Pastorale Giovanile

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    La passione adolescenziale /2



    Adolescenti che sanno star bene /5

    Amore e sessualità nei nuovi adolescenti

    Domenico Cravero

    (NPG 2006-07-47)


    Il primato dell’affetto

    Nell’epoca dell’individualismo il terreno più esposto alla soggettività è, in modo evidente e diffuso, l’etica della vita e della sessualità. Il nucleo delle società tradizionali era stato il valore della fedeltà all’interno della famiglia, la sottomissione dell’individuo al bene della comunità. Oggi l’elemento irrinunciabile pare essere la soggettività, l’autonomia illimitata del desiderio individuale, il trionfo del singolo sulla collettività. Le scelte sessuali sono considerate irrilevanti dal punto di vista morale ed entrano nel dominio dei gusti personali, sono guidate dalle stesse norme e valori che regolano le relazioni. La sessualità diventa un modo di esprimersi, uno strumento di comunicazione, una prestazione dalla quale ci si attende molto dal punto di vista della soddisfazione, della realizzazione di sé, del prestigio. È fruizione del piacere fisico e rassicurazione affettiva più che dono di sé, in una pluralità, teoricamente inesauribile ed indefinita, di forme e di occasioni. Così appare ad una considerazione immediata della comunicazione sociale a proposito della sessualità.
    In realtà, pur nello scombussolamento dell’etica sessuale, nonostante il dominante linguaggio tecnicistico che relega l’educazione sessuale alla volgarizzazione di informazioni e pratiche funzionali, malgrado la banalizzazione della cultura materiale che trasforma in industria e mercato anche le emozioni e i sentimenti, la sessualità continua ad essere fondamentalmente una domanda d’amore (il quale altro non è che il modo più inclusivo di intendere la generatività umana). Non esiste sentimento capace più dell’amore di risvegliare la sensazione dell’essere, la gioia dell’esistere. Nessuna logica ha, oggi, la forza di convinzione quanto la relazione affettiva. Non è dunque possibile dissolvere del tutto il mistero della sessualità, eliminarne il suo intimo turbamento. La sessualità rimane, almeno nelle attese più segrete, il più potente linguaggio della personificazione. Che la sessualità resiste alla sua banalizzazione ne è testimone la stessa pubblicità che vi attinge senza pudore, ben consapevole del potere della sua seduzione.
    In quanto domanda d’amore l’approccio sessuale, per essere vissuto come benessere ed appagamento, presuppone una provata maturità umana nella relazione dei partner. L’orizzonte etico, il solo che assicura il rispetto e l’autenticità della comunicazione tra persone, rimane quindi un riferimento essenziale dell’esperienza sessuale.
    I comportamenti degli adolescenti, ancora una volta, intercettano, a questo riguardo, i bisogni nuovi e ne fotografano le contraddizioni. La tendenza più diffusa nelle attese degli adolescenti, pur nella estesa crisi della fedeltà della coppia, rimane quella di formare coppie stabili, con una sensibilità particolarmente viva a proposito del tradimento e una certa riscoperta del tema, ben difficile da esprimere culturalmente, della verginità nel periodo che precede la coppia stabile, affettivamente sicura. Uno dei dolori più grandi e insopportabili per l’adolescente, come traspare nelle confidenze intime, nei diari, nei testi musicali, infatti, è il tradimento dell’amore e dell’amicizia.
