorso ecclesiale» in cui sono raccolte le istruzioni per i discepoli. Un'attenzione particolare è rivolta alla cura dei piccoli, dei deboli, dei nuovi discepoli che possono allontanarsi dalla comunità per il cattivo esempio. Di tutto il «discorso ecclesiale» sottolineiamo solo l'accorato invito a fondare una comunità di fratelli riconciliati.
    La parabola rinvia al «discorso della montagna» e in particolare alla beatitudine sui misericordiosi (Mt 5,7; cf 6,12).
    L'occasione immediata è data dalla domanda di Pietro: «Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? fino a sette volte? E Gesù gli rispose: non dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette» (Mt 18,21-22). Segue la parabola.
    Analisi: «Il regno dei cieli è simile ad un re che volle fare i conti con i suoi servi».
    Mt 18,24-27 (prima sequenza):
    - Il problema. Il padrone esige che il suo servo saldi il debito. Ma è una richiesta impossibile in quanto il debito è immenso. C'è una soluzione: il padrone ordina che siano venduti il servo, la moglie, i figli e i suoi beni.
    - La supplica e il condono. Il servo «gettandosi a terra, lo supplicava: Signore, abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa» (v. 26). Il padrone mosso a compassione gli condona ogni cosa.
    * Mt 18,28-30 (seconda sequenza):
    - Il problema. Proprio il servo graziato appena uscito trova un altro servo come lui che gli deve pochissimo. Lo afferra e facendogli violenza dice: «paga quel che devi» (v. 28).
    - La supplica e il carcere. Il debitore «gettandosi a terra, lo supplicava dicendo: abbi pazienza con me e ti rifonderò il debito» (v. 29). Ma senza essere esaudito viene gettato in carcere.
    * Mt 18,31-34 (terza sequenza):
    - Il problema. Gli altri servi visto l'accaduto riferiscono ogni cosa al padrone il quale chiama il servo malvagio.
    - Rimprovero e carcere. Il padrone rimprovera severamente il servo malvagio e lo getta in carcere.
    * Mt 18,35 (conclusione): «Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello».
    Il contenuto. Viene sottolineata volutamente la supplica dei due debitori: «gettandosi a terra, lo supplicava: Signore, abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa/ti rifonderò il debito». È questa supplica che produce un duplice effetto: positivo e negativo, il condono e il carcere. Il significato è chiaro. Dio Padre perdona abbondantemente, oltre misura, e il suo discepolo non perdona al proprio fratello una piccola colpa. Eppure a chi più si perdona più dovrebbe perdonare. Ma succede che più si è in debito davanti a Dio per le proprie mancanze, più si è severi verso i fratelli.
    Dobbiamo riconoscere che il perdono non è connaturale all'uomo. Il perdono di Dio non è mai un fatto occasionale ed individuale ma è un evento comunitario.
    Il criterio di verifica per constatare se il perdono di Dio è stato interiorizzato è il perdono che offriamo al fratello.

    La memoria ecclesiale

    Il perdono ricevuto e offerto costituisce il volto della Chiesa sempre da riconciliare e a sua volta riconciliatrice. Il monito del brano di Mt impegna a livello personale e comunitario. Gli stessi documenti ecclesiali fondano la capacità riconciliatrice sull'esperienza di riconciliazione. Vivere il dono della riconciliazione in un impegno di permanente conversione al Signore, e pertanto «pacificare gli animi, moderare le tensioni, superare le divisioni, sanare le ferite eventualmente inferte ai fratelli, quando si acuisce il contrasto delle opzioni nel campo dell'opinabile, e cercare invece di essere uniti in ciò che è essenziale per la fede e la vita cristiana» (Riconciliazione e penitenza 9), è un aspetto fondamentale anche nel messaggio di Loreto.
    Per portare riconciliazione, dobbiamo essere Chiesa riconciliata, perciò stesso capace di apertura ecumenica con gli altri fratelli cristiani ed esperta nel promuovere il dialogo della salvezza nei più vasti e anche più difficili ambiti della comunione degli uomini» (La Chiesa italiana dopo Loreto 19).
    La testimonianza ecclesiale è data dal Convegno ecclesiale di Loreto: Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini (1985), quale esperienza di comunione fondata sulla riconciliazione.
    «L'esperienza della comunione ecclesiale non ci ha impedito di esaminare tensioni, divisioni e anche lacerazioni e dissensi. Ci ha piuttosto insegnato a superare resistenze, pigrizie e presunzioni e a dare efficacia alla nostra comune missione nel mondo con l'unico criterio che la rende credibile: l'unità dei cristiani in Cristo, così da essere chiesa riconciliata ed, anzi, primizia del mondo riconciliato» (La Chiesa italiana dopo Loreto 6).

    L'esperienza di Francesco d'Assisi

    La riflessione verte ancora sull'esemplarità della fraternità così come emerge dall'esperienza di Francesco.
    La fraternità è immagine di Chiesa, perché vi regna il perdono e la correzione fraterna.
    Come per ogni gruppo umano anche nella fraternità si pone il problema della devianza e dell'azione coercitiva per recuperare l'unità. Nella fraternità voluta da Francesco l'azione del ministro, responsabile della stessa fraternità, deve creare un clima di perdono e di positiva attenzione del fratello «deviante» perché si convinca e sperimenti la gioia del perdono.
    Alcuni passi delle Fonti sono illuminanti.
    «Se poi tra i frati, ovunque siano, ci fosse qualche frate che volesse camminare secondo la carne e non secondo lo spirito, i frati, con i quali si trova, lo ammoniscano e lo istruiscano e lo correggano con umiltà e diligenza» (FF 17).
    «Ed io stesso riconoscerò se tu ami il Signore e se ami me suo servo e tuo, se farai questo, e cioè: che non ci sia alcun frate al mondo, che abbia peccato quanto più poteva peccare, che dopo aver visto i tuoi occhi, non se ne ritorni via senza il tuo perdono, se egli lo chiede; e se non chiedesse perdono, chiedi tu a lui se vuole essere perdonato. E se comparisse davanti ai tuoi occhi mille volte, amalo più di me per questo, affinché tu lo possa conquistare al Signore ed abbi sempre misericordia di tali frati» (FF 235).

    Per I'attualizzazione

    La fraternità giovanile, deve continuamente superare difficoltà e tensioni, proprie di ogni gruppo umano e anche per le infedeltà al vangelo. Il superamento avviene attraverso la «correzione fraterna» quale metodo per offrire e ricevere il perdono. La conflittualità sorge per i motivi più diversi: una conduzione «dura» o «disimpengata» della fraternità; la diversa maturazione dell'appartenenza; negative influenze esterne; l'instaurarsi della logica della competitività...
    Il perdono è la prospettiva che sorregge l'intervento educativo verso tutti. Il perdono è incondizionato. E tuttavia occorre il discernimento dei problemi che determinano conflitti. Non per distribuire responsabilità e determinare chi offre e chi riceve il perdono, quanto per rinnovare la solidarietà, chiarificando situazioni e sperimentando la gioia di perdonarsi reciprocamente. In qualche caso la situazione insostenibile motiva l'intervento coercitivo. Anche allora la preoccupazione è per la persona e con l'offerta di possibilità di recupero, per sperimentare la gioia del perdono.

