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    Pastorale giovanile e cammino ecumenico



    Prospettive per un cammino verso l’unità

    Calogero Di Fiore

    (NPG 2004-02-75)


    1. Parlare di una pastorale giovanile al servizio del cammino ecumenico oggi è davvero una grande sfida, ma che risponde all’esigenza del Vangelo e al grande sogno di Gesù, che tutti siano una cosa sola. In questo sogno c’è in gioco una cosa molto importante: la salvezza e il senso della vita.
    Ma chi è il giovane?

    2. Davanti a tale domanda ricorre quasi sempre la tentazione dell’adulto che affronta il giovane e la sua realtà esistenziale come un problema, un male da curare e non subito come una grande risorsa dalla quale attingere una ricchezza che Dio ha seminato. Se è vero che oggi il giovane vive una dimensione esistenziale frantumata, è anche vero che è più disponibile rispetto all’adulto a porsi in umiltà e a farsi educare dalla verità. Il cuore del cammino ecumenico è proprio questo: accogliere la Verità. Giovanni ci dice che Cristo è la Verità.
    L’adulto nella ricerca spesso si difende, il giovane è più disposto ad accogliere: c’è solo una difficoltà, che per accedere alla vita del giovane bisogna avere la chiave giusta; se si sbaglia, la porta può chiudersi violentemente. A mio avviso la Verità è una realtà che nessuno può imporre e neppure può essere costruita ma può essere solo riconosciuta.

    3. Penso all’icona dei discepoli di Emmaus in cui emergono tre elementi che aiutano il riconoscimento, tre elementi sui quali deve lavorare una pastorale giovanile al servizio dell’unità; e sono la Parola, la Strada, il Pane Spezzato.

    4. La Parola. Mi sembra che oggi tanto si parla della centralità della Parola nella vita del giovane, ma di fatto sono pochissimi gli sforzi maieutici di animatori che aiutino i giovani ad accostarsi e a saper leggere la Parola, che illumina il cammino dell’unità. Molte volte noi adulti ci lamentiamo che i nostri giovani peccano di eccessivo soggettivismo nel modo di concepire la loro fede, il loro vivere morale e il loro leggere la Parola di Dio; ma tutto ciò è conseguenza di una mancata educazione e accompagnamento nell’accostarsi all’esperienza di Dio. Qui lo sforzo pastorale dovrebbe essere quello di accompagnare il giovane a prendere confidenza con la Parola, aiutarlo a cogliere il significato e soprattutto scoprire nuovi sensi per la propria vita. Io credo molto nella capacità del giovane di scoprire nuovi sensi della Parola, senza cadere nel soggettivismo. Questo però richiede molti sforzi e tempo. Qui c’è il neo: ci sono animatori preparati e disposti a “perdere tempo” per ciò? Purtroppo ho l’esperienza di una pastorale giovanile impegnata all’80% nell’organizzare attività per reclutare masse di giovani, mentre un lavoro del genere è molto più faticoso e apparentemente poco gratificante, ma a mio avviso più fruttuoso. Se il giovane acquista familiarità con la Parola di Dio succederà che si identificherà con la Parola. Un esempio concreto: succede spesso che un giovane viene catalizzato dalla bellezza di una canzone. Ho trovato dei giovani che identificandosi con le parole di una canzone esprimessero il loro stato d’animo, il loro pensiero cantando questa canzone, perché quelle parole erano diventate le loro parole e non ne avevano bisogno di altre per dire quello che stavano vivendo. Allo stesso modo se il giovane avesse una sorte di fiducia forte della Parola di Dio, se entrasse in forte confidenza con essa, esprimerebbe tutta la sua vita con quelle Parole. Non so se è facile percepire l’importanza di tutto ciò: le storie della propria vita, gli eventi e il senso della propria vita verrebbero letti a partire dalla Parola, che diventerebbe cibo della vita quotidiana. Se la Parola abbiamo detto è sorgente di unità, tiriamo subito le conseguenze: il giovane sarebbe educato continuamente ad un’accoglienza incondizionata dell’Altro, perché in costui riconoscerebbe il volto del suo Dio. La scoperta della Parola aiuta a riconoscere nella diversità una ricchezza: penso all’esperienza dei tanti giovani che ogni anno vanno a Taizé, o a Bose o dei Focolari e di alcuni movimenti, in cui la diversità delle varie confessioni di fede diventa una ricchezza spirituale enorme; penso invece a tutte le volte che ci si irrigidisce e si crea lo scandalo della divisione.

