Pastorale Giovanile

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    Una qualità della vita da educare


    Carlo Penati - Vitti Buganza

    (NPG 1987-01-20)


    Il secondo dei tre itinerari percorribili dai giovani oggi, per riscoprire una possibilità di esprimere il senso nella loro vita, è quello che, ormai da anni, è stato definito «qualità della vita». Gli altri due - come avevamo ipotizzato nel dossier di maggio '86 - si possono esprimere con le parole pace (cf l'articolo di Balducci in dicembre '86) e solidarietà.
    Il concetto di qualità della vita esprime un mutamento culturale che avviene durante gli anni Settanta, che emerge dalla considerazione congiunta della crisi dell'idea di progresso e della rilevanza dei bisogni soggettivi; ma non è un'altra parola per dire rifugio nel privato, disinteresse per il pubblico, indifferenza verso la politica: tant'è vero che attorno a tale concetto sono sorti anche movimenti di grande rilevanza culturale e sociale (per l'ambiente, per la pace, per una nuova città...).
    I giovani sembrano coloro che maggiormente si sentono proiettati verso «il nuovo» che la qualità della vita esprime.
    Ma occorre ripensare l'ideale in chiave progettativa, educante, perché si riscoprano o almeno si dischiudano le potenzialità di senso racchiuse. È questo l'intento di Penati-Buganza.
    L'articolo passa in rassegna alcune delle caratteristiche «qualitative» delle esperienze giovanili. Sono tratti già rilevati in articoli precedenti, ma servono da supporto, da problematizzazione educativa. L'intento è infatti quello di rilevare «come sia possibile educare alla qualità e tradurla in un progetto esistenziale, sociale e culturale».
    Il processo si snoda all'interno dell'esperienza di gruppo degli adolescenti, un'esperienza in due specifiche modalità di gruppo stesso, quello della «qualità» e quello del «fare». L'educatore è chiamato a far crescere nel giovane la capacità di essere al passo culturalmente e eticamente, colle situazioni nuove del vivere sociale, lavorando sull'ampliamento dell'interiorità, delle capacità di sentire e produrre vita.

    "Simili a formiche
    andiamo dentro ogni fuoco.
    Ogni acqua. Ogni fiume di sangue.
    Solo per non dover vedere.
    Che cosa? Noi."
    (Christa Wolf, Cassandra)

    Di qualità della vita in rapporto alle realtà (o alle condizioni) giovanili si parla e si scrive ormai da qualche anno. L'essere giovani è diventato quasi un sinonimo della ricerca di un'esistenza «ricca», orientata alla realizzazione personale e alla soddisfazione delle proprie esigenze. A questa conclusione giungono infatti, pur con accentuazioni differenti, le ricerche che, a partire ai primi anni '80, hanno indagato sulle nuove generazioni.
    E certamente questa tendenza verso una maggiore qualità della vita, per quanto non possa essere intesa come unica chiave di lettura di condizioni diversificate e poliedriche, aiuta a interpretare i comportamenti e gli atteggiamenti delle ultime generazioni. Costituisce quindi un punto di vista interessante, per la comprensione dei vissuti giovanili, soprattutto per chi è animato da intenti di carattere educativo. E continua a mantenere una certa attualità anche dopo alcuni anni dall'affiorare delle tematiche attinenti alnodo della qualità forse proprio perché, sul piano educativo, alla percezione dei cambiamenti in atto tra le nuove generazioni non ha corrisposto un adeguamento dei metodi e degli strumenti operativi.
    Ciò induce ad articolare alcune riflessioni sulla base del seguente «filo logico»:
    - se è vero che la ricerca di una maggiore qualità della vita rappresenta uno dei tratti caratterizzanti delle esperienze giovanili,
    - è sul piano dei comportamenti soggettivi, della sfera «interna» della persona, che occorre porre particolare attenzione,
    - se si vuole orientare la crescita delle nuove generazioni tenendo conto di più appropriate chiavi di lettura antropologiche,
    - il che richiede una coerente strutturazione degli impianti educativi (e delle pastorali giovanili),
    - e comporta, rispetto allo specifico ambito problematico della qualità della vita, un ripensamento del ruolo degli educatori e/o animatori.
    Si tratta indubbiamente di un itinerario impegnativo, ma se ci si vuole avvicinare al nucleo centrale dei bisogni qualitativi, paiono insufficienti rapidi e «periferici» aggiustamenti.