    Domandiamoci

    - La vita di fraternità richiede il perdono per il superamento dei conflitti. Abbiamo maturato tale disponibilità verso tutti?
    - Siamo capaci di leggere con obiettività le situazioni difficili e a riconoscere le nostre responsabilità?
    - Il perdono impegna nel superamento dei problemi che creano conflitti. Siamo disponibili al rinnovamento personale, senza prima pretenderlo dagli altri?

    3. IL PADRE GENEROSO

    Testo base: Mt 20,1-16

    Commento esegetico

    Le cinque uscite. Il padrone della vigna esce all'alba e trova operai con cui si accorda per un denaro al giorno. Poi esce alle nove, a mezzogiorno e alle tre e fa altrettanto. Esce ancora verso le cinque e trova altri operai e li manda nella sua vigna.
    Il pagamento. Giunta la sera il padrone prega il suo procuratore di pagare gli operai, cominciando dagli ultimi.
    Il padrone prepara così abilmente la reazione dei primi. Tutti, sia gli ultimi che i primi, ricevono il denaro.
    I primi mormorano perché vogliono di più degli ultimi o che questi ricevano molto meno di loro.
    La risposta del padrone. Ai primi il padrone risponde che a loro è stato dato secondo quanto pattuito e aggiunge: «io voglio dare anche a quest'ultimo quanto a te. Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?» (Mt 20,14-15).
    Valutazione. I primi non si interessano dei senza lavoro e delle loro famiglie.
    Hanno cura di aumentare solo il proprio capitale, ricevendo magari più del pattuito, oppure vogliono che gli ultimi ricevano meno di loro perché rimangano sempre gli ultimi. Non sono ultimi perché pigri ma perché nessuno li ha chiamati e impegnati. Tutti hanno risposto alla chiamata, nessuno ha indugiato. Non si dice che gli ultimi hanno lavorato con più diligenza. Questo fa emergere di più la generosità del padrone. E il padrone è disposto a subire le critiche pur di stare dalla parte degli ultimi. Il padrone retribuisce non secondo la quantità o la qualità del lavoro svolto ma secondo la necessità degli operai.
    L'occhio cattivo. Questa è la traduzione letterale del testo greco che noi rendiamo con «invidia». L'invidioso è colui che mormora e non sa ringraziare e lodare Dio per quanto altri hanno ricevuto. L'invidioso quanto più crede che ciò che possiede è frutto esclusivo della sua laboriosità tanto più avrà risentimenti verso chi riceve la stessa somma con minor sforzo.
    Applicazione. In origine certamente Gesù pronuncia la parabola contro i suoi avversari farisei, scribi... che si lamentano con lui della particolare attenzione che volge verso gli ultimi e i pagani.
    Mt applica la parabola alla situazione storica della sua chiesa. Ci sono nella sua comunità vari gruppi che vogliono primeggiare perché hanno aderito per primi alla fede e guardano con invidia coloro che sono arrivati da poco e godono degli stessi benefici.
    Anche 21,28-32, che fa parte del materiale proprio di Mt, riferisce in modo diverso lo stesso concetto di uguaglianza davanti a Dio. Anzi Mt constata che sono i pagani a prendere il posto dei giudei, cioè del primo figlio.

    La memoria ecclesiale

    La comunità ecclesiale dovrà ricomprendere che la sua prestazione per il Regno sarà ricompensata dal Padre, ma dovrà inserirsi nella logica del Padre che a tutti dà i doni per un'unica missione.
    Anche tale aspetti della vita comunitaria sono presi in considerazione nel progetto pastorale Comunione e comunità esono riproposti come rinnovato stile di partecipazione.
    Siamo tutti chiamati nella comunità per il servizio del Regno. Ciò richiede di essere:
    - compresenti, uniti in una sola famiglia pur nella varietà delle vocazioni e dei compiti;
    - complementari: «ciascuno prendendo atto del suo limite, ma cosciente altresì del dono ricevuto, si deve aprire a quell'integrazione che rende completo nelle sue varie manifestazioni il corpo del Signore, cioè la Chiesa» (Comunione e comunità 65);
    - corresponsabili, sia all'interno della comunità, come reciproco sostegno, sia verso il mondo intero, per la missione da compiere (vedi Comunione e comunità 66).
    Queste affermazioni fondano un nuovo stile nella relazione, quello del saper «con-venire», «consenso di maturità ecclesiale. Comporta, inoltre, una promozione della 'cultura di comunione', che si esprime nell'accoglienza, nel gratuito, nell'ascolto, nella complementarietà dei servizi, nella ordinata collaborazione pastorale» (La Chiesa italiana dopo Loreto 48).
    Il lavoro nella vigna ha per fine la missione. Non si tratta di «con-venire» solo per la soluzione di «problemi interni», ma anche per «l'apertura universale e il compito missionario; apertura e compiti che non sono qualcosa di aggiuntivo e secondario, ma di originario e costitutivo... La Chiesa e i cristiani devono vivere di continuo questa dimensione missionaria, che li spinge a non essere lontani da nessuno, e ad essere particolarmente debitori di verità, di carità, di solidarietà» (La Chiesa italiana dopo Loreto 30).
    Dopo il Convegno la Chiesa persegue con più vigore tale prospettiva e si interroga sulla missionarietà, con l'ultimo sviluppo del piano pastorale: Comunione e comunità missionaria (1986).

    L'esperienza di Francesco d'Assisi

    Presentiamo alcune modalità attraverso cui la fraternità francescana si qualifica come immagine di Chiesa.
    La fraternità è immagine della chiesa cattolica. Francesco vuole che i frati vivano e parlino cattolicamente, non solo per evitare il decadimento dell'Ordine a movimento ereticale, ma principalmente per evidenziare l'universalità della presenza e della missione della Chiesa attraverso il rapporto con il Papa che è il centro dell'unità. La stessa fedeltà gli permette di vivere secondo il vangelo, nella povertà e nella semplicità.
    La fraternità è immagine della Chiesa missionaria non solo perché storicamente si è subito estesa e arricchita di numerosi fratelli, ma per la stessa dinamicità, per l'andare per il mondo ad annunciare il vangelo.
    All'interno i frati si aiutano reciprocamente per realizzarsi e per maturare la disponibilità alla missione.
    La fraternità è immagine di Chiesa perché i ruoli affidati a ciascuno sono esercitati nello stile di servizio.
    Due aspetti la qualificano:
    - il ruolo dell'autorità intesa come servizio: il «ministro e servo», o «custode» è il superiore della fraternità che è al servizio della fraternità per il bene comune;
    - il ruolo del «capitolo», incontro della fraternità che si interroga sulla propria vita e sulla testimonianza al vangelo. È un momento caratteristico della vita di fraternità perché permette di sperimentare l'unità, dopo la necessaria dispersione nella vita itinerante a motivo del vangelo, e di vivere «concordi nel grembo di una sola madre quelli che erano stati attratti dallo stesso spirito e generati dallo stesso padre» (FF 777).

