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    La notte e il suo simbolismo biblico


    La riscoperta di una categoria comunicativa nel contesto giovanile

    Giuseppe De Virgilio

    (NPG 2003-03-58)



    Congiunta alle sue componenti tematiche complementari di teologia biblica, quali: luce-tenebre, sera-mattina, aurora, alba, meriggio, oscurità, ora, tempo, momento, la notte nella sua poliedrica presenza offre la possibilità di situare una puntuale unità catechetica, favorendo un itinerario biblico-esperienziale di grande respiro ed insieme di feconda utilità. Attraverso i percorsi segnati dai vari contesti biblici, la lettura della categoria della “notte”, nella ricchezza della sua espressione simbolica, illumina l’evento cristiano, coinvolgendo la dimensione catechetica, sacramentale, biblica, liturgica ed etica dei credenti. L’esperienza della notte è condivisa da tutte le religioni dell’umanità ed appare nelle mitologie e cosmogonie antiche, nell’ebraismo e nel cristianesimo. Essa “... è il tempo in cui si svolse in modo privilegiato la storia della salvezza” (R. Feuillet).

    Ciascuno fa l’esperienza della notte, conosce in sé il valore ambivalente di questa realtà-simbolo. La nascita e la morte si alternano nell’esistenza dell’uomo come il giorno e la notte fanno parte della sua vita, del suo tempo, lo segnano irreversibilmente. Far comprendere che l’opera di Dio avviene misteriosamente nella notte e porta la luce della novità significa far rivivere l’esperienza cristiana come evento di salvezza e di esultanza. Il nostro percorso seguirà un itinerario “genetico”: premettendo una breve analisi etimologica e simbolica, tematizzeremo i nuclei comunicativi della categoria della notte rilevabili nell’Antico Testamento, inteso come “cammino di preparazione” e nel Nuovo Testamento, inteso come “realtà di compimento”, per tracciare alcune traiettorie conclusive valide per la riflessione giovanile.
    L’inno finale della regola della Comunità di Qumran esprime bene i sentimenti di abbandono fiducioso e di lode al Dio che viene, Signore della notte: “Allorché la luce si ritira nel soggiorno assegnatole, all’inizio delle veglie delle tenebre, quando egli apre il suo tesoro e lo pone sulla terra, quando risplendono i luminari uscendo, dell’eccelsa dimora di santità... voglio cantare con sapienza... All’inizio dell’uscita e dell’entrata, quando mi siedo e quando mi alzo e quando giaccio sul mio letto, voglio gioire per lui e benedirlo” (L. Moraldi, I manoscritti di Qumran, Torino 1971, 165-167).

    Etimologia e proiezioni simboliche della notte

    – Il termine greco che designa la notte “nyx”, da cui il latino nox-ctis, la cui radice è all’origine delle designazioni di “notte” nelle lingue moderne (inglese: night; tedesco: Nacht; francese: nuit; spagnolo: noche) indica primariamente la notte in quanto tempo senza la luce del sole. Il concetto si estende ad altri termini similari in senso proprio: oscurità, tenebre, buio (Sal 104,20) ed in senso traslato: cecità, morte, abbandono, male (Gv 9,2). L’ambivalenza del suo significato è osservabile fin dall’inizio: infatti presso i greci essa è considerata realtà di terrore ed insicurezza e realtà amica, che dà il sonno ristoratore e il riposo necessario per l’intero cosmo. Essa forma un binomio con il “giorno” (hemera), contrapponendosi simbolicamente ad esso.
    – Nella cultura greca nyx corrisponde mitologicamente ad una figura deificata, generalmente un antropomorfismo legato a riti magici e notturni, che si avvale del potere delle tenebre e degli astri e facilmente si rivela nel sogno o nelle visioni. Nondimeno la notte rappresenta un tempo possibile (privilegiato) di rivelazione, in cui la divinità, con il favore del silenzio e delle tenebre (si ricordi che la notte è un elemento cosmogonico primordiale) opera un progetto, autorivelandosi all’uomo e alla sua coscienza. Esiste pertanto una valenza “vocazionale” legata alla nostra categoria in modo indissolubile: la divinità chiama ad essere, ad interpretare un volere, a discernere i segni di un itinerario misterioso, non possibile all’uomo e alla sua fatica giornaliera. La notte è un segno che richiede una interpretazione per la vita, impone la decodificazione di un simbolismo concreto, aperto ad una relazione vitale con la divinità. In sintesi la notte rappresenta una spazio di libertà, un disciogliersi dei sensi e della coscienza, in cui è possibile il bene e il male, la nascita e la morte, la misteriosa, inimmaginabile dimensione dell’inconscio, la creazione e la distruzione, la guarigione e la malattia, il godimento e il dolore, il presente, il passato e il futuro.

