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    Seconda stella a destra... questo è il cammino - Viaggio nella costellazione musica-giovani


     

    Fabio Pasqualetti

    (NPG 2001-09-54)



    Carissimo/a lettore/ice di NPG, iniziamo con questo numero un viaggio che ci accompagnerà per tutto l’anno all’interno della costellazione musica-giovani. Continuiamo infatti a ricevere segnali in codice che spesso non riusciamo a decodificare ma che vediamo coinvolgere in modo totalizzante e sorprendente molti giovani. In questa avventura vorremmo però non rimanere dietro il vetro delle nostre impressioni, giudizi o pregiudizi, ma stabilire degli «incontri ravvicinati» per ascoltare e comprendere questa affascinante esperienza culturale che con le sue luci e le sue ombre attrae il mondo dei giovani.

    Il titolo «Seconda stella a destra… questo è il cammino» è tratto dalla canzone di Edoardo Bennato L’isola che non c’è. Mi è sembrata una bella metafora per il mondo giovanile: infatti nella canzone non si sa se si è più pazzi a credere che L’isola che non c’è, esiste o non esiste. Tuttavia, molti si chiederanno, perché nel sottotitolo ho scritto «Viaggio nella costellazione musica-giovani»? Perché, come ci renderemo subito conto, non esiste «una musica» generica e non esistono «i giovani» in generale, ma esistono centinaia di generi musicali e centinaia di gusti musicali, ed ogni giovane è, in un certo senso, un mistero. Queste musiche e questi gusti, poi, rispondono a modi di vedere, pensare, ascoltare, godere e celebrare la vita. Da parte nostra sarà quindi necessaria una maggiore attenzione e articolazione di giudizio per non rimanere abbagliati dagli aspetti superficiali del fenomeno.
    Il viaggio propone varie tappe che segneranno il nostro appuntamento su queste pagine:
    - La prima, riguarda una presa di coscienza dell’importanza della musica nella vita dei giovani e, più in generale, dell’uomo.
    - Nel prossimo incontro cercheremo di comprendere il significato della musica rock. La sua nascita e il suo sviluppo fino ad oggi, con le sue implicazioni a livello sociale.
    - Successivamente cercheremo di acquisire un minimo di bagaglio culturale sui generi musicali e sul perché siano così discriminanti per i giovani.
    - All’interno di questa giungla dei gusti vogliamo poi cogliere il delicato rapporto che hanno con l’esperienza di vita dei giovani e la loro ricerca di identità.
    - Proseguiremo la riflessione facendo conoscenza con alcuni dei loro miti, simboli e riti.
    - Guarderemo in modo ravvicinato al mondo delle star e del concerto per cercare di capire la complessità di questi eventi.
    - Un ulteriore passo lo affronteremo con l’analisi delle componenti sacro-religiosa che la musica porta con sé. Le analizzeremo sia nel loro lato solare e positivo sia in quello più problematico ed oscuro.
    - Necessariamente ci inoltreremo nel territorio della danza e del corpo come luoghi ed espressioni privilegiate dell’esperienza musicale.
    - Infine, torneremo a riflettere sull’importanza della musica nella vita e nell’educazione personale e sociale.
    Ad ogni viaggio sarà possibile reagire scrivendo al mio indirizzo e-mail: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.; i contributi verranno inseriti in una bacheca consultabile presso l’indirizzo della facoltà https://fsc.ups.urbe.it al titolo Giovani e Musica.

