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    Una lettura «semiotica» della Bibbia nei gruppi giovanili


     

    Francesco Cravero

    (NPG 1988-03-76)


    «Ogni discorso resta a mezzo,
    ché l'uomo non riesce
    a concluderlo» (Qoèlet 1,8).

    L'analisi semiotica dei testi [1] sposta e modifica le domande che abitualmente si pongono a un testo («cosa dice questo testo?», «chi dice questo testo?», «cosa voleva dire l'autore?», ecc.) in: «come questo testo dice quel che dice?».
    Attribuendo all'oggetto-testo una triplice autonomia (rispetto alle intenzioni dell'autore, rispetto alla situazione storico-culturale, rispetto ai destinatari originali), il fare semiotico vuole privilegiare «il testo, solo il testo, nient'altro che il testo», evitando mediazioni storiche o ideologiche o di altra sorta per individuare solo nelle relazioni che tessono il testo (la coerenza testuale, in termine tecnico) la sua possibilità-capacità di «lasciarsi leggere».

    Il gioco dell'analisi semiotica

    Il fare semiotico si presenta un po' come un gioco. Si sforza di determinare le regole (in termini più seri: il metodo) che permettono l'effettiva presenza del testo al lettore.
    Regole di un gioco che mette sottosopra il testo, operazioni che lo fanno e disfano, dove non si tratta di definirne il senso né di scoprirvi un significato nuovo o eccezionale, ma solo di percepire come un certo testo è fatto, come dice quel dice; dove è questione di determinare ciò che esso permette di dire e ciò che invece non permette di dire.
    Un simile modo di rapportarsi al testo può interessare la pastorale giovanile? Crediamo di sì, soprattutto se pensiamo al frequente uso - specie nei gruppi giovanili - del testo della Bibbia o per meditazioni o per incontri di preghiera.
    Il gioco semiotico infatti permette di facilitare e stimolare l'approccio a quel testo biblico, che a volte può sembrare muto, logoro, del passato, «troppo» completo..., permette di evitare letture immaginarie, a specchio, pretestuose... Grazie alla distanziazione metodologica (le regole del gioco), e rendendo possibile un lavoro di gruppo sul testo, l'approccio semiologico può contribuire a ridare voce alla lettera del testo, parola ispirata che (perché) «ispira», cioè stimola, fa nascere,un'altra parola, quella della lettura, quella del commento-appropriazione, quella della vita.
    Il lavoro sul testo dell'approccio se-miotico non esaurisce e non colma il rapporto che un lettore può intrattenere con un testo. Esso non copre che un momento di distanziazione che ha la sua contropartita successiva nella appropriazione ermeneutica o esistenziale («cosa questo testo dice a me, qui e ora»); per questo si dice che, almeno in parte, interpretazione simbolica e interpretazione ermeneutica si accavallano.
    L'incontro fra disciplina semiotica e riflessione credente invita ad interrogarsi anche su altri temi.
    Così il dibattito intorno alla teologia narrativa o sulla narrazione nell'esperienza e nell'itinerario di fede vengono rilanciati dagli studi sul racconto e sul raccontare; il problema della inculturazione del messaggio cristiano, della necessità di rivolgersi ad una cultura (per esempio quella giovanile) parlando i suoi propri linguaggi o codici, può avvalersi della strumentazione semiotica; ecc.
    In questo articolo, piuttosto che tratteggiare sommariamente questi ed altri temi, ci si dedicherà ad approfondire le conseguenze e le possibilità di far interagire, in uno spazio determinato (l'incontro di preghiera), lettura semiotica e lettura credente, indagando i protocolli di lettura a cui vengono sottoposti i testi.

    PROTOCOLLI DI LETTURA

    «Soprattutto sappiate una cosa: gli antichi profeti non parlavano mai di loro iniziativa, ma furono uomini guidati dallo Spirito Santo, e parlarono in nome di Dio.
    Perciò nessuno può spiegare con le sue forze le profezie che ci sono nella Bibbia» (2 Pt 1,20-21).