    La notte della preparazione: un percorso nell’Antico Testamento

    La notte, bellissima creatura di Dio, fu voluta fin dall’inizio. Essa fu posta per distinguere e comprendere: non si capirebbe il giorno senza la notte (Gn 1,3-5). Per l’israelita la notte (in ebraico leila) è un evento pieno di ricordi, di promesse, di speranze.
    Almeno tre componenti formano la nemesi anticotestamentaria della notte: il creato (bara’), il passaggio (pesah), la preghiera (‘tr).

    Il creato (bara’)

    La notte è una realtà indispensabile, unita alla creazione dei mondi. Tutto il creato, azione libera di Dio, è immerso nella notte finché l’Altissimo non lo chiamerà alla luce. Al calar del sole, la notte ricorda l’opera della creazione, il potente spirito di Dio che, nel sonno della vita forma il cosmo. Le immagini sapienziali sono espressioni della creazione e della sua misteriosa potenza, ma anche della negatività degli uomini, del male che essi hanno compiuto, sovvertendo l’ordine del creato: nel sopraggiungere della notte compaiono gli animali nocivi (Sal 104,20), la peste (Sal 91,6), gli uomini iniqui che operano adulteri, furti ed assassini (Gb 24,13-17), il diluvio come distruzione per quaranta giorni e quaranta notti (Gn 7,4), le cavallette nel paese d’Egitto (Es 10,13), la morte dei suoi primogeniti (Es 12,30), nel deserto, il pianto notturno del popolo contro Dio (Nm 14,1ss.), la disdetta notturna del giusto che soffre ingiustamente (Gb 3,1-10), la sua ipotetica fine (Gb 17,13s.). Il creato esprime tutto il suo desiderio di liberazione e di completezza. Tuttavia nella notte, mentre il genere umano languisce a causa del male commesso, per cui la notte rammenta la morte, il vuoto abissale del cosmo con le sue paure, Dio parla e promette una nuova creazione: a Noè (Gn 8,22), ad Abramo (Gn 15,17s.), ad Isacco (Gn 26,24s.), a Giacobbe (Gn 46,2s.), ai personaggi chiamati a guidare il popolo nel suo cammino di libertà (2 Cro 7,12).

    Il passaggio (pesah)

    Centrale risulta quindi la notte della liberazione del popolo dalla schiavitù dell’Egitto, la notte del passaggio. Dio compie il suo piano di liberazione nel cuore della notte (Es 11,4;12,12.29). “Notte memorabile ricordata ogni anno come notte di veglia, in ricordo del fatto che Jahvé stesso aveva vegliato sul suo popolo (Es 12,42). Notte che si prolungò mentre la colonna di nube illuminava la strada dei fuggitivi” (R. Feuillet). La celebrazione di questo evento è alla base dell’esperienza spirituale del popolo: Jahvé paradossalmente si rivela il liberatore e il capo degli Ebrei nella notte e nella nube, facendo la distinzione tra oppressori ed oppressi, tra luce e tenebre, tra schiavitù e libertà. Vale la pena di offrire ai lettori una puntualizzazione che tocca gli elementi salienti della narrazione dell’esodo evidenziando tre unità tematiche individuabili in Es 7-14: Es 7-11, Es 12-13, Es 14-15.

