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    Ricomprendere i sacramenti


    Luis A. Gallo


    (NPG 1995-07-09)


    Il testo che segue, all'interno del Convegno, aveva la funzione di rileggere la memoria carismatica della spiritualità giovanile salesiana (SGS), per collocarla nell'oggi dei giovani. Per la SGS tale memoria è quella dell'esperienza spirituale di S. Giovanni Bosco, che aveva fatto dei sacramenti dell'Eucaristia e della Riconciliazione le «colonne portanti della vita cristiana» e il perno della sua azione educativa con i giovani. Per questo motivo, necessariamente, la prima parte dell'articolo è prevalentemente di analisi storica e critica. Esso tuttavia risulta importante per le nostre riflessioni sulla spiritualità, non solo perché molti educatori si ritroveranno «formati» attraverso un'educazione cristiana ispirata dalle stesse categorie qui ricordate, ma anche perché ogni spiritualità (che non sia nata «oggi») si richiama ad esperienze spirituali plasmate da visioni dell'uomo e del cristiano di secoli anche molto lontani. L'amore per i giovani di oggi costringe a ripensarle per liberare il nocciolo autentico da incrostazioni culturali e teologiche ormai superate. A questo può servire, come esemplificazione, l'articolo che segue.

    Chiunque conosce il modo in cui D. Bosco concepiva e portava avanti l'educazione dei giovani, sa che per lui la messa e la confessione costituivano due pilastri sui quali essa si reggeva. Egli insisteva costantemente sull'importanza della frequenza alla comunione e alla confessione perché considerava questi due sacramenti come decisivi per vivere una vita di «buoni cristiani e onesti cittadini», scopo al quale tendeva l'intera sua opera educativa. D. Bosco, come ogni altro essere umano, fu «figlio del suo tempo». In molti aspetti egli visse la fede come la si viveva comunemente nel secolo scorso, segnata quindi dai modi in cui la situazione socio-culturale portava allora ad interpretarla teoricamente e praticamente. E anche se in alcuni ambiti fece delle «fughe in avanti» (più nel vissuto che nella teorizzazione), per ciò che riguarda buona parte delle componenti della fede stette invece a ciò che era il comune sentire della Chiesa del suo tempo. Credo che non ci voglia molto sforzo per dimostrarlo per quanto riguarda il suo modo di pensare, di vivere e di far vivere i sacramenti. Per una più rigorosa documentazione su questa tematica si possono consultare gli studi fatti dagli storici [1]. Il terzo successore di D. Bosco, D. Filippo Rinaldi, enunciò alcuni decenni fa un criterio decisivo per coloro che volevano continuare la sua opera: «Con D. Bosco e coi tempi». Fedeltà certamente quindi a quanto D. Bosco stesso fece e volle che si facesse nell'ambito dell'educazione dei giovani, ma fedeltà anche a quanto legittimamente richiedono le nuove circostanze storiche. In concreto le nuove sensibilità, le nuove attese, le nuove richieste e aspirazioni dei giovani. Tenendo presente questo criterio abbozzerò ora succintamente in un primo momento la maniera in cui venivano pensati e vissuti sia i sacramenti in genere sia in particolare l'eucaristia e la riconciliazione ai tempi di D. Bosco e, in un secondo momento, la maniera attuale di pensarli e di viverli.

    AI TEMPI DI DON BOSCO

    I sacramenti in genere

    Seguendo la concezione prevalente da diversi secoli nella Chiesa, nella vita ecclesiale del secolo scorso i sacramenti erano considerati come mezzi per ottenere o conservare ed aumentare la grazia e, mediante essa, per raggiungere la salvezza. Tale concezione era legata a sua volta principalmente a una determinata maniera di intendere la salvezza.

