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    Mosè, un uomo costruito dall'esperienza


     

    Una meditazione a cura di Antonio Martinelli

    (NPG 1987-01-57)


    Piú volte ci si è posto il problema dell'aiuto da offrire agli animatori nella loro formazione spirituale. Le strade possibili erano molte. Ne abbiamo scelto una, che risulta in qualche modo nuova, o almeno diversa, nel linguaggio ordinariamente utilizzato dalla rivista.
    La rubrica presenterò alcuni personaggi biblici dell'antico e del nuovo testamento; uomini d'azione nella storia della salvezza; persone impegnate, a modo loro, nell'animazione del popolo di Dio; esempi e predecessori di quanti si pongono come educatori in mezzo agli altri. Abramo, Giona, Giobbe, Mosè, Paolo, Nicodemo, Maria e tanti altri rappresentano nella storia della salvezza tappe importanti nel realizzarsi della risposta dell'uomo al dono di Dio.
    Le loro avventure possono essere krze da varie prospettive: preoccupazione biografica; ricerca dell'imprevisto e drl meraviglioso; irruzione di Dio nella vita di un uomo che cambia modi di pensare e di agire; la salvezza non può fare a meno delle mediazioni umane e cammina con il passo delle creature.
    La prospettiva qui privilegiata intende cogliere del personaggio due aspetti.
    Il primo: i tratti caratteristici della sua vocazione che sono piú facilmente finalizzabili all'approfondimento della personale esperienza di un giovane animatore.
    Il secondo: le azioni piú significative, sia sul piano dei contenuti del messaggio biblico, sia sul piano della metodologia operativa.

    L'UOMO CHIAMATO MOSÈ

    Il racconto della morte di Mosè conclude l'era dell'esodo con la nota: «Ma in Israele non sorse piú profeta come Mosè» (Deut. 34,10). Era tramontata un'era.
    Nondimeno questo racconto proclama nel contempo che l'era dell'esodo non è realmente conclusa. Lo Spirito che lo aveva animato era passato ai successori, fino alla venuta del nuovo Mosè, il Servo ideale del Signore, che avrebbe portato a compimento le promesse implicitamente racchiuse nella storia del primo esodo.
    Nell'antico testamento come nella nuova alleanza la figura di Mosè si pone come un riferimento capitale.
    L'importanza del personaggio è di carattere simbolico.
    Mosè, il futuro liberatore di Israele, ha bisogno per primo di essere salvato lui stesso. Prima di diventare lo strumento scelto da Dio per «trarre fuori» dallaschiavitù Israele, egli stesso deve «essere tratto fuori» dalle acque: quelle del seno materno e quelle del grande fiume Nilo. La storia di Mosè presenta, nel suo piccolo, già tutta la storia del popolo, l'esodo d'Israele.
    Perciò in lui e nella sua vita convergono elementi eterogenei: nato da ceppo israelitico ed educato come un egiziano, egli trascorre gran parte della sua vita adulta con un altro popolo straniero e si sposa infine con una non-israelita.
    Scelto come servo di Dio, è dunque una figura che trascende gli stretti confini di Israele.
    Presentare Mosè richiederebbe percorrere tutta la sua storia, attraverso le molte esperienze avventurose e nell'interminabile itinerario attraverso paesi e popoli. Ogni tappa presenta un particolare volto della sua ricca personalità.
    Ciò che appare piú immediatamente della sua immagine è il ruolo di capo-guida e di legislatore del popolo di Dio.
    L'epopea segnata dal suo passaggio, dai suoi interventi, dalle conquiste e vittorie, offusca forse tratti della sua vita, che intendo richiamare, perché completano in modo significativo la sua immagine popolare.
    «Mosè era un uomo molto mansueto, piú di chiunque altro sulla terra» (Num 12,3). L'affermazione della Scrittura arriva in un momento in cui Mosè è aspramente criticato dai suoi familiari: Maria, la sorella, e Aronne, il fratello. Mosè non si sdegna. Anzi, di fronte all'ira di Dio che punisce Maria con la lebbra, interviene a suo favore «Mosè gridò al Signore: `Guariscila, Dio!'» (Num 12, 13).
    È il Mosè maturo, l'uomo che si è costruito nel costante incontro con il suo Signore, nella familiarità con la sua voce e il suo operare. Non è una espressione formale dire che la mitezza è la forza dell'uomo giusto.
    Riporto dal libro dell'Esodo:
    «I giorni passarono e Mosè divenne grande. Un giorno andò a visitane i suoi fratelli e costatò i duri lavori a cui erano sottoposti. E, notato un egiziano che picchiava un ebreo, uno dei suoi fratelli, diede un'occhiata intorno e, visto che non c'era nessuno, uccise l'egiziano e lo nascose nella sabbia. Uscì pure il giorno dopo e, scorgendo due ebrei che stavano rissando tra di loro, disse a colui che aveva torto: 'Perché picchi il tuo prossimo?'. Questi replicò: 'Chi ti ha costituito capo e giudice su di noi? Pensi forse di uccidermi come hai ucciso l'egiziano?'. Mosè ebbe paura e pensò: 'Certamente il fatto è noto'. Il faraone senti parlare del fatto e cercò di uccidere Mosè» (Es 2,11-15).
    Siamo di fronte ad una mirabile narrazione. Ogni espressione dipinge un quadro a sé stante.
    Il clima è completamente diverso rispetto al capitolo 12 del libro dei Numeri riportato prima. Qui Mosè tenta di assumere «da solo» il ruolo di giudice e salvatore e, come era prevedibile, il tentativo fallisce. Mosè è incapace di rispondere alla domanda: «Chi ti ha costituito capo e giudice su di noi?».
    Mosè è impotente a salvare i suoi fratelli. Ha agito da solo e ha fallito. Il contatto visibile con il Dio dei suoi padri lo renderà mite e forte. Si ripresenterà come salvatore, come strumento di salvezza attraverso cui trasparirà Jahvé e il suo dono di liberazione.
    Un secondo tratto definisce la figura di Mosè: è l'uomo della sofferenza.
    L'inizio della liberazione, scrive E. Fromm, sta nella capacità dell'uomo di soffrire, ed egli soffre se è oppresso, fisicamente e moralmente. Se l'uomo ha perduto la capacità di soffrire, ha perduto anche la capacità di cambiare. È da considerare una legge ordinaria dall'esistenza e trova compimento nella storia esteriore ed interiore di Mosè. L'Egitto riserbi innumeri difficoltà e sofferenze; il deserto è il luogo della purificazione e perciò delle privazioni come pedaggio necessario; i nemici del popolo di Dio non fanno la vita facile ad Israele e al suo condottiero; la sua gente, dalla dura cervice, trova mille occasioni per creargli problemi e ostacoli.
    Ma dietro ad ogni dolore lo attende Dio misericordioso, come in agguato, intento ad aprirgli la comprensione del mistero della sua parola, del suo nome, della sua vita.