    * Es 7-11
    – nel dialogo tra il Faraone e Mosè si avverte l’ostinazione e l’indurimento del cuore provocato dal confronto tra due autorità, Jahvé e il Faraone. Jahvé è il signore del creato, il Faraone dell’Egitto. Il Faraone è relativo davanti alla potenza cosmica di Jahvé, impossibilitato a proteggere i suoi sudditi e neppure se stesso (Es 7,28; 8,4.20).
    – La strategia di Jahvé sposta l’attenzione sul “cuore” del sovrano, che diventa il campo di battaglia. Schiavitù o libertà? Dio spinge il Faraone a decidersi, a leggere i segni forniti attraverso le parole e le piaghe (Es 7,8-12,34).
    – In Es 12 si ha la svolta: rottura del dialogo tra Mosè e il Faraone (si entra nel mondo della morte, nella notte); morte dei primogeniti (12,29), grido dell’Egitto (12,30), convocazione di Mosè (12,31), deliberazione finale (12,32). “Notte di veglia fu questa per il Signore per farli uscire dal paese d’Egitto. Questa sarà una notte di veglia in onore del Signore per tutti gli israeliti di generazione in generazione” (Es 12,42).

    * Es 12-13
    – L’importanza del momento dell’uscita è sottolineato in una veste liturgica attraverso un rito celebrativo che sarà osservato “di generazione in generazione” (Es 12,43-51). Per la prima volta il popolo libero può servire, fare una festa in onore di Jahvé, compiere un sacrificio (Es 12,25s.; 13,5). È notte di Pasqua. L’unzione con il sangue dell’agnello per la salvezza diventa la figura del sigillo (sphragis) sacramentale (valenza battesimale). L’interpretazione patristica interpreterà nell’unzione dell’architrave e degli stipiti delle porte il segno della croce come prefigurazione della pasqua di Gesù (Giustino, Ippolito, Cirillo, Gregorio di Nazianzo).
    – La valenza della memoria “per sempre” è legata al futuro del popolo: vale soprattutto “quando sarai nel paese che il Signore ha giurato di dare ai tuoi padri” (Es 13,5.11). Questo avvenimento supera i limiti del tempo e diventa un segno profetico per tutto il popolo (il senso è dato dalla domanda del figlio nel rito pasquale: Es 12,26s.). La celebrazione della Pasqua rappresenta il rito di appartenenza al popolo eletto di Jahvé, alla sua famiglia. Il passaggio (pesah) definisce il rapporto nuovo con il Signore e con la sua creazione: dalla notte di schiavitù e paura si passa ad una notte di festa e di celebrazione (notte come elemento tipico: Sal 139,11s.; ambivalenza della nube: oscura e luminosa, oscurità di morte per gli egiziani, luminosità di gloria per gli israeliti).

    * Es 14-15
    – Nel passaggio del mare (Es 13,17-14,31) il motivo della notte unisce temporalmente i momenti salienti del passaggio: marcia fino alla sera, accampamento di notte (Es 14,1-25); apertura del mare all’alba, chiusura del mare al mattino (Es 14,26-31). Il simbolismo temporale indica che dalle acque del mar dei giunchi viene alla luce Israele: il bastone di Mosè (simbolismo del legno) percuote il mare e lo divide (potere cosmico), la presenza del vento (ruah qadim) richiama la creazione (Gn 1,9-10; 7,11ss.; 8,1.14), ma soprattutto il senso della marcia durante la notte fra le due muraglie di acqua: da ovest (sera) verso est (mattino) come il sole durante la notte va da ovest (tramonto, morte) verso est (alba, nascita), dal passato di servitù al futuro di libertà. Jahvé fa rinascere un nuovo popolo.
    – Le muraglie di acqua nella notte rappresentano il simbolo della porta e del giudizio (Is 58,8; Sal 112,4). La notte di pasqua è la porta della vita e della giustizia finale. Israele loda Jahvé, cantando la sua meravigliosa vittoria. “Il sabato del canto, in cui si legge il canto del mar Rosso, il Rabbi di Sadagora diceva: non è scritto che essi abbiano cantato il canto subito dopo aver passato il Mar Rosso, ma prima arrivarono al gradino della perfetta fiducia, come sta scritto: Ed essi confidarono nel Signore e in Mosè, suo servo. Soltanto allora è detto: Allora Mosè e i figli di Israele cantarono. Solo chi crede può innalzare il canto” (M. Buber, I racconti degli Hasidim, Milano 1962, 503).

