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    La guerra nascosta


    (NPG 1994-02-48)

     

    I bambini picchiati, umiliati, tormentati, che non siano mai stati aiutati da un testimone consapevole, sviluppano in seguito una sindrome dalle gravi conseguenze: non conoscono i loro autentici sentimenti, li temono come la peste e sono quindi incapaci - anche quando siano dotati di intelligenza spiccata - di cogliere connessioni fondamentali per l'esistenza. Divenuti adulti, ritorcono la crudeltà subita in passato su esseri innocenti, senza rendersene conto (e senza assumersene la responsabilità), al punto da definirla - come un tempo avevano già fatto i loro genitori - un modo per «liberarli». Ne risulta un comportamento d'una irresponsabilità estrema al quale varie ideologie, complice una infinita ipocrisia, attribuiscono un'apparente legittimità. Le conseguenze dirette sono azioni distruttive, ostili alla vita e sprezzanti dell'umanità, che minacciano il nostro pianeta: e questo proprio in un'epoca di alto sviluppo tecnologico.

    Scacciare il demonio

    «Noi non vorremmo picchiarti, ma dobbiamo farlo, per liberarti a suon di botte dal male che è in te e col quale sei venuto al mondo»: in questi termini, più o meno, i genitori pensavano - e parlavano ai loro figli - ai tempi di Lutero. Lutero sosteneva che è un dovere dei genitori liberare i figli dal demonio e renderli pii con questi sistemi. I genitori ci credevano, ma non sapevano che Martin Lutero - da bambino era stato punito dalla madre con spietata severità - accreditava questa forma d'educazione per conservarsi l'immagine d'una madre buona e amorevole che si era creato con l'aiuto della rimozione. Gli credevano e non sapevano di conseguenza che, anziché scacciare il «demonio», diffondevano con le loro botte il «seme del male» in un individuo originariamente del tutto innocente. Quanto più violente, cieche e insistite le botte, tanto più cattivo diventava il bambino, e tanto più distruttivo e perfido poteva diventare l'adulto nel momento in cui il seme fosse germogliato e fosse venuto il suo turno di vendicarsi con ipocrisia delle sofferenze patite...
    Ogni essere umano viene al mondo senza intenti malvagi, con il forte, evidente, non equivoco bisogno di conservare la sua vita, di poter amare ed essere amato. E quando il bambino è confrontato non con l'amore e con la verità, ma con l'odio e la menzogna, quando lo picchiano anziché proteggerlo, dovrebbe poter insorgere, gridare e sfuriarsi per difendersi dall'idiozia e dalla malvagità. La sua sarebbe una sana, naturale reazione agli attentati devastatori degli adulti. Sarebbe una protesta che gli preserverebbe la salute psichica, la dignità, la sicurezza, il valore che attribuisce a se stesso, l'integrità, la consapevolezza, il senso della responsabilità. Invece non si permette al bambino picchiato, disprezzato, maltrattato di difendersi. Gli si bloccano tutte le vie predisposte dalla natura per conservare l'integrità dell'essere umano: se si