    Per l'attualizzazione

    La finalità della fraternità giovanile è aiutare a maturare la consapevolezza di essere «chiamati» e a discernere l'invito del Signore. Si matura l'identità personale per chiarificare, quindi, il proprio ruolo nella comunità. La caratterizzazione educativa della fraternità è, quindi, la condizione perché l'offerta di lavoro sia accolta prontamente.
    Gli operai sono chiamati e inviati in diverse ore del giorno. Lo stile del «convenire» afferma la capacità di tutti nel portare a termine l'impegno. Precisiamo il «con-venire» della fraternità nel suo interno e con gli altri. Si intuisce come siano in gioco elementi decisivi.
    La fraternità giovanile francescana «con-viene» quando si riunisce in «capitolo». Si confronta sulla propria vita, sull'impegno per il Regno e per l'uomo. I «problemi» sono, cosi, risolti attraverso l'apporto di tutti.

    Domandiamoci

    - La fraternità partecipa a tutti la proposta educativa. Ne siamo pienamente coinvolti?
    - Emerge lo stile del «con-venire» nei nostri incontri?
    - È stata evidenziata una certa litigiosità tra movimenti ecclesiali. Il nostro apporto facilita un clima di reciproca comprensione, di pace, di condivisione?
    - La nostra «riconsegna» alla comunità è un'ipotesi lontana, o è la nostra prospettiva immediata?


    Quarta unità:
    aderire alla risurrezione

    Obiettivo: il giovane aderisce alla comunità che annuncia il risorto e vive alla sua presenza. Tempo liturgico: Pasqua.
    Contenuti:
    * Biblico: la risurrezione di Gesù è il punto di arrivo ma anche la giustificazione di tutte le sue pretese. Il discepolo di Gesù sperimenta che la sua comunità vive nonostante le sue divisioni interne e i suoi conflitti con il mondo esterno e trova la sua ragione ultima nel Risorto che è sempre presente nella sua chiesa.
    * Ecclesiale: la Chiesa annuncia anzitutto ciò che Gesù stesso aveva predetto: la sua risurrezione. È un annuncio da diffondere con urgenza «a tutte le genti». Il battesimo suggella l'annunzio ricevuto e accettato. La comunità annuncia il kerigma insieme allo stesso Cristo presente nella comunità fino alla fine della storia.
    Con l'annuncio la comunità svela le ragioni della sua speranza, perché tenta di far dialogare l'evento con la vita concreta. È questo il grande impegno e compito prioritario dell'evangelizzazione. Tanto che questa, secondo l'espressione dell'Evangelii Nuntiandi di Paolo VI, è la «grazia e la vocazione propria» della Chiesa e si estende oltre l'annuncio esplicito inglobando tutta la testimonianza resa al Vangelo in tutte le sue espressioni.
    Certamente la comunità oggi si preoccupa di fondare il suo messaggio sull'essenziale, in Gesù Cristo centro vivo della fede, non come semplice nucleo di verità, ma come «persona vivente» da accogliere, «nella pienezza della sua umanità e divinità, come Salvatore e Capo della Chiesa e di tutto il creato» (RdC 58).
    * Francescano: Francesco ha vissuto con la costante preoccupazione di vivere secondo il Vangelo e annunciarlo ai fratelli. Il Vangelo è così risuonato in lui con la parola e con la testimonianza di vita. Con l'annuncio ha contribuito notevolmente a 'riparare' la Chiesa. È una predicazione accorata. E coinvolge i suoi, tanto da caratterizzare il suo come ordine di evangelizzatori.

    Per l'attualizzazione

    Il giovane ricomprende il senso dell'annuncio della comunità: non solo di verità, ma di Colui che, morto e risorto, rivela l'uomo a se stesso e la verità.
    La riflessione può avviarsi proprio dal momento catechistico e dall'incidenza nella vita. Esperienze limitate a volte fanno perdere il gusto dell'ascolto perché ridotto a moralismo, staccato dalla proposta e dall'incontro con Gesù. La catechesi, per essere avvertita come momento ordinario, di approfondimento graduale dell'annuncio del Vangelo, si collega con l'esperienza concreta dei destinatari. Certamente non è un bene «da consumare», perché richiede la fattiva collaborazione degli stessi destinatari. Proprio in questo momento dell'itinerario può farsi una prima verifica: dell'itinerario nella sua globalità, nel suo dinamismo di proposta-risposta, di «traditio-redditio», di rimotivazione al cammino nella gioia del risorto.
    La fase successiva è ugualmente importante: quali giovani evangelizzati, sono chiamati ad evangelizzare. È il dinamismo della Chiesa: convocazione e missione, realizzato nella contemporaneità e che per i giovani ha un campo privilegiato: i coetanei del proprio territorio, verso i cosiddetti «lontani», forse lontani da un certo modo di fare Chiesa, ma certamente aperti ai valori del Regno.
    È questa una salutare provocazione e se i contenuti dell'unità si possono scorrere con facilità, nell'attualizzazione occorre fermare il passo per un'esperienza (personale, comunitaria, nel territorio, con altri gruppi...) di annuncio.

    È RISORTO COME AVEVA DETTO

    Testo base: Mt 28,1-20.