    La salvezza

    Semplificando al massimo le cose, possiamo dire che la salvezza cristiana veniva allora intesa come liberazione dall'inferno ed entrata nel cielo. Quest'ultimo era concepito come la visione beatifica eterna di Dio con tutto ciò che essa comporta, e l'inferno a sua volta come la perdita definitiva ed eterna di tale visione beatifica con tutte le sue terrificanti conseguenze. Del cielo e dell'inferno così concepiti si poteva avere un anticipo imperfetto e provvisorio sulla terra, nella misura in cui si viveva rispettivamente in grazia o in peccato mortale. Liberarsi dal peccato (dal peccato mortale, s'intende, che era la «morte dell'anima») significava già in qualche misura salvarsi, benché provvisoriamente e condizionatamente, dalla perdizione eterna. Tale salvezza era segnata da alcune caratteristiche che le derivavano dal- la cultura ellenistica che le faceva da supporto, la quale comportava una serie di dualismi strettamente collegati tra di loro: ontologico (essere spirituale ed essere materiale), antropologico (anima e corpo), soteriologico (salvezza dell'anima). A conseguenza di questo supporto culturale la salvezza risultava segnata da una forte accentuazione dello spirituale a scapito del materiale («salvezza dell'anima, delle anime»; con conseguente svalutazione del corpo e del mondo materiale); dell'eterno a scapito del temporale («ciò che non è eterno non è nulla»); dell'individuale a scapito del comunitario («salva l'anima tua»); e da una mancanza di rapporto intrinseco con la storia (non conta per la salvezza personale ciò «che capita nel mondo»). Che D. Bosco abbia avuto questa concezione della salvezza è facilmente documentabile leggendo gli scritti in cui ci viene tramandata, da lui stesso o dai suoi ammiratori, la sua vicenda, anche se poi, nella pratica, la superò in tanti modi, come dimostra il suo modo concreto di lavorare per la salvezza dei giovani.

    I sacramenti

    Tra i diversi mezzi per ottenere la salvezza così concepita venivano elencati anche i sacramenti. Alcuni di questi erano ritenuti di necessità assoluta (come il battesimo per tutti, la confessione per coloro che erano caduti in peccato mortale); altri invece di necessità relativa. Questi sacramenti - definiti come «segni visibili ed efficaci della grazia istituti da Gesù Cristo per la nostra salvezza» - oltre a rendere visibile qualche aspetto della grazia, lo producevano nell'anima (o anche nel corpo: «estrema unzione»). Perciò erano i mezzi per eccellenza per uscire dalla morte-peccato-perdizione per liberarsi dall'inferno (così il battesimo e la confessione), o per conservare e aumentare la vita-grazia-salvezza e quindi per andare in cielo (gli altri sacramenti). Tra le caratteristiche del modo in cui erano vissuti questi mezzi di salvezza, alcune sono più facilmente rilevabili: forte accentuazione individualistica, dovuta all'attenuazione o addirittura alla mancanza del senso comunitario; tendenza alla cosificazione, dovuta ad una concezione sostanzialista dei sacramenti stessi, i quali venivano «amministrati» e «ricevuti» come si fa con le cose; rischio di magia, dovuto all'insistenza fatta, in base alla dottrina del Concilio di Trento, sull'ex opere operato, ossia sull'efficacia, anche a prescindere dalle disposizioni dei partecipanti, dell'operato in certi aspetti dai sacramenti.

    L'Eucaristia

    Il sacramento che nella Chiesa viene chiamato «Cena del Signore» o «Eucaristia» ai tempi di D. Bosco era visto soprattutto o come la comunione personale con il Corpo .e il Sangue di Cristo fatta durante la messa o fuori di essa, oppure come «il Ss.mo Sacramento dell'altare» (il «Ss.mo e divinissimo sacramento»), ossia come l'ostia consacrata conservata nel tabernacolo principalmente per il culto di adorazione (quarant'ore, processioni, visite...). La messa, considerata come rinnovamento sacramentale del sacrificio di Cristo sulla croce per la redenzione degli uomini, era finalizzata prioritariamente a consacrare l'ostia che sarebbe poi stata sia cibo dell'anima sia oggetto di adorazione (qualche volta quest'ultimo scopo prendeva il sopravvento sul primo). La comunione eucaristica era considerata come uno dei mezzi principali per conservare e aumentare la grazia, dato il contatto perfino fisico che essa procurava con Colui che ne è la fonte (di minore efficacia era ritenuta la «comunione spirituale», benché molto raccomandata agli effetti di una crescita nella grazia); l'adorazione dell'ostia santa costituiva un altro mezzo importante a questo scopo.