    La preghiera (‘tr)

    Spazio di abbandono del proprio cuore ai sentimenti più reconditi, la notte diventa il momento della preghiera e dell’invocazione. Il salmista si leva “a mezzanotte” per rendere grazie a Dio dei suoi giusti giudizi (Sal 119,62); come una sentinella viene confermata la fedeltà a Jahvé e il desiderio di celebrarla durante le notti (Sal 42,2; Is 26,9), poiché l’anima anela a Dio (Sal 130,6) e arde dal desiderio di incontrarlo e contemplarlo (Is 21,11-12; Sal 134). Il giusto si leva nella notte per adorare il “Dio del silenzio”, sapendo di essere ascoltato: Abramo, nel sopraggiungere delle tenebre ebbe conferma dell’alleanza con Jahvé (Gn 15,17-20), la preghiera di Isacco trovò ascolto presso il Signore, che durante la notte lo benedisse (Gn 26,24s.); per tutta una notte Giacobbe lottò (valenza reale e simbolica) con Dio (Gn 32,23-33), simbolo del combattimento spirituale e dell’efficacia della preghiera insistente (Girolamo, Origene); per quaranta giorni e quaranta notti Mosè contemplò orante la gloria di Jahvé, nella nube della Montagna (Es 24,17s.); Elia nascosto nell’antro per la notte, ricevette la missione da Jahvé (1Re 19,9-18); il Signore provvide ad esaudire Anna nella sua preghiera (1Sam 1,9-18) e chiamò Samuele profeta in una notte (1Sam 3,1-18); in una notte Jahvé pronunciò in visione la profezia davidica (2Sam 7,4-16) e lo stesso Davide pregò per il suo peccato e per la salvezza del figlio durante le notti di digiuno (2Sam 12,16), così i profeti e i santi uomini di Israele. La preghiera in tale contesto assume diverse connotazioni:
    – la lode di Jahvé, creatore del giorno e della notte (Gn 1,5; Sal 19,3; 74,16; 19,3)
    – la protezione della propria vita e la totale dipendenza da Dio, che scruta e conosce il mistero oscuro del cuore dell’uomo (Sal 139,11-18);
    – la memoria dell’intervento di Jahvé nella storia del popolo (Sal 42,4-9; 77,1-7);
    – l’invocazione nel momento della prova (la notte, come il deserto sono luoghi teologici della prova, della tentazione e della presenza demoniaca) e la domanda esistenziale nell’angoscia della morte (Sal 77,3; Is 8,21-23; il libro di Giobbe; il profeta Giona);
    – la supplica come l’espressione del dolore e della sofferenza umana presentata a Dio (Sal 88: è il testo biblico più ricco sulla preghiera, circa la tematica della notte, la sua simbologia e il suo lirismo);
    – la speranza e l’attesa del “giorno del Signore” (Am 5,18; Gioe 2,2; Is 60,1s.);
    – la decantazione del rapporto di amore Dio-popolo nella simbologia sponsale del Cantico dei Cantici (la notte come luogo della ricerca e del godimento degli amanti).
    La letteratura dell’Antico Testamento presenta la realtà umana nella notte come preparazione alla novità ventura. Essa è aperta alla luce che sorgerà, consapevole che Dio è luce che vince ogni notte: “Le tenebre non sono tenebre davanti a Te e la notte è chiara come il giorno”.