    UN MEDIATORE FEDELE TRA DIO E IL POPOLO

    Fedele, soprattutto: è l'aspetto che voglio sottolineare.
    È abbastanza evidente la mediazione nella vita di Mosè. Basta guardare gli opposti che in lui si compongono: ebreo pienamente inserito tra gli egiziani; amministratore riconosciuto legalmente con una profonda coscienza di popolano; pastore per necessità e condottiero per vocazione; leader indiscusso che sa organizzare una giusta condivisione al governo del popolo; schiavo per nascita, ma liberatore per missione, Mosè ha vissuto intensamente il suo ruolo di strumento, di strumento povero e bisognoso di essere assistito e aiutato dal fratello Aronne in tutte le imprese, e soprattutto di essere condotto dallo Spirito di Dio sulla strada della liberazione dei suoi fratelli.
    La fedeltà ha due centri: Dio e il popolo. Con Mosè mediatore Dio rischia il suo piano di salvezza.
    Con Mosè il popolo si gioca il suo futuro di libertà.
    La fedeltà alle esigenze salvifiche e alle urgenze di un popolo che nasce mette al riparo dai fallimenti.
    «Egli è l'uomo di fiducia in tutta la mia casa. Bocca a bocca parlo con lui, in visioni e non in enigmi ed egli guarda l'immagine del Signore» (Num 12,7-8). È l'uomo di Dio e dell'alleanza: «Io sarò con te» (Es 4,12). In tal modo è messo definitivamente in chiaro che il successo della missione è legato all'aiuto di Dio. E questo si traduce concretamente nell'obbedienza: è il criterio di verifica del mediatore. La parola che ascolta da Dio sul monte e nel silenzio lo possiede totalmente, lo trasforma, lo rende glorioso agli occhi della sua gente, geloso del Dio dei padri, difensore della elezione divina anche nei momenti difficili delle tribolazioni e degli smarrimenti.
    La fedeltà di Dio al suo popolo richiede innanzitutto la fedeltà del suo profeta. Altrettanto radicata è la fedeltà al popolo di cui si sente parte, e con il quale si schiera, anche contro Dio.
    La circostanza piú significativa è rappresentata dall'infedeltà del popolo descritta dal libro dell'Esodo. Il vitello d'oro costruito nell'assenza di Mosè, provoca l'ira di Dio. «Ora lascia che la mia irasi accenda contro di loro e li distrugga. Di te invece farò una grande nazione» (Esodo 32,10).
    La posta in gioco è molto alta; l'allettamento è forte; ma il mediatore fedele non può neppure lasciarsi tentare dal suo Dio.
    E Mosè recita una delle pagine piú alte e cariche di religiosità. Rivolgendosi a Dio, lo fa tornare su se stesso. Con finissimo intuito psicologico, riesce a far passare il giusto e meritato castigo come una vergognosa condanna. Iddio deve cambiare i suoi piani e deve pentirsi lui, per primo, della sua collera. Non c'è altra via di scampo. «Perché, Signore, divamperà la tua ira contro il tuo popolo, che hai fatto uscire dal paese d'Egitto con grande forza e con mano potente? Perché dovranno dire gli egiziani: 'Con malizia li ha fatti uscire, per farli perire tra le montagne e farli sparire dalla terra? Desisti dall'ardore della tua ira e abbandona il proposito di fare del male al tuo popolo» (Es 32,11-12).
    Rifiutando di desolidarizzarsi dal popolo peccatore, Mosè agisce da vero profeta. La sua intercessione non poggia sui meriti del popolo, ma sull'onore di Dio stesso e sulla sua fedeltà alle promesse.
    La fedeltà al suo popolo arriva fino al ricatto presentato a Dio: «Questo popolo ha commesso un grande peccato: si sono fatti un dio d'oro. Ma ora, se tu perdonassi il loro peccato... E se no, cancellami dal tuo libro che hai scritto!» (Es 32, 32). O passi sull'infedeltà del popolo o non contare piú su di me.
    La mediazione è il risvolto operativo della condiscendenza di Dio e del suo messaggero.

    LA CONDISCENDENZA DEL SIGNORE CON MOSÉ E CON IL POPOLO

    Tre momenti particolari possono formare la sostanza della ricerca sulla condiscendenza di Dio: l'Oreb, l'Esodo, il Sinai, cioè la rivelazione del suo Nome, la manifestazione gloriosa della sua Potenza, la comunicazione della sua Misericordia.
    «Io sono colui che sono! Dirai agli israeliti: Io-Sono mi ha mandato a voi. Questo è il nome per sempre: questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione» (Es 3,14-15).
