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    La mappa delle risorse



    (NPG 1993-07-75)


    L’etichetta di «città in crisi» è stata attribuita a Torino dall'inizio degli anni Novanta. Si è parlato delle carenze nel mercato del lavoro, nell'assetto urbanistico, nella respirabilità dell'aria e così via. Ma per chi studia la vita sociale della città, altrettanto grave è risultata la mancanza di politiche sociali complessive e coerenti sul territorio torinese.
    Ci sono interventi specifici e mirati a soggetti in situazioni di disagio, operatori che lavorano nei quartieri considerati a rischio. Ma si sente la mancanza di progetti e risorse rivolti a migliorare più diffusamente la qualità della vita di tutti i cittadini. Eppure Torino ha una lunga tradizione nel campo delle politiche sociali.
    In particolare, rispetto alle fasce più giovani della popolazione, è stata una delle prime città in Italia a progettare e mettere in pratica piani d'intervento complessivi e articolati.
    Il primo «Progetto Giovani» viene varato nel 1977. Un esempio di intervento innovativo a favore dei giovani «difficili» è il Progetto Comunale Ferrante Aporti, nato alla fine degli anni Settanta: associazioni e cooperative, coordinate da un ufficio comunale dipendente dall'Assessorato alla Gioventù, gestiscono attività e laboratori nel carcere minorile. L'aspetto qualificante del Progetto è la sua capacità di convincere la città a prendersi cura dei propri ragazzi: tra la fine degli anni Settanta e la metà degli anni Ottanta, centinaia di cittadini «entrano in carcere» per partecipare alle iniziative e alle feste organizzate dentro il Ferrante. Ma, soprattutto, una parte del tessuto sociale (gruppi sportivi e culturali, artigiani, commercianti) diventa disponibile ad accogliere i ragazzi quando escono dalla prigione.
    I progetti riguardano non solo il disagio, ma anche interventi più generalmente rivolti ai cittadini giovani.
    In questi ultimi anni si è assistito invece a Torino, come in altre città italiane, ad una caduta di capacità progettuale nel settore delle politiche sociali giovanili. Ai problemi di bilancio, che limitano le iniziative, sembra aggiungersi una incapacità degli enti locali di pensare e agire complessivamente, facendo analisi approfondite dei bisogni e, di conseguenza, interventi mirati.
    In particolare si può affermare la necessità di concepire progetti che si rivolgano alle diverse fasce del mondo giovanile considerandole gruppi relativamente omogenei di cittadini, accomunati da esigenze e bisogni tipici della loro età.
    Evitare differenziazioni a priori tra gli interventi per ragazzi «normali» e ragazzi «difficili», risulta tanto più importante quando ci si rivolge a soggetti che attraversano fasi della crescita particolarmente complesse e delicate. Appartengono certamente a questa categoria i preadolescenti, cioè i ragazzi tra gli 11 e i 14 anni.
    Per ragionare sul rapporto tra una grande città e i cittadini preadolescenti, il Carpos ha scelto un percorso di ricerca che aveva come primo obiettivo di analizzare quali offerte il territorio urbano rivolge a questi ragazzi, al di fuori delle ore trascorse a scuola o a casa.