    La notte del compimento: un percorso nel Nuovo Testamento

    La notte pasquale del Figlio di Dio segna il passaggio tra l’attesa e il compimento della salvezza. Il Rinnovamento della Catechesi esprime bene come l’evento pasquale rappresenti il culmine dell’annuncio ecclesiale: “L’annuncio più completo e possente, che contiene ogni altra verità su Gesù Cristo, è quello sempre proclamato dagli Apostoli: questo Gesù Dio lo ha veramente risuscitato, e noi tutti ne siamo testimoni (At 2,32). È la Pasqua di Cristo: essa riprende e compie la pasqua del vecchio testamento; costituisce il centro dell’economia della salvezza del nuovo testamento, fondamento della Chiesa, primizia delle nuove terre e dei nuovi cieli” (RC, 67). A partire dalla notte pasquale si comprende il significato della notte nella vita di Gesù e della Chiesa, compimento del progetto salvifico del Padre.

    La notte nella vita di Gesù

    L’ambivalenza della notte appare anche nelle vita terrena di Gesù: da una parte essa rappresenta come lo spazio di incontro con il Padre (adorazione-affidamento-preghiera-elezione), dall’altra essa simboleggia l’insidia del regno delle tenebre (solitudine-povertà-prova-tentazione); gioia e sofferenza, esaltazione e pianto, certezza e dubbio, speranza e angoscia coesistono nelle notti di Gesù.
    Dall’inizio al termine della sua esistenza terrena il Figlio di Dio è entrato nella notte: i pastori ne ricevono l’annuncio gioioso (Lc 2,8-20), e i magi, giunti da lontano, nella notte lo contemplano “splendente” (Mt 2,9-12); di quel bambino il vecchio Simeone dirà essere “luce delle genti” (Lc 2,29-32), mentre Giuseppe, uomo giusto viene chiamato nella notte a decidere e in seguito a proteggere la sua famiglia (Mt 1,20; 2,13-14;19-20).
    La vita pubblica è preceduta dalla prova del deserto, quaranta giorni e quaranta notti (Mt 4,2) ed è segnata dalla preghiera continua al Padre, nella solitudine e nella notte: per la missione alle genti (Mc 1,35-39; Lc 21,37), per i suoi discepoli eletti (Lc 6,12; Mt,14-23; Mc 3,13-19), nell’angosciosa notte del Getsemani (Mt 26,36-44), sulla croce, per i suoi carnefici (Lc 23,34), fino alla fine, quando “si fece buio su tutta la terra” (Mt 27,39-50 e parr.) e nell’oscurità del cosmo si levò il grido di morte al cielo (Lc 23,46), la consegna orante del Figlio nelle mani del Padre. Nondimeno Gesù parla e agisce nella notte: come maestro (Gv 3,1-21), come medico (Mt 8,16-17p), come guida sicura (Mc 4,35-41 e parr.; Mt 14,25), come profeta (Mt 26,31), come amico tradito (Mt 26,34; Gv 13,30), come uomo giudicato ingiustamente (Gv 18,1-24 e parr.). Inoltre diverse parabole e detti di Gesù sono ambientati nella notte: per rivelare la potenza della preghiera di intercessione (Lc 11,5-8), per annunciare il regno dei cieli (Mt 13,24-30), per chiarire la distinzione tra i “figli della luce” e i figli delle tenebre (Gv 11,8-10; 12,35-36; 8,12), per esortare alla veglia nell’imminenza del momento escatologico (Lc 12,35-40; Mt 25,1-13) e alludere alla solitudine mortale di chi si escluderà dalle promesse di Dio (Mt 22,11-14; Lc 12,16-21).