    Il testo dell'Esodo ha offerto sempre motivi di profonde riflessioni. Sono almeno da cogliere i nuclei attorno a cui potere e sapere ritrovare capacità di approfondimento.
    - Io sono colui che sono: il mistero di Dio supera qualunque possibilità di espressione; nessuna parola può imprigionare Dio; neppure Mosè che sta interrogando il suo Signore creda di averlo completamento scoperto.
    - Io sono colui che sono: tutti gli altri idoli che l'uomo si è costruito, e che il grande faraone tiene presso di sé, non hanno consistenza; in quanto tali non potranno assolutamente opporre resistenza al piano di Dio: Mosè abbia fiducia nella missione che dovrà compiere nel nome del suo Signore.
    - Io sono colui che sono: io sono là, con voi, come voi vedrete, sembra affermare Dio. Cioè, attraverso la storia della salvezza degli uomini Dio manifesterà a mano a mano chi egli è. Con altra espressione, presa in prestito da Isaia, conoscere in nome di Dio significa conoscere che egli è colui che dice: Eccomi! (cf Is 52,6). I racconti dell'Esodo non contengono una cronaca obiettiva e spassionata della partenza dall'Egitto, della liberazione della schiavitù, della costituzione di un popolo: sono piuttosto la fervida proclamazione di un vangelo, l'annuncio della buona novella che Jahvé è il Dio che salva. La narrazione biblica si interessa, a distanza di molti secoli dagli avvenimenti materiali, della storia nella misura in cui essa era rivelatrice della presenza e dell'opera di Dio. Così volgendosi al passato, Israele potè ricomporre la propria storia piú antica. E l'Esodo diede ai profeti la chiave del futuro di Israele.
    È rivelazione della potenza di Dio; è fondazione della speranza del popolo del Signore; è il primo anello di una lunga catena che aiuta ad esprimere la fede nella certezza che il Signore è l'unico Dio; è l'inizio della celebrazione pubblica ed ufficiale della liturgia della pasqua.
    Il canto di Mosè, al capitolo 15 dell'Esodo, esprime la gioia dell'avvenuta liberazione. «Mia forza e mio canto è il Signore, egli mi ha salvato. Ha mirabilmente trionfato, ha gettato in mare cavallo e cavaliere. Chi è come te fra gli dei, Signore? Chi è come te, maestoso in santità, tremendo nelle imprese, operatore di prodigi? Il Signore regna in eterno e per sempre!» (Es 15,1-18).
    Il Sinai, con l'alleanza che sancisce, segna l'inizio della dimora, o piú precisamente, dell'accamparsi di Dio in mezzo al suo popolo.
    L'esperienza dell'Esodo e l'instaurazione dell'alleanza del Sinai indussero Israele a concepire in maniera nuova la presenza divina nel mondo.
    La formula dell'alleanza: «Io sarò vostro Dio e voi sarete il mio popolo», significava che Jahvé sarebbe stato presente in mezzo al suo popolo, guidandolo verso la terra che gli aveva promessa; avrebbe cioè abbandonato presto il Sinai e anche il deserto. Ma come si sarebbe realizzata questa possibilità? come il popolo sarebbe diventato, per così dire, il santuario di Jahvé?
    C'è qui un'ulteriore rivelazione di Dio, della sua misericordia e del suo amore. L'alleanza tra Dio e il suo popolo viene descritta con formule varie.
    La prima utilizzata è quella della relazione tra marito e moglie. Israele è una bimba abbandonata che Jahvé ha raccolto con benevolenza e scelto per sé come vergine sposa.
    La seconda immagine è quella del rapporto tra padre e figlio. Con l'elezione misericordiosa e le sue potenti gesta salvifiche, Jahvé ha generato Israele come suo figlio. Forse non è del tutto esatto parlare dell'alleanza come dell'adozione di Israele da parte di Dio. L'Esodo e l'alleanza costituirono piuttosto una generazione che una adozione, perché Israele non esisteva proprio come popolo, prima che Dio lo radunasse e lo eleggesse misericordiosamente. «Israele è il mio figlio primogenito» (Es 4,22-23). Tutti i figli appartenevano al Signore, ma i primogeniti costituivano la porzione speciale riservata al Signore. Siamo nel cuore del messaggio evangelico: il nome di Dio, l'intervento strepitoso della liberazione giungono alla loro naturale conclusione di generare dei figli.