    Un’esperienza comune a molti di noi

    Come educatore/rice ti sarai spesso incontrato/a con giovani che ascoltano musiche che non comprendi, vestono in modo che giudichi strano o folle, comunicano fra di loro con linguaggi a te sconosciuti, ragionano secondo logiche che non sono le tue e amano ciò che tu detesti. La prima tentazione è stata forse quella di dire: «sono fuori di testa», « vivono fuori dal mondo», « poi la vita li aggiusta», « hanno troppo buon tempo», ecc… e di colpo hai scoperto che tu stavi di qua e loro stavano di là, e nel mezzo una barriera di preconcetti culturali. Più estremo era il loro modo di esprimersi, più spesso era il muro che si ergeva fra di voi: per dirla in musica, ad ogni incontro con questa realtà si aggiungeva another brick in the wall (Un altro mattone nel muro è un brano storico dei Pink Floyd tratto da The Wall; non ne richiamo qui la storia, ma è una delle opere che dovresti ascoltare, se non l’hai ancora fatto.
    [Per saperne di più visita il sito https://www.pink-floyd.com/links.html)]
    Che la musica sia importante per i giovani è un dato di fatto, lo affermano ricerche e indagini. Nell’ultima ricerca ISTAT, pubblicata nel 1999, dopo aver affermato che in l’Italia la stragrande maggioranza della popolazione ascolta musica, si sottolinea che «tra le nuove generazioni il consumo di musica è pratica estremamente diffusa e, se si osservano più in profondità gli interessi e comportamenti, non si fa fatica a intravedere l’enorme potenzialità identificatrice che alla musica viene attribuita dai giovani» (ISTAT. 1999, p. 8.).
    Spesso però un educatore non ha accesso alle ricerche e se anche le ha la realtà sul campo gli appare sempre più complessa di quella schematizzata da un’indagine. Quali atteggiamenti assumere allora per diventare un attento conoscitore del mondo che lo circonda? Strada facendo, cercheremo di scoprirlo, in modo indiretto, seguendo la strada dell’avvicinamento, della conoscenza e del dialogo con il mondo giovanile e le loro musiche. L’educatore ha un grande vantaggio, quello di vivere gomito a gomito con il mondo dei giovani. Il segreto poi sarà di stabilire delle relazioni di profonda e vera amicizia con i giovani, altrimenti tutto ciò che possiamo conoscere sul loro mondo serve a poco e niente. È l’educatore appassionato della vita e con un irresistibile desiderio di condividerla con gli altri che trova la strada per stabilire relazioni significative.

    La musica dentro e fuori di noi

    Per capire come mai la musica sia così importante nella vita dei giovani, dobbiamo comprenderne la vitale importanza nella vita dell’uomo.
    Sono esistite culture senza scrittura, senza arte pittorica, senza aritmetica, senza tecnologia, ma mai è esistita una cultura senza musica. La musica è parte integrante della nostra esistenza. Il nostro corpo è sonoro, ritmico, dinamico: basta pensare al respiro, al battito del cuore, al modo con cui parliamo, camminiamo e reagiamo all’ambiente dei suoni che ci circondano. Il suono copre una vastissima gamma di frequenze che combinate con altrettante sfumature timbriche può dare origine sia ad una semplice ninna nanna sia ad una complessa sinfonia. Le sue vibrazioni pervadono, avvolgono e riempiono il nostro corpo, i suoi sviluppi melodici e armonici seducono le nostre sensazioni, incutono timore, leniscono le nostre angosce, suscitano allegria, ci fanno struggere dal pianto, ci coccolano con dolcezza… La musica quindi stabilisce con noi un rapporto immediato e interattivo, e anche quando ci dà fastidio, è perché sta interagendo con la nostra sensibilità. La musica ci tocca fisicamente. Questa sua proprietà tattile, corporea sarà importante tenerla presente quando ci occuperemo del ballo e dei luoghi dove viene esercitato. Insomma, l’uomo per sua natura è un essere sonoro-musicale.
    Oltre a prestare attenzione a questa sua dimensione sonora, dobbiamo renderci conto che l’uomo vive in un habitat che è una «sinfonia» composta di una vasta gamma di suoni che vanno dai più gradevoli a quelli più sgradevoli. Immaginiamo per un momento di essere in riva ad una spiaggia in un’isola del Pacifico. Quali suoni riempiono le mie orecchie e, perché no, i miei occhi? Lo sciacquio continuo delle onde che si frangono sugli scogli, la brezza che increspa di schiuma la superficie dell’acqua, il canto dei gabbiani che spaziano nel cielo, il fruscio delle mille palme che chiudono lo sguardo, il basso continuo del mare le voce di altre persone vicine, distanti... Se ci proiettiamo poi in una nostra metropoli europea, allora il tessuto sonoro si complica all’inverosimile, diventa dodecafonico, sperimentale, asimmetrico, poliedrico, ritmico e aritmico allo stesso tempo; ma anche in questo caso possiamo andare a caccia dei mille suoni che compongono questa «sinfonia». Viviamo immersi nei suoni e nella musica dell’ambiente che ci circonda e spesso non ce ne rendiamo conto. Schafer - uno studioso che … - chiama tutto ciò «paesaggio sonoro». È una bella metafora che ci aiuterà a capire come i nostri giovani letteralmente abitino la musica: il «paesaggio» assumerà di volta in volta l’immagine di un villaggio, di una metropoli, di un posto isolato, di uno scantinato disordinato, di un rifugio personale in qualche misterioso lembo estremo dell’universo o di chissà quale altro posto che solo la musica sa generare.
    Non siamo tuttavia solamente immersi in paesaggi sonori, siamo anche costantemente collegati alla musica attraverso la mediazione ombelicale della tecnologia.