    LA QUALITÀ DELLA QUANTITÀ

    Per meglio comprendere e motivare queste affermazioni è opportuno prendere avvio dalla definizione di «qualità della vita», riferendola ai vissuti giovanili, per poi ipotizzare alcune linee guida per l'azione educativa; tenendo conto che si fa riferimento ad una fascia d'età compresa tra i 14/15 e i 19/20 anni. Forse più suggestioni che argomentazioni: come quando preme l'onda dei pensieri e ancora non giunge a riva.
    La ricerca di una maggiore qualità della vita si propone come fenomeno socialmente rilevante e diffusivo negli anni in cui (e siamo nella seconda metà degli anni Settanta) da una parte aumentano le possibilità di una esistenza meno schiacciata e omologata dai bisogni quantitativi, dall'altra entrano definitivamente in crisi - in quanto non interpretano e non spiegano più in maniera esauriente la realtà - le grandi ideologie ottocentesche e, più in generale, le totalizzanti e compatte «visioni del mondo».
    In particolare, in Italia, si esaurisce l'onda lunga dei movimenti operaio e studentesco originati alla fine degli anni '60, con tutta la carica di utopia che li caratterizzava, e si prende coscienza dei limiti di uno sviluppo fino allora pensato come progressivo e inarrestabile. Ci si comincia a rendere conto che:
    — la logica del rimando (propria delle grandi visioni del mondo) non consente - in quanto nega bisogni attuali rimandandoli a tempi migliori e indefiniti (la piena realizzazione di tali visioni) - un adeguato sviluppo delle potenzialità individuali (che si dispiegano invece nel tempo, e proprio a partire da una nozione di tempo limitato) ed un effettivo benessere soggettivo;
    — il benessere non può costituire una mera categoria economica, legata allo sviluppo della ricchezza e dei consumi, proprio perché, a fronte dei limiti di ricchezze e consumi, diventa necessario cominciare a selezionare; e per selezionare vanno attivati criteri qualitativi più che quantitativi.
    Si pone perciò il problema della qualità della quantità o, detto in altri termini, di una vita che possa rivelare ad ogni persona la piena realizzazione delle potenzialità ad essa intrinseche. Potenzialità non più demandabili soltanto agli accumuli quantitativi, ma rinvenibili anche - e forse soprattutto - in un ampliamento degli spazi interiori, dove i desideri si formano, vengono vagliati, si strutturano in progetti di vita.
    Qualità della vita può essere allora definita come la disposizione oggettivamente plausibile a sviluppare le potenzialità soggettive. È uno schema ormai classico per le scienze psicosociali: oltre la soglia della sopravvivenza e dei bisogni materiali di vita, tendono ad emergere e a diventare preminenti bisogni post-materialistici, post-acquisitivi. Anzi, il termine stesso di bisogno perde un po' della sua connotazione di necessità per approdare al campo più mobile dei desideri e delle opzioni.
    Una vita più qualitativa è infatti una vita in cui aumentano le possibilità di scelta, e in cui gli individui hanno mediamente - rispetto a periodi precedenti - più chances di vivere sulla base dei propri progetti, desideri, interessi.

    I TRATTI QUALITATIVI DELLE ESPERIENZE GIOVANILI

    Di questa concezione della qualità della vita si è parlato e si è scritto soprattutto in rapporto alle esperienze e agli itinerari esistenziali delle ultimissime generazioni. È opinione diffusa che la vita quotidiana di questi giovani sia contrassegnata, per contrasto con alcune generazioni precedenti - ed in particolare quelle «sessantottine» e «post-sessantottine» -, da una tendenza che potremmo definire di soggettivizzazione. La tendenza cioè a porre al centro delle scelte esistenziali la propria soggettività piùttosto che ideali e impegni di carattere sociale e collettivo. Ciò non significa che tali generazioni siano prive di slanci ideali e di solidarietà concreta. Ma prevale in esse un atteggiamento di filtro verso la realtà che le circonda: sono cioè disposte a muoversi e ad impegnarsi (tratti questi che hanno fortemente improntato alcune delle generazioni precedenti) se colgono, negli obiettivi ad esse proposti o che esse stesse si pongono, la possibilità di arricchirsi interiormente o comunque di ricavarne esperienze utili per il proprio presente e per il proprio futuro.

