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    Entrare nei media


    Giuseppe Morante

    (NPG 2004-07-03)


    Premessa

    Se i mass-media in generale costituiscono una sfida nella cultura di oggi, [1] essa è ancora più evidente per quel particolare intervento educativo che riguarda la visione religiosa della vita dentro questa cultura, per il semplice motivo che in essa l’esperienza religiosa è vista come marginale nella visione secolarizzata dell’oggi.
    Questo dossier è composto di due parti. Questa prima riflette sul fatto della comunicazione sociale ed i suoi strumenti e linguaggi in dimensione pedagogica, cercando di indicare i principi metodologici che possono aiutare a comprenderne le sfide ed individuarne interpretazioni e risposte. La seconda parte offrirà una serie di indicazioni specifiche, relative ai principali media, soprattutto quelli più a portata di mano dai ragazzi e dai giovani.
    Lo sviluppo delle due parti del dossier comprende la descrizione dei processi dell’uso e della conoscenza, in dimensione educativo-religiosa, dei mass-media, tanto dei tradizionali (Radio, TV, Cinema, Giornali e Libri), o dei group-media (diapositive, cassette, montaggi, dischi, ecc), che dei nuovi media (new-media), i quali dei primi ne costituiscono in qualche modo l’ampliamento, e possono diventare materiali di lavoro anche per processi educativo-religiosi, soprattutto nell’età evolutiva ed in relazione alla “crescita integrale”.
    Il forte mutamento dinamico della cultura contemporanea esige il confronto tra le vecchie istituzioni e le nuove agenzie formative, che s’impongono in modo deciso per alcune caratteristiche: immagini, frammentazione culturale, molteplicità dei contenuti proposti, ritmo intenso, pervasività e ridondanza.
    Si può affermare, in generale, che tali modalità stanno contribuendo alla creazione di nuove ritualità sociali, che si affermano privilegiando più la presenza che la riflessione sui messaggi e loro contenuti. I new-media, poi, richiedono un cambio di strategia di fruizione, in quanto obbligano l’utente ad attivarsi in prima persona, se vuole accedere ai suoi messaggi. Così, la comunicazione diventa la risultante dell’interazione che più o meno avviene tra uomo e strumento.
    Su questa tematica alcuni autori parlano di un “valore aggiunto” alla comunicazione classica vista come un semplice scambio di informazione tra emittente e ricevente. Con i new-media invece le possibilità umane risultano senz’altro aumentate e si può così ben comprendere il loro significato in meta-medium, come luogo di sintesi umana.

    Secondo l’insegnamento della Chiesa, [2] la storia della comunicazione umana non incomincia coi mass-media che caratterizzano la cultura attuale. Essa piuttosto somiglia a un lungo viaggio che conduce l’umanità dall’orgoglioso progetto di Babele, con la sua carica di confusione e di mutua incomprensione (Gn 11,1-9), fino alla Pentecoste e al dono delle lingue. La vera restaurazione della comunicazione si incentra su Gesù Cristo per l’azione dello Spirito. I mezzi della comunicazione sociale, oggi tanto preponderanti, vanno collocati dentro questa storia in cui possono svolgere un ruolo significativo.
    La Chiesa in ogni epoca prosegue l’opera cominciata il giorno della Pentecoste, quando gli Apostoli, con la forza dello Spirito Santo, andarono per le strade di Gerusalemme a predicare il Vangelo di Gesù in molte lingue (At 2, 5-11). Nei secoli successivi, la missione evangelizzatrice si è diffusa in tutto il mondo, in quanto il cristianesimo si è radicato in molti luoghi e ha imparato a parlare le diverse lingue del mondo, sempre in obbedienza al mandato di Cristo di annunciare il Vangelo a tutte le nazioni (cf Mt 28, 1920).
    Tuttavia, la storia dell’evangelizzazione non è solo una questione di espansione geografica, poiché la Chiesa ha dovuto varcare anche numerose soglie culturali, ognuna delle quali ha richiesto energia e immaginazione nuova nell’annuncio dell’unica “buona notizia”.
    L’epoca delle grandi scoperte, l’avvento della stampa, la rivoluzione industriale, la nascita del mondo moderno, la cultura “maliziosa” del post-moderno: tutti questi “momenti” sono stati e sono momenti di transizione che hanno richiesto e richiedono nuove forme di evangelizzazione. Ora, con la rivoluzione delle comunicazioni e dell’informazione in atto, la Chiesa si trova di fronte a un’altra soglia più decisiva, culturalmente caratterizzata da una comunicazione di massa, sempre più pervasiva. Su di essa è necessario fermarsi per riflettere sulle relazioni che può avere con la sua missione salvifica.

