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    24. Ezechiele

    fabris24


    Il libro di Ezechiele è una grande narrazione autobiografica, composta di sezioni in prosa e in poesia, nata dalla comunicazione orale. Il profeta dell'esilio ricorre a diverse forme narrative...
    Il profeta “Ezechiele” - in ebraico Jechezqe’l, “Dio dà forza” - svolge la sua attività al tempo dell’esilio tra i deportati di Giuda-Gerusalemme. La visione-investitura profetica di Ezechiele - Ez 1,2 - è posta in relazione con l'anno di deportazione del re di Giuda, Ioiachin, nel 598 a.C., che corrisponde al 593 a.C., e la sua attività si prolunga fino al 573 a.C., con visione del nuovo tempio (Ez 40-48).

    1. Il libro di Ezechiele

    Il libro di Ezechiele è una grande narrazione autobiografica, composta di sezioni in prosa e in poesia, nata dalla comunicazione orale. Il profeta dell'esilio ricorre a