    Un cordone ombelicale musicale mediatico

    Terry ama tantissimo il gruppo degli U2, ha ascoltato un brano del loro ultimo album dalla radio in macchina tornando a casa. Giunta a casa si è collegata al loro sito (https://www.u2.com/), dove ha potuto pre-ascoltare parte degli altri brani, ha poi letto le ultime notizie sui loro concerti e visto le foto degli ultimi concerti, inoltre si è scambiata dei file musicali con degli amici in giro per il mondo. La sera su MTV ha visto il videoclip di promozione dell’album. Sulla sua rivista di musica preferita ha letto l’intervista in esclusiva fatta a Bono, capogruppo degli U2, e ha anche scoperto che il CD è in vendita promozionale per pochi giorni. Il giorno dopo si precipita quindi al negozio più vicino dove acquista il CD. Tornata a casa l’ha ascoltato sull’impianto HiFi e poi se n’è masterizzata una copia per poterlo ascoltare in macchina; ha trasformato i brani preferiti in formato mp3 per inserirli nel suo walkman per quando va a correre. Si è incontrata nel pomeriggio con i suoi amici e ha parlato dell’ultimo lavoro degli U2 con entusiasmo, calore e conoscenza approfondita di tutti i dettagli del loro ultimo lavoro. Conosce meglio di tutti i suoi amici vita, morte e miracoli del gruppo. Andrà certamente a vedere il loro concerto appena la tournè passa per l’Italia.
    Proviamo a riflettere un momento sulla piccola storia di Terry. Otto sono le relazioni mediatiche usate da Terry, un misto di mass media (radio, MTV, rivista musicale), media personali (walkman, HiFi system), media interattivi (internet, computer) e comunicazione interpersonale (amici e personale negozio). La funzione mediatica tecnologica non è irrilevante o secondaria rispetto a quella interpersonale; entrambe interagiscono e fanno parte del modo con cui si vive e si celebra la cultura. Mai come oggi la musica è stata mediata all’interno di un complesso sistema che implica tecnologia, industria, media, pubblico, mercato. Questa ampia diffusione permette al giovane di essere in contatto con la sua musica come, quando e dove vuole. La musica assume così vari ruoli: sottofondo, compagna, consolatrice, portavoce, stimolo, sedativo, ipnosi, meditazione, ecc. Si stabilisce una sorta di interazione e di complicità tra le esperienze che il giovane vive sulla sua pelle: la famiglia, gli amici, la scuola, la parrocchia, il quartiere, e le proposte musicali che via via riflettono il vissuto e l’umore della sua vita. Per questo possiamo dire che la musica assume per i giovani il ruolo di icona del loro complicato intrigo di sensazioni, esperienze, angosce, ricerche e voglie di protagonismo nella vita.
    La musica - come il cinema, il romanzo, la moda e l’arte in senso più generale - ha la capacità di percepire, ordinare, chiarire, intensificare e interpretare gli eventi della vita riproponendoli in modo coinvolgente e vincente. Tutti possiamo raccontare cosa ci capita ogni giorno, ma c’è sempre qualcuno che riesce a raccontarlo in modo più emblematico, capace di essere la storia di molti e allo stesso tempo la nostra e quindi l’unica per chi l’ascolta.