    La passione adolescente, sia sul suo versante di fragilità e fugacità, che nell’ostinata nostalgia di sentimenti profondi e duraturi, è un’espressione dei nuovi modelli affettivi emergenti. La sessualità si è resa autonoma dai fini procreativi per essere vissuta come dimensione importante della persona e come linguaggio dell’intimità, centrata sulla realizzazione emotiva di entrambi i partner, in condizione di parità. La cultura dell’amore che ne scaturisce rimette tutto e sempre in discussione, in un costante riaggiustamento dei ruoli e delle attese. Lontano dall’essere puro «amore liquido» (secondo la versione pessimista di Bauman) l’amore adolescente è, invece, domanda di continuità, idealizzazione della fedeltà, che pure è costantemente messa alla prova, non nell’irrilevanza del suo valore ma nel tentativo di sperimentare approcci, sentimenti, ed attitudini per sostenere una relazione durevole. L’incertezza e la fragilità non stanno tanto in ciò che ci si attende dall’altro, quanto piuttosto dal non sapere, per certo, ciò che riguarda se stessi, in una socializzazione che non ha più ruoli e non pratica regole.
    Gli adolescenti sono, però, disponibili a comprendere la sessualità nell’orizzonte complessivo nel rapporto con se stessi e con l’altro: un orizzonte che include l’espressività del corpo, il valore della cura e dell’immagine di sé, ma anche l’ammissione dell’immaturità affettiva e il riconoscimento del rispetto dovuto all’altro. In contrasto con la banalizzazione della sessualità nella cultura ambiente, gli adolescenti sono sensibili al sentimento della riservatezza e del pudore per tutto ciò che riguarda l’intimità. Il parlare della sessualità per buona parte di loro rimane imbarazzante. Disinvoltura e disinformazione, ostentata libertà e dubbi inconfessabili, sfacciataggine e timidezza sono le due facce di un rapporto con la sessualità che resta problematico anche quando apparentemente tutto è esplicito e disinibito.
    L’etica sessuale, però, per essere accettata dalla sensibilità del tempo attuale, deve restituire il primato alla comunicazione degli affetti e dei sentimenti e riconoscere l’interiorità emozionale come il luogo costitutivo della persona. La felicità dell’esistere come valore per se stesso, la tonalità emotiva dell’esperienza, la fantasia creativa, gli interrogativi di senso e la socialità reclamano sia una legittimazione sia una comprensione nuove. Anche in questo modo si ricostruisce il linguaggio dell’umano, impoverito dalla cultura materiale.
    L’emozione è la gradazione affettiva con cui le persone sono presenti con il loro corpo nelle relazioni, il loro personale modo di «stare al mondo», qui e adesso. La sessualità è il luogo in cui l’emozione raggiunge il culmine dell’intensità. Il corpo vibra e si modifica cambiando secondo la relazione che si stabilisce con l’altro. Non è sufficiente proporre il controllo delle emozioni (molte malattie psicosomatiche sono, anzi, la loro cattiva disciplina); occorre saperle vivere. La vita emotiva degli adolescenti comporta una cura costante e meticolosa, proprio nell’arco dell’età evolutiva in cui essi appaiono agli adulti scostanti e intrattabili. Il difficile equilibrio del corpo nuovo comporta per gli adolescenti un difficile lavoro di «mentalizzazione» (accettare e darsi conto di cambiamenti così complessi) senza il quale si rischia il rifiuto inconscio del corpo sessuato, nel tentativo di ignorarlo, ripudiarlo o di sentirlo diverso da come si vorrebbe, e il concomitante sentimento di passività di fronte alle sue nuove esigenze. Il contatto profondo con il corpo trasformato richiede un’armonica composizione, che si genera nella riflessione, dello sdoppiamento tra mente e corpo. Questa dissociazione, che produce malessere e disagio, è causata dalla diversa velocità con cui le due realtà si impongono. È difficile per un adulto immaginare, nel percorso di alcuni adolescenti, quale dramma e sofferenza la timidezza, l’isolamento, il ripiegamento su sé mascherino o sospettare la vastità dell’angoscia che può spingere l’adolescente a isolarsi dal mondo e a sentirsi, a tratti con drammatica lucidità, inadatto ed anormale.
    Nei loro linguaggi cifrati, con i loro comportamenti provocatori, in numerosi atteggiamenti paradossali o contraddittori, gli adolescenti pongono agli adulti, particolarmente ai genitori, agli educatori e agli insegnanti, continue domande d’amore. Ogni educatore oggi sa che la formazione passa solo attraverso l’affettività, la partecipazione attiva, il coinvolgimento personale più che la sua professionalità.