    LA RICERCA

    La ricerca «Preadolescenti a Torino. Politiche sociali urbane per i ragazzi tra gli 11 e i 14 anni» è stata realizzata dal Carpos (Centro di Analisi e Ricerche sulle Politiche Sociali) su committenza della Fondazione Giovanni Agnelli, che ne ha curato la pubblicazione nel 1993.
    Il lavoro aveva lo scopo di individuare e analizzare le opportunità di agire, crescere, divertirsi, conoscere, che compongono la vita quotidiana dei ragazzi torinesi, soprattutto quella parte di essa al di fuori delle ore di scuola.
    Da un lato, quindi, gli spazi fisici a disposizione, le attività praticabili, i servizi fruibili. Dall'altro gli obiettivi dei diversi soggetti che formulano proposte per i preadolescenti, i criteri di scelta delle famiglie, le figure adulte di riferimento e la loro attenzione educativa.
    L'indagine si è svolta in due tappe. Inizialmente sono state sondate tutte le istituzioni e le risorse che si rivolgono a questa fascia d'età: la scuola, le opportunità sportive, culturali, aggregati-ve. Si è usato il termine «risorse» per indicare tutte le opportunità, almeno parzialmente strutturate, di agire e di vivere esperienze sul territorio cittadino.
    Il quadro delle risorse è stato costruito in primo luogo attraverso colloqui a tappeto con i responsabili e gli operatori. Nello stesso tempo si sono reperiti e analizzati dati numerici, pubblicazioni, documenti interni prodotti dagli enti contattati.
    Il risultato di questa prima parte della ricerca ha fornito una mappa completa delle risorse cittadine.
    Nella seconda fase del lavoro si è voluto verificare, attraverso la voce dei protagonisti, l'effettivo uso delle risorse, i problemi, le carenze, i desideri. A questo scopo è stato somministrato un questionario ad un campione di preadolescenti composto da 1.276 alunni delle scuole medie inferiori della città. Al momento del sondaggio i ragazzi torinesi di questa fascia d'età erano circa 32.000. Parallelamente un altro questionario è stato fatto compilare ai genitori dei ragazzi intervistati. Il sondaggio delle risorse si è svolto tra l'ottobre 1990 e il marzo 1991, i questionari sono stati somministrati tra ottobre e novembre 1991.
    I risultati della ricerca offrono molti dati e informazioni sulla vita familiare e sociale dei preadolescenti di Torino. Questo insieme di conoscenze diventa spunto per numerose riflessioni, che sembra interessante centrare soprattutto su due aspetti: i modelli e i progetti educativi praticati con i ragazzi e la capacità di una città come Torino di strutturare politiche sociali e strategie territoriali adeguate ai bisogni di crescita di questa fascia di età.

    Preadolescenza età silenziosa

    Sotto molti aspetti la preadolescenza resta un'età silenziosa. In primo luogo perché poco studiata direttamente: esistono lavori di tipo psicologico o pedagogico, analisi sociologiche o giuridiche, ma scarsa è la produzione di indagini sul campo dedicate specificamente a questa fascia d'età.
    Ma la preadolescenza è silenziosa soprattutto perché spesso le difficoltà e i malesseri dei preadolescenti restano chiusi nell'intimo dei singoli ragazzi. Tanto più se paragonate all'età adolescenziale, le manifestazioni di disagio dei preadolescenti coinvolgono ambiti sociali ristretti: la famiglia, la scuola. Ragazzi che in fondo disturbano poco, quindi riscuotono scarsa attenzione sociale; la fatica di capire le loro esigenze e i loro bisogni, di definire e rispettare i loro diritti non sempre viene compiuta. Questa incerta e contraddittoria fase di passaggio, dall'infanzia all'adolescenza, segna le prime conquiste di autonomia, anche sul piano della socializzazione: la scelta di un gruppo di coetanei, il rapporto con adulti diversi dai genitori e dagli insegnanti. Infatti famiglia e scuola non sono più sufficienti per rispondere alle esigenze di crescita dei preadolescenti. Si delineano interessi personali (sportivi, culturali, artistici); si accentua il piacere di acquisire nuove capacità.
    Il grado di autonomia di un preadolescente resta comunque limitato, sia sul piano degli spostamenti fisici sia su quello delle scelte. Sono importanti quindi gli spazi e le opportunità che il preadolescente trova intorno a sé, ma è determinante la capacità degli adulti che si occupano di lui di aiutarlo nelle scelte, di stimolarlo ad un uso costruttivo ed educativo del tempo.
    Proprio l'aspetto educativo si può considerare centrale quando ci si occupa di un passaggio della vita importante e delicato come la preadolescenza. Di fatto però solo raramente l'esperienza quotidiana degli adulti che si occupano concretamente di questa fascia d'età come genitori, insegnanti, educatori, trova strade per essere rielaborata e sfociare in riflessioni di comune utilità.

    QUALI RISORSE?