    Una situazione «tipica», come dicevamo, potrebbe essere quella dell'incontro di preghiera e/o del gruppo biblico: luoghi in cui si dà lettura comune del testo e in cui lo si commenta.
    In genere ci si arrangia come si può, e spesso chi prepara questi «spazi», raffazzona bene o male qualche commento da un manuale esegetico o da un libro di spiritualità da far seguire alla lettura comune della Parola. Si passa poi agli interventi.
    Dal punto di vista della semiotica ci si può interrogare su quali siano e come agiscano i protocolli di lettura in opera in un simile spazio (sommariamente delineato in: lettura, commento, appropriazione-interventi), a quali operazioni sottopongano il testo, come vengano modificati dall'inserzione di un approccio semiotico al testo.
    Un protocollo di lettura è una specie di regola convenzionale, più o meno esplicita, che dà delle istruzioni su come rapportarsi a un testo.
    Nella lettura liturgica dei salmi, per esempio, vale approssimativamente un protocollo di questo tipo: «io ti indirizzo, Signore, nella mia preghiera, le stesse parole che hanno impiegato, prima di me, quelli che furono ascoltati»; la citazione di 2 Pt che precede il paragrafo (che in altre traduzioni suona come: «nessuna scrittura profetica va soggetta a privata spiegazione») è un po' un protocollo di lettura.
    Dire, dopo aver fatto una battuta che è stata presa come un'offesa, «stavo solo scherzando», è fornire a posteriori un protocollo di lettura «corretto».
    Il protocollo di lettura, che sembra valere nel caso che ci interessa, può essere esposto più o meno in questi termini: «smonta questo testo e fa' che dica qualcosa»; in gergo semiotico: «decontestualizza una sequenza di qualsiasi ampiezza, ricontestualizzala altrove e esponi il risultato; soprattutto non ti fare problemi sulla coerenza testuale del testo da cui parti» [2].
    La comparsa della semiotica come «trampolino» per gli interventi modifica questo protocollo in: «questo testo è un gioco - tipo scacchi, dama, ecc. -; scoprine i pezzi e le regole (le relazioni fra i pezzi) e poi fatti una bella partita, oppure inventa un nuovo gioco da fare con questi pezzi».
    Detto fuor di protocollo, la lettura semiotica propone e impone una diversa considerazione del testo (impone di considerarlo tout court, si potrebbe dire per essere più maligni) rispetto al protocollo di lettura «spontaneo» [3]. A questa considerazione del testo possono seguire l'appropriazione, il commento, gli interventi, ecc.

    UN TRAMPOLINO: QUATTRO OPERAZIONI PER UN TESTO

    «Capisci quello che leggi?'. Ma quello rispose: `Come posso capire se nessuno me lo spiega?'» (At 8,30-31).

    Metodologia e terminologia semiotiche possono apparire, ai non addetti ai lavori (ciò accade spesso) come un complesso esoterico di una setta dedicata al culto della lettura e alla salvezza dell'interpretazione in pellegrinaggio verso la terra promessa del senso...
    L'uso di un simile complesso nella pratica pastorale non può quasi mai passare attraverso una iniziazione teorica nelle strette vie di un curriculum sistematico e (altro limite) può contare solo su poco tempo e su un supporto quasi unicamente verbale. Così, mentre si propone la possibilità di «studiare semiotica», si impone la ricerca di qualche «trucco» per aggirare (nella pratica e nella didattica) questi ostacoli.
    Lo spazio manca, in questa sede come nella realtà, per una iniziazione «ortodossa» alla pratica semiotica fatta di teoria e metodo; quello che invece si può fare, ancora in entrambi i casi, è suggerire quattro tipi di operazioni da compiere sul testo, quattro tipi di domande da rivolgergli perché esso possa reagire, essere presente.
    Il detto che circola fra animatori: «Mai fare con i ragazzi quello che non si è provato a fare prima», vale più che mai in questa strana didattica della semiotica. Le quattro operazioni proposte non sono che un surrogato della grammatica semiotica, stimoli (o comodi trucchi) offerti all'attenzione.