    LE INDICAZIONI “ILLUMINANTI” DEL MAGISTERO

    Riconoscere che oggi esistono nuove tecnologie comunicative per gli educatori cristiani è un invito a misurarsi con un contesto nel quale ci si può accontentare di elencare muovi strumenti o semplicemente nuovi canali con cui le persone comunicano.
    Si percepisce con chiarezza che con le nuove tecniche comunicative gli stessi utenti sono in grado di cambiare la fisionomia e le dimensioni della comunicazione. Ci troviamo di fronte ad una nuova cultura che “nasce, prima ancora che dai contenuti, dal fatto stesso che esistono nuovi modi di comunicare, con nuovi linguaggi, nuove tecniche, nuovi atteggiamenti psicologici” (RM 37).
    All’interno di questo mondo, quindi, la comunità ecclesiale deve essere presente e partecipe. Da sempre la Chiesa riserva al mondo dei media un’attenzione particolare e continua a ribadire che la comunicazione è essenziale per la Chiesa.
    Se Internet, che costituisce una punta del nuovo contesto comunicativo, è la provocazione chiara di un nuovo clima culturale che richiede una società molto più agile, in grado di sopportare i cambiamenti strutturali che le saranno richiesti e imposti, la comunità ecclesiale con tutti i suoi educatori è chiamata a misurarsi con discernimento e con progettualità in questo ambiente per rimanere fedele alla sua missione che è quella di “comunicare il vangelo in un mondo che cambia”.
    Sul tema della comunicazione sociale, a partire dal Concilio Vaticano II (cf Inter mirifica), esiste una vasta letteratura [3]  che dimostra come la Chiesa sia entrata in pieno nella cultura dei media; ma è facile rendersi conto che ad essa non corrisponde di pari passo la sensibilità della chiesa locale e degli agenti periferici addetti alla catechesi.
    Dice RM (37): “Il primo areopago del tempo moderno è il mondo della comunicazione che sta unificando l’umanità... I mezzi di comunicazione sociale hanno raggiunto una tale importanza da essere per molti il principale strumento informativo e formativo, di guida e di ispirazione per i comportamenti individuali, familiari, sociali”. Per questo, “l’utilizzazione dei media è diventata essenziale all’evangelizzazione e alla catechesi” (EN 11). Infatti, “la Chiesa si sentirebbe colpevole davanti al suo Signore se non adoperasse questi potenti mezzi, che l’intelligenza umana rende ogni giorno più perfezionati; (...) in loro essa trova una versione moderna ed efficace del pulpito. Grazie ad essi riesce a parlare alle moltitudini” (EN 45). “Vi possono rientrare, sia pure a titolo differente: televisione, radio, stampa, dischi, nastri registrati, video e audio-cassette, compact-disc, tutto il settore degli audiovisivi” (CT 46). Ciascun mezzo svolge un proprio servizio e ognuno richiede un uso specifico; “di ognuno occorre rispettare le esigenze e valutare l’importanza” (DCG [1971] 122).
    In un’educazione religiosa ben programmata tali media non possono, dunque, essere assenti. Il buon uso di essi richiede a tutti gli educatori un serio impegno di conoscenza, di competenza e di qualificato e aggiornato impiego.
    Soprattutto non va mai dimenticato, per la forte incidenza sulla cultura che contribuiscono ad elaborare, che “non basta usarli per diffondere il messaggio cristiano e il magistero della Chiesa, ma occorre integrare il messaggio stesso in questa nuova cultura creata dalla comunicazione moderna, con nuovi linguaggi, nuove tecniche e nuovi atteggiamenti psicologici” (RM 37). Soltanto così il messaggio evangelico ha la capacità di penetrare nella coscienza di ciascuno e “di ottenere a proprio favore un’adesione e un impegno del tutto personale” (EN 45).
    Si ricorda a tutti che “nell’impiego e nella recezione degli strumenti di comunicazione urge, sia un’opera educativa al senso critico, animata da passione per la verità, sia un’opera di difesa della libertà, del rispetto alla dignità personale, dell’elevazione dell’autentica cultura dei popoli” (ChL 44).
    Perciò, i principi di ispirazione evangelica nella cultura attuale, “intrinsecamente legati al linguaggio, sono i modi della comunicazione. Uno dei più efficaci e pervasivi è quello dei mass-media” (DGC 290). “L’evangelizzazione stessa della cultura moderna dipende in gran parte dal loro influsso” (RM 37). Per cui, sembra urgente, nella formazione dei pastori e dei catechisti, penetrare in profondità nella cultura di questa realtà, ed orientarla dall’interno per:
    – favorire una più ampia valorizzazione dei nuovi mezzi di comunicazione, secondo la loro specifica qualità comunicativa, sapendo bene equilibrare il linguaggio dell’immagine con quello della parola, per arrivare ad una sintesi organica ispiratrice di comportamenti “umani significativi” permeati dal messaggio religioso;
    – salvaguardare il senso religioso genuino che traspare dal messaggio delle forme prescelte, senza cadere nella superficialità o parzialità dell’interpretazione e senza diventare preda di facili strumentalizzazioni;
    – promuovere quella maturità critica, necessaria in chi riceve, che possa portare a stimolare un personale approfondimento di quanto recepito, sapendo distinguere tra mezzo e messaggio;
    – impegnarsi anche ad usare e/o a produrre sussidi religiosi mass-mediali, che siano congrui alle finalità ed ai contenuti del messaggio cristiano, naturalmente dentro la cultura attuale;
    – stabilire una proficua collaborazione tra i diversi agenti pastorali.
    Si ricordano i continui richiami annuali alla giornata della “comunicazione sociale” con le tematiche specifiche affrontate. Ed è di prossima pubblicazione da parte della CEI un “Direttorio per la comunicazione sociale”.

    DALL’EDUCAZIONE ALL’EDUCAZIONE RELIGIOSA DENTRO IL MONDO DEI MEDIA

    Dal punto di vista metodologico, l’animatore di pastorale giovanile, che si pone nell’ottica dell’educazione dell’esperienza religiosa dei giovani e del contesto comunicativo di tale esperienza, non può ignorare i dinamismi sottesi alla relazione tra i soggetti, i linguaggi specificamente religiosi e l’uso dei mezzi di comunicazione con i loro linguaggi.
    Bisogna imparare a comprendere tutte quelle dinamiche psicologiche interne che regolano la “relazione” ed interagiscono tra di loro; esse vanno “bilanciate e controllate” all’interno dello stesso processo comunicativo, acquistando conoscenze relative alle varie tecniche di comunicazione e diventando competenti per essere in grado di educare anche religiosamente “con i media e dentro i media”, con i linguaggi più adatti.