    IL SENTIERO DELLA LIBERTÀ

    Un ultimo elemento di riflessione, da non trascurare parlando di Mosè, è cogliere la sua opera di legislatore: «La legge ci è stata data da Mosè, la grazia e la verità ci sono venute da Gesù Cristo» (Giov 1,17).
    Ogni mediatore è destinato come Mosè, non solo a salvare e liberare il popolo, ma soprattutto ad entrare in intimità con Dio, per scoprire la forza liberatrice della sua parola e il coraggio di non tornare indietro. L'insicurezza della libertà pesa spesso piú che la sofferenza della schiavitù. Per non smarrire il sentiero tortuoso della libertà Mosè, nell'obbedienza al Signore liberatore, fissa alcuni codici di comportamento.
    - La legge della morale, contenuta nef decalogo o dieci parole del Signore, regola i rapporti di convivenza tra Dio e il popolo, tra uomo e uomo, perché i benefici della liberazione non vadano dissipati e si ricada schiavi, lontani e abbandonati da Jahvé (cf Es capitoli 20-23).
    - La legge del culto raccoglie l'indicazione fondamentale del cammino dell'Esodo. La liberazione non aveva come obiettivo, solo o primariamente, l'indipendenza sociale o nazionale dei liberati, ma suo scopo precipuo ed espresso era il culto. «Lascia partire il mio popolo perché mi celebri una festa nel deserto» (Es 5,1). Come celebrare il Signore? Il capitolo 34 dell'Esodo presenta le leggi del culto.
    - La legge della vita è, in definitiva, il vero cammino di liberazione: «Quanto il Signore ha ordinato, noi lo faremo e lo eseguiremo!» (Es 24,7). La libertà è un dono inaspettato e un impegno mai finito. Da qui il senso dell'obbedienza al cammino che rischia il futuro della propria esistenza e per il quale Dio assicura: «Io sarò con voi fino alla fine».