ribella, rischia anche di essere soppresso. Inoltre il suo organismo incompleto, alle prese con la fase della crescita, non è ancora nella condizione di poter fronteggiare queste emozioni travolgenti. Il bambino deve dunque (nella maggior parte dei casi) rimuovere il ricordo del trauma subito e (in tutti i casi) i sentimenti fortissimi ma indesiderati che seguirebbero normalmente a una lesione: l'ira micidiale, la voglia di rifarsi e la sensazione di essere minacciato dal mondo intero. È abbastanza ovvio che nell'inconscio di questo bambino si formi e si rafforzi quindi il desiderio di distruggere un giorno questo mondo, per poter finalmente vivere...
    La produzione di armi, il commercio di armi e infine la guerra sono a loro volta ambiti ideali per sfogare l'ira micidiale un tempo rimossa, mai consapevolmente esperita e però immagazzinata nell'organismo. Tuttavia quest'ira è sfogata su persone che non l'hanno causata, mentre coloro che l'hanno davvero innescata ne sono risparmiati grazie alla totale rimozione dei fatti accaduti e alla loro idealizzazione.
    Quel che al bambino era vietato, nella guerra è permesso. Basta l'immagine d'un nemico per incanalare lungo binari consentiti l'odio accumulato per decenni, la furia distruttrice incontrollata, sconfinata e cieca del piccolo bambino, che non si è potuta mai correggere né controllare perché mai esperita: e questo senza che occorra nemmeno far affiorare questi sentimenti a livello di consapevolezza. È stato chiesto, per esempio, a un pilota statunitense impegnato nella guerra del Golfo cosa provava rientrando dai bombardamenti. Soddisfazione per aver svolto bene il suo lavoro, è stata la risposta. «E nient'altro?» ha insistito il giornalista. «E che cos'altro dovevo provare?» ha a sua volta domandato il soldato.
    Se quest'uomo fosse stato messo nella condizione di vivere le sue emozioni, se i suoi sentimenti non fossero stati da tempo ibernati, sarebbe stato capace di condividere a livello emotivo la paura, l'impotenza e la rabbia della popolazione bombardata, e avrebbe forse avvertito in quest modo la sua stessa passata impotenza di bambino, esposto senza difesa a botte cieche e rabbiose. Allora avrebbe forse anche potuto cogliere la connessione fra le umiliazioni precocemente patite e l'odierna soddisfazione di poter minacciare altri con le bombe e di non essere più una vittima inerme. Allora però non sarebbe più un soldato ideale e, da individuo consapevole, potrebbe aiutare gli altri a smascherare il meccanismo della follia di cui sono oggi le inconsapevoli rotelline. Potrebbe contribuire, con altri, a impedire guerre future. Guerre che sono purtroppo accettate perché esistono innumerevoli individui per i quali la vita - la vita - la propria esattamente come l'altrui — è senza valore, spregevole; individui che hanno imparato solo a distruggere la vita e a essere distrutti dagli altri. Sono persone che non sono mai state in grado di coltivare il loro amore per la vita, perché non ne hanno avuta alcuna occasione.