    Il punto di vista psicologico

    Studi e ricerche anche recenti affermano che la religiosità è una realtà innata, che orienta la persona alla ricerca di valori dello spirito.
    Si tratta di un’intelligenza di tipo “esistenziale”, tra le varie possibili dimensioni intellettive, che fa porre problemi di senso…
    Ricercatori seri ed autori rinomati affermano che il senso religioso è una dimensione tipica dell’uomo; ne costituisce una tendenza umana che apre la persona al futuro, in quanto è strettamente legata allo sviluppo personale secondo un ideale che comprende in sé tutto quanto fa parte della vita e la trascende. Chi sviluppa il senso religioso tende ad ordinare la propria esistenza verso un fine, reputato valido ed accessibile.
    Gli elementi che possono essere attribuiti alla dimensione soggettiva che assume il problema della religione possono essere così descritte:
    le necessità corporee della persona: anche se la dimensione religiosa trascende il senso materiale del corpo, essa tuttavia appare come risposta a situazioni e momenti di crisi nelle difficili contingenze della vita;
    le componenti del temperamento individuale: sono tratti che evidenziano l’esistenza dei differenti caratteri soggettivi che influiscono nell’orientamento spirituale dell’atteggiamento del soggetto nei confronti del trascendente;
    i valori spirituali del vero, del bene, del bello: sono “valori” che superano i puri bisogni corporei, stimolando indirettamente il desiderio religioso;
    la ricerca di significati: è il bisogno umano che fa riferimento alla dimensione intellettuale della persona, a cui il senso religioso offre l’ambito dei significati ultimi del proprio esistere.
    Sono alcune importanti dimensioni della vita nella sua profondità, che danno possibilità e modi individuali con cui le persone affrontano il problema religioso e interagiscono con la cultura tipica dell’ambiente, dove si sviluppa la stessa vita umana.

    Alla luce di questi principi e a grandi linee, dal punto di vista della comprensione del soggetto nella sua dimensione interiore più profonda ed in relazione alla realtà ambientale, si può sostenere che:
    – nella fanciullezza prevale la dinamica dell’imitazione messa in moto dall’identificazione nei modelli che vede e da cui dipende; mentre la dimensione del religioso assume i caratteri della proiezione dell’immagine umana su Dio (antropomorfismo) e della centralità dei bisogni propri del proprio essere “egocentrico”;
    – nell’adolescenza e giovinezza prevale il travaglio della revisione critica come naturale reazione a visioni e ad insegnamenti precedenti. Questo succede anche per l’educazione o per gli insegnamenti religiosi ricevuti, forse in maniera acritica. Si determinano, perciò, dei sentimenti altalenanti e spesso contrastanti rispetto a tale educazione, che possono assumere, in relazione a casi personali e ambientali, o atteggiamenti di grandi ritorni spirituali o repentini abbandoni della pratica religiosa;
    – nell’età adulta la maturità religiosa si accompagna a quella psichica, tipica di colui che è in grado di concepirsi come soggetto in grado di progettare la propria vita all’interno di una costante ricerca dei suoi significati ultimi. L’adulto ha acquisito una sua stabilità emotiva ed avrà già fatto le sue scelte esistenziali, anche se questo non significa che tali scelte debbano essere necessariamente statiche, dal momento che si esige oggi per tutti una formazione permanente.
    In tutte queste realtà un notevole rilievo assume anche lo sviluppo cognitivo progressivo della persona, dove si fanno dialogare facoltà logiche e razionali e sensibilità emotive ed esperienziali. Si può ritenere acquisito che solo ad un livello di pensiero logico formale astratto è possibile avere una cognizione adeguata sul mistero di Dio e sulla sua trascendenza, senza cadere in una sua immaginazione antropomorfica.
    Il senso religioso dell’adulto, quando è ben radicato, appare ricco, complesso e multiforme, perché basato sulla fedeltà all’essenziale; come un sentimento dinamico radicato nella personalità, in grado di dirigerne e guidarne comportamenti e orientamenti dentro una visione comprensiva e coerente della realtà e del suo significato divino ed umano.
    Un’ultima ma essenziale caratteristica della psicologia religiosa dell’adulto è relativa al fatto che essa può diventare una guida nell’accettazione delle sue verità come un atteggiamento aperto e di ricerca, come un’ipotesi di lavoro che ammette il dubbio, come una sperimentazione e verifica di soluzioni “umane” all’interno della fedeltà alla verità religiosa e al dialogo costante con la divinità.