    Commento esegetico

    La Chiesa e la sinagoga. I giudei che diventano cristiani frequentano sia la chiesa sia la sinagoga: c'è ancora molta indecisione. Ma presto tra Chiesa e sinagoga sorge un conflitto. Ai cristiani provenienti dal giudaismo viene proibito di frequentare la sinagoga. Mt scrive il suo vangelo per incoraggiare i cristiani e come risposta ai giudei che hanno rifiutato prima Gesù e ora la Chiesa. Questa polemica è presente anche nei racconti pasquali.
    La tomba vuota. I cristiani e i giudei hanno in comune la costatazione della tomba vuota di Gesù. Divergono nella spiegazione del fenomeno: per i cristiani Gesù è risorto, per i giudei i discepoli hanno rubato il corpo del loro maestro.
    Di fronte a questa accusa acquistano valore tradizioni che sono proprie del vangelo di Mt. I giudei mentono quando affermano che i discepoli hanno rubato il corpo di Gesù, perché erano presenti le loro guardie a custodia del sepolcro. Le guardie, anzi, sono i primi testimoni della risurrezione. Questo tema è sviluppato nei vangeli apocrifi.
    L'annuncio pasquale. L'angelo dice alle donne: «è risuscitato come lui ha detto (Mt 28,6).
    Mt fonda la risurrezione di Gesù sulle stesse parole del Gesù storico. Gesù stesso aveva predetto la sua risurrezione. Alcune puntualizzazioni.
    - In Mt 28,5-7 c'è il kerigma: l'angelo dice alle donne: «So, infatti, che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto... Presto, andate a dire ai suoi discepoli: è risuscitato dai morti... Ecco io ve l'ho detto».
    Si noti l'urgenza e come l'angelo fa appello a tutta la sua autorità: ecco «io» ve l'ho detto.
    - In Mt 28,19 c'è l'universale vocazione alla salvezza e la formula trinitaria. Il risorto dice agli undici: «andate e ammaestrate tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo». r
    - In Mt 28,20 si legge: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo». Ovunque si annuncia il kerigma, si ammaestra e si amministra il battesimo, la comunità si caratterizza come la Chiesa di Gesù e vive nella consapevolezza che il Gesù crocifisso è vivo ed è sempre con essa sino alla fine del mondo.

    La memoria ecclesiale

    Siamo dinnanzi alla seconda mediazione attraverso cui la comunità testimonia e opera per la dilatazione del Regno dei cieli: il kerigma, quale annuncio della morte e risurrezione di Gesù, in cui la comunità fonda la sua esperienza.
    La presa di coscienza della chiesa e la situazione invocante o indifferente della comunità degli uomini precisa ulteriormente il significato del kerigma: «messaggio liberatore e come chiave di interpretazione della vita e della storia. Di fronte alla richiesta di senso e all'esperienza del male, che conduce tanti uomini al fatalismo e alla disperazione, i cristiani sono chiamati a essere nel mondo portatori di speranza, 'avversari dell'assurdo, profeti del significato', attraverso l'annuncio di Gesù di Nazareth che inaugura e garantisce la realizzazione del Regno» (Alberich).
    Come si può notare, la comunità cerca con l'annuncio di far dialogare l'evento con la vita concreta. È questo il grande impegno e compito prioritario dell'Evangelii nuntiandi di Paolo VI, la «grazia e vocazione propria» (EN 14) della Chiesa e si estende oltre l'annuncio esplicito per inglobare tutta la testimonianza resa al Vangelo in tutte le sue espressioni.
    Notiamo, attraverso le affermazioni di documenti ecclesiali, alcune qualificazioni e urgenze di tale compito.
    All'interno della comunità, l'annuncio è offerto, nella gradualità dei destinatari, dalla catechesi «diretta a formare nel cristiano una matura mentalità di fede; a rendere la sua fede sicura, esplicita, fattiva. Occorre, per questo, che i fedeli accolgano il messaggio rivelato, ordinandolo attorno a un centro vivo, ben assimilato e operante... Il centro vivo della catechesi è Gesù Cristo. Solo per mezzo di Lui gli uomini possono salvarsi, da Lui ricevono il fondamento e la sintesi di ogni verità; in Lui trovano 'la chiave, il centro e il fine dell'uomo nonché di tutta la storia umana' (GS 10).
    Scegliendo Gesù Cristo come centro vivo, la catechesi non intende proporre semplicemente un nucleo di verità da credere; ma intende soprattutto far accogliere la sua persona vivente...» (RdC 56.57.58).
    La dilatazione del Regno impegna la chiesa ad evangelizzare tutti gli uomini. La chiesa italiana con il Convegno ecclesiale di Loreto converge su alcuni elementi: «È necessario dar vita a un movimento propositivo di tutta la comunità ecclesiale, teso a trasmettere nell'oggi il messaggio umano e cristiano della verità sull'uomo, senza sottrarsi per questo a un corretto e sicuro dialogo con le altre componenti culturali e sociali, chiamate anch'esse a servire l'uomo e ad aprirlo alla pienezza della sua vocazione» (La chiesa italiana dopo Loreto 15).
    Inoltre, richiamandosi ad autorevoli testi del magistero, il convegno precisa il rapporto tra vangelo e cultura, quale punto nodale attraverso cui passa l'annuncio del vangelo all'uomo d'oggi. La seguente citazione tiene presente i molteplici aspetti di tale rapporto.
    «Questa rinnovata coscienza di verità fa emergere, come nodale, il rapporto fra Vangelo e cultura.
    `La cultura è un modo specifico dell'«esistere» e dell'«essere» dell'uomo' (Giovanni Paolo II). La fede è in grado essa stessa di produrre cultura, cioè un'esistenza e una storia ispirate e impregnate della Parola che si è fatta carne...
    Dovremo pertanto sviluppare ormai una organica pastorale della cultura, `che sappia sì giudicare e discernere ciò che c'è di valido nei sistemi culturali e nella ideologie, ma più ancora sappia puntare su tutto ciò che affina l'uomo ed esplica le molteplici sue capacità di far uso dei beni, di lavorare, di fare progetti, di formare costumi, di praticare la religione, di esprimersi, di sviluppare scienza e arte: in una parola, di dare valore alla propria esistenza» (La Chiesa italiana e le prospettive del paese 29)».

    L'esperienza di Francesco d'Assisi

    Notiamo l'esemplarità di Francesco e della fraternità in relazione al servizio della Parola, quale elemento costitutivo della stessa esperienza.
    La fraternità è immagine di Chiesa perché si alimenta della Parola. Tutta la sua vita è un costante riferimento alla parola, rifacendosi alle modalità di incontro di Francesco con la stessa Parola e al conseguente dinamismo per portare il vangelo agli uomini.
    Anzitutto la qualità della comprensione della Parola di Dio da parte di Francesco.
    È una conoscenza sapienziale che è possibile spiegare solo come illuminazione ricevuta nella preghiera. In tal senso si pronunciano i primi biografi.
    «La dedizione instancabile alla preghiera, insieme con l'esercizio ininterrotto delle virtù, aveva fatto pervenire l'uomo di Dio a così grande chiarezza di spirito che, pur non avendo acquisito la competenza delle Sacre Scritture mediante lo studio e l'erudizione umana, tuttavia, irradiato dai fulgori della luce eterna, scrutava la profondità della Scrittura stessa con intelletto limpido, e acuto» (FF 1359; vedi FF 689).
    Conseguentemente matura uno straordinario dinamismo che lo porta a tutti gli uomini. Si proclama, infatti, il nuovo araldo del gran re (vedi FF 346; 1044).
    «Era la sua parola, come un fuoco ardente, che penetrava l'intimo del cuore e ricolmava d'ammirazione le menti; sfuggiva l'eleganza della retorica, ma aveva il profumo e l'afflato della divina rivelazione» (FF 1210).
    Nella Lettera a tutti i fedeli (vedi FF 179-206), Francesco manifesta l'urgenza e l'ansia di giungere a tutti per annunciare il Vangelo: «Poiché sono servo di tutti, sono tenuto a servire a tutti e ad amministrare a tutti le fragranti parole del mio Signore» (FF 180).