    La musica interpreta e canta la vita personale e sociale

    Quando nel 1981 Vasco Rossi pubblicò l’album Siamo solo noi, probabilmente non aveva la più pallida idea che proprio la canzone che dava il titolo all’album, sarebbe diventata il manifesto di migliaia di giovani che ritrovavano nelle sue parole e nella sua musica ciò che avrebbero voluto gridare al mondo. Rileggiamo la prima strofa:
    Siamo solo noi
    che andiamo a letto la mattina presto
    e ci svegliamo con il mal di testa
    siamo solo noi
    che non abbiamo vita regolare
    che non ci sappiamo limitare
    siamo solo noi
    che non abbiamo più rispetto per niente
    neanche per la mente
    siamo solo noi
    quelli che poi muoiono presto
    quelli che però è lo stesso…
    (https://www.vascorossi.net/newvasco/).
    In quegli stessi anni venivano condotte delle indagini sociologiche che, nelle loro conclusioni, categorizzavano i giovani come generazione «senza padri, né maestri» (Ricolfi, Sciolla 1980), «una generazione del quotidiano» (Garelli 1984). Con questo accostamento tra la strofa di una canzone e alcune indagini sociologiche - accostamento che meriterebbe d’essere approfondito - non si vuole sminuire il valore di quest’ultime, ma semplicemente far notare nuovamente come l’artista viva nell’humus vitale ed esistenziale della gente e ne sappia riproporre ansie e sogni in forme pregnanti e sintetiche, spesso anticipando anche le indagini più accurate.
    Certamente non tutti i giovani negli anni Ottanta seguivano Vasco Rossi, ma l’inferenza fatta potrebbe essere ripetuta con i testi delle canzoni di coloro che in quegli anni preferivano la nuova ondata del fenomeno pop «new romantic». Rappresentati di questo filone erano: Boy George, Simon Le Bon dei Duran Duran, Human League, Spandau Ballet e Soft Cell personificata in Italia da Alberto Camerini, dal duo dei Righeira, Garbo e, in maniera più diversa, dai Diaframma. In questo caso saremmo di fronte ad un tipo di giovane che inizia a ripiegarsi su se stesso, con un crescente problema di identità. Sono gli anni della musica elettronica decadente, si riscopre il glamour, l’uomo macho cessa di essere un modello, piace invece l’ambiguità della figura androgina. Gli Eurythmics stupirono con la loro immagine unisex.
    Erano finiti gli anni del punk (1977-79); in Inghilterra la signora Thatcher, la «lady di ferro», cambiava l’assetto politico e sociale del paese; in America la vittoria di Reagan significava economia forte e tutti in riga, tanto più che era iniziata la prima guerra del Golfo. In Italia erano gli anni della strage di Bologna e del mistero di Ustica. A livello tecnologico gli anni ’80 segnarono l’inizio della diffusione del PC, dell’Apple, del sistema operativo DOS, del protocollo http, tutte sigle destinate a diventare familiari soprattutto alle nuove generazioni. Erano ormai lontani gli anni in cui il panorama giovanile e musicale era impregnato di politica; anche l’ondata punk, pur nel suo significato simbolico di riappropriazione dello spazio per un protagonismo giovanile, non era riuscita ad incidere sulla grande massa ed era rimasta espressione di una parte disadattata di giovani. Nella società degli anni ’80, sempre più complessa e articolata, continuò la lenta e inesorabile crisi delle istituzioni classiche come la famiglia, la scuola, lo stato, la stessa chiesa. Furono anche gli anni dell’arrivo in Italia della new age, della religione fai da te.
    Come vedremo anche in seguito, la musica ha cantato questa storia e questi cambiamenti. Lo fa rivelando spesso nelle canzoni delle verità «nascoste» eppur sempre sotto gli occhi di tutti, come nel caso di quella fantastica canzone di Bob Dylan The times they are a-changin’ (1964) che profetizzava i grandi cambiamenti della cultura giovanile americana.
    Lo scopo di queste poche righe era di far vedere che se si vuol comprendere meglio le relazioni che si stabiliscono fra giovani e musica, è necessario contestualizzare la relazione musica-giovani a livello storico, culturale, sociale, economico e religioso.
    Per questo un educatore dovrà essere un attento osservatore di ciò che capita nella vita e nella cultura, non solo per il suo bene, ma come condizione necessaria per poter instaurare un rapporto significativo con i giovani, sviluppando un linguaggio che usa parole che sappiano parlare qui e ora.