    Alcuni tratti significativi

    Sarebbe un errore ottico generalizzare questi caratteri, tanto sono oggi variegate ed «imprevedibili» le condizioni giovanili. Tuttavia val la pena, per meglio comprendere le connessioni tra giovani e qualità della vita, cercare di individuare qualche tratto qualitativo delle attuali esperienze giovanili, che si può così sintetizzare:
    - normatività del soggettivo: vi è una tendenza a «decidere per sé», ad essere consapevoli - e quindi a poterle «controllare» direttamente - delle proprie scelte e degli itinerari esistenziali imboccati;
    - primato dell'immediatezza: le opinioni valoriali e comportamentali non vengono mediate da princìpi considerati universali e assoluti, ma ineriscono alla sfera del desiderio: le necessarie mediazioni vengono operate piùttosto nei confronti dei vincoli e delle opportunità reali;
    - ricerca di senso: prevale l'orientamento a porsi interrogativi su di sé, sull'esistenza, sugli accadimenti, piùttosto che ad agire «sconsideratamente»: anzi, quest'ultimo comportamento, quando si impone, appare proprio il frutto negativo di risposte mancate;
    - progettualità nel quotidiano: le proiezioni in avanti, sul futuro, per quanto idealizzate, vengono per lo più saldate all'esistenza e alle condizioni quotidiane; devono cioè trovare un qualche riscontro e una conferma di fattibilità e di vantaggio, anche soltanto ipotetici, nella vita di tutti i giorni;
    - reversibilità delle scelte: c'è indubbiamente, in una parte dei giovani - del resto confermata da più generali tendenze sociali e culturali - la disposizione a rifiutare scelte assolute e irrevocabili, che vengono concepite come ostacolo all'esperienza della realtà e alla piena conoscenza di sé;
    - rilevanza dell'esperienza: vivere in prima persona, provare, sperimentare, diventano le modalità, spesso cariche di eccessi, per prendere le proprie misure nei confronti della vita e degli accadimenti;
    - nomadismo sociale: connessa al rifiuto dell'irreversibilità delle scelte e alla rilevanza dell'esperienza diretta è la disposizione a sperimentare e a cambiare appartenenze associative, come pure a percorrere itinerari formativi segmentati, evidenziando un elevato grado di adattatività;
    - solidarietà di relazione: nelle esperienze associative e nell'impegno sociale sembrano prevalere modalità di interazione e di comunicazione finalizzate alle relazioni interpersonali piùttosto che ottemperanza a (e condivisione di) visioni ideali e universi culturali di riferimento.

    Il confronto fra dato generazionale e dato sociale

    Da questi aspetti, assimilabili in alcuni casi più a segnali deboli che non a dinamiche e fenomeni socialmente evidenti, si può forse inferire che hanno riacquistato pregnanza per i giovani di oggi, rispetto alle generazioni della fine degli anni '60 e degli anni '70, le caratteristiche proprie dell'età evolutiva. A connotare socialmente e culturalmente le fasce giovanili sembrerebbero più i dati generazionali, intrinseci alla fase di crescita, che non l'adesione a processi più vasti della società. Per le generazioni della politica e dell'impegno erano questi ultimi a definire il quadro di riferimento motivazionale e i contorni di comportamento. Da alcuni anni a questa parte si è prodotta una tendenza differente - e per alcuni aspetti inversa - che è appunto identificabile come predisposizione a vagliare dall'interno, mettendoli a confronto con i propri desideri e il proprio sistema emozionale, gli accadimenti ed i fatti esterni.
    Ciò non toglie che tra dato generazionale e dato sociale vi sia una costante interazione. Non si dà infatti impermeabilità tra di essi. Anzi, l'affiorare dei trend di soggettivizzazione prima sottolineato, così proprio dello sviluppo psicologico degli adolescenti, trova motivo in fenomeni di vasta portata della società italiana, evidenziatisi nei primi anni '80: la crisi di attrazione dei grandi apparati politici e ideologici; l'emergere di forti spinte soggettive nei comportamenti di consumo, nella partecipazione al lavoro, nelle scelte culturali; l'imporsi di una consistente richiesta di personalizzazione sui temi delle salute, dell'ambiente, del lavoro; la ridefinizione, a favore dei primi, dei rapporti tra interessi individuali e collettivi, connotata anche dalla «esplosione» dei mondi vitali; l'affiorare di una richiesta generalizzata di pace, di ordine, di riduzione delle aree sociali di inefficienza.
    Questi fenomeni, se da un lato hanno favorito e accompagnato il modificarsi dei comportamenti giovanili, dall'altro hanno accentuato alcuni dei tratti di maggior disagio rinvenibili in alcune fasce di giovani. Questi si sono infatti trovati a fare i conti con:
    - una crescente difficoltà a concretizzare i propri progetti di vita, a fronte di un ampliamento del ventaglio dei desideri soggettivi, per l'allargarsi a forbice, tipico delle società complesse, tra possibilità previste e possibilità realizzate e/o realizzabili: è questa una delle ragioni per cui si può verificare un prolungamento coatto dell'età giovanile e il ritardo con cui una parte di giovani si inserisce da adulta nella società;
    - una crescente difficoltà ad integrare la molteplicità e contraddittorietà di stimoli ed opportunità provenienti dall'esterno, che in molti casi creano un rumore di fondo in cui trova origine, per sovraccarico, tanta parte del malessere giovanile di questi anni: rispetto alle generazioni precedenti che si sono confrontate con una società più «semplice» e più statica oggi è più difficile diventare adulti.
    Sono queste alcune delle ragioni che rallentano e ostacolano i processi di acquisizione di identità nelle nuove generazioni. Si è parlato a questo proposito di identità deboli e aperte per indicare la difficoltà a diventare persone integrate e consapevoli di sé.
    D'altro canto pesa su questa difficoltà - e può per alcuni versi spiegare l'inappetibilità per una parte di giovani dei ruoli adulti - la «sparizione» delle figure adulte. Figure genitoriali, cioè, integre e solide - sempre più rare in una società «maternalizzata» e centrata sui figli - capaci di costituire un punto costante di riferimento e confronto per il processo di identificazione proprio dell'età adolescenziale.