    Il punto di vista socio-culturale

    Nelle indagini che rilevano gli atteggiamenti della gente circa la considerazione che gode la “religione” nell’opinione pubblica si evidenziano risultati apprezzabili molto alti, ad esempio, sul versante dei servizi sociali che la Chiesa, attraverso le comunità cristiane locali, offre all’uomo (come la promozione della pace col 95% dei consensi; l’aiuto nelle condizioni di sofferenza col 94%; l’impegno per la lotta contro le ingiustizie col 93%; il servizio educativo con l’87%).
    Fa pensare il fatto che la conoscenza della specifica identità religiosa del credente raccoglie solo il 4% del campione. L’uomo di oggi, immerso nella cultura della comunicazione di massa, non trova conoscenze proprie sull’identità specifica della religione, relegandola nel ruolo del privato.
    La responsabilità di questa non conoscenza ha certamente delle cause interne alle comunità ecclesiali che non riescono sempre a far trasparire, al di là degli impegni nel temporale, i valori eterni in cui i cristiani credono.
    Ma esistono anche cause esterne alla realtà ecclesiale; la Chiesa non fa eccessivi sforzi per entrare nella realtà culturale dei media.
    Il Card. Martini sostiene, in una lettera pastorale dal titolo “Il lembo del mantello”, che una visione molto ridotta e strumentale della identità e missione della Chiesa dipende anche in gran parte dalla immagine con cui la cultura dei grandi media e delle loro logiche ne tracciano i contorni (Martini, 1991). E sono certamente contorni di tipo “ideologico”.
    Se questa è la realtà, sorgono alcune provocazioni che sollecitano delle risposte:
    – come si deve muovere l’educatore religioso (l’animatore della pastorale giovanile) nella realtà culturale dei mezzi di comunicazione di massa e dei new-media?
    Si possono evidenziare a questo proposito due atteggiamenti completamente contrastanti: o strumenti da usare come mezzi in una educazione tradizionale (magari da demonizzare) o ambiti culturali in cui entrare per orientare la cultura stessa in dimensione morale religiosamente ispirata:
    – quale posto occupa l’educazione religiosa dentro questa cultura che, al di là delle tecniche e degli strumenti, esprime una visione nuova della vita con significati umani spesso molto distanti, o addirittura contrastanti con essa?
    – che cosa è necessario fare per aiutare chi usa i media e i new-media, (e chi li gestisce), per ricordarsi che non esistono solo le realtà penultime umane (quelle istituzionali e visibili) da essi descritte, ma anche quelle ultime della vita, e quindi religiose?
    – come far nascere nel giovane e nell’uomo di questo tempo quella nostalgia di una “serenità dello spirito” che può dare sapore alle scelte della vita in ordine alle verità trascendenti...?
    Sono solo alcuni dei nodi strategici che dovrebbero stimolare i responsabili dell’educazione religiosa nelle diverse istituzioni educative, molto di più di quanto si sia stati provocati nel passato.
    Appare innegabile che sta sorgendo (o è già sorta!) una nuova cultura mass-mediale che vive dentro e per mezzo di questo ambito mediatico.
    Gli educatori religiosamente ispirati, pur respirandone l’aria, non possono limitarsi alla sola presa di visione della loro esistenza, ma devono entrarci in profondità, per proiettare l’uomo verso la trascendenza. [4]
    La cultura mass-mediale, comunque, si presenta con i segni della complessità, perché non si riferisce a semplici tecniche, ma è espressione di una mentalità diffusa. E come in tutte le realtà complesse, è necessario, anche per i new-media, far riferimento a un linguaggio, a una grammatica, a una classificazione che serva da necessario orientamento.
    Altrimenti il rischio della dispersione, della manipolazione, della fruizione acritica possono ingenerare nuove confusioni culturali e senso di insoddisfazione esistenziale.
    Le giovani generazioni, soprattutto, avvertono di più il disagio di una realtà in continuo mutamento, in cui i punti di riferimento diventano sempre più relativi e aleatori: immagini, suoni, informazioni… senza soluzione di continuità.
    Accanto a tradizionali centri educativi e formativi (educazione familiare alle scelte di vita, insegnamento religioso nella scuola, educazione cristiana in parrocchia) si sovrappongono altre fonti, spesso alternative e limitanti, di trasmissione di contenuti e “valori”: televisione, cinema, pubblicità, rete Internet; e new-media in genere.
    Non si tratta semplicemente di disagio o di confusione, ma si verifica forse uno smarrimento più serio e profondo, dal momento che perlopiù questa generazione non riesce a comprenderne le dinamiche interne, attratta, forse, dalla piacevole superficialità del nuovo. Lo “smarrimento” non è soltanto dei giovani, ma anche degli educatori che non ne sanno affrontare le conseguenze sul piano educativo.
    Il disagio, per tanti adolescenti e giovani, si concretizza nel tuffarsi, in modo spesso acritico, nel caleidoscopio dei media e delle nuove tecnologie, sfruttandone soprattutto gli aspetti ludici; per gli adulti, invece, si tratta di evitare il più possibile il confronto diretto con i new-media, delegando questo compito ai giovani, ai quali non mancano di fornire ogni sorta di aggeggio elettronico, solo perché così fanno tutti. [5]
    Un errore pedagogico, comunque, molto evidente nella prassi, ed in cui spesso cadono gli educatori (soprattutto i genitori, ma anche certi animatori di pastorale…) è quello di trattare i mezzi di questa nuova cultura mediatica come “giocattoli moderni” da offrire con generosità ai ragazzi ed ai giovani, perché non si sentano emarginati dal contesto.
    Non deve perciò assolutamente sfuggire la portata educativa di questi nuove mezzi, che pur amplificando quelli tradizionali della comunicazione (anche religiosa), implicano nuove mediazioni pedagogiche. A questo livello, perciò, sembra necessario:
    – conoscere le specificità dei mezzi di comunicazione in generale e dei “new-media”;
    – sapere come utilizzarli in un confronto critico coi valori in cui si crede;
    – imparare ad inserire i mezzi tradizionali nel nuovo panorama mediale;
    – prevedere le prospettive per gli operatori del settore, e soprattutto per gli educatori.

    PROCESSI PER UN USO EDUCATIVO DEI “MEDIA”