    Precoci sofferenze

    Se non vogliamo diventare loro vittime, non possiamo fare altro che renderci conto che quest'odio è più forte di tutte le armi inmmaginabili. E dobbiamo finalmente capire che quest'odio può essere dissolto, e come lo si può dissolvere. Quel che oggi sperimentiamo è la conseguenza della rimozione delle nostre precoci sofferenze, della dissociazione delle emozioni e della conseguente cecità di fronte a connessioni fondamentali.
    Tutto questo risulta evidente guardando alla produzione di gas tossici. «Noi volevamo la guerra? Ma quando mai!». Le imprese tedesche volevano solo guadagnare tanti soldi quando producevano e vendevano i gas tossici. E questo non è forse legittimo?
    È anche legittimo non provare alcuna emozione e non figurarsi nulla nel produrre e vendere i gas. Sono i computer che vi provvedono. Eichmann lo faceva perfino senza computer. Lui aveva a che fare soltanto con dei numeri: non con esseri umani, non con occhi, mani e cuori di esseri umani. E il governo? Voleva forse che nel paese si producessero i gas tossici? Non gli importava affatto. Gli importava solo che ci siano dei buoni contribuenti; e anche questo è legittimo: giusto? E non c'era nessuno che pensasse che quelli erano gas che servivano per uccidere degli esseri umani? No, non c'era nessun funzionario «competente», a occuparsi d'una simile considerazione. Ciascuno bada al suo settore di competenza, e un ufficio per le considerazioni inutili non esiste. E il belga professor Aubin Hendrickx, docente di chimica, non ha forse informato l'Onu e diversi governi di questo mortale pericolo? Perché nessuno gli ha dato retta?
    I giovani di oggi continuano a porre, sbalorditi, queste domande, e ottengono sempre le stesse risposte. Io non lo sapevo, non era questione di mia competenza, la responsabilità non è mia, mi hanno dato solo delle direttive. Tornano alla mente, con angosciante somiglianza, le risposte del dopoguerra. Cinquant'anni fa degli esseri umani sterminarono popoli interi coi gas tossici e la definivano una «soluzione pulita» perché morivano a milioni senza spargimento di sangue. I figli che non hanno mai avuto il coraggio di guardare in faccia i delitti dei padri, partecipano ora alla possibile ripetizione di quegli stessi delitti, perché non li hanno, in fondo, mai messi autenticamente in discussione. Se lo avessero fatto, sarebbero divenuti consapevoli di quanto questi delitti furono spregevoli, e non sarebbero in nessun caso capaci di commetterli anche loro...
    Per nascondere a se stessi la storia di ricordi dolorosi che sono stati loro spacciati come dimostrazioni di amore, ci sono uomini che vanno alla ricerca di prostitute, le pagano per essere frustati e si persuadono - come un tempo ne erano similmente persuasi i loro genitori - di godere di questa tragica situazione (la perdita della dignità e dell'orientamento interiore). Per rimuovere definitivamente nell'ombra dell'oblio gli abusi sessuali subiti dal proprio padre, ci sono donne che diventano prostitute e consentono che le si degradi ancora, coltivando l'antica illusione che la fungibilità e la manipolarità del partner possa conferire chissà che potere, il lucroso affare del sado-masochismo, i numerosi club di flagellanti, con le loro estese reti di propaganda e di inserzioni pubblicitarie, vivono solo di questo bruciante desiderio di esseri umani, uomini e donne, di seppellire finalmente e definitivamente la storia delle loro infanzie con l'aiuto di nuovi, attuali scenari, ma assai simili a quelli di allora. Ma questo è un conto che non torna mai, e ci si sente spinti a cercare sempre nuovi espedienti pur di non doversi confrontare con la propria infanzia. L'alcool e il consumo della droga si offrono come rimedi che spesso si pagano assai cari.

    Addestrati alla tortura

    Le guerre, invece, ci forniscono gratis - anche se alla lunga non senza oneri - un poderoso scenario di questo tipo. Offrono la grande occasione di liberarci della pressione emozionale accumulata fin dall'infanzia, sfogandola nella distruzione cieca e nel farsi distruggere. Recentemente s'è visto in televisione un reparto scelto dell'esercito statunitense che era addestrato ad affrontare varie forme di tortura durante la prigionia. Quest'allenamento brutale ricordava le azioni del dottor Schreber, che praticava le torture e le raccomandava al mondo intero, sostenendo che servivano solo a temprare i suoi figli, ed erano quindi inflitte per il loro «bene». Le vittime non s'accorgevano che quell'uomo - esattamente come gli ufficiali di quel reparto scelto - non faceva altro che appagare il proprio sadismo. Di quel reparto, va aggiunto, facevano parte anche delle donne, ed erano tutte volontarie.
    Ma una volta che si sappia (come hanno dimostrato specifiche ricerche) dell'infanzia dei «berretti verdi», e cioè che tutti i volontari della guerra del Vietnam erano stati da bambini brutalmente educati all'obbedienza cieca, proprio come i criminali nazisti, non è nemmeno più necessario chiedersi perché degli esseri umani consentano spontaneamente di essere così assurdamente torturati. Basta dir loro - come dicevano loro durante l'infanzia - che è un modo per preservarli da futuri guai, insegnando loro per tempo a essere duri e insensibili e a conservare il «sangue freddo»...
    Se si vuole che il nostro pianeta sopravviva, non c'è alternativa alla verità, ovvero al confronto con la nostra storia personale e collettiva. Solo la conoscenza di questa storia può preservarci dalla totale autodistruzione.

    (Alice Miller, Repubblica, 22 febbraio 1991)


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