    I riti della speranza

    Le emozioni possono diventare il sapore della vita, attraverso la parola che le esprime e il simbolo che le rappresenta, come insegna tutta la storia della cultura e dell’arte. Riconoscendo la propria emozione, la persona si distacca dalla pressione dell’adeguamento agli standard collettivi, si sottrae alla società del controllo, si allontana dal frastuono dell’esteriorità, si libera dal parlare il «già parlato» di altri. Nell’Io – Tu dello scambio interpersonale esprime la sua unicità.
    Le emozioni, quando trovano spazio nella parola, diventano «sentimento»; quando innervano la vita concreta, si trasformano in «vissuto».
    L’oratorio diventa parte della vita dell’adolescente solo se sa essere «casa dei sentimenti»: spazio e tempo in cui s’impara a riconoscere, esprimere e celebrare l’ampio ventaglio delle emozioni positive e negative. La comunicazione dei sentimenti presuppone la capacità di mettersi in gioco attraverso il corpo, il gesto, l’espressione, la musica, le forme e i colori per esprimere le emozioni, i vissuti, i pensieri.
    Oggi dell’antica festa del passaggio all’età adulta, rimangono le prove (per esempio quelle scolastiche) ma non esistono più le ritualità. La vita comunitaria, che un tempo era molto articolata e conosceva un fitto repertorio di usanze, costumi, feste e appuntamenti, oggi si è frantumata e impoverita, nella nuova prospettiva individualistica vincente e nella crisi dei legami familiari e amicali. I rituali e le cerimonie sociali nei grandi eventi della vita (nascita, morte, matrimoni) non costituiscono più motivo di pubbliche manifestazioni di vivacità e sono finiti nel controllo del mercato che li ha standardizzati e uniformati. Solo ai bambini è permessa la spontaneità nelle esibizioni pubbliche. La manifestazione delle grandi paure e delle grandi gioie, l’espressione dei grandi odi e dei grandi amori, sono sempre più relegate negli spazi privati. Diventano spettacoli consumati individualisticamente nella massa. Si limitano alla conversazione interpersonale, quando non sono trattate da professionisti a pagamento (animatori e intrattenitori). La mancanza di ritualità, che la desertificazione dei legami ha ridotto a pratiche commerciali, non risparmia, però, l’angoscia della prova. Apparentemente la nasconde, in realtà l’amplifica, perché lascia i singoli in balia di se stessi, soli nell’elaborazione del loro cambiamento. L’«iniziazione» oggi non è più celebrata da riti d’accoglienza e di appartenenza ma è sostituita dall’adeguamento alle mode.
    Le società complesse contemporanee hanno bisogno di riti di speranza, così come gli adolescenti hanno bisogno di ideali e di passioni. In mancanza di riferimenti esterni, di norme e di riti, il fondamento delle certezze si sposta dal collettivo all’individuale, con pesante sovraccarico della condizione del singolo. Così l’adolescente spesso dubita del proprio valore, della propria normalità, a volte degli affetti più solidi che ha intorno. Quando la società non offre più barriere di sicurezza né riti che permettono di raccontare pubblicamente la svolta dell’età, l’adolescente può impiegare molto tempo per trovare il suo nuovo ruolo nel mondo degli adulti. Senza la fiducia nel futuro non è possibile alcun progetto, perché l’azione che si protrae nel tempo, prima di essere programmata, ha bisogno di essere creduta possibile. Le libertà concesse e di cui i ragazzi usufruiscono a piene mani, lasciano, per questo, spesso un frustrante senso di disagio, frutto anche della sensazione di essere come privati della possibilità di contraddire, di conquistare, di scegliere liberamente, di provare a crescere in autonomia e, soprattutto, di non aver modo di dimostrare di possedere una volontà autonoma.