    Il risultato della prima parte della ricerca è stata quindi una mappa completa delle risorse a disposizione dei preadolescenti torinesi.
    Ciascuna risorsa è stata analizzata nei suoi aspetti strutturali (lo spazio fisico, la collocazione sul territorio), nelle attività proposte (perlopiù corsi di vario genere), nei servizi erogati (lo svolgimento di prestazioni utili ai ragazzi, come ad esempio il doposcuola o la Medicina Sportiva).
    Come criterio-guida della mappa si è scelta la collocazione territoriale delle risorse: la loro distribuzione nelle 10 circoscrizioni amministrative della città di Torino, e nei 23 quartieri in cui sono a loro volta suddivise. Le risorse sondate appartengono ad ambiti differenti: la scuola media (in particolare le iniziative degli enti locali); lo sport; le parrocchie; le scuole di lingua e di musica; le opportunità per il tempo libero e le iniziative estive degli enti locali; l'assistenza.
    La raccolta dei dati e l'analisi delle informazioni ottenute sono state guidate dall'attenzione per due aspetti delle risorse: le caratteristiche tecniche e organizzative, come l'adeguatezza delle strutture, il buon livello dei corsi, l'efficacia dei servizi; la qualità educativa: con tutti gli interlocutori si è cercato di capire anche quale attenzione complessiva alla formazione personale dei ragazzi sia presente nel lavoro quotidiano di orgazzatori, istruttori, animatori.
    Una prima osservazione della mappa emersa dalla ricerca porta ad affermare che la situazione delle risorse per i preadolescenti a Torino è soddisfacente, almeno dal punto di vista quantitativo: le opportunità sono numerose e vengono ampiamente usate dai ragazzi. I preadolescenti torinesi, al momento dell'indagine, sono circa 32.000. Il 77% frequenta il tempo normale della scuola media inferiore (dalle 8 alle 13), il 23% il tempo prolungato (dalle 8 alle 16,30).

    Una abbonante offerta sportiva: ma la qualità?

    Nelle ore libere dalla scuola e dai compiti i ragazzi dedicano principalmente ad impegni sportivi. Su circa 600 strutture fisiche «ufficiali» dove a Torino è possibile praticare uno sport, 232 accolgono anche attività rivolte ai preadolescenti, e sono distribuite in modo abbastanza omogeneo nei 23 quartieri cittadini. I ragazzi torinesi possono scegliere tra 41 discipline, proposte sia da enti pubbliche che da soggetti privati.
    L'offerta pubblica si esaurisce quasi totalmente nell'iniziativa «Sportinsieme»: un'ampia gamma di corsi a prezzo popolare, rivolti a cittadini di fasce d'età diverse; il Comune di Torino mette a disposizione le strutture e finanzia i corsi, organizzati e gestiti da 12 enti privati di promozione sportiva. Nel 1990 Sportinsieme ha raccolto circa 7.000 iscrizioni di ragazzi tra gli 11 e i 14 anni: il 29.1% del totale degli iscritti.
    Variegato è il mondo delle proposte private: federazioni, società, polisportive, palestre, scuole di danza.
    Le società sportive - circa 180 - sono risultate le risorse potenzialmente più adeguate alle esigenze dei preadolescenti. Propongono attività di squadra come pallavolo, calcio, ma spesso diventano per i ragazzi riferimenti importanti al di là della pura attività sportiva, organizzando gite, feste, campeggi; in genere sono radicate nel territorio di appartenenza dei ragazzi: la maggior parte dei preadolescenti che le frequentano vive nel quartiere dove la società ha sede.
    Molte società sportive contattate nel corso della ricerca accoglievano nelle loro attività ragazzi «a rischio» o in carico ai servizi sociali; alcune avevano portatori di handicap tra gli iscritti; altre al momento dell'indagine non avevano nessun ragazzo «in difficoltà», ma si dichiaravano disponibili ad accoglierne.
    Le attività organizzate propongono la pratica sportiva nei suoi diversi aspetti: la promozione, l'aggregazione, l'antagonismo.
    Le attività rivolte ai preadolescenti hanno soprattutto lo scopo di diffondere una cultura lontana dalle estremizzazioni in senso tecnico o competitivo; prevale, o dovrebbe prevalere, l'intento di educare ad una pratica continuativa dello sport e al rispetto di alcune regole, favorendo nello stesso tempo le esigenze di giocare e di stare con i coetanei, proprie dei ragazzi di questa età.
    Di fatto dalla ricerca è risultato che una parte delle attività (ad esempio alcune federazioni) ripropongono invece schemi e modelli adottati per le competizioni degli adulti.
    È tipico il caso del calcio, lo sport più praticato dai maschi, diffuso capillarmente in una miriade di squadre e campetti impossibili da censire in modo completo. Tra allenamenti, tornei, campionati di categoria, l'impegno calcistico finisce per entrare in competizione con altre attività non meno importanti: la scuola, gli amici, il tempo libero per fare altro.
    Ai bordi dei campi spuntano spesso osservatori a caccia di tessere e di contratti di ingaggio per ipotetici «campioncini». I ragazzi meno dotati fisicamente, o più refrattari alle regole, restano in panchina.