    Parafrasi discorsiva

    Con una parafrasi del testo si compie una verifica su una prima comprensione di esso, che viene così resa esplicita, e si prepara l'analisi discorsiva.
    A volte è necessario proporre dei complementi «storici», fornire delle indicazioni sul «codice biblico» parlato da un certo testo: come gustare la parabola del buon samaritano se non si sa chi è un samaritano in un codice culturale congruente a quello del testo esaminato?
    In altri casi è opportuno procedere a delle «traduzioni» di ordine «culturale», ad esempio utilizzando come codice in uscita il linguaggio giovanile, o «traducendo» figure e ruoli tematici [4] del testo in figure e ruoli tematici del «mondo» contemporaneo (bisogna tradurre il simbolismo della luce nella figura del «laser» perché esso abbia la stessa portata; si può parlare di un «marocchino» al posto del samaritano, ecc.; perché il testo «parli ancora» bastano un po' di buon senso e tanta fantasia, non è necessario essere degli «esperti»).
    Questo risulta particolarmente importante quando si ha a che fare col mondo giovanile, che sembra decisamente «lontano» dal mondo biblico. Assicurata una comprensione «letterale» e dopo aver familiarizzato con le figure del testo (comprensione dizionariale se vogliamo, ma anche qualcosa di più), si può procedere al controtesto.

    Controtesto narrativo e discorsivo

    La pratica dell'inventare un contro-testo (testo simile ma diverso da quello considerato), suggerita da R. Barthes, si presta particolarmente ad un uso didattico. È sufficiente porre domande quali: «E come sarebbe potuta andare in un altro modo?», «Cos'altro sarebbe successo se...?», «Se prima fosse successo... che ne sarebbe poi di...!», ecc.
    Oltre a sfruttare la «crono-logica» dei racconti (quella per cui se «A» succede dopo «B», «B» è successo a causa di «A», o più semplicemente quella per cui le «le cose» che succedono in un racconto sono legate da un filo temporale) e tessere tutta una serie di relazioni-opposizioni sulla sequenza degli eventi e a proposito dei loro operatori, attivi o passivi che siano (componente narrativa), questo «trucco» si adatta anche ad un approfondimento.
    Le domande allora diventano: «E se al posto della parola... ci fosse...?», «Secondo questo testo, qual è il contrario di...?», ecc. (per esempio nel caso del samaritano, a fidarsi del testo, il contrario di «prossimo» non è «lontano», come si potrebbe logicamente - dizionarialmente - pensare, ma «nonfarsi-prossimo»; nelle parabole della misericordia - Lc 15 - il contrario di «giusto» non è «peccatore», ma «non pentito», ecc.).
    Non è necessario formalizzare i risultati di tutte queste prove per sostituzione, come si fa nella semiotica «ufficiale»; tutti i controtesti inventati bastano per far capire come è fatto «questo» testo, si può andare oltre.

    La logica di un detto o di un proverbio

    Come nella pratica semiotica «manifesta», l'analisi della componente semantica è la più complessa, così in questa strana didattica essa non va senza problemi né è esente da rischi, soprattutto quello di essere troppo riduttiva rispetto alle diverse possibilità di lettura che un testo lascia aperte (polisemia, in termine tecnico).
    Si tratta di individuare la «logica» che «genera» il testo, che è alla base [5], e a questo scopo è spesso utile ricercare-inventare-riassumere, sotto forma di «proverbio» o di detto, o qualcosa di simile, una condensazione dei giochi del testo che si sono percepiti durante i primi due momenti.
    Qualche esempio sarà più convincente di una disquisizione teorica anche se, presentato isolatamente, richiede di essere preso con cautela, per quello che è.
    Il brano del discorso di addio sulla promessa dello Spirito (Gv 14, 15-31) potrebbe essere assunto da una logica tipo: «chi ama conosce»; il fatto strano di spezzare il pane e dire che si tratta di un corpo, di una vita per gli altri, con: «farsi in quattro»; la parabola del buon samaritano (letta mettendo l'accento sul fatto che il samaritano non chiede all'altro di essergli riconoscente), come: «mai lasciare biglietti da visita», ecc.
    Si tratta certamente di una fase problematica e che inoltre assume so? ente - in anticipo rispetto alla appropriazione - una connotazione etico-pragmatica (il classico: «cosa dobbiamo fare? ») che qui non è pertinente (staccati inoltre dal lavoro che li precede, simili «detti» dicono poco o nulla a proposito del testo e del lavoro di lettura; comunque sia, come promemoria, la domanda da porre relativamente alla terza operazione è: «con che 'detto' si potrebbe riassumere il gioco di 'questo' testo?»).