    La musica mi racconta e vi dice chi sono

    «Secondo me un album è Metal quando i tuoi ti urlano di abbassare lo stereo e ti dicono che quella non è musica ma è solo rumore. I miei compagni di classe mi chiamano Metal e io ne vado fiero» (in «Metal Hammer», n. 3/2000 marzo, p. 73)
    Un frammento di una lettera, fra le tante, che arrivano alle riviste di musica per giovani, ma che contiene alcuni aspetti interessanti del nostro tema. In questa «confessione» si nota: la validità di un genere musicale viene misurata sulla reazione del mondo adulto; la contrapposizione concettuale tra musica e rumore, dove però è chiaro che la «vera» musica per il nostro giovane è l’etichettato «rumore»; il gruppo di compagni che riconoscono in lui l’epifania della sua stessa musica a tal punto da chiamarlo «Metal», un’entità e un’identità precisa; infine, l’essere fieri per ciò che si è.
    Una riflessione interessante che ci permette di fare un ulteriore passo in avanti è quella proposta da Simon Frith nel suo libro Performing rites. Frith sostiene che parte integrante della popular culture è proprio il parlarne. Questo parlare, sia che si tratti della squadra di calcio, di automobili, sesso o musica, è un parlare discriminante, con giudizi di valore e argomentazioni accese e appassionate. Quel «mi piace/non mi piace», spesso considerato come un giudizio superficiale, è sostenuto da ragioni, evidenze e argomentazioni appassionate e mirate a convincere l’altro, spronandolo a sentire o vedere nel «giusto modo», cioè il nostro.
    Frith sostiene quindi che le argomentazioni quotidiane a livello di cultura popolare non sono tanto questioni di «mi piace/non mi piace», ma piuttosto modi di vedere, di sentire, e di essere. Quando per esempio un ragazzo/a dichiara di amare un gruppo o una cantante, non è una semplice scelta di gusto musicale. «Impazzire» per gli U2 al posto dei Back Street Boys è una scelta di vedere e pensare se stessi, agli altri e il mondo. Se si analizza il suo modo di comunicare la passione per il suo gruppo, emerge chiaramente la vivacità, la tenacia, l’emotività, la precisione, la documentazione con cui sostiene i suoi argomenti. Conosce ogni particolare del gruppo a tal punto che diventa difficile avere argomentazioni contrarie se non si è addentro alla «materia», e si sa che comunque li difenderà a spada tratta. Anche se messo/a di fronte a fatti scandalosi del suo gruppo o cantante, tenderà a sminuirli o a denunciarli come operazioni denigratorie dei media. Questo è molto di più di un «mi piace/non mi piace». È un credo, una fede, intrisa di fedeltà.
    Frith indica, in questo parlare nella quotidianità attraverso un processo di discriminazione valoriale, l’esercizio fondamentale per la socializzazione e la costruzione della propria identità. La cultura popolare ha a che fare con la socializzazione, sul come si parla dei temi della vita quotidiana e su come si interpretano. In altre parole, mentre l’accademico si chiede che «cosa significa» una cosa, la persona comune si chiede «cosa posso fare con questa cosa», dove il «che cosa poter fare» è «ciò che significa». In questa azione del valutare vengono coinvolte una serie di assi estetico/funzionali attorno alle quali ruota questo esercizio culturale, e queste assi sono: la credibilità (la musica di questo gruppo e il modo in cui si presentano viene percepito come vero, genuino, nuovo); la coerenza (strettamente legata alla credibilità, è una variabile che giudica il gruppo col passare del tempo); la familiarità (la necessità di riconoscere il proprio gruppo tra un lavoro e l’altro e allo stesso tempo l’attesa di novità, di crescita, di maturità artistica); l’utilità, sia a livello materiale (questa musica mi piace, esprime bene i mie sentimenti, la mia situazione esistenziale) che a livello spirituale (questa musica mi fa bene, le parole dei testi le sento mie, vorrei essere come loro).
    Questo ha dei riflessi molto importanti, per cui la credibilità del gruppo diventa la mia credibilità, la coerenza allo stile è la mia coerenza. I giovani imparano le canzoni a memoria, divorano tutto ciò riguarda il loro gruppo e la loro musica. Si scambiano pareri, opinioni, informazioni, giudizi. Litigano per decidere quale sia il miglior album. L’attesa del concerto è un’attesa densa di preparativi. Il concerto poi sarà una festa, una celebrazione, una liturgia estatica.
    Insomma la musica che eleggono come propria è una musica che li racconta in molti modi, per questo la si può considerare come messaggio in codice al mondo adulto di chi sono e di che cosa stanno vivendo. La loro musica racconta il momento contingente perché la passione che li travolge per un gruppo, anche se può sembrare un patto sigillato con il sangue, può anche cambiare repentinamente a causa di fattori esterni: gli amici, la famiglia, la scuola, altri ambienti con cui si entra in contatto. E sono proprio questi cambi repentini in gusti musicali che un educatore deve sentire come segnali premonitori di cambiamenti in atto.
    La musica è quindi una grande maestra, una grande scuola, ma soprattutto una grande compagna. Forse la ragione profonda del suo successo è che sa proporre percorsi personalizzati di apprendimento, sa raccontare storie che parlano della vita di chi le ascolta e che fa propri questi racconti. La musica è compagna nei momenti di solitudine quando chi vorresti aver vicino non c’è, ma lo è anche nei momenti di euforia e sballo come ai concerti o in discoteca.
    I gusti musicali dei giovani sono radicali e schierati. Gli amici si stringono attorno alla loro musica e si lasciano descrivere da essa. La musica offre loro lo spazio per raccontarsi e presentarsi in un mondo assente e distratto di fronte ad una famiglia, una scuola, una chiesa, e una società imbarazzate che parlano troppo ed ideologicamente dei giovani, ma incapaci di garantire spazi di crescita, responsabilizzazione ed espressione per i giovani.
    C’è un rapporto tra generi musicali e situazioni esistenziali dei giovani. I musicisti, gli artisti non vengono da altri pianeti, la musica nasce dalle loro esperienze. I fans sono coloro che vivono in un certo senso quello che raccontano sia a livello di suoni che di parole, e non fanno altro che adottarli, farseli compagni, proclamarli portavoce della loro vita. I giovani che si incontrano ad un concerto hanno molto più in comune fra loro che con i loro compagni di scuola, di parrocchia e a volte persino delle persone che vivono nella loro stessa famiglia.