    UNA SFIDA: EDUCARE ALL'INCERTEZZA

    Di fronte alla crescente incertezza, complessità, imprevedibilità sociale, si dispiegano infatti due itinerari completamente differenti, così identificabili in termini molto schematici:
    - l'educazione alla certezza: proprio perché tutto è fluido e instabile, è necessario affermare e trasmettere valori e modelli di comportamento univoci e omogenei che riducano gli spazi di spontaneismo e di soggettività;
    - l'educazione all'incertezza: la fluidità e l'imprevedibilità sono dimensioni irresolvibili della vita umana che richiedono perciò un atteggiamento adulto e autonomo.
    Sullo sfondo del primo itinerario riposano alcune equazioni, accreditate soprattutto in certi ambienti educativi, che con qualche forzatura possono essere descritte come:
    - l'equazione catastrofista: la perdita di senso collettivo, stabile, onnicomprensivo non può che generare caos e invivibilità esistenziale e sociale;
    - l'equazione materna: il moltiplicarsi delle opinioni possibili e il complessificarsi della realtà richiede un'accentuazione delle direttive e delle indicazioni di comportamento proprio per evitare i perniciosi smarrimenti dell'equazione catastrofista;
    - l'equazione onnipotentista: la parzialità e l'incertezza non possono essere a lungo tollerate, e richiedono di essere integrate in sistemi culturali e ideologici certi (che alla fin fine significa assoluti), come risposta al caos e alla dispersione sociale.
    Queste equazioni presuppongono, per ricorrere ad una analogia biologica, che l'infanzia sia interminabile e che la persona, diventando adulta, non sia in grado di scegliere consapevolmente e responsabilmente - nei limiti delle compatibilità sociali e relazionali - il proprio destino.
    In altri termini è come se, posti di fronte ai processi sociali e ai dati generazionali prima evidenziati, le due concezioni rispondessero: la prima, orientata a superare i vincoli e i disagi dell'incertezza: «è necessario ridurre la dispersione sociale, culturale, valoriale, perché la persona - e tanto meno il giovane - non è in grado di tollerarla»; la seconda, orientata a valorizzare le opportunità dell'incertezza: «è più aderente alla qualità della persona umana ampliare gli spazi interiori e sviluppare le capacità di vivere adeguatamente in condizioni sociali ed esistenziali che permangono e permarranno incerte, perché l'incertezza è tollerabile e integrabile dai soggetti adulti».
    Nel primo caso, ancora una volta, si dà per scontato che i giovani - o una gran parte di essi - essendo caratterizzati da un'identità «debole e aperta» non possano elaborare e introiettare la condizione di incertezza e di instabilità e quindi vadano diretti, consigliati, sostituiti nelle scelte.
    Nel secondo caso si ritiene che, proprio per le difficoltà che oggi alcune fasce di giovani incontrano nel costituirsi soggetti adulti e integrati, è opportuno operare educativamente sui processi di identificazione e di crescita di autonomia e di consapevolezza, quale condizione per poter vivere adattativamente - e quindi poterla influenzare positivamente - nella turbolenza dei processi sociali.
    La vita - intesa come itinerario fluido, imprevedibile, continuamente in mutazione - da cui rifugge la prima concezione educativa, è assunta come terreno di lavoro dalla seconda.
    Questa schematizzazione - come sempre avviene quando si cerca di stilizzare concezioni complesse - fa forse torto ad entrambi gli itinerari educativi, ma aiuta a capirne meglio le peculiarità.
    La concezione di persona che riposa sotto l'itinerario di educazione all'incertezza individua infatti la presenza, in ogni essere umano, di una tendenza a sviluppare le proprie potenzialità, diventando più ricco e complesso; delle energie necessarie, se opportunamente attivate, a costituirsi un'identità stabile e integrata; delle capacità di usare consapevolmente e responsabilmente la propria libertà.
    Ricercare una maggior qualità della vita significa quindi, a questo punto, assecondare i processi intrinseci alla persona che tendono all'autonoma realizzazione dei propri progetti esistenziali e alla differenziazione rispetto a quelli altrui. Non c'è niente infatti di più qualitativo della possibilità di scegliere - nei limiti dati -come impostare la propria vita.