    Dentro la possibilità indiscriminata di consumo delle esperienze e delle emozioni si annida la perdita di un’esperienza umana fondamentale: la capacità di riconoscersi come persone, che proprio il limite rende diverse le une dalle altre. Si tratta di incontrare e ammettere quelle esperienze umane che fanno scoprire di non essere onnipotenti, di avere dell’altro un bisogno non funzionale ma costitutivo. La passione d’amore è una di queste. La passione è perturbante per la solitudine in cui fa precipitare gli amanti, infliggendo loro una dolorosa ferita, un taglio sul vivo (sexus significa tagliato), perché il desiderio rende esplicito lo sconfinato bisogno che si prova dell’altro. È una ferita piacevole perché curata dall’ebbrezza irresistibile dell’amare e dell’essere amati.
    Senza regole e riti la passione, però, spaventa e fa male. Forse per questo l’amore adolescenziale sembra oggi meno appassionato. Le chiamano «storie», cose che si consumano e si alternano veloci: una fuga dall’amore che non risparmia la solitudine ma non ne offre il rimedio.
    Gli adolescenti di oggi, in aperto contrasto con la caduta delle ritualità, vivono in un orizzonte simbolico, cosmopolita e inesauribile di immagini, musiche e parole.
    L’immaginario del corpo nuovo non ha, invece, spazi esperienziali per accompagnare la libertà dell’adolescente ad evolvere nella direzione dell’assunzione consapevole dell’interdipendenza come base delle relazioni e degli scambi, nella più ampia società.
    Se l’oratorio è la «casa dei sentimenti», perché non inventare e celebrare con gli adolescenti e gli adulti della comunità, riti di speranza, proprio a partire dall’esperienza misteriosa e fascinosa dell’amore e della sessualità? Perché non contrastarne la banalizzazione e la desertificazione che avanza? Perché non celebrare con appositi riti e liturgie il tempo del fidanzamento? Perché non proporre riti di accoglienza delle nuove coppie?
    È vero che oggi gli adolescenti non danno ai gesti lo stesso significato degli adulti: sono cambiati le forme del corteggiamento e si usano termini nuovi e inediti. Vocaboli come matrimonio, fidanzamento sembrano appartenere ad un’epoca lontana. Possiamo, però, essere davvero sicuri che a cambiare sia stato l’amore e non la capacità di esprimerlo, di crederlo ancora possibile? Perché oltre alla cura e alla pratica dei legami non ci opponiamo all’ideologia dell’individualismo con il linguaggio che più ci appartiene, quello della ritualità e della celebrazione?
    La speranza prende consistenza quando si sperimenta nell’oggi il cambiamento possibile. Le più forti motivazioni all’azione, infatti, provengono dall’avere fiducia, non dal dimostrare. Avere fiducia è un’espressione del legame d’affetto; la pianificazione, invece, un pensiero solitario. A questa fiducia servono i riti, che se sono autentici sono linguaggi dell’affettività.
    Non si tratta di aspetti secondari per il benessere e l’equilibrio delle persone.
    I giovani di oggi, privati di regole e ostacoli, senza riti di separazione e di accoglienza, impiegano più tempo e fatica a «mentalizzare» il loro corpo sessuato, fin anche a vergognarsene e a dubitare della loro identità di genere. Condivido l’affermazione di B. Cyrulnik (Il coraggio di crescere, Frassinelli 2004, p. 210): «Quando un ragazzo elabora un progetto esistenziale dove la sessualità riveste un posto importante, non ha bisogno di mettersi in scena come eroe maleficamente tragico». La pastorale giovanile ha la responsabilità e possiede gli strumenti per fare della sessualità un progetto importante, anzi il più grande, perché riguarda l’amore.