    Per l'attualizzazione

    La fraternità giovanile francescana matura la sua identità accettando il kerigma e, a sua volta, proponendolo agli altri, preferibilmente ai propri coetanei.
    Cosa significa che nelle nostre fraternità risuona la buona novella di Gesù? La prima annotazione riguarda colui che narra. Non comunica solo un messaggio, ma la testimonianza del personale coinvolgimento nella storia narrata. La competenza non nasce tanto dal sapere, ma dall'aver sperimentato in qualche modo, pur iniziale e limitato, le cose narrate. Gli stessi vangeli sono la testimonianza dell'esperienza vissuta al seguito di Gesù.
    La finalità del raccontare il vangelo è il coinvolgimento del destinatario. Il vangelo è storia di una vita, rivolta ad un'altra vita per la sua qualificazione. Nel brano di Mt l'annuncio è destinato a tutti. E in fraternità tutti sono pienamente coinvolti nell'annuncio che risuona qui ed ora.
    Infine il racconto permette alla Parola narrata di sprigionare tutta la sua forza e produrre negli ascoltatori ciò che annuncia, al di là della stessa mediazione del narratore. La presenza dì Gesù fino alla fine del mondo (vedi Mt 28,20) è garanzia dell'edificazione del messaggio.
    In conclusione, nel raccontare il vangelo, si intrecciano tre storie: quella narrata, quella del narratore, quella degli ascoltatori. Non si può essere indifferenti spettatori, né freddi espositori, perché il vangelo provoca una risposta in colui che racconta e in chi ascolta.
    Uguale dinamismo si ripropone nel divenire a nostra volta annunciatori. Il coinvolgimento dipende dalla disponibilità dell'ascoltatore. Evidentemente è necessaria la nostra integrazione tra vita evangelica ed evangelizzazione, cioè, il proporre ciò di cui siamo competenti per averlo sperimentato.
    Quale annuncio offre la fraternità giovanile francescana ai coetanei del pro-prio territorio? La risposta non è solo di tipo metodologico e contenutistico, ma, come più volte detto, si fonda sul coinvolgimento vitale, senza procrastinare l'annuncio. Quanto più il vangelo è risuonato per noi annuncio di liberazione, tanto più avremo urgenza nel proclamarlo.

    Domandiamoci

    - Abbiamo percorso un buon tratto del presente cammino di fede. Come si sono incrociate la storia narrata, quella del narratore, quella dei destinatari?
    - Francesco è «profeta del nostro tempo» per la testimonianza della nostra fraternità. Di quali valori siamo chiamati ad essere profeti ed araldi?
    - Molti attendono un messaggio di liberazione e di speranza. Quale esperienza concreta di evangelizzazione potremmo realizzare?

    Quinta unità:
    comunità in attesa

    Obiettivo: il giovane matura la tensione vigilante nella Chiesa verso l'incontro finale con il suo Signore.
    Tempo liturgico: Tempo Pasquale. Contenuti:
    * Biblico: il Regno dei cieli è simile ad un banchetto nuziale. È questa una metafora tra le più significative atte ad indicare un rapporto di comunione tra Dio e la persona in un contesto di gioiosa esultanza. Al banchetto sono chiamate tutte le vergini ma può accedere solo chi ne è degna e pronta all'arrivo dello sposo.
    Matteo esorta la sua comunità, specialmente chi è stolto, ad essere vigilante per la venuta dello sposo, cioè per la venuta di Gesù. Per entrare nel Regno dei cieli occorre perseveranza e non è sufficiente l'inizio fervoroso di un cammino cristiano. Chi si è adagiato in una vita appesantita da una fede stanca corre il rischio di non poter entrare nel regno di Dio e banchettare festosamente.
    * Ecclesiale: la comunità prepara i suoi figli all'incontro finale con il suo Signore. Il banchetto nuziale «nel tempo» è la liturgia della comunità che celebra la vita, proiettandola in Dio per il riscatto e la salvezza definitiva. Nei testi del Concilio e delle celebrazioni liturgiche, è fortemente presente la dimensione escatologica. La Chiesa è in cammino verso la chiesa celeste alla quale è già unita e gli stessi segni sacramentali, soprattutto l'Eucarestia, sono «pegno della gloria futura» (SC 47).
    L'esperienza ecclesiale diviene in tal modo «attesa vigilante», come suggerisce la pericope di Mt, in una sintesi di preghiera, celebrazione, vita, tensione verso il futuro.
    * Francescano: ritroviamo in Francesco la comprensione armonica della «tensione vigilante», per la compresenza del cammino verso il Regno, della speranza a fondamento del cammino, dell'impegno concreto perché questo cammino si realizzi nella storia. Nessuna fuga in contemplazioni e liturgie che isolano Francesco e la fraternità dall'impegno nel tempo. Anzi, questa armoniosa sintesi permette di essere «pellegrini e forestieri» in questo mondo, di spogliarsi di ogni possesso terreno perché ormai privo di senso.

    Per l'attualizzazione

    La «attesa vigilante» può essere presentata facendo interagire l'esperienza liturgica e di preghiera, l'impegno nella storia (con un accenno all'ultima unità), la prospettiva del futuro.
    Anzitutto occorre evitare tinte moralistiche che puntano sulla esclusione dal banchetto. Si rischia di avere comportamenti (impegni) formulati senza la necessaria interiorizzazione che punta invece su elementi di positività: la gioia di far parte del corteo nuziale, di scorgere lo sposo non appena arriva, il «diritto» di partecipare al banchetto...
    Si tenga conto del «presentismo» tipicamente giovanile. Nella difficoltà, quindi, di aprirsi ad orizzonti che abbracciano il futuro e la speranza per il futuro.
    Occorre leggere criticamente la cultura attuale intrisa di esasperato edonismo e immanentismo che condiziona nelle scelte che hanno senso.
    L'impegno nel presente (e quindi la dimensione di servizio) è anticipato in questa unità solo nella dimensione della possibilità e della prospettiva.
    Gli ambiti di intervento sono ulteriormente precisati.
    Infine il confronto con la propria esperienza liturgica deve portare a comprendere tale mediazione ecclesiale.
    Questi gli ambiti di confronto: la connessione liturgia e vita; la partecipazione comunitaria; il linguaggio per ridire la speranza in termini comprensibili; la liturgia come apertura e fondamento della speranza.

    SIATE VIGILANTI

    Testo base: Mt 25, 1-13.