    Quante storie, tante storie

    Dopo tutto questo lavorio di domande e risposte si possono raccontare, affiancare al testo considerato, altri racconti, biblici e non, veri o falsi, storici o romanzeschi che, reagendo con il testo di partenza e le osservazioni fatte su di esso, favoriscono il passaggio alla fase non semiotica - ma ne sono ancora parte - di questo percorso: i commenti e le appropriazioni (tra parentesi si può notare come la liturgia, proponendo più letture, sia maestra in questo fare intertestuale).
    Si può raccontare una storia contemporanea per favorire la attualizza-/Ione o si può spiegare una storia raccontandone un'altra, il che è di gran lunga il miglior metodo per scoprire la «logica-detto» (o le «logiche-detto») che «genera» un testo.
    Tutto è pronto per smettere di leggere e incominciare a scrivere, perché leggere è un po' come scrivere un nuovo testo, partendo da quello detto o «dato».
    Volendo riassumere lo srotolarsi sul testo delle quattro fasi abbiamo:
    1. l'operazione di parafrasi che garantisce una prima comprensione comune del testo, favorisce il la\ oro successivo e assicura che si sta prendendo in considerazione proprio « questo , sto e non un altro, frutto di una lettura superficiale, distratta o incongruente;
    2. la creatività e la immaginazione necessarie per inventare dei controtesti, rendendo piacevole questa fase, stimolano a percepire il testo particolare nella sua completezza, nella sua coerenza complessiva;
    3. la condensazione del testo - non sempre possibile né sempre auspicabile - obbliga a cercare solo nel testo i meccanismi del senso;
    4. il ricorso infine ad altri racconti, pur contribuendo a delineare per scarto-opposizione la dinamica del testo, lo rende disponibile ad essere attraversato da altre narrazioni, da altre storie, compresa quella del lettore.

    CODA

    «Il rabbi di Ger raccontava: 'Nella mia infanzia non volevo applicarmi allo studio della grammatica perché credevo che fosse una scienza come tutte le altre. Ma più tardi mi ci sono dedicato perché ho visto che i segreti della Torà sono legati ad essa'» (M. Buber: I racconti dei Chassidim).