    La strutturata e variegata offerta ecclesiale: quale «apertura» a tutti e al territorio?

    Oltre a praticare assiduamente lo sport, la maggior parte dei preadolescenti torinesi frequenta la parrocchia. Su 110 chiese parrocchiali, 98 hanno l'oratorio, 53 propongono anche un servizio di doposcuola.
    In totale gli oratori sono frequentati da un «giro» di circa 8.000 preadolescenti, il 60% maschi e il 40% femmine. Il catechismo di preparazione alla Cresima coinvolge circa 11.000 ragazzi. Dopo aver ricevuto questo sacramento, però, solo il 30% continua a frequentare la parrocchia e l'oratorio.
    Da alcuni anni è stata avviata una riflessione a livello diocesano per ripensare e rilanciare gli oratori. Con un documento del 1990 la Curia sostiene la necessità di rafforzare gli oratori anche dotandoli di adeguate strutture fisiche; in seguito a queste disposizioni in molte parrocchie sono in corso lavori di ristrutturazione e di ampliamento. La Curia indica soprattutto l'importanza di coinvolgere maggiormente la comunità parrocchiale, accanto ai sacerdoti, nelle decisioni che riguardano gli oratori.
    Tuttavia la ricerca ha riscontrato una notevole varietà e autonomia d'impostazione tra le parrocchie torinesi. Si è verificata anche la diffusa mancanza di collegamenti: i parroci sono poco o per nulla informati delle attività che si svolgono nelle altre parrocchie, anche se situate nella stessa zona vicariale.
    Negli oratori i ragazzi possono fare sport, giochi di animazione, attività espressive di vario genere. In molte parrocchie i gruppi di formazione spirituale sono considerati parte integrante delle attività oratoriane.
    Per quanto potenzialmente aperte a tutti i ragazzi, le parrocchie hanno dimostrato spesso difficoltà nell'accogliere i ragazzi più «difficili». Dove i gruppi formativi prevalgono sulle attività ludiche e sportive, i preadolescenti meno forniti di strumenti culturali si autoescludono da proposte che non li interessano e che non riescono a coinvolgerli. Nelle zone a composizione sociale mista si ripete anche nell'oratorio la frattura tra ragazzi della fascia media e coetanei degli strati sociali più svantaggiati. Spesso i ragazzi più problematici smettono di frequentare, ma capita anche che vengano allontanati perché non rispettano le regole di comportamento richieste nell'oratorio.
    Dalla ricerca emerge dunque un quadro delle parrocchie come mondo in molti casi chiuso ed autarchico.
    Solo in due parrocchie prive di strutture oratoriane i parroci hanno spiegato che questa mancanza è una scelta precisa: non attività dentro la chiesa, ma interventi educativi sul territorio, in collaborazione con gruppi e associazioni, secondo i metodi del movimento GiOC.
    Per il resto Torino offre ai preadolescenti 16 scuole di lingua e 13 di musica private, 4 ludoteche comunali, 11 centri d'incontro. Queste risorse coinvolgono solo 1.600 ragazzi circa sul totale di 32.000. Altre iniziative sono sporadiche o legate a periodi particolari, come i soggiorni estivi con il Comune o con le parrocchie e le attività organizzate d'estate nei quartieri.