    Commento esegetico

    I personaggi e le loro relazioni:
    - sposo;
    - cinque stolte, cinque prudenti (congiunte dal termine «vergine»);
    - voce anonima che annuncia l'arrivo dello sposo;
    - cinque stolte, cinque prudenti (disgiunte per diversa situazione);
    - sposo congiunto con le cinque prudenti, sposo disgiunto dalle cinque stolte.
    La metafora del Regno. Il Regno dei cieli è simile ad un banchetto nuziale. È una metafora tra le più significative per indicare un rapporto di comunione tra Dio e la persona in un contesto di gioiosa esultanza. Al banchetto sono chiamatetutte le vergini ma può accedere solo chi ne è degna e pronta all'arrivo dello sposo.
    La vigilanza. Mt esorta la sua comunità, specie chi è stolto, ad essere vigilante per la venuta dello sposo, cioè per la venuta di Gesù. Per entrare nel Regno dei cieli occorre perseveranza e non è sufficiente l'inizio fervoroso di un cammino cristiano. Chi si è adagiato in una vita appesantita da una fede stanca corre il rischio di non poter entrare nel Regno di Dio e banchettare festosamente.
    Bisogna essere pronti assumendo sempre e ovunque le proprie responsabilità. La voce anonima annuncia l'arrivo dello sposo in un'ora imprecisata (mezzanotte). La voce proprio perché anonima accentua l'incertezza e mette alla prova la consistenza del discepolo.
    In quel momento non c'è bisogno di chiedere aiuto agli altri, alle sagge; non valgono nemmeno i prestiti o le raccomandazioni.
    Sono vani i tentativi ultimi di comprare olio dai venditori (a mezzanotte i negozi sono chiusi) e di recuperare il tempo perso.
    Mt stimola così i cristiani ad una fede viva, instancabile e vigilante.
    Un confronto. Mt nelle parabole della zizzania e della rete esorta alla convivenza del bene e del male nel tempo della chiesa. Ora con la parabola delle dieci vergini, forse per la presenza di recidivi, aggiunge un'idea nuova per spronare maggiormente alla conversione. Il male si separa dal bene, le vergini stolte si separano dalle sagge, anche se poco prima dell'arrivo dello sposo.
    La vita stessa condotta fino in fondo con impegno e con una vibrante speranza nella venuta dello sposo è la garanzia migliore per accedere al Regno dei cieli. Una vita di fede sonnolenta ed oziosa impedisce automaticamente l'incontro con lo sposo.
    L'esperienza dimostra che l'attesa dello sposo è difficile, la sua imprevedibilità porta a scoraggiamenti, ma non si può desistere: è in gioco l'ingresso alla vita eterna.
    Dio ci vuole tutti suoi commensali al festino nuziale come le cinque vergini prudenti.
    È una parabola, dobbiamo riconoscerlo, che ci frustra un poco. Vorremmo sapere l'ora esatta della venuta finale di Gesù nella nostra vita, in modo da garantirci davanti a Dio al momento opportuno e sfuggire, quando è possibile, all'impegno presente.

    La memoria ecclesiale

    La comunità vive nel tempo e nelle situazioni storiche la tensione vigilante verso il Regno e prepara i suoi figli all'incontro finale con il Signore alimentando la fiducia e la speranza in lui. Tutto questo ha un formidabile punto di incontro nella liturgia, vissuta come banchetto nuziale «nel tempo» ma che anticipa e prefigura l'inserimento nel Regno.
    In tal modo la liturgia è mediazione ecclesiale al Regno, perché offre ai suoi figli la possibilità di sperimentare find'ora la gioia del riscatto e perché offre a tutti gli uomini la testimonianza di come sia possibile riqualificare il tempo presente e celebrare nei segni i valori del Regno di Dio: l'amore, la giustizia, la pace.
    La liturgia ecclesiale «risponde all'esigenza, profondamente radicata nel cuore dell'uomo, di celebrare la vita, di accogliere ed esprimere nel simbolo il dono della salvezza e del mistero dell'esistenza riscattata e trasformata. Di fronte ai limiti mortificanti della razionalità, in una società che comprime la libertà e condanna alla solitudine, la comunità cristiana è chiamata a costruire spazi dove la vita e la storia, riscattate dalla loro capacità, vengono celebrate, esaltate, rilanciate come progetto e come luogo di realizzazione del Regno» (Alberich).
    Nei testi del Concilio e delle stesse celebrazioni liturgiche è fortemente presente la dimensione escatologica: la chiesa terrestre è in cammino verso la chiesa celeste alla quale è già unita. E lo stesso Signore è presente nell'azione liturgica ma deve ancora venire nella gloria.
    Alcune affermazioni della Sacrosanctum Concilium (la Costituzione conciliare sulla Liturgia) permettono di cogliere unitariamente gli aspetti dell'attesa vigilante e della partecipazione al banchetto dello sposo, nell'esperienza liturgica della comunità.
    «La Chiesa è umana e divina, visibile ma dotata di realtà invisibili, ardente nell'azione e dedita alla contemplazione, presente nel mondo e tuttavia pellegrina; tutto questo in modo che quanto in essa è umano sia ordinato e subordinato al divino, il visibile all'invisibile, l'azione alla contemplazione, la realtà presente alla città futura verso la quale siamo incamminati» (SC 2).
    «Nella liturgia terrena noi partecipiamo, pregustandola, a quella celeste che viene celebrata nella santa Gerusalemme, verso la quale tendiamo come pellegrini...; e aspettiamo, quale Salvatore, il Signore nostro Gesù Cristo fino a quando egli comparirà, nostra vita, e noi appariremo con lui nella gloria» (SC 8).
    L'esperienza liturgica della chiesa diviene «attesa vigilante»; come suggerisce la pericope di Mt, esprimendosi in sintesi di preghiera, celebrazione, vita, tensione verso il futuro.