    Ogni educatore non può fare a meno oggi di acquisire delle competenze sulla specificità dei mezzi di comunicazione di massa e in modo più particolare sui “new-media” più interattivi, come sono “i satelliti”, “il computer”, “i CD-A”, “i CD-ROM”, “le reti informatiche”. Bisogna imparare a scoprire l’esistenza delle loro modalità di funzione, per utilizzarli in un cammino di crescita per chi vuole una proposta culturale religiosamente ispirata, sapendone evidenziare proficuamente i rapporti tra quelli tradizionali ed il nuovo panorama mondiale.
    Anche i new-media, come qualunque altro oggetto della storia relazionato alla vita umana, si possono classificare secondo diversificati punti di vista.
    È giusto quindi che per un approccio funzionale e utile bisogna far riferimento ad una scelta.
    Per descrivere il rapporto tra mondo mediatico ed educazione religiosa bisognerà, con prudenza, prendere in considerazione alcune dimensioni che sembrano essere più qualificanti per un autentico e vero coinvolgimento educativo:
    – la componente emotiva della personalità. L’emozione coinvolge il soggetto ed arricchisce la sua persona attraverso l’uso contemporaneo di più media e l’incrocio di più linguaggi e codici. In questo modo possono essere sviluppate in contemporanea le componenti percettivo-motoria, quella logico-razionale e quella affettivo-sociale. Si tratta di componenti che possono far interagire il rapporto religioso del soggetto con l’ambiente; [6]
    – la componente cognitivo-razionale della persona del ragazzo. Anche l’impegno al corretto uso delle facoltà mentali (intelligenza, razionalità, riflessività, memoria, intuizione…) evidenzia il bisogno di partire da conoscenze relative all’esperienza religiosa (spesso evidenziata nella realtà ambientale), secondo una prospettiva policentrica della formazione;
    – la componente euristica della scoperta di fatti-valori religiosi. Questa dimensione ha la possibilità insita di promuovere nuove forme di scoperta attiva dei significati ultimi della vita e si traduce in strategie organizzative della didattica per gli educatori, oltre a stimolanti opportunità di apprendimento per i ragazzi;
    – la dimensione interattiva (relazionale) fra gli attori del processo educativo.
    Tale rapporto dovrebbe essere lo strumento che costruisce la conoscenza progettuale personale, ipotizzando e mettendo in atto, attraverso una specie di contratto formativo, degli itinerari personalizzati di vera formazione religiosa con i media;
    – la dimensione spirituale trascendente della personalità. Questa dimensione dovrebbe aprire il processo educativo religioso al contesto culturale che interagisce col soggetto ed alle fonti interpretative della documentazione religiosa.
    Sulla descrizione giustificata da alcuni autori, indichiamo e descriviamo i passaggi della classificazione seguente, rimandandone gli approfondimenti al testo citato sotto in nota.[7] La scelta non è casuale, ma risponde al fine principale della loro azione; cioè al loro “essere per qualcosa”.

    Media che servono a rappresentare la realtà religiosa

    “La rappresentazione è una funzione sostanziale di ogni linguaggio e di ogni manifestazione espressiva, e quindi, di ogni apparecchiatura tecnicamente mirata a tale scopo, che tende ad un intervento il più possibile riproduttivo nei confronti della realtà” (Gialdini, 1997, p. 30).
    Perciò i media, che si offrono allo sguardo dell’uomo con l’intento di presentare la realtà religiosa, sono come una finestra che si apre sul “religioso” evidente della vita. Si tratta però di una “simulazione” della realtà, spesso raddoppiata o sostituita dall’immagine che tende a proporsi essa stessa come nuova realtà.
    Strumenti come alcuni sistemi nuovi (Computer Graphics, Realtà Virtuale, Alta Definizione, che trovano applicazioni sempre più diffuse) costituiscono dei media che offrono enormi possibilità di conoscenza della realtà anche dal punto di vista religioso, ma non possono prescindere dal tener conto delle pre-determinazioni immanenti ai loro stessi diversi sistemi produttivi.
    Per apparire ed essere veri, dovrebbero fare i conti con l’interattività, non ignorando i problemi della de-massificazione, della riflessione, dello scambio comunicativo, dell’identità culturale, dell’autonomia creativa e reattiva del soggetto; processi che non sempre si verificano!
    Lo stesso specifico punto di vista dell’esperienza religiosa non disdegna le forme umane della comunicazione; tuttavia è necessario entrare nell’ottica di rivelarla pienamente a se stessa. “Si potrebbe dire che quando ‘Dio ha parlato in parole ed eventi umani’, noi siamo assicurati che le parole e gli eventi di questo mondo sono atti a far da veicolo alla sua comunicazione, capaci di dire il suo amore e la sua verità” (Martini 1991, p. 16). Perciò i media rimangono sempre nell’ordine dell’umano ed hanno una capacità relativa di esprimere il trascendente.
    Per tale motivo, in una cultura in cui tutto sembra trans-figurato dai media, l’educazione religiosa (soprattutto quella cristianamente ispirata) “è chiamata a far nascere il Nascente nel nostro stesso fare, nei linguaggi e nella prassi, nelle tecniche del nostro tempo: è come se il Nascente volesse prendere la guida poetica del mondo, e ci si appalesasse che l’unica alternativa alla sua proposta è ormai l’abbrutimento e la follia” (Guzzi 1996, p. 44).