    Alcune riflessioni conclusive

    Siamo partiti con la preoccupazione di incontrare la problematica costellazione musica-giovani evitando di cedere alla tentazione dei pregiudizi. Per far questo abbiamo ricordato l’importanza della musica nella vita dell’uomo. Anche se in poche battute, è stata sottolineata la dimensione sonoro-musicale dell’uomo e il fatto che viviamo continuamente in paesaggi sonori in continua mutazione. Il paesaggio sonoro odierno è ricco di mediazioni tecnologiche che contribuiscono ad un nuovo e complesso modo di relazionarsi con la musica. Sarebbe tuttavia un errore ridurre l’intrecciato e problematico rapporto giovani-musica al nuovo assetto tecnologico. Si è cercato quindi di ricordare l’importanza della cornice storica, sociale, culturale, economica e religiosa come condizione di una migliore comprensione sia del passato sia del presente. Abbiamo ricordato che l’arte con la sua capacità tipica di leggere, interpretare e spesso anticipare ciò che si muove nell’aria, dovrebbe essere una importante alleata di ogni educatore e animatore. Infine ci siamo soffermati sull’aspetto più interessante del rapporto musica-giovani dove sinteticamente si è cercato di far vedere che le scelte musicali fatte dai giovani hanno delle implicazioni sul modo di vedere, pensare, agire, gustare, ecc. la vita. La musica li racconta e li presenta al mondo degli adulti. Dietro questi messaggi cifrati ci sono le loro esperienze, le loro delusioni, speranze, angosce, amori, illusioni, insomma la loro persona e personalità.
    Un educatore allora dovrà essere un paziente ascoltatore dei giovani, un sensibile sensore dei cambiamenti sociali e culturali, ma soprattutto un amico dei giovani e desideroso di crescere con loro in un cammino che li aiuti a diventare adulti.

