Virginia Di Cicco
(NPG 2003-04-2)
Giuseppina ha il pepe addosso. Corre e va per la corsia, di rinforzo agli infermieri, che la guardano, la lasciano fare e sorridono. Ora l’acqua alla signora del letto in fondo che non può farcela da sola, ora stropiccia il cuscino della vecchina con il letto accanto alla porta, ora nell’altra stanza dove ha amiche che la aspettano, per una parola carina e una carezza.
E poi aiuta per il pranzo, racconta vecchie storie e fa passare il tempo, sempre allegra e piena di bontà. La sua attenzione speciale è di certo rivolta agli anziani, li tratta con un tale garbo e una dolcezza, come fossero di cristallo, fragili e preziosi. Comprensiva, senza mai un momento di nervosismo, si districa con agilità tra capricci e lamentele, sempre dalla loro parte, sempre una di loro.
Giuseppina ha novant’anni e un’ernia che le dà un discreto fastidio. Così è entrata in ospedale e per molti è stata una fortuna.
Quando è tardi, e le luci nelle camere si abbassano, tutto è tranquillo e silenzioso, allora Giuseppina diventa malinconica e racconta di sé senza più troppa allegria. Una vita lunga e faticosa, la guerra e la paura, la fame e le sofferenze, senza cedere mai, ogni giorno un giorno nuovo. Allarga le braccia Giuseppina e ti accorgi che sono piene d’amore. A casa sua, da poco, una nipote ha trovato rifugio, sfortunata – dice lei – una figlia malata e lo sfratto… ci facciamo compagnia.
Giuseppina è sempre sola quando arrivano le visite. Mai nessuno per lei. Qualcuno si domanda in silenzio dove sia mai la nipote ma nessuno osa di più. La mattina dell’intervento tutto il reparto è intorno a Giuseppina e a turno si passeggia fuori la sala operatoria. Nessuno di casa però si è insinuato alla mattina presto, prima dell’intervento, per farle una carezza di coraggio e per dirle che non sarà niente. Nessuno dei suoi le ha tenuto la mano fino al richiudersi delle porte bianche per dirle io e il mio sorriso ti aspettiamo qui. Torna presto. Così durante la degenza fino al giorno tanto atteso dell’uscita. Si è custodita per bene Giuseppina. Ordinata e pulita, con la sua borsa di cose piccole ma dignitose, aspetta.
Ed aspetta a lungo. E con lei, i medici e gli infermieri e i malati che la amano e nessuno ci crede. Ma è così. A dirla brutta sembra che se la siano dimenticata. Lei parla poco e “… avranno avuto da fare, poverini, … la vita è difficile… hanno tanti problemi… mancavo io a dargli pensiero!”.
Trascorre la giornata e arriva la sera. Qualcosa certo si è mosso dietro le porte del personale medico e paramedico, un bisbiglio continuo e un viavai agitato, chi scuote la testa e chi sospira… a tratti la voce più alta di qualcuno che solo all’idea perde le staffe. Giuseppina sempre a sorridere così piena di comprensione e così brava a nascondere il dolore. La notte trascorre lentissima e in molti letti non si dorme piuttosto i pensieri si affollano e ci si interroga.
L’indomani la giornata si presenta surreale perché niente appare diverso dal giorno prima e il nervosismo aumenta nell’umore di tutti, in modo direttamente proporzionale all’affetto per Giuseppina.
Quando ogni cosa è stata tentata ma tutto si è rivelato inutile, Giuseppina viene trasportata a casa sua con un’autoambulanza. E quando lentamente si avvia fuori dall’ospedale, sconsolata e incredula, tutti a salutarla e a farle chiasso intorno perché dimentichi per un attimo il vuoto che la circonda e la attende a casa.
L’ambulanza si allontana e un silenzio immobile scende su tutti. Lentamente, molto lentamente, ognuno riprende il proprio lavoro.
Storia ordinaria di anziani abbandonati.