    La confessione

    La confessione - questo era il nome che gli si dava comunemente - era considerata come il sacramento del perdono dei peccati, concesso mediante l'assoluzione da chi ne aveva il potere nel nome di Dio, e cioè i sacerdoti. Per influsso delle decisioni del Concilio di Trento questo sacramento veniva celebrato a modo di processo giudiziale, con le caratteristiche che gli sono proprie e anche con le conseguenze che ne derivavano. Tra l'altro, veniva data in esso un'importanza centrale all'atto della confessione dei peccati, sulla cui integrità si chiamava insistentemente l'attenzione. La confessione era ritenuta assolutamente necessaria per coloro che avevano perduto la grazia con il peccato mortale, e molto raccomandabile per chi voleva evitare tale perdita e desiderava crescere nella grazia (confessione frequente; periodicamente prescritta per alcune categorie). Spesso era diventata occasione di ciò che chiamiamo «direzione spirituale», e in questo senso un mezzo importante di «educazione delle coscienze». Finendo questa succinta descrizione è importante rilevare che, malgrado i limiti oggettivi che noi oggi riscontriamo in queste concezioni e in queste pratiche di vita sacramentale, molti giovani, guidati da D. Bosco, trovarono in essi la fonte della propria vita evangelica e perfino della santità (per esempio Domenico Savio, Michele Magone e tanti altri).

    ATTUALMENTE

    La maniera di pensare i sacramenti e anche la loro pratica, in modo particolare dell'Eucaristia e della Penitenza o Riconciliazione, hanno subito dei profondi cambiamenti come conseguenza del rinnovamento generale avvenuto in questi ultimi decenni, rinnovamento in buona parte assimilato e rilanciato dal Vaticano II. Le nuove situazioni socio-culturali hanno avuto un peso notevole in questo processo.

    I sacramenti in genere

    Oggi i sacramenti sono visti come celebrazioni ecclesiali della salvezza. Ciò implica tra l'altro un cambiamento nel modo di concepire la salvezza e di quanto con essa si collega.

    La salvezza

    Per definire la salvezza cristiana si parte attualmente dalla sua concezione biblica che la vede come passaggio da Morte a Vita (esodo, Pasqua), e la si cala poi nelle sensibilità culturali prevalenti. In una linea di sensibilità esistenziale-personalistica, quella che prevale nel mondo sviluppato e ricco, Morte e Vita hanno a che fare con il senso e il non-senso dell'esistenza, i quali a loro volta si ricollegano con la comunione interpersonale con Dio e con gli altri. In concreto, salvezza è sinonimo di vittoria sul non-senso e sulla non-comunione (Morte, peccato, inferno), vittoria che acquisterà consistenza definitiva nel futuro escatologico (cielo), ma che ha già consistenza vera, anche se parziale e provvisoria, nel presente. Come conseguenza di questa ricomprensione la salvezza acquista nuove caratteristiche: è una salvezza integrale, nel senso che interessa l'uomo tutt'intero, in tutte le sue componenti e dimensioni; è una salvezza accentuatamente intramondana, in quanto si realizza già qui, nel aldiqua, pur tenendo alla realizzazione piena dell'aldilà; è una salvezza comunitaria, poiché riguarda i rapporti che vincolano gli esseri umani tra di loro ad ogni livello; è una salvezza che ha uno stretto rapporto con la storia, ossia con tutto ciò che succede nel mondo.