    Alcuni suggerimenti pratici

    È probabile che qualcuno si aspettasse delle risposte più mirate a domande del tipo: Ma se un giovane è metallaro, come faccio a fargli cambiare gusto musicale? Mia figlia ascolta sempre la musica anche quando fa i compiti, come faccio a farle capire che non si dovrebbe studiare con la musica? Vari giovani dell’oratorio vanno tutti i venerdì sera in discoteca, come si fa a conciliare questa esperienza con quello che poi si propone loro? Ecc. Le domande potrebbero continuare con ognuno un caso diverso e simile allo stesso tempo. Cercheremo lungo la strada di rispondere anche a queste problematiche; per ora a chi è abbastanza digiuno in materia suggerisco alcune semplici strategie.
    1. Ci sono riviste musicali che i giovani comprano e divorano, e anche quelle non specializzate in musica hanno comunque degli ampi spazi dedicati alla musica. È importante leggerle ogni tanto, i vostri giovani non saranno proprio come quelli delle riviste, ma nemmeno troppo differenti. Basta andare in edicola e avere il coraggio di spendere un po’ di soldi, oppure chiedere agli stessi giovani che ve le prestino.
    2. La televisione con i suoi canali dedicati alla musica: MTV, Video Music, ecc. sono un serbatoio interminabile di notizie e informazioni sui nuovi trend e ciò che gira nell’aria. Anche qui è importante lasciarsi guidare da loro, dai giovani. Sanno tutto: gli orari dei loro programmi preferiti, i conduttori migliori, gli spettacoli, i concerti, ecc.
    3. Internet è il luogo della rivoluzione musicale. Il nuovo formato MP3 ha sconvolto non solamente l’industria musicale, ma anche il modo con cui si accede, si ricerca, si usa e si produce la musica. Inoltre ci sono tonnellate di informazioni su qualsiasi tipo di genere musicale, cantante o gruppo.
    4. I giovani stessi sono fonte inesauribile di un sapere specializzato sulla loro musica; basta avere la pazienza di essere «indottrinati» da loro. Provate ad ascoltarli! Normalmente, per un adulto non è facile, ma sarebbe un ottimo inizio per raggiungere quella familiarità e confidenza reciproca.
    5. La musica spesso è la fenomenologia superficiale di problemi più profondi e che trovano una specie di sfogo in questo linguaggio, che proprio per la sua elasticità e ambiguità si presta al mimetismo. È importante essere vigilanti sull’uso della musica. Cambi radicali di genere musicale sono moniti di cambi di interessi, di compagnie, di amicizie, di ambienti.
    6. Le canzoni con i loro testi, anche se non hanno mai causato delle rivoluzioni, sono certamente degli spazi, e degli echi dell’immaginario dei giovani. Una volta ho chiesto ad un ragazza: «Perché ti piace questa canzone?» e lei mi ha risposto: «Perché dice quello che io vorrei dire, ma che non sono capace di dire!». Ci sono canzoni che sono manifesti generazionali. Come tutte le forme d’arte, anche la musica e i musicisti colgono prima di tanti altri cosa si respira nell’aria e quali cambiamenti sono in atto.
    7. Partecipate a qualche concerto. Quando da 20.000 o 50.000 persone si alza un coro unisono che per due ore canta in sintonia e sincronia, qualcosa di magico sta accadendo. Si entra in uno spazio rituale dei più emozionanti. Forse si capisce per contrasto il bisogno di queste liturgie se si pensa alla banalità e alla piattezza del quotidiano di molti giovani che non hanno altre oasi di rifugio se non la musica.
    8. Accettare che nonostante i vari tentativi fatti, il nostro giovane rimanga sulle sue. Spesso c’è bisogno di tempo. L’educatore è un po’ il custode del tempo, nel senso che sa che ogni giovane cresce con un proprio ritmo e un proprio stile.
    9. Allargate l’orizzonte dei loro interessi offrendo al giovane tutte le forme d’arte come possibilità di espressione, di crescita, di incontro. Questo punto apre un discorso serio sulla responsabilità anche della scuola nel formare le nuove generazioni.
    10. Questo spetta a voi trovarlo…
    Ci sono molti problemi lasciati in sospeso e aperti, come quello di un’educazione all’ascolto musicale che sappia comprendere più generi musicali. A questo aspetto vorrei dedicare un altro frammento di lettera che mi sembra significativo, perché viene scritto proprio da un giovane al responsabile dello spazio lettere di una rivista musicale.
    «Caro Luca (…) Ti voglio dare una concisa interpretazione del significato dell’ascoltare musica (e il metal in particolare): l’edonismo che può derivare dall’ascolto di un brano è, a mio parere, un risultato PURAMENTE empirico. In parole semplici, se oggi ho ascoltato Santana, Cradle of Filth, Arch Enemy, Ciajkovskij e Mike Olfield, credo che sia per ciò che mi hanno fatto ascoltare PRIMA. PRIMA può essere a 5 anni, a 10, a 2 e così via. Quindi sono contento OGGI di saper ascoltare qualsiasi genere, e ringrazio il mi babbo e la mi mamma per Beethoven e Dire Straits, ma il metallaro medio non ha colpa se è legato a stereotipi e generi unidirezionali, solo non ha avuto una giusta preparazione» (in «Metal Hammer», n. 3/2000 marzo, 70).
    Nel prossimo numero risaliremo alle origini del rock per poi proiettarci in un avvincente viaggio fino ai giorni d’oggi.
    Per ora hasta luego!