    L'esperienza di Francesco d'Assisi

    La «fraternità» è immagine di chiesa perché nella liturgia celebra la vita e in ogni momento esprime la tensione verso il Regno con modalità comprensibili ed efficaci per tutti. La fraternità fonda tale capacità in Francesco per la compresenza nella sua esperienza dei tratti caratteristici: il cammino verso il Regno, la speranza a fondamento del cammino, l'impegno concreto perché tale cammino si realizzi nella storia.
    Francesco è «il nuovo evangelista di questo ultimo tempo» (FF 475), «il profeta del nostro tempo (FF640) e contemporaneamente «un uomo e di altro tempo» (FF 462). Non sono espressioni ad effetto ma l'interpretazione di una esperienza in cui la contemplazione rinvia all'attenzione e l'incontro con i fratelli motiva l'incontro con Dio.
    Notiamo due elementi caratteristici dell'intreccio tra impegno al presente nel servizio concreto per il Regno e il ritenersi «pellegrini e forestieri» in questo mondo.
    Anzitutto la coscienza che Francesco e i suoi hanno del loro ruolo.
    «Allora esortando i suoi a domandare la carità, usava queste parole: 'andate, perché in questo ultimo tempo i frati minori sono stati inviati al mondo, affinché gli eletti compiano verso di essi azioni degne di essere premiate dal Giudice!» (FF 659).
    «Affermava che i frati minori sono stati inviati dal Signore in questo ultimo tempo per offrire esempi di luce a chi è avvolto dal buio del peccato» (FF 506).
    Chi ormai si affretta verso il regno e si dedica al servizio dei fratelli per coinvolgerli verso tale meta, non ha tempo né interesse per «sistemarsi» in questo mondo. Francesco è cosciente di essere «pellegrino» e viandante che ha una meta da raggiungere e condividere con tutti i fratelli. Egli è «forestiero» perché ormai è erede di un'altra terra i cui beni non sono paragonabili a quelli di questo mondo.
    «E come pellegrini e forestieri in questo mondo, servendo al Signore in povertà e umiltà (i frati) vadano per l'elemosina con fiducia... eredi e re del regno dei cieli» (FF 90).

    Per l'attualizzazione

    Anzitutto notiamo due caratteristiche della condizione giovanile che rendono difficile l'interiorizzazione della vigilanza e della disponibilità ad attendere lo sposo.
    La prima è data dalla cultura del presentimmo per cui si è impegnati nella soddisfazione delle esigenze del momento presente. Senza dubbio ciò è dovuto alla difficoltà di prospettare un futuro a lungo e medio termine in un tempo di incertezza. Si è come «rizomi», privi di radici da affondare nella terra e privi di fusti slanciati verso il cielo. È un vivere a «corto respiro».
    Conseguentemente al giovane occorre la porzione di godimento. E la società è pronta a soddisfare tutti i desideri ad un prezzo che pregiudica le sue risorse e le scelte future.
    La fraternità giovanile matura uno stile di vita fondato su una prassi di speranza che rifiuta ogni permissivismo e disperazione per il momento presente, pur difficile. D'altra parte non si può rifiutare questa realtà e questo mondo. La fraternità è, perciò, attenta ai bisogni e alle attese di tutti, mossa dal desiderio di manifestare e avviarsi verso la vera patria.
    La prassi di povertà manifesta la provvisorietà dell'appartenenza a questo mondo.
    Non è tanto valutazione negativa dei beni, quanto motivo per donarsi a tutti e condividere con tutti la stessa strada. Il pellegrino porta con sé poche cose indispensabili per il suo viaggio e i miraggi di una terra di cui è forestiero, non sono paragonabili ai beni di cui è erede.

    Domandiamoci

    - Nella liturgia la comunità manifesta l'attesa vigilante e la speranza dell'incontro con lo sposo. Come viviamo le nostre celebrazioni?
    - Francesco è il «pellegrino e forestiero» verso il Regno con molti fratelli di cui vuol essere «servo». Come conciliamo l'attenzione all'uomo e il cammino verso la meta?
    - La fraternità concretizza progetti di speranza per i suoi e per i giovani del territorio?


    Sesta unità:
    il servizio banco di prova


    Obiettivo: il giovane sperimenta la scelta cristiana nella diaconia, segno di verifica dell'esperienza personale e comunitaria.
    Tempo liturgico: Pentecoste. Contenuto:
    * Biblico: Matteo stimola la sua comunità all'esercizio di una carità operosa. Bisogna essere attenti agli ultimi, agli indigenti che già nel Discorso della Montagna (cf Mt 5,3s) Gesù aveva proclamato beati.
    Gli indigenti sono gli affamati, gli assetati, i forestieri, gli ignudi, i malati, i carcerati: in una parola gli emarginati. Gesù si identifica con loro. Il Figlio dell'uomo è una figura collettiva: comprende tutti gli emarginati e alla fine parla come loro rappresentante.
    * Ecclesiale: il servizio come funzione e mediazione ecclesiale è il segno di autenticità di tutte le altre prove.
    La sua presenza-assenza determina immediatamente la valutazione del vissuto comunitario.
    Certamente non è in alternativa alle altre dimensioni, ma riferimento più immediato che si integra con le altre mediazioni: la comunione, la liturgia, l'annuncio.
    La rinnovata comprensione del «servizio» e della solidarietà con tutti e soprattutto con gli ultimi, ha fatto esprimere la Chiesa con un passo rappresentativo di tutto il rinnovamento del Vaticano II: «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore. La loro comunità, infatti, è composta di uomini, i quali, riuniti insieme nel Cristo, sono guidati dallo Spirito Santo nel loro pellegrinaggio verso il Regno del Padre, ed hanno ricevuto un messaggio di salvezza da proporre a tutti; Perciò essa si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia» (GS 1).
    * Francescano: l'elencazione di cose fatte da Francesco in favore degli ultimi non farebbe pienamente comprendere il significato. Solo la testimonianza e la rilettura del rapporto instaurato riescono a far percepire la densità e le motivazioni di tale rapporto: «Diceva ai frati: incominciamo fratelli, a servire il Signore Dio nostro, perché finora abbiamo combinato poco. Ardeva anche d'un gran desiderio di ritornare a quella sua umiltà degli inizi, per servire, come da principio, ai lebbrosi e per richiamare al primitivo fervore il corpo ormai consumato dalla fatica» (FF 1237).

    Per l'attualizzazione

    Il confronto è fin troppo evidente ed occorre enucleare le possibilità di risposta alla provocazione della Parola, attorno al tema del «volontariato».
    Il primo atteggiamento da aiutare a maturare è che «volontariato» ha per il cristiano la connotazione di esigenza fondamentale. La prospettiva del volontariato può ruotare attorno alla valenza educativa. Come dire che vi sono molte difficoltà perché il giovane si apra al volontariato, ma che è possibile ripensarlo come esigenza educativa che può coinvolgere tutti i giovani compresi «i più poveri».
    Proviamo ad enucleare la «scaletta» del possibile sviluppo del volontariato educativo dei giovani a favore dei membri del proprio gruppo verso scelte mature e definitive:
    - un punto di partenza: la solidarietà nel gruppo. La capacità di ricevere ed offrire solidarietà ed esprimerla con gesti concreti nei momenti di difficoltà;
    - scelta di un campo di intervento. Coinvolgersi per un'azione di gruppo per offrire solidarietà ad altri. Il volontariato inizia a porsi come presa di coscienza e stile di intervento;
    - prima fase nel volontariato educativo verso il volontariato adulto. È la fase dell'apprendistato per maturare atteggiamenti indispensabili sia per un intervento qualificato sia per la maturazione
    stessa della scelta del volontariato adulto.
    La presente unità chiede l'itinerario. L'impegno potrebbe maturare verso esperienze estive. Ugualmente dovrebbe essere valutato tutto l'itinerario e notare i progressi compiuti.