    EDUCARE IN GRUPPO ALLA QUALITÀ

    Comincia a delinearsi a questo punto in materia più nitida il nesso positivo che oggi congiunge condizioni giovanili e orientamento alla qualità della vita. Si apre perciò l'interrogativo di come sia possibile educare alla qualità che - essendo propriamente riferita alla singola esperienza soggettiva - è così sfuggente e intraducibile in un unico progetto esistenziale, sociale, culturale. Ogni individuo, come soggetto differenziato e irripetibile, tende infatti - a meno che non sussistano problemi di carattere psichico - a modalità di autorealizzazione e a scambi relazionali gradevoli. Tende cioè ad esperienze arricchenti, tollerando ed elaborando - in questa ricerca - tutto ciò che di negativo, doloroso, spiacevole, la vita porta inevitabilmente con sé.

    Educare in gruppo

    Educare alla qualità gli adolescenti vuol dire perciò facilitare questi processi di accettazione e di appropriazione di sé sviluppando le energie interne ai soggetti e facendo leva su di esse per aumentare le capacità autonome di risposta agli stimoli - piacevoli e spiacevoli - della vita. Diventare adulti significa infatti acquisire la progressiva capacità di trovare in sè le modalità e le tonalità dei propri comportamenti e atteggiamenti, integrando le diverse parti interne e le esperienze esterne.
    Molto importante è, a questo proposito, il clima educativo che si riesce a creare. Per educare alla qualità è necessario instaurare una relazione empatica tra educatore e giovane; una relazione cioè in cui quest'ultimo si senta accolto e ascoltato per quello che è e quindi possa tendere liberamente all'evoluzione e alla differenziazione.
    Il gruppo è lo strumento più adeguato - ma molto utili sono anche i colloqui inter-personali - per attuare questo cammino. Con una peculiarità: la struttura gruppale va intesa come oggetto transizionale, come passaggio «protetto» e «morbido» alla maturazione. Diversamente da altri tipi di gruppi più orientati all'azione (come i gruppi di volontariato) il gruppo orientato alla qualità nasce per finire, in quanto gestisce, un po' per volta, la fine dell'infanzia dei suoi membri. Per questo non è importante (né per l'educatore né per il giovane) che l'esperienza interazionale sia immediatamente e necessariamente gratificante; proprio perché l'elaborazione della fine, della separazione dal mondo delle certezze statiche e dell'onnipotenza infantile, rivela la fatica e la durezza della crescita, della pratica della libertà, della presa d'atto dei propri limiti e della finitezza della vita.
    Nel gruppo in questione si lavora, del resto, più sugli stati emotivi che sui contenuti cognitivi e operativi. In esso si possono passare in rassegna i grandi temi generatori (l'amicizia, l'amore, la morte, la pace...) per prendere contatto con le proprie emozioni, le proprie idee sulla vita, i propri modi di strutturare le risposte ad essa: in una parola per farne esperienza.
    In questa direzione diventa importante per gli educatori:
    - passare dal «dare le risposte» all'«aiutare a porsi le domande»;
    - uscire dalla logica dell'aut-aut per aiutare a cogliere il positivo dovunque c'è, a comporre e ad integrare gli apparenti opposti;
    passare dall'intenzione di «dare forma» ai giovani, al «rischio» di lasciare che ognuno scelga consapevolmente la propria strada.