    La sfida degli «esclusi» e dei soggetti del disagio

    Per quanto la maggior parte dei preadolescenti torinesi sia coinvolta in numerose attività, ci sono ragazzi che non usano le risorse, o che manifestano difficoltà nel frequentarle.
    Le esclusioni si possono far risalire a motivi diversi, come la scarsa informazione, la distanza tra l'abitazione e le strutture, le regole troppo rigide e selettive, la mancanza di genitori o altre figure adulte in grado di guidare le scelte dei ragazzi e, se necessario, di curare l'accompagnamento alle attività. In generale nella realtà torinese sono i ragazzi appartenenti alle fasce sociali più svantaggiate a fruire poco delle attività organizzate al di fuori della scuola e, a volte, della parrocchia.
    Alle situazioni di vero e proprio disagio, e ai servizi specifici rivolti ai preadolescenti in questo ambito, l'indagine dedica un breve capitolo. Breve non per mancanza di argomenti, ma per scelta precisa. Infatti, come si è detto, nell'impostare il lavoro si è rifiutata l'idea che in una città ci siano risorse del tempo libero per i ragazzi «normali», e altre per i ragazzi «difficili».
    Nella ricerca si sono quindi presi in considerazione solo brevemente alcuni servizi che consentono di completare il quadro delle politiche territoriali rivolte ai preadolescenti: l'educativa territoriale, i centri diurni, le comunità alloggio, i servizi di neuropsichiatria infantile.
    Una tematica di interesse nodale, perché trasversale a numerose manifestazioni di disagio, è risultata la cosiddetta dispersione scolastica. Sotto questa etichetta vengono fatte confluire diverse difficoltà dei ragazzi in rapporto alla scuola: le ripetenze, le bocciature, i ritardi rispetto all'età, la frequenza irregolare, l'evasione dall'obbligo, l'abbandono.
    A Torino l'indice più consistente di un cattivo rapporto tra i ragazzi e la scuola è il numero di bocciature: nelle medie inferiori della città 1'8% degli iscritti è risultato ripetente. Sulle interruzioni e gli abbandoni si sono potuti reperire solo dati parziali, riferiti a 13 scuole medie di due quartieri cittadini; la percentuale di ragazzi che frequentano in modo saltuario, o che smettono del tutto di andare a scuola, è 1T% circa degli iscritti. Segnali recenti (ad esempio un'indagine appena pubblicata dalla Cgil scuola) indicano che nell'ultimo anno scolastico i bocciati sono diminuiti (6.5%), ma sembra aumentare in modo preoccupante il numero di ragazzi che lasciano la scuola durante l'anno. In molti casi le difficoltà a scuola sono spia di un più complesso insieme di situazioni e manifestazioni di disagio; perciò i tentativi di risposta non possono essere delegati solo alla scuola. Si è però potuto constatare che la comunicazione tra famiglia, insegnanti, servizi sociali, in genere è scarsa o inesistente; spesso si generano anzi conflitti in cui ciascun soggetto tende a scaricare sull'altro la responsabilità degli insuccessi del ragazzo.
    Solo in un quartiere, Barca-Bertolla, esiste ormai da sette anni un esempio di lavoro integrato tra gli insegnanti delle scuole elementari e medie e i servizi sociali di zona. Il progetto, chiamato «Cretini e svogliati», comprende la raccolta di dati sulla situazione familiare e scolastica dei ragazzi, la riflessione comune sul disagio, la sperimentazione di nuovi progetti didattici e, infine, la verifica dei risultati raggiunti con i ragazzi attraverso i progetti praticati.