    Media che servono a comunicare messaggi religiosi

    Sono le tecnologie che tendono a sostituire l’inter-attività, simulando analogicamente la comunicazione intersoggettiva umana.
    Ma la comunicazione, qualunque sia la pertinenza scientifica che la analizza, si caratterizza per una tendenziale rincorsa alla parità di ruolo fra gli interlocutori.
    In ogni comunicazione ci deve essere quindi una inter-relazione. E questo, se a parere degli studiosi vale per la comunicazione interpersonale, a maggior ragione vale per la comunicazione religiosa, che mette in relazione l’uomo e il trascendente. Perciò, perché ci sia vera comunicazione, anche religiosa, è fondamentale rispettare alcune caratteristiche che devono apparire chiaramente interne al processo comunicativo:
    – la bi-direzionalità dello scambio del messaggio;
    – la possibilità di inversione dei ruoli tra emittente e destinatario;
    – la valorizzazione dell’attività partecipativa anche in casi di semplice ruolo di ricettore;
    – l’attenzione agli effetti dell’azione comunicativa;
    – la tendenziale disponibilità a considerare il rapporto di comunicazione come un’interazione paritetica e, quindi, come una forma di conversazione almeno potenziale.
    Questo comporta, da parte degli educatori religiosi, che non si abbandonino a se stesse le persone (specie i fanciulli e/o gli adulti da educare religiosamente) che usano i vari media; ma ci sia una proposta educativa al loro uso interattivo, perché tra i messaggi e le persone emerga una opinione, una risposta personale, un confronto critico (Martini 1991, pp. 102-111).
    Il rischio di frattura tra tecnologia mediale e comunicazione oggi è molto reale, con delle conseguenze che portano a divisioni e favoriscono l’isolamento. “Per un verso la comunicazione interpersonale faccia a faccia ha poco spazio; mancano luoghi di incontro e di socializzazione di tipo pubblico; mancano in casa forti luoghi di aggregazione familiare. Per un altro verso poi la comunicazione interpersonale ha un ampio spazio di svolgimento immateriale: lo spazio virtuale si è allargato” (Eugeni 1997, p. 73). Se questo è vero, perché ci si trova davanti ad una schizofrenia culturale, gli educatori devono tirare almeno due conseguenze:
    – se una comunicazione religiosa emessa da un qualsiasi mezzo perde qualcuna delle sue caratteristiche principali (che è quella di essere resa quasi materiale in un codice comprensibile), perché si realizza solo in una dimensione “virtuale”, diventa inutile agli effetti della comprensione del messaggio comunicato, per il fatto che essa, se non si traduce in comunicazione “materializzata” nella esperienza storica dell’uomo che la vive (in questo caso la storia personale del soggetto a cui è comunicata), rimane incomprensibile. In tal caso il mezzo è vuoto di messaggio perché il messaggio non fa riferimento alla vita personale del ricevente;
    – se la comunicazione interpersonale del messaggio religioso si svolge in spazi fisici molto ristretti, vengono a mancare i codici comunicativi (che devono essere concreti); succede che rimane inespressiva perché il mezzo prevale sulle persone. Si pensi ad esempio alla concretezza dei segni e dei gesti religiosi che spesso si riducono ad una semplice espressione rituale (senza necessari approfondimenti del mistero trascendente), per cui il rito rimane ininfluente riguardo al messaggio.

    Media che servono a far conoscere la realtà religiosa

    Sono quelle tecnologie che trasformano le nostre pratiche di scrittura e lettura, modificando le tradizionali immagini del sapere. In teoria ogni comunicazione serve a far apprendere qualcosa, ad imparare, o ad immagazzinare e richiamare informazioni e – in genere – conoscenze.
    È evidente che da un punto di vista educativo le conoscenze devono essere comunicate, sia per arricchire il vocabolario significativo del progetto religiosamente ispirato, sia per comprenderne il messaggio. Esse però costituiscono solo il primo gradino per sviluppare il processo di riflessione che dalla conoscenza arriva al confronto ed al significato umano per la persona che “conosce e impara”; e dal significato passa alla sua accettazione ed alle sue conseguenze esistenziali. [8]
    Lo sguardo ai new-media non può distogliere l’attenzione ai suoi utenti. Stiamo assistendo a profondi cambiamenti, certamente indotti dall’utilizzo delle nuove tecnologie comunicative. Ne viene fuori un nuovo tipo di utente, più specializzato e più “tecnico”, molto attento alle innovazioni, sensibile a prodotti sempre più sofisticati che induce a queste conseguenze:
    – una progressiva perdita di presenza corporea nelle comunicazioni che si fanno sempre più “virtuali”, dando vita a nuove modalità di relazione, a diversi gradi di interazione con gli altri, con nuove modalità di presenza corporea rispetto alla dimensione dello spazio e del tempo, che risulta “accorciato e ristretto”;
    – un allargamento e un cambiamento di comportamenti umani, soprattutto dei giovani. Si fa strada l’idea che lo sviluppo dei tradizionali mezzi di comunicazione di massa nei new-media ha delle ricadute fondamentali anche nel campo della comunicazione in generale e di quella religiosa in particolare;
    – un’offerta continua di innovazioni tecnologiche multi-mediali, attraverso un susseguirsi di apparecchiature sofisticate, che convivono con la quotidianità della vita e rischiano di determinarla, attraverso una persuasione elettronico-comunicativa del sociale che può assumere i toni della dell’invadenza. Strumenti come satelliti, computer, Cd-A (Compact Disk Audio, su cui è registrata una traccia sonora), Cd-Rom (Compact Disk – Read Only Memory, che portano registrati apporti come immagini, sonoro, testo…), reti informatiche…, portano nuove modalità di fruizione e di elaborazione dei contenuti dei media classici. Non solo; ma si propongono come meta-medium, cioè come strumenti di comprensione sintetica dei media precedenti.
    In questo panorama in rapido mutamento, risulta strategica la figura dell’utente; certamente un consumatore più attento ed esigente, con una buona conoscenza tecnologica, ma forse più ignaro ed acritico nei confronti del messaggio mediato: consumatori di prodotti sofisticati con interessi disparati; e soprattutto giovani, affascinati da frontiere vagheggiate e promesse da questi nuovi media, affacciati su un vasto mercato consumistico.
    Un sapere, quindi, che richiede all’utente di attivarsi per accedere ai contenuti, di interagire dunque con gli strumenti e di integrarne l’apporto. Si tratta di una evoluzione che non ha portato alla scomparsa dei vecchi media, ma vi ha apportato delle trasformazioni che li rendono sempre più ricchi di nuove modalità d’uso.
    E di questa caratterizzazione bisognerà che l’educazione religiosa tenga conto, dal momento che ancora oggi – purtroppo – essa si avvale quasi esclusivamente della parola; mentre il contesto è permeato da cultura connotata da una “comunicazione globale”.
    L’educazione religiosa ha perciò un urgente bisogno di rinnovamento, anche attingendo a queste mediazioni, del resto culturalmente necessarie, anche per una rinnovata e più efficace visione religiosa della vita.