    Simile al silenzio notturno è quello della morte e sepoltura di Cristo. È la notte della “discesa agli inferi”, nelle viscere della terra per portare la luce a coloro che camminavano nelle tenebre e attendevano nella speranza, imprigionati “nel ventre del pesce” (Gio 2,1). Ma “sul far della notte” (Mt 28,1) si compie il mistero della vita, il trionfo della luce sulle tenebre: la Pasqua del Signore, annunciata dagli angeli come la liberazione definitiva. “Poiché questa notte luminosa in cui lo splendore delle fiaccole si confonde coi raggi del sol levante, diventa un giorno continuo, non più frammezzato dalle tenebre, comprendiamo fratelli come si avveri in essa la profezia che dice: È questo il giorno fatto dal Signore” (Gregorio di Nissa). Con la risurrezione di Cristo la notte diventa luminosa e feconda (Gv 21,3-14), il sepolcro resta vuoto per sempre, i guardiani tramortiti, i discepoli stupiti condividono il pane e la gioia (Lc 24,13-35).

    La tradizione ecclesiale conserva uno degli inni più belli sulla notte, nel preconio pasquale: “... Questa è la notte in cui hai liberato i figli di Israele nostri padri, dalla schiavitù dell’Egitto e li hai fatti passare illesi attraverso il Mar Rosso. Questa è la notte in cui hai vinto le tenebre del peccato con lo splendore della colonna di fuoco. Questa è la notte che salva su tutta la terra i credenti nel Cristo dall’oscurità del peccato e dalla corruzione del mondo, li consacra nell’amore del Padre e li unisce nella comunione dei santi. Questa è la notte in cui Cristo, spezzando i vincoli della morte risorge vincitore dal sepolcro. (...) O notte beata, tu sola hai meritato di conoscere il tempo e l’ora in cui Cristo è risorto dagli inferi. Di questa notte è stato scritto: la notte splenderà come il giorno e sarà fonte di luce per la mia delizia. Il santo mistero di questa notte sconfigge il male, lava le colpe, restituisce l’innocenza ai peccatori, la gioia agli afflitti. Dissipa l’odio, piega la durezza dei potenti, promuove la concordia e la pace. O notte veramente gloriosa, che ricongiunge la terra al cielo e l’uomo al suo creatore...”.
    Gli elementi salienti della notte pasquale sono in continuità con la pasqua ebraica e in novità:
    – dimensione storico-temporale della salvezza: il passaggio del popolo costituisce la festa da cui traggono origine le celebrazioni della liturgia israelitica. Si tratta della Primavera, la nuova stagione che diventa la prima delle stagioni. Dalla notte di pasqua ha inizio la nuova storia del popolo;
    – dimensione memoriale dell’azione salvifica: il mistero della liberazione è trans-storico; esso tende al compimento; in questo senso la notte non è un elemento mitico, bensì l’alveo cultuale dell’evento;
    – dimensione vicaria del sacrificio di Cristo, il quale si pone a completamento della prima pasqua, una volta per tutte, universalmente, come ministro ed olocausto, agnello immolato nella e per la comunità.