    Alcuni libri utili

    * ADINOLFI F., Suoni dal ghetto. La musica rap dalla strada alla hit-parade, Genova, Costa & Nolan, 1989.
    * BARONI M., FUBINI E., PETAZZI P., SANTI P., and VINAY G., Storia della musica, Torino, Einaudi, 1999.
    * BARROW D. J., L’universo come opera d’arte. La fonte cosmica della creatività umana, Milano, Rizzoli, 1997.
    * BERTONCELLI R., Storia leggendaria della musica rock, Firenze, Giunti, 1999.
    * CAPPELLO G.- CERETTI F., Il fiume del rock. Viaggio nella cultura musicale dei giovani, Milano, Paoline, 1997.
    * CHAMBERS I., Ritmi urbani. Pop music e cultura di massa, Milano, Costa & Nolan, 1996.
    * DISTER A., La beat generation, Trieste, Electa-Gallimard, 1998.
    * ———, Il rock. Il nostro tempo nella musica, Trieste, Electa-Gallimard, 1994.
    * FRITH S., Il rock è finito. Miti giovanili e seduzioni commerciali nella musica pop, Torino, EDT, 1990.
    * GIACHETTI D., Siamo solo noi. Vasco Rossi, un mito per le generazioni di sconvolti, Ancona, Theoria, 1999.
    * GUAITAMACCHI E., Figli dei fiori, figli di satana. L’eredità del ’69: da Charles Mason a Merilyn Manson, Roma, Editori Riuniti, 2000.
    * ISTAT, La musica in Italia, Bologna, Il Mulino, 1999.
    * KÖGLER I., L’anelito verso il più. Musica rock gioventù e religione, Torino, SEI, 1995.
    * MARI A., Musica online. La musica, gli artisti, i programmi e le tecnologie che hanno dato a Internet una colonna sonora, Milano, Apogeo, 1999.
    * MATTEI G., Anima mia. Rock pop & Dio, Casale Monferrato (AL), PIEMME, 1998.
    * MCKAY G., Atti insensati di bellezza. Hippy, punk, squatter, raver, eco-azione diretta: culture di resistenza in Inghilterra, Milano, ShaKe, 2000.
    * SIBILLA G., Musica da vedere. Il videoclip nella televisione italiana, Roma, RAI VQPT, 1999.
    * SIGNORELLI L., L’estetica del metallaro. Là fuori ci sono solo mostri, Roma, Theoria, 1997.
    * THORNTON S., Dai club ai rave. Musica media e capitale sottoculturale, Milano, Feltrinelli, 1995.


    T e r z a
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