    UNA GIORNATA DI RITIRO CON UN GRUPPO DI ANIMATORI


    Mi permetto di presentare una scheda di utilizzazione in una giornata di ritiro con animatori di gruppo che sentono il bisogno di riflettere sulla loro identità e vocazione.
    Una premessa: utilizzazione, cioè?
    Utilizzare un testo di un altro dovrà significare:
    - passare dalla sintesi offerta alla comprensione degli elementi che la compongono;
    - andare oltre ciò che è manifesto per giungere a ciò che fa da fondamento;
    - tentare una rilettura personale ed esistenziale, anche sulla linea del dossier contenuto in questo numero della rivista.
    L'utilizzazione potrà essere molteplice: basti considerare la singola persona interessata ad un approfondimento; ci si può riferire ad un gruppo di animatori che sta compiendo un cammino insieme; si pensi ad un momento di preghiera oppure ad una conversazione che si arricchisce del contributo dei presenti; ecc. ecc.
    Intendo, considerare una giornata vissuta con Mosé all'inizio della quaresima, per un ritiro.
    I momenti da vivere nell'arco della giornata sono essenzialmente quattro: riflessione, confronto, preghiera, impegno nel quotidiano.

    La riflessione
    Per la riflessione personale: si legga attentamente il capitolo 3 dell'Esodo, soffermando l'attenzione ai cinque nuclei (roveto ardente, missione di Mosé, rivelazione del nome divino, istruzioni sulla missione, intervento di Dio a favore del suo popolo) di cui si compone.
    È necessario prevedere che ciascuno abbia in mano il testo dell'Esodo, che potrà
    liberamente scarabocchiare, annotare, collegare nelle varie parti. Si riflette con... carta e matita in mano.
    Le scoperte che ciascuno farà possono essere tante: è importante non disperderle. Vanno segnate perché serviranno in tutta la giornata per i vari momenti richiamati prima.

    Il confronto
    II confronto mirerà a verificare l'acquisizione condivisa di alcuni nuclei importanti.
    Esemplifico: la vocazione, la manifestazione di Dio, l'impegno nella missione. Chi guida il gruppo aiuti a confrontarsi, immettendo eventualmente nella ricerca comune alcuni interrogativi. Con riferimento alla vocazione: vocazione come bisogno psicologico oppure esigenza di un popolo di cui si è parte? vocazione come autorealizzazione oppure impegno di liberazione? vocazione come fatto miracoloso oppure quotidiano?
    Con riferimento alla manifestazione di Dio: come si rivela Dio, oggi? e dove e come si manifesta ancora oggi il Signore? perché continua a manifestarsi nella storia e nella vita?
    Non si consideri superflua l'osservazione seguente: un lavoro necessario ed urgente prevede la riformulazione del linguaggio che usiamo nel parlare di Dio.
    Con riferimento all'impegno nella missione: si parta facendo un primo rilevamento circa gli impegni che ciascuno ha nella vita quotidiana, per considerare se sono sbilanciati prevalentemente sul versante individuale; si consideri quanta parte ha nella storia di ciascuno la storia degli amici piú vicini, se si sa dare tempo lavoro attenzione disponibilità agli altri; si allarghi la considerazione al
    territorio in cui si è inseriti: quanto ci si interessa? come si interviene? che cosa si offre?

    La preghiera
    Il momento della preghiera contempli le esigenze personali ma anche l'espressione in gruppo.
    Il capitolo 32 dell'Esodo offre motivi sufficienti per una preghiera personale e comunitaria.
    Il gruppo ritrovi alcuni temi per la preghiera personale e si ritagli un tempo utile per attuarla; ricerchi quindi alcune espressioni, non solo verbali ma anche gestuali e simboliche, come riformulazione della preghiera di Mosé: una preghiera da•mediatore, da convinto assertore della presenza di Dio nella storia del suo popolo, da amico che tratta il suo Signore con libertà e con... decisione.

    L'impegno nella vita cristiana
    L'ultimo momento, l'impegno nella vita quotidiana, è altrettanto importante quanto i precedenti. Non può essere lasciato alla buona volontà di ciascuno. Cosa fare? Quale sarà l'Oreb, l'Esodo e il Sinai del gruppo, ritornando alle occupazioni e alla vita ordinaria? Non si può concludere la giornata senza arrivare in fondo al cammino.
    Si potranno invitare tutti ad esprimere alcuni impegni, individuali e di gruppo, capaci di far realizzare nel concreto l'esperienza della giornata di ritiro.
    Si scriva da ciascuno su un foglio un impegno di carattere personale e uno di carattere gruppale. Prima di lasciarsi si leggano, si raccolgano le convergenze, si riformulino alcuni orientamenti operativi che aiutino fino al prossimo incontro.

     

     


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