    I sacramenti

    Di questa salvezza i sacramenti sono celebrazioni ecclesiali. Sono celebrazioni, anzitutto, e quindi azioni (non cose, anche se si servono di cose) mirate a festeggiare (e dunque a fare in modo comunitario e in qualche misura rituale) ciò che è comune e quotidiano: la vita di fede e di salvezza vissuta dai credenti in Gesù Cristo. I sacramenti sono in continuità pertanto con la vita quotidiana, ma anche in discontinuità con essa, proprio perché sono momenti festivi e la festa è sempre «altra» dalla quotidianità. Sono celebrazioni ecclesiali, in secondo luogo: i sacramenti hanno sempre un carattere comunitario, e di per sé è sempre la comunità intera dei credenti il soggetto che li celebra, una comunità in cui esiste una pluralità di ruoli e di servizi, e nella quale ognuno partecipa a partire dalla condizione ecclesiale in cui si trova, come ribadisce più di una volta la costituzione sulla liturgia Sacrosanctum Concilium. Sono, infine, celebrazioni ecclesiali della salvezza. Una salvezza intesa come è stato detto sopra, ossia come trionfo della Vita sulla Morte quale dono amoroso e gratuito del Dio della Vita mediante il suo Figlio e nello Spirito Santo. Le molte sfaccettature di questa salvezza sono oggetto di celebrazioni diversificate. Ciò spiega il fatto che nella Chiesa esistano diversi sacramenti e non uno solo: battesimo, cresima, eucaristia, penitenza, unzione degli ammalati, ordine e matrimonio.

    L'Eucaristia

    L'Eucaristia o Cena del Signore è pensata anzitutto come azione dell'intera comunità ecclesiale, anzi come l'azione ecclesiale per eccellenza, il centro, la fonte e il culmine delle sue celebrazioni. In essa si celebra la salvezza stessa come comunione con Dio e con gli altri fratelli e sorelle alla presenza di Cristo risorto. Perciò è indispensabile che ci sia continuità tra la celebrazione eucaristica e la vita di comunione nel quotidiano. Celebrare l'Eucaristia senza che ci sia amore fraterno tra i suoi partecipanti è, come dice S. Tommaso, «commettere una falsità». L'Eucaristia ricorda e rende presente simbolicamente (nel senso forte della parola) la Cena del Signore, e perciò viene celebrata a modo di banchetto rituale. È questo il suo modo connaturale di celebrazione, e ciò si dovrebbe rendere trasparente attraverso le cose, i gesti, le parole e le azioni che si compiono in essa. Il suo carattere di sacrificio è interpretato oggi alla luce della sua natura comunionale: la croce e la morte ai Gesù come donazione per amore sono la massima espressione di comunione con Dio e con gli altri...; le croci e le morti dell'amore nel quotidiano sono sacrifici spirituali che vengono poi celebrati nell'Eucaristia, come dice LG 34b). Dall'azione eucaristica si preleva anche il pane eucaristico che, riposto nel tabernacolo, oltre a servire per rendere possibile la comunione agli ammalati, come si faceva già nell'antichità, viene fatto oggetto di preghiera, meditazione, adorazione.

    La Penitenza o Riconciliazione

    Attualmente si tende a pensarla e viverla come celebrazione ecclesiale del trionfo sul peccato (personale, sociale), visto come rottura di comunione con Dio e con gli altri, rifiuto del dono del suo amore gratuito e generoso. Non è più quindi la «confessione» dei peccati ciò che la caratterizza principalmente, ma appunto la penitenza o conversione (volontà di cambio di vita), o la riconciliazione con Dio e con i fratelli. Si insiste su due aspetti di questa celebrazione: - la comunitarietà, nel senso che dovrebbe essere fatta nella e dalla comunità radunata (il che non elimina il momento personale); - l'importanza del far risuonare in essa la Parola di Dio che chiama a conversione e offre gratuitamente il perdono e la riconciliazione. Si tende a separarla dalla «direzione spirituale» affinché tanto questa quanto il sacramento come celebrazione conservino la loro propria identità ed efficacia.



    NOTA

    1) P. Stella, Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. II. Mentalità religiosa e spiritualità, Roma, LAS '1981, pp. 101-107 [Gesù nell'Eucaristia]; 310-319 [La confessione]; 319-326 [La comunione frequente].


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