    I genitori che non si danno per vinti

    L’amore e l’intimità che lo svela, non sono più beni sicuri, non possono più darsi per scontati, diventano domande esplicite che attendono rassicurazione. Anche in famiglia l’amore assume spesso il dubbio dell’ansia: «avrò fatto tutto il possibile?», «sarò un buon genitore?», «Gli altri fanno più di me?». Il primato dell’affetto poggia su fragili basi: nelle società dell’abbondanza e del consumo le persone cercano fondamentalmente se stesse e sono poco disponibili a sacrificarsi per gli altri. Nella cultura dell’individualismo etico i legami, mortificati, diventano fragili e incerti.
    La ricerca psicopedagogica ha riconosciuto che i genitori autorevoli agiscono come fattore di protezione dei figli, mentre quelli autoritari o permissivi come fattori di rischio. È stato individuato anche il principio dell’autorevolezza: «massima cura e minimo controllo».
    Il controllo è una forma di supervisione oppressiva e fondamentalmente spersonalizzante. È la conseguenza della possessività e dell’ansia degli adulti. La cura è data dall’ascolto, dalla comunicazione, dalla negoziazione delle regole. È cura l’attenzione e l’interesse verso ciò che il figlio fa, senza che questo si risolva nell’inibizione della sua autonomia.
    Le relazioni familiari costituiscono l’ambito più importante in cui i figli crescono nelle loro capacità di gestire le relazioni, le emozioni e nella competenza di affrontare e risolvere i problemi (i compiti di sviluppo). Le relazioni conflittuali si combinano invece spesso con il ricorso a pratiche educative rigide (alto controllo, bassa cura).
    La cura affonda le sue radici nel «dialogo emozionale», nella competenza e nella consapevolezza della comunicazione dei sentimenti nella vita di coppia e nel rapporto con i figli. Per trovare le parole giuste dell’educazione affettiva e sessuale e restituire alla sessualità il linguaggio dell’umano (in contrasto alla banalizzazione del sesso), i genitori debbono riconoscere la loro interiorità come il luogo originario in cui trovare le parole adatte per la comunicazione degli affetti, per l’espressione del loro vissuto.
    Non solo la psicologia ma anche la pedagogia e l’educazione hanno scelto, invece, un linguaggio che parla della persona in forma tecnologica e oggettivante, in nome di una scienza che non sa e non intende distinguere la persona umana dal resto delle cose: l’umanità (la sessualità) è trattata alla stregua della materialità. La persona non appare più come valore; non sembra, a volte, neanche indispensabile.
    Il primo obiettivo di un lavoro con i genitori consiste nel riappropriarsi del linguaggio dell’umano: imparare a dare parola alla comunicazione degli affetti, non disgiungere la sessualità dall’amore, considerare le persone per il valore che esse hanno e non per l’immagine (o il corpo, o gli organi) che presentano.
    Il primo e più grave errore delle famiglie di oggi consiste in un lento e inavvertito scivolamento verso una concezione dell’educazione come adeguamento agli standard sociali. Fin da piccoli si sperimenta un’ansia di prestazione, uno stress da performance che soffoca il gioco, riduce gli spazi, accelera e tiranneggia il tempo. Si parla tanto (così si pensa), ci si dice tutto e si rimane sconosciuti. Lo stare insieme fine a se stesso è diventato raro: verso i piccoli l’educazione è scambiata con l’ossessione dell’accudimento. Per i più grandi è confusa con l’apprendimento: fare tante cose divertenti e interessanti; riempire le giornate di ogni sorta di attività. La pressione dell’adeguamento commerciale passa attraverso l’insistenza dei figli (l’«arte» del brontolare in continuazione). Questo comportamento ha successo perché gli adulti non sono in grado di gestire le dinamiche emozionali all’interno della famiglia e anche quelle che risultano dal continuo confronto che i figli fanno con i loro amici e le loro famiglie.
    Il nodo del malessere non sta nel mutamento dell’adolescenza dei figli, ma nello svuotamento di ruolo della famiglia che, in molti casi, ha abdicato al suo ruolo. Molti genitori, che giustamente si sono posti in alternativa all’autoritarismo del passato, hanno interpretato il rapporto familiare in termini di uguaglianza e di complicità, delimitando la familiarità e la confidenza agli argomenti non problematici. Il conflitto generazionale sembra così diluirsi ma, all’apparente accordo, non corrisponde l’armonia della crescita ma l’accentuarsi dell’insicurezza, che gli adulti tendono a interpretare più come fragilità esistenziale (inventando la categoria del disagio) delle nuove generazioni che come fallimento dell’educazione.
    Il silenzio che si crea in famiglia comporta, in realtà, una grave perdita: l’impossibilità di consegnare ai figli il patrimonio di una preziosa esperienza di vita, accumulata dai genitori, che si perde nell’incomprensione e nella delusione. Gli adolescenti sfuggono, è vero, il confronto critico con gli adulti, i quali, però, non sempre si sentono preparati a sostenerlo, soprattutto in quelle aree dove il consenso è più incerto, come il fatto religioso, la visione della società, l’etica sessuale.
    Il rimprovero che spesso i figli rivolgono ai genitori riguarda la loro incoerenza, proprio come l’attuale generazione di padri e madri contestava al passato modello di famiglia. Gli adulti sono i primi a non avere più il senso del tempo, ad ostentare un giovanilismo di tendenza e di consumo, a vivere come se il futuro non esistesse, a investire tempo, passione e interesse prevalentemente per le cose materiali. L’esempio che l’attuale generazione di adulti dà della maturità affettiva e della fedeltà non è certo edificante.
    Al figlio adolescente non serve offrire solo consigli e raccomandazioni. Occorre dare anche strumenti simbolici con i quali comprendere e attribuire significato ai vissuti emozionali. Essere adulti in casa significa sentire il dovere non soltanto di accudire i figli, non facendo loro mancare nulla, ma consegnare loro il «segreto» della vita dei genitori: la trasmissione e la testimonianza della verità della loro esistenza, il frutto della loro esperienza e dei valori condivisi e realizzati. Il segreto della vita sarà ciò che i figli conserveranno riconoscenti, indelebile nella memoria, quando i genitori non ci saranno più: il loro vero testamento.
    E quale migliore rassicurazione che il loro amore appassionato, che si è rinnovato nel tempo?

    NB. Ho affrontato l’argomento dell’articolo anche in:
    – Domenico Cravero, Corpi allo specchio, Bologna, EDB, 2006.
    – Domenico Cravero, Ragazzi che ce la fanno, Cantalupa, 2006 (di prossima pubblicazione).


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