    La scrittura è «ispirata» perché«ispira» una nuova scrittura. Leggere è scrivere un altro testo, è dare spazio all'intertestualità, scrivere nuovi testi -con le parole e con la vita - sulla scia del testo letto.
    Si potrebbe riassumere così il risultato del paziente lavoro di una lettura per interrogativi che il fare semiotico rende esplicito nella pratica credente: si mette del tempo per suscitare una parola.
    Certo la grammatica semiotica non è in questo contesto - per il credente - che un trampolino, ma di quelli buoni, che permette, da testo a testo, da scrittura - o Scrittura - a lettura, di riscoprire la vocazione della Parola: suscitarne un'altra in una comunità narrante.
    Vorrei concludere queste pagine con un esempio, non completo, di questo «fare». Si tratta della nota parabola dei vignaiuoli omicidi.
    Il testo lo conosciamo (cf Mt 21, 33-39).
    Eccone subito una parafrasi: «C'era un tipo molto ricco che aveva un sacco di cose; una di queste era una vigna. Questo tipo doveva fare un viaggio in un paese lontano, così decise di affidare la sua vigna a dei contadini. Poi se ne andò per gli affaracci suoi.
    Al tempo della vendemmia il tipo manda alcuni suoi aiutanti da quei contadini per prendere una parte del raccolto, ma quelli non gli mollano niente.
    Allora manda altri aiutanti e poi altri ancora finché i contadini glieli fanno fuori tutti e il tipo non sa più cosa fare.
    Ma poi gli viene un'idea: 'Adesso vi frego io! Vi mando mio figlio. Voglio vedere mo' cosa fate'».
    Come andò a finire lo sappiamo. Strana logica questa di mandare il proprio figlio.
    Proviamo a spiegarla con un'altra storia:
    «Quando Margareta Mautasch, duchessa di Tirolo, fece accerchiare nel 1334 il castello di Hochosterwitz, in Carinzia, sapeva benissimo che la fortezza, situata su una rupe fortemente scoscesa che si ergeva alta sulla valle, era inespugnabile con un assalto diretto e avrebbe ceduto soltanto dopo un lungo assedio. Giunse il giorno in cui la situazione dei difensori si fece critica: tutto ciò che restava delle loro provviste era un bue e due sacchi d'orzo.
    Ugualmente pressante, anche se per ragioni diverse, stava però diventando pure la situazione di Margareta: sembrava che l'assedio non dovesse finire mai; e le sue truppe, di cui aveva urgente bisogno per impiegarle altrove, cominciavano ad essere indisciplinate. A questo punto il comandante del castello decise una azione disperata che ai suoi uomini deve essere sembrata un gesto di pura pazzia: fece macellare l'ultimo bue, con l'orzo che restava gli fece riempire la cavità addominale, e ordinò che la carcassa venisse gettata lungo i ripidi pendii della rupe in un prato antistante il campo del nemico.
    Dopo aver ricevuto questo beffardo messaggio, la duchessa si scoraggiò e tolse l'assedio, allontanandosi con le sue truppe».[6] (Citato in: P. Watzlawick e altri: Change. Sulla formazione e la soluzione dei problemi).
    E infine il proverbio:
    «Chi cercherà di salvare la propria vita, la perderà; chi invece la perderà, la salverà» (Lc 17, 33).[7]

     