    Urgono nuovi modelli educativi religiosi

    Perciò non è immaginabile che gli educatori si limitino semplicemente ad applicare le nuove tecnologie mediali come semplici strumenti dentro progetti educativi tradizionali, dal momento che essi costituiscono in qualche modo delle punte di rilevamento di una nuova cultura e di un nuovo contesto socio-culturale. È come mettere vino nuovo in otri vecchi.
    I new-media si possono inserire nei tradizionali progetti educativi, a patto che se ne rispetti sia la grammatica (BABIN 1993) che la specificità. Si tratta di un impegno serio che vede insieme giovani e adulti attenti a comprenderli e ad utilizzarli, senza timore di avvicinarsi a qualcosa di estraneo alla propria storia e cultura. Un approccio che deve porre in primo piano il desiderio di comprendere e di conoscere e che riesca a trasmettere l’amore per il “sapere” religioso.
    Esiste un vasto mercato di media, anche nel campo religioso, con proposte conoscitive e suggestioni affascinanti. Perciò l’uso più autentico ed appropriato di essi, sia classici che nuovi, è quello di servirsene al meglio delle loro possibilità, spesso facilitanti, come strumenti di formazione e di divulgazione di conoscenze religiose.
    Dal punto di vista pedagogico, perciò, gli educatori devono collocarsi nella loro ottica, e da lì farsi guida, pur senza dimenticare quelli educativi tradizionali legati ad un testo scritto. Altrimenti anche il “testo” diventerà strumento anacronistico. Oggi il testo stesso si avvicina sempre più a una mappa o più mappe di significati, proponendo modelli di conoscenze più vasti e articolati (ipertesti).
    Un processo educativo che non sappia armonizzare il contributo dei diversi mezzi, per prelevare da ognuno le specificità che lo caratterizza, dimostra di rinunciare alla continuità, per soggiacere quasi del tutto all’emotività e novità. “Così i Cd-Rom serviranno per imparare meglio una lingua straniera o per visitare un museo lontano, mentre l’uso della rete di Internet può essere occasione di scambi su argomenti di interesse personale. Cinema e libri non saranno abbandonati, ma continueranno a contribuire con i loro contenuti alla formazione e alla crescita intellettuale” (Gialdini, 1997, p. 85).
    Di fronte alle loro proposte, le giovani generazioni potranno usufruirne per un impatto esperienziale, per una crescita armoniosa, con un corretto bilanciamento di tempi e modi di consumo, senza rinunciare a esperienze personali. Un processo educativo autentico considera tutti gli strumenti a disposizione, tenendo sempre in vista l’obiettivo primario, quello della formazione di persone adulte, dotate di coscienza critica e di autonomia delle scelte personali.

    Bisogna aiutare la persona ad interiorizzare il messaggio

    Non si può rimanere alla superficie della realtà delle cose o alla sola emotività provocata dai new-media. Entrando nell’ottica della comunicazione religiosa, questi mezzi possono offrire molto agli ambiti propri della formazione umana integrale. Di pari passo con l’espansione della cultura mediatica, si allarga anche la definizione del significato dell’educazione che tende ad abbracciare un più ampio disegno di educazione religiosa.
    Data la possibilità di utilizzare i contenuti dei diversi strumenti di comunicazione per un obiettivo religioso, risulta importante per l’educatore la scelta dei sussidi a seconda della situazione e dell’età degli educandi: cartoni animati, fiabe, disegni, collage, film di attualità, video-cassette, montaggio di diapositive, iper-testo di tipo biblico… e così via, in progressione!
    I media infatti, attraverso le nuove tecnologie che offrono varie soluzioni creative, a loro volta sono motivo di nuova creatività. A questo proposito l’attuale e sempre crescente produzione artistica di messaggi religiosi (video-cassette, diapositive, cd-rom, libri d’arte religiosa, musei diocesani, iper-testi sulla bibbia, sui documenti ecclesiali...) può certamente contribuire molto allo sviluppo della visione personale.
    Si tratta di una nuova sensibilità religiosa, più creativa e più originale, che si serve delle suggestioni provenienti dai media, e che può trovare soluzioni e percorsi originali, solo se gli educatori affrontino il problema con il taglio giusto.
    È anche innegabile che i media possono essere strumenti utilissimi per l’acquisizione di conoscenze religiose che – al di là delle conoscenze di percorsi sostanzialmente lineari, costruiti con libri e diapositive peraltro sempre affascinanti – costituiscono degli input più appetibili, anche perché propongono saperi più articolati e organici che procedono per aree semantiche che hanno delle potenzialità illimitate.
    Perciò, collocate in una nuova cornice, le informazioni religiose possono acquistare nuovo spessore, perché – sistemate in moduli di saperi collaterali – incitano a nuove curiosità, a nuovi rapporti con le fonti storiche.
    È chiaro che la guida pedagogica, culturale e religiosa diventa così più di tipo orientativo, per far emergere dal magma informatico delle mediazioni i contenuti che più possono interessare per riflessioni e approfondimenti.