    La notte nella vita della Chiesa

    Gli effetti della pasqua di Cristo si manifestano nella prima comunità. I cristiani non dimenticheranno mai la notte della risurrezione che accompagna il cammino della Chiesa e il suo sviluppo. Infatti l’annuncio del Vangelo, irto di sofferenze e di difficoltà è stato preceduto dalle apparizioni del Signore risorto, dalla sua ascensione e dal dono dello Spirito di amore alla prima comunità (Lc 24,36-53; At 2,1-4). “Non vi sarà più notte, e non avranno più bisogno di luce di lampada, né di luce di sole perché il Signore Dio li illuminerà e regneranno nei secoli dei secoli” (Ap 22,5), è questa la consapevolezza cristiana: appartenere all’uomo nuovo che ha inaugurato un tempo nuovo. Così la notte nella vita della Chiesa diventa sempre luogo di liberazione e di missione: dal buio della prigione prodigiosamente un messaggero di Dio nella notte libera gli apostoli (At 5,19; 6,25s), Pietro (At 12,5-7), Sila e Paolo (At 16, 25s).
    Particolare familiarità con la notte ha avuto Paolo di Tarso: da principio accecato sulla strada di Damasco cade nella “‘notte del fallimento” per rialzarsi alla luce del vangelo (At 9,3-9), per esso condurrà una missione faticosa quanto feconda ed universale: fughe, nascondigli, naufragi, pericoli, sofferenze, incomprensioni (2Cor 11,21-28): da Damasco e da Tessalonica fuggì nella notte (At 9,24s; 17,10), sotto scorta per evitare complotti contro la sua persona fu condotto di città in città (At 23,23ss.), durante la predicazione in Macedonia (recatosi là per una visione notturna, At 16,9) venne incoraggiato a proseguire la sua itineranza (At 18,9s); a Gerusalemme, nel carcere romano durante la veglia venne consolato dal Signore che gli predisse il viaggio a Roma (At 23,10s). Notte e giorno, con la preghiera e l’esortazione l’Apostolo non ha cessato di evangelizzare (At 20,31), di servire Dio (At 26,6s), di incoraggiare alla vita e alla salvezza (At 27,13ss.).
    Chi vive nella nuova realtà dà senso pasquale a tutto ciò che lo circonda come “figlio del giorno” (1Tes 5,5; Ef 5,8) poiché, in virtù del passaggio attraverso il buio del mondo e la sua cultura di morte egli è stato “liberato dal potere delle tenebre”, dai “pensieri ottenebrati” (Ef 4,18) e dalle “opere di morte” (1Gv 2,8s; Rom 13,12ss). Il cristiano, rinato alla luce deve “splendere come astro nel mondo” (Fil 2,15) e non sarà sorpreso nell’imminenza dell’incontro con il Signore, che sopraggiungerà come ladro di notte (1Tes 5,2.4), poiché procede nella speranza della liberazione finale e dell’attesa del giorno che è vicinissimo al suo sorgere (Rom 13,12). La chiesa contempla nel corso della notte il Cristo-sposo e veglia il suo ritorno (Lc 17,34s; Mt 25,6), unendosi alla lode cosmica dei vegliardi celesti, giorno e notte (Ap 4,8s) e dei santi (Ap 7,15), operosa nella carità (1Tes 2,9; 2Tes 3,8) in attesa di abitare nella Gerusalemme celeste dalla luce intramontabile dell’Agnello (Ap 21,25; 22,5).