    5. La strada. Essa indica non solo la vita quotidiana del giovane illuminata dalla Parola, ma anche la fatica nel cercare di riconoscere la Verità. Qui emerge l’importanza di educare il giovane ad accettare il senso del limite e della fatica nel fare dei passi importanti; ho sperimentato come in molti giovani di diverse confessioni la scoperta della parola aiuta a decifrare e a riconoscere nella diversità la stessa presenza di Cristo che dice che dove due o più sono riuniti nel suo nome Lui è in mezzo a loro. Qui Cristo non fa nessuna argomentazione teologica o ecclesiologica, ma invita ad essere nel suo Nome. Il cammino dell’unità, non è un’utopia ma un sogno: i giovani stanno realizzando nel mondo un frammento di questo grande sogno. Il cammino della comunione esige però una ricerca faticosa: i giovani sono disposti a farla questa fatica, a condividere le diverse esperienze, ad avere il coraggio di dare un volto pubblico ai pregiudizi e barriere che si ritrovano dentro di loro. Solo riconoscendoli tali ostacoli possono essere superati. Perché i giovani sono disposti a fare ciò? In gioco c’è la vita e la speranza! Non interessano le virgole! La vita e la speranza, doni di Dio, hanno la forza di unire i giovani alla preghiera di Gesù: che tutti abbiano vita, e l’abbiano in abbondanza. La parola di Dio ha il potere di insegnare a tutti i giovani la capacità del consegnarsi con un amore incondizionato. Questa è la base per un autentico cammino ecumenico: non si tratta di convincere l’altro della propria verità, ma del consegnarsi reciprocamente all’unica Verità che è Cristo. I giovani sono più disposti a vivere tutto ciò. Queste non sono parole ma i tanti incontri ecumenici dei giovani organizzati in questi ultimi anni lo testimoniano.

    6. Lo sforzo che a mio avviso dovrebbero assumere tutte le diverse Chiese Cristiane è quello di aiutare i giovani a fare una vera autentica esperienza di comunità; purtroppo un po’ dovunque succede che l’esperienza che i giovani fanno, cattolici, protestanti, ortodossi e così via, è quella di una Chiesa\comunità, che assomiglia ad una pentola a pressione, dove nessuno può esprimere fino in fondo la propria ricchezza e soprattutto condividerla, o a una riserva dove tenere in cattività i soggetti a rischio di estinzione. Ma l’unica Chiesa di Cristo, quella proprio che Cristo ha sognato, deve essere come una sorgente, ad immagine del suo Signore; capace di dare vita, di non morire chiusa in se stessa. I giovani di tutte le Chiese, che hanno fatto un’esperienza autentica dell’incontro con la Parola di Dio, sono più disponibili ad essere questa sorgente, a perdere qualcosa di sé, per accogliere qualcosa dell’altro.

    7. Cristo nell’Eucaristia ha reso visibile questo miracolo dell’unità: nel segno del Pane spezzato e del Vino versato ci viene detto che la salvezza è un dono totalmente gratuito offerto a tutti. Nella celebrazione eucaristica la presenza vera di Gesù non solo crea e consolida la comunità, ma dà il coraggio di percorrere strade nuove che permettano alla Chiesa di Cristo di non essere chiusa in se stessa ma di spezzarsi per la vita di tutti.
    Come educare i giovani cattolici alla celebrazione dell’Eucaristia? Interiorizzare il senso profondo di questo grande mistero aiuterebbe i giovani a diventare segno forte di unità prima di tutto a partire dalla comunità dove vivono, per poi essere capaci di partire per realizzare insieme a tutti i giovani riscaldati dal fuoco dell’amore dello Spirito, il sogno di Cristo: che tutti siano una cosa sola.


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