    NOTE

    1) La disciplina semiotica, o semiologia, si interessa ai fatti di comunicazione e di significazione (senso) e si definisce più in relazione ad un metodo (a delle pertinenze) che ad un campo di analisi. Il settore in cui si è più sviluppata e per il quale si presenta a tutt'oggi meglio attrezzata è comunque quello dell'analisi dei testi «letterari», narrativi in particolar modo.
    2) Una ulteriore «traduzione» dal linguaggio semiotico a quello quotidiano potrebbe essere: «considera un versetto, due, tre, quanti te ne pare, il testo intero o spezzettato; mettilo in relazione con qualcos'altro e vedi cosa ne viene fuori; non è importante considerare il testo come un tutto organico». Quanto all'altrove, esso può variare dalle proprie conoscenze bibliche e/o concezioni religiose, al feeling del momento, alla situazione sociale, alle condizioni personali e/o del gruppo, ecc.; altrove che rischia ad ogni momento di scivolare verso la funzione dello specchio («leggo quello che già so») o della gomma («cancello il testo per dire quello che ho in testa»).
    Queste considerazioni non tolgono nulla al valore della preghiera - potenza dello Spirito - che si misura su altri parametri, né alla necessità di «incarnare» gli interventi. Ma questi appunto, non il testo.
    3) Un giudizio di valore (teologico) sui due protocolli e su «fattori contestuali di ispirazione» (leggi: Spirito Santo), è qui fuori luogo.
    Ci si limita - e ci si limiti - a prendere nota del cambiamento introdotto dalla pratica semiotica come «preventivo» ad appropriazione ed interventi.
    È chiaro che in entrambi i casi c'è un altro protocollo, di grado maggiore, che intende alla lettura: «questo testo vale come (o conta per) un credo di questa comunità religiosa», con relative conseguenze.
    4) «Figure» e «ruoli tematici» sono due termini del metalinguaggio semiotico. Con il primo si intendono le «cose» di cui il testo parla (ad esempio, nel racconto dei pani e dei pesci - Mc 6,30 ss le figure sono appunto pani, pesci, barche, mare, l'andare a piedi, ecc.) e che il testo usa per trasmettere i suoi «contenuti» (ad esempio caricando la figura del pane di un significato altro).
    I ruoli tematici sono invece attributi dei personaggi del racconto intorno ai quali si costruisce la narrazione.
    Cosí «il pescatore» sarà un ruolo tematico a proposito del quale ci si può attendere certe storie e non altre (ci si aspetta ad esempio che peschi un pesce magico, non che comandi un esercito in battaglia; lo stesso dicasi per un re, un fariseo, un pubblicano, ecc., a meno che - il che è quasi sempre il caso nei vangeli - il racconto non sfrutti un ruolo tematico (quello del samaritano o dell'esattore delle tasse, per esempio, facendogli fare proprio il contrario di quello che ci si aspetta da lui (tra parentesi: questo è uno degli strumenti narrativi a disposizione di un racconto per proporre dei valori «nuovi», trasgressivi, sovversivi; un modo per innovare un sistema di valori).
    5) È come dover percorrere al contrario il percorso che ha portato (generato) al testo. Mi spiego, in prima approssimazione, con un esempio un po' banale: se si vuole inventare una storia che abbia come «contenuto» qualcosa come: «accettare la diversità dell'altro è importante», si può immaginare un racconto in cui, grazie al diverso contributo di soggetti che in un primo tempo non si accettano, si riesce a realizzare una impresa particolarmente difficile.
    La terza operazione dell'analisi potrebbe allora riassumere i giochi del testo con il proverbio -autentico - «il mondo è bello perché è vario».
    In seconda approssimazione bisognerà smentire tutto quanto si è appena affermato: è alquanto dubbio che una storia «nasca» in questo modo, è ugualmente poco probabile che un proverbio (vero o inventato) possa riassumere «il senso» di un racconto; si aggiunga che in semiotica - almeno secondo alcune scuole - si rifiuta la dicotomia fra forma e contenuto e che la «generazione» è pensata lateralmente, da un testo all'altro (termine tecnico: intertestualità) e non in profondità da contenuti «profondi» a testo manifesto. Rimane il fatto che questa terza operazione, anche se non troppo corretta (non molto in sintonia con l'apparato teorico), può contribuire alla lettura del testo, a darne una visione globale.
    6) Entrambe le storie, quella della «mucca» e la parafrasi, perdono tutta la loro vivacità nel passaggio dall'orale, in cui si può far ricorso alla gestualità, ai toni di voce, ecc., in cui si possono coinvolgere gli ascoltatori con delle domande, allo scritto.
    Il secondo racconto può essere sostituito da una parafrasi più brillante, magari facendo venire l'idea delle «mucche» al pazzo del villaggio, «catapultando» le mucche sul nemico, dicendo che i castelli si «cuccano», non che si assediano, eliminando il sottoprogramma di Margareta impegnata anche altrove per dare più risalto alla «disperazione» del tentativo, ecc.
    7) Per chi volesse seguire una iniziazione «ortodossa» alla analisi semiotica dei testi, a mezzo racconti biblici, in italiano sono disponibili i seguenti lavori.
    A. Fossion, Leggere le Scritture. Teoria e pratica della lettura strutturale, LDC, Torino-Leumann 1982.
    Groupe d'Entrevernes, Segni e parabole. Semiotica e testo evangelico, LDC, Torino-Leumann 1982.
    R. Lack, Letture strutturaliste dell'Antico Testamento, Boria, Roma 1978.
    P .J.de Pomerol, Il vangelo come racconto. Analisi morfologica del vangelo di Matteo, LDC, Torino-Leumann 1983.


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