    La notte come categoria comunicativa nel contesto giovanile

    A nessuno sfugge come la dimensione della temporalità nel contesto giovanile includa la presenza consistente di una cosiddetta “cultura della notte”, che si esprime in forme e modi diversificati (cf le analisi sociologiche sull’argomento). Il nostro percorso biblico ci aiuta a cogliere la ricchezza simbolica della categoria della notte in rapporto alla domanda progettuale che attraversa il mondo giovanile e la sua esperienza notturna, segnata dalla ricerca di identità e dal bisogno di compagnia. Vorremmo indicare alcune traiettorie che intersecano l’ambito biblico e pastorale:
    - la traiettoria della temporalità, intesa come dono della creazione dell’onnipotente, in cui la notte rappresenta il necessario “dialogo” con il “giorno” e segna il passaggio del tempo. Il contesto giovanile vive notoriamente il suo rapporto con la temporalità in modo problematico e la notte, riprendendo la metafora biblica, diventa simbolo del caos cosmico, in quanto viene disgiunta dalla dialettica della temporalità della creazione (“diventare padrone della notte”!). La riscoperta del “ruolo della notte” nell’orizzonte dell’atto creativo di Dio conferisce un nuovo valore al passaggio notturno ed implica una interpretazione corretta della temporalità umana in rapporto con il mistero di Dio;
    - la traiettoria dell’identità, intesa come ricerca della propria verità esistenziale e progettuale, così come ci viene narrato nei testi biblici. L’evento dell’esodo, di cui abbiamo ripercorso i punti salienti, evidenzia la graduale presa di coscienza del popolo di fronte alla sua storia di sofferenza. La notte diventa nello stesso tempo esperienza di cecità e condizione di liberazione. Nel mondo giovanile il simbolismo della notte evoca spesso l’assenza di chiarezza della propria verità esistenziale ed insieme la paura di “rientrare in se stessi”. La categoria biblica invece ci rivela come la notte diventa luogo privilegiato di un cammino di ricerca e di scoperta di sé, della capacità di liberazione e di apertura verso gli altri e verso l’Altro;
    - la traiettoria della spiritualità, in quanto la nostra categoria richiama un tema classico della mistica cristiana, la “notte oscura dello spirito” come prova di fedeltà e di amore concessa da Dio. L’insistenza sulla centralità della dimensione spirituale è confermata dalla tradizione sapienziale (soprattutto nei salmi) e dal simbolismo evangelico e neotestamentario.
    Notte come malattia, incomprensione, tentazione, tradimento, fuga, solitudine, giudizio, morte: si tratta di aspetti fondamentali che emergono insistentemente nell’orizzonte psicologico e spirituale dei giovani e chiedono un’adeguata elaborazione di modelli spirituali che sappiano comunicare il valore cristiano della notte nella prospettiva di un cammino pasquale. È necessario offrire la possibilità di rifare il percorso della fede liberante, facendo comprendere la necessità pedagogica della notte spirituale per sentire il bisogno di Dio e della sua paternità;
    - la traiettoria della catechesi centrata sulla narrazione pasquale, di cui la notte rappresenta un necessario elemento di contrasto (la notte del Getsemani e del giudizio, la notte della croce-morte, la tomba, la notte del sabato santo) in rapporto alla sfolgorante luce della risurrezione. In questo contesto si auspica un adeguato uso della simbolica liturgica, che possa aiutare a riscoprire l’importanza del vegliare della comunità “durante la notte” e del pregare “nella notte”;
    - la traiettoria dell’impegno etico. Numerosi indizi biblici hanno evidenziato come una delle accezioni traslate della notte è data dal concetto di male inteso in senso morale. Pensare e riflettere sulla notte in questa prospettiva, significa aiutare soprattutto il mondo giovanile a maturare un discernimento di tipo etico-morale.
    La condizione notturna implica un necessario appello di responsabilità, in quanto evidenzia la dimensione umana della finitudine, del dubbio e del peccato. Per il credente illuminato dalla risurrezione di Cristo si impone la decisione di optare per il bene ed insieme la necessità di rifondare una “cultura di coscienza” che nasca da una luminosa testimonianza dell’amore cristiano. La notte implica un processo di conversione al novum soprannaturale ed implica l’esercizio della virtù della speranza.

    Conclusione

    Sussiste una connessione molto stretta tra la categoria della notte e la virtù teologale della speranza. La speranza è una “virtù notturna”, esercizio di attesa che coinvolge Dio e l’uomo attraverso una profonda ricerca di amore. L’intero cammino umano è avvolto nella dialettica tra luce e notte ed insieme segnato dalla speranza. In definitiva l’evangelizzatore deve essere protagonista entusiasta di speranza perché sperimenta il silenzio della notte e la pazienza dell’attesa, giammai deluso dalla Parola che annuncia.
    Questo radicale atteggiamento ci colloca in una zona così rarefatta, così vertiginosamente in alto da farci vivere di speranza, con stupore e meraviglia. È sorella speranza – come scrisse C. Peguy – la più piccola di tutte le virtù, che ci fa andare in questa notte santa (cf C. Peguy, Il portico del mistero della seconda virtù, Milano 1987, 130-131). Notte e speranza quasi si confondono, si identificano e diventano compagne della nostra fatica di vivere e di amare.


    T e r z a
    p a g i n A


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