Elisa Storace
(NPG 2004-05-48)
“... il tempo procede finché non si scorge dinanzi a noi una linea d’ombra,
che ci avverte che anche la regione della prima giovinezza deve essere lasciata alle spalle…”.
(Joseph Conrad)
“… è la mia età, dove si sa come si era e non si sa dove si va, cosa si sarà,
che responsabilità si hanno nei confronti degli esseri umani che ti vivono accanto,
e attraverso questo vetro vedo il mondo come una scacchiera,
dove ogni mossa che io faccio può cambiare la partita intera,
ed ho paura di essere mangiato ed ho paura pure di mangiare, (…)
galleggio alla ricerca di un me stesso con il quale poter dialogare,
ma questa linea d’ombra non me lo fa incontrare…”.
(Jovanotti)
A luglio (a Dio piacendo) mi laureo in Scienze della Comunicazione, la facoltà “del momento”…
Per cinque anni ho “studiato da giornalista”, fatto stage, collaborato con giornali e riviste, organizzato convegni e conferenze, letto, scritto.
Sapendo che questo momento sarebbe infine arrivato, in questo poco tempo ho cercato di mettere da parte consigli e suggerimenti di professori e capiredattori, con gli occhi sempre bene aperti – per “rubare il mestiere” a chi prima di me l’ha fatto per una vita – lo sguardo sempre critico – come mi hanno insegnato deve averlo “ogni bravo giornalista”…
Ma adesso che “la linea d’ombra” è davanti a me, quasi visibile, mi accorgo che non ci si preparerà mai abbastanza per attraversarla, e che quando ci arrivi hai la netta sensazione di aver bisogno di “un altro po’ di tempo”, come l’attimo prima di entrare in scena alla recita scolastica, come sul trampolino prima del tuffo, come mentre aspetti che da un momento all’altro il professore ti chiami per l’esame…
E un po’ rimango stupita.
Perché mi aspettavo che ci sarei arrivata “diversa”.
Come se la maturità potesse davvero essere una questione anagrafica, e un foglio di carta sancisse sul serio la fine di un modo di essere e l’inizio di un altro…
Invece, a mettermi i tailleur mi sembra ancora di prepararmi per una festa in maschera, e quando chiamo qualcuno per lavoro non riesco a evitare la sensazione di dover giustificare la mia voce troppo squillante, poco credibile.
Ma l’ironia salverà il mondo, per questo sorrido.
Perché credo che poche cose debbano fare “tenerezza” come un ragazzo che vuole sembrare adulto, irrigidito in quello che ritiene essere “il” comportamento adatto, come un bambino che ha imparato la poesia a memoria e, in piedi sulla sedia la cena di Natale, di sforza di fare bella figura davanti ai parenti, tutto impettito e compreso nel suo ruolo…
E, a forza di sorridere, il contagio dei sorrisi mi precede quasi sempre, e finisce che nessuno nota più la mia voce ancora così poco professionale, neppure io…
E forse il segreto può essere proprio questo, perché – passo dopo passo – oltre la linea d’ombra ci si arriva meglio con il sorriso…