    Imparare a scegliere e ad usare le mediazioni

    Il materiale a disposizione non è poco. Si assiste, nelle reti, ad un proliferare esplosivo di proposte e di siti contenutistici che vanno considerati per la loro ricchezza culturale o religiosa, più che come possibile fonte di dispersione. “L’idea che ci sia un luogo in cui è possibile trovare pressoché tutto e il contrario di tutto, suggerisce la necessità di una visione pluriprospettica della realtà, che però non ne perda di vista il centro. Anche qui il lavoro degli educatori è essenziale, per ordinare e incanalare in modo proficuo questo materiale elettronico, per riflessioni tematiche più approfondite” (Gialdini, 1997, p. 87).
    Perciò, per un qualunque progetto formativo religioso, occorre recuperare la specificità dei mezzi di comunicazione, sia tradizionali che più nuovi, sottraendoli all’uso prevalente di mezzi d’evasione e puro intrattenimento. Vanno recuperate le loro potenzialità formative e didattiche, sfruttando anche la multi-medialità che gli strumenti di comunicazione offrono se utilizzati in maniera combinata.
    Educare la “religiosità” – che è dimensione innata nella vita che si confronta con un progetto trascendente – diventa un educare al gusto dell’immagine e della rappresentazione, alla conoscenza e alla creatività, all’alterità, e infine a una visione del mondo che consideri i diversi punti di vista che si possono conoscere grazie agli scambi di informazione che oggi sono possibili. Naturalmente, senza mai perdere di vista il centro.
    Il nuovo idioma con cui si scrive, si parla, ci si confronta, proviene oggi dalla medesima radice del desiderio di conoscenza e della ricerca della propria identità di persone, attraverso il linguaggio globale.
    I media, religiosamente parlando, costituiscono oggi il vasto areopago di questo linguaggio globale; la loro comunicazione sta unificando l’umanità. Essi hanno raggiunto una tale importanza da essere per molti il principale strumento informativo e formativo, di guida e di ispirazione per i comportamenti individuali, familiari, sociali.
    Afferma Giovanni Paolo II che l’educatore religioso si dovrebbe sentire colpevole, se non sapesse adoperare questi potenti mezzi, che l’intelligenza umana rende ogni giorno più perfezionati. In loro egli può trovare una versione moderna della cattedra o del pulpito. Grazie ad essi riesce a parlare alle moltitudini. Ma è necessario partire dal fatto che ogni mezzo svolge un proprio servizio (televisione, radio, stampa, dischi, nastri registrati, video, audio-cassette, compact-disc, il settore degli audiovisivi…) e ciascuno di essi richiede il suo uso specifico; di ognuno occorre rispettare le esigenze e valutare l’importanza.
    Nell’educazione religiosa ben programmata tali media non possono essere assenti. Il buon uso di essi richiede agli educatori un serio impegno di conoscenza, di competenza e di qualificato e aggiornato impiego. Ma soprattutto, per la forte incidenza sulla cultura che essi contribuiscono ad elaborare, non va mai dimenticato che non basta usarli per diffondere un messaggio, ma occorre integrarlo in questa cultura con nuovi linguaggi, nuove tecniche e nuovi atteggiamenti psicologici, per penetrare nella coscienza di ciascuno e per ottenerne una adesione ed un impegno personale.
    L’impiego dei mezzi di comunicazione e la recezione dei loro messaggi richiedono un processo educativo alla formazione del senso critico, ed una passione per la verità; e suppongono un’opera di difesa della libertà, del rispetto della dignità personale, dell’elevazione dell’autentica cultura dei popoli.
    Per un’educazione alle scelte proponiamo un cammino metodologico che richiama sia gli atteggiamenti che i processi necessari alla comprensione del problema e si concretizza in alcuni passaggi mediativi:
    – educare all’attenzione critica come processo anche religioso nei confronti della sensibilità aperta ai problemi ed ai messaggi della realtà in cui viviamo;
    – favorire una lettura strutturale dei vari media come capacità che aiuti a compendere i testi, i linguaggi, i codici comunicativi;
    – insegnare a mettere in atto una valutazione critica nell’analisi e nella verifica degli aspetti sia positivi che negativi di un messaggio mediatico;
    – favorire la formazione di un giudizio critico nel contestualizzare media e messaggi in modo da saperli confrontare con messaggi e modelli alternativi;
    – verificare il feed-back espressivo che possa aiutare ad esprimere reazioni-emozioni con forme manifestative diverse dei soggetti;
    – saper indicare modelli alternativi personali e di gruppo nel prendere decisioni conformi alla vita e alle forme della testimonianza cristiana.

    NOTE

    [1] Cf Piromallo Gambardella A., Le sfide della comunicazione, Laterza, Roma-Bari 2001. Zanacchi A., La sfida dei mass media, Edizioni Paoline, Cinisello B. (Mi), 1990.

    [2] Cf Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, La Chiesa e Internet, Marzo 2002.

    [3] Cf DCG (1971) 122-123; EN 45; CT 46; FC 76; Chl 44; RM 37; Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali, Istruzione Aetatis Novae (1992), AAS 84, pp. 447-468; EA 71; 122-124.

    [4] Come orientamenti operativi si possono indicare le conclusioni, dopo un esame di coscienza nei confronti dei media, fatte dal Card. Martini nella sua lettera pastorale “Il lembo del mantello”, nelle pp. 97-115.

    [5] Cf Cialdini G., New media e catechesi, in VIGANÓ D. (ed.), New Media. Uomo, valori, vangelo, Milano, Centro Ambrosiano, 1997, p. 77 e ss.

    [6] Cf Cunico M., Educare alle emozioni. Riflessioni e proposte di attività per insegnanti e genitori, Roma, Città Nuova, 2004.

    [7] Bettetini G.-Colombo F., Le nuove tecnologie della comunicazione, Milano, Bompiani, 1993.

    [8] Cf l’itinerario ipotizzato e descritto per l’educazione mass-mediale di Rivoltella P. C., Itinerario 1. Mass-Media, in “Religio. Enciclopedia tematica della educazione religiosa”, (a cura di Trenti Z.-Pajer F.-Prenna L.-Morante G.-Gallo L.), Casale M. (Al), Piemme, 1998, pp. 369-444.

     


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