    AVEVO FAME...

    Testo base: Mt 25,31-46.

    Commento esegetico

    Struttura:
    - vv. 31-33 (introduzione): raduno di tutte le genti, divisione in due gruppi; - vv. 34-40 (dialogo con i giusti): affermazione (v. 34); motivazione (v. 35); dialogo (vv. 37-40);
    - vv. 41-45 (dialogo con i malvagi): affermazione (v. 41); motivazione (v. 42s); dialogo (v. 44s);
    - vv. 46 (conclusione): salvezza e perdizione.
    Il messaggio. Mt stimola la sua comunità all'esercizio di una carità operosa. Bisogna essere attenti agli ultimi, agli indigenti che già nel Discorso della montagna (Mt 5,3s) Gesù aveva proclamato beati. Ma in concreto chi sono gli indigenti e qual è la loro importanza?
    - Gli indigenti sono gli affamati, gli assetati, i forestieri, gli ignudi, i malati, i carcerati: in una parola gli emarginati.
    - La loro importanza. Gesù si identifica con loro. Il figlio dell'uomo è una figura collettiva: comprende tutti gli emarginati e alla fine parla come loro rappresentante. Notiamo il forte contrasto: il re della gloria si identifica con l'ultimo. È uno degli aspetti più significativi del cristianesimo.
    Nella comunità di Mt ormai sono venuti alla fede alcuni pagani che pongono domande circa la salvezza dei loro fratelli lontani. Mt risponde che bisogna confrontarsi sul terreno pratico.
    Gesù si identifica con tutti gli indigenti, qualunque siano le qualità morali, al di là di ogni barriera religiosa, etnica esociale.
    È un'idea rivoluzionaria in quanto gli ebrei si ritengono privilegiati rispetto agli altri popoli. È una brillante intuizione. Mt fa spazio a Gesù nelle altre culture. D'ora in poi ogni minimo gesto disinteressato di generosità è valorizzato al masimo e dice riferimento a Gesù.
    Se leggiamo i vangeli notiamo un grandissimo interesse di Gesù per i sofferenti, poveri, infelici. Adesso capiamo il perché: Gesù in essi vede se stesso.
    È discepolo di Gesù non chi pensa o parla solo bene di Dio e del prossimo ma chi opera come Gesù nei confronti del prossimo, specie se indigente.

    La memoria ecclesiale

    L'autocomprensione della identità e missione della Chiesa verte sulla vita di comunione, sull'annuncio accolto e proposto, sulla liturgia come celebrazione della vita e della speranza. È necessario un ulteriore aspetto che dia risalto e unifichi tutta la vita della comunità. Il brano di Mt fa comprendere come la diaconia (= servizio) sia il segno decisivo che in un certo senso autentica tutto il vissuto comunitario.
    La Chiesa ha sempre testimoniato il vangelo nel servizio verso tutti con particolare preferenza per i poveri e gli ultimi.
    La comunità in tal modo ha avviato il ripensamento di tutta l'attività diaconale, così che la promozione integrale dell'uomo è divenuta parte integrante della stessa evangelizzazione. La Chiesa italiana, nel primo Convegno ecclesiale
    (Evangelizzazione e Promozione Umana, 1976), rinnova la coscienza di essere «Chiesa per il mondo» e collabora alla diffusione del Regno con un servizio sempre più esteso e diversificato.
    Il compito della diaconia è sempre più condiviso dalla comunità e abbraccia ambiti di partecipazione, con una preferenza per gli ultimi e i più poveri. A motivare questa scelta è lo stesso vangelo e la stessa prassi liberatrice di Gesù verso i poveri con i quali si è identificato. Riconoscimento di Gesù è, quindi, riconoscimento del fratello.
    La prassi di liberazione e di promozione diviene la modalità attraverso cui la chiesa purifica se stessa, si libera da ogni tentazione di potere, e dà vigore alla comunione vissuta, senso alla parola annunziata, speranza certa di far parte del Regno.

    L'esperienza di Francesco d'Assisi

    Tutta la vita di Francesco è vissuta nella condizione di «servo». È al servizio della chiesa, degli uomini, dei lebbrosi, dei frati, dei briganti... Serve Dio servendo l'uomo. È innamorato del fratello perché innamorato di Gesù e non può scegliere tra i due perché, in verità, si tratta di un unico amore.

    Per l'attualizzazione

    La fraternità giovanile matura la dimensione di servizio come componente essenziale e autenticazione del cammino di fede e di tutta l'esperienza cristiana.
    È ora chiamato al banco della prova: il giovane che ha incontrato Gesù e la comunità che lo professa come Signore; il giovane che ha accettato e annunciato il senso della vita offerto dal vangelo; il giovane che si è aperto alla speranza.
    È necessario precisare qualche ambito di impegno che ci permetta di non restare sul vago. Ci inseriamo nella scelta della Forma di Vita della gioventù francescana per maturare il significato di volontariato come esigenza fondamentale della vita cristiana.
    Molte fraternità hanno già realizzato esperienze concrete a livello personale e comunitario, così come numerosi gruppi ecclesiali. Altre fraternità, probabilmente, hanno il desiderio di iniziare a sensibilizzarsi.
    Le scelte dicono un cammino graduale. Occorre perciò che il giovane in fraternità sia avviato ad un volontariato «educativo», capace di far interiorizzare le scelte personali.
    L'ultima annotazione evidenzia un pericolo reale che si può nascondere dietro l'unilaterale accentuazione della dimensione servizio.
    Il volontariato fa riferimento a servizi concreti riguardanti la salute, l'educazione, i rapporti fraterni, la pace... e certamente ne siamo affascinati e coinvolti. Si è rilevato come il giovane stimoli la stessa comunità ad interrogarsi su tali problemi e come spesso giudichi la comunità per la rilevanza data con concrete iniziative.
    Il pericolo è evidente: potremmo valutare la comunità semplicemente in base alle scelte su questo versante, dimenticando la preoccupazione della comunità per la maturazione religiosa che fonda, d'altra parte, questo tipo di scelte.
    L'appartenenza alla comunità è possibile a condizione che la fraternità aiuti ad integrare sempre motivazione e azione. Nella comunione, nell'annuncio, nella liturgia, nel servizio tale appartenenza è pienamente sperimentata.

    Domandiamoci

    - I lebbrosi del tempo di Francesco e i lebbrosi del nostro tempo mostrano lo stesso volto di Gesù. Come sono riconosciuti dalla nostra fraternità?
    - Quale considerazione intendiamo dare al «volontariato educativo»?
    - Valutazione della funzione sociale e di quella religiosa della Chiesa: è possibile una considerazione unitaria?

     


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