    Gli animatori tra passione educativa ed esigenze formative

    Per conoscere il tipo di formazione, gli atteggiamenti educativi, le motivazioni di chi si occupa dei ragazzi nell'ambito delle risorse, è stato intervistato un campione composto da animatori di parrocchia e di gruppi scout, istruttori sportivi, insegnanti di lingue e di musica.
    Nelle parrocchie e nello scoutismo la scelta di dedicarsi ai ragazzi risulta parte integrante di un cammino di fede che trova i primi stimoli nell'ambito familiare e si forma poi in parrocchia o nelle associazioni cattoliche. Fare l'animatore, secondo alcuni intervistati, è anche un modo per restituire ciò che si è ricevuto nella propria infanzia e adolescenza.
    Sia chi si occupa dei ragazzi come volontario, sia chi lo fa per lavoro, come gli istruttori delle risorse private, escludono un rapporto basato esclusivamente sulla trasmissione di conoscenze tecniche. La maggior parte degli intervistati riconosce di essere un punto di riferimento e un modello di comportamento per i preadolescenti, soprattutto quando la differenza d'età non è molto elevata. Nelle risorse non commerciali (le società sportive, le parrocchie), la disponibilità dell'animatore va oltre il tempo strettamente dedicato all'attività; l'attenzione al gruppo si accompagna ai rapporti individuali tra l'animatore e i singoli ragazzi.
    Un punto problematico è stato segnalato nel rapporto con le famiglie: circa la metà dei genitori non sembra interessata alle attività svolte dai figli, usa la risorsa come un modo per «sistemare» il ragazzo quando non è a scuola, è poco disponibile al contatto con gli istruttori. Soprattutto gli animatori e istruttori impegnati per scelta di volontariato hanno espresso l'esigenza di una maggiore qualificazione professionale.
    Negli ultimi anni, in effetti, il livello medio delle competenze è cresciuto; nello stesso tempo, però, secondo la maggior parte degli intervistati, è avvenuto un ripiegamento degli istruttori e degli animatori nel proprio ambito di intervento, un'attenzione agli aspetti più immediatamente gestionali delle attività, a scapito di un interrogarsi sugli aspetti più complessivi del senso del proprio agire.

    Un bilancio delle risorse

    L'analisi del quadro complessivo delle risorse offre lo spunto a numerose considerazioni. Può essere utile provare ad isolare alcuni punti che derivano dai dati raccolti e risultano particolarmente significativi per un ragionamento sui preadolescenti.
    La prima e più evidente caratteristica comune alle risorse frequentate dai preadolescenti è che nella maggior parte dei casi ripropongono un modello simile alla scuola: attività precisamente strutturante, corsi con un impegno di frequenza in media bisettimanale, l'ac quisizione di specifiche abilità sotto la guida di un istruttore.
    Sono pochi, invece, gli spazi per la libera aggregazione e il gioco. Il territorio della città è per i ragazzi un insieme di percorsi obbligati e ripetuti: da casa a scuola o alle attività pomeridiane. Uno spazio che viene usato e attraversato, quindi, ma di cui i ragazzi non possono appropriarsi: mancano territori da scoprire autonomamente, luoghi dove giocare con i coetanei, rispondendo ad un'esigenza che per i preadolescenti è fondamentale. Cortili e giardini scarseggiano sia perché sono invasi dalle macchine, sia perché le famiglie li considerano poco sicuri e quindi non frequentabili dai propri figli.
    In una città considerata «pericolosa» la scelta dei corsi strutturati ha come conseguenza un coinvolgimento delle famiglie per accompagnare i ragazzi. Le attività assumono quindi dei costi che non sono solo di tipo economico, ma anche sociale.
    Quasi tutti i ragazzi sotto i 12 anni vengono accompagnati da un adulto, in genere la madre o i nonni, che devono quindi organizzare il proprio bilancio- tempo anche in base alle esigenze di uno o più bambini.
    Tutti gli interlocutori contattati hanno denunciato una carenza comune alle risorse: la mancanza di collegamenti e di coordinamento. Il dialogo tra le risorse o manca del tutto, oppure è episodico, si apre su iniziative momentanee (ad esempio una festa di quartiere), o per affrontare singoli casi di ragazzi particolarmente problematici.
    La scelta tra le attività, come si è visto, è ampia e abbastanza differenziata. Di fatto però l'offerta rivolta ai preadolescenti non può essere considerata una semplice messa a disposizione di strutture e attività. È necessario che l'aspetto tecnico sia accompagnato da un preciso intento educativo: proposte diverse, ma coerenza e complementarietà di compostazione tra i diversi soggetti che si rivolgono al ragazzo.


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