    Gruppo della 'qualità' e gruppo del 'fare'

    Per meglio evidenziare le caratteristiche del gruppo della «qualità» possiamo tratteggiare le differenze rispetto al gruppo del «fare», al gruppo cioè orientato a realizzare interventi e ad operare socialmente e culturalmente.
    Soprattutto nel gruppo della qualità il ruolo dell'educatore è importante e difficile. Egli si trova ad operare con un materiale molto particolare e delicato: gli atteggiamenti e i vissuti emotivi dei partecipanti al gruppo. Questi, nel processo di crescita e di differenziazione, agiscono come spinte in avanti con tutte le paure, le provocazioni, gli eccessi tipici della maturazione.
    L'educatore, di fronte a queste tensioni, deve fungere:
    - da contenitore: non risponde con l'ansia, ma accoglie come legittime e importanti le comunicazioni agite dal gruppo comunque espresse, per poterle analizzare ed elaborare con i partecipanti: fa quindi spazio dentro di sé per contenere la tensione della relazione;
    - da stimolatore: se l'educatore non stimola ed orienta le spinte del gruppo, queste tendono ad esaurirsi per entropia negativa, in quanto il cammino di crescita risulterebbe troppo dispendioso per le fatiche, le tensioni e le frustrazioni che comporta.
    Il bisogno dei giovani è di avere davanti a sè una figura autorevole: una persona con un bagaglio di esperienze personali alle spalle, portatrice di una conoscenza della realtà e degli individui derivata dall'esperienza diretta; una persona che non giudica e non si scandalizza, perché tutte le strade possono essere relativamente valide ed aiutare a crescere; una persona che cerca di non essere propositiva, per lasciare che ognuno maturi le sue scelte e le sperimenti, per poi elaborarle insieme; una persona paziente, che sa ascoltare e che rispetta i tempi dei membri del gruppo, dal momento che ogni itinerario di crescita parte da zero, ogni generazione ha il suo e nessuno può «provare» o «sentire» al posto di altri; una persona quindi che, oltre a «sapere», sa «vivere e sentire».
    L'obiettivo del processo educativo orientato alla qualità è infatti di far avere ai giovani, ricercandoli insieme ad essi, strumenti di crescita e di maturazione. L'acquisizione di un metodo per la conoscenza di se stessi e per un approccio consapevole ai problemi personali e sociali è infatti più importante - nella logica della qualità della vita - dei contenuti stessi su cui si lavora.
    Soltanto chi ha sufficiente consapevolezza di sé - il tanto trascurato «come te stesso» del più importante comando evangelico - comprende l'altro: non nel senso che lo prende dentro di sé, lo ingloba e manipola, ma nel senso che ritrova parti di sé nell'esperienza dell'altro. Quindi interscambia producendo, in una logica conviviale di reciprocità, ricchezza per entrambi: ovverossia una vita qualitativamente più valida.
    La ricerca della qualità della vita comporta infatti che oggi, di fronte al gap crescente tra innovazione tecnologica (rapida e dirompente) e crescita culturale della persona (lenta e riflessiva), si operi per migliorare la capacità dei giovani di essere il più possibile al passo culturalmente ed eticamente con le trasformazioni per poterle realmente governare. Per far questo è necessario lavorare sulla parte morbida della persona, sull'ampliamento dell'interiorità, delle capacità di sentire e di produrre vita. Il rischio oggi tanto paventato della tecnica non è tanto, infatti, l'abolizione dei valori (dal momento che il concetto di efficacia/inefficacia sormonterebbe il discernimento tra bene e male), quanto la sterilizzazione e la scotomizzazione delle emozioni, ossia delle potenzialità di sviluppo - ancora in buona parte insondate - delle energie interne alla persona.

    GRUPPO DELLA "QUALITÀ"
    Orientato al gruppo
    Temporaneo
    Pochi partecipanti
    Produce consapevolezza
    Agisce sugli atteggiamenti e emozioni
    Rilevanza del metodo
    Leader: il facilitatore

    GRUPPO DEL "FARE"
    Orientato all'esterno
    Permanente
    Numero dei partecipanti indefinito
    Produce risultati pratici
    Agisce sulle conoscenze e sulle capacità
    Rilevanza dei contenuti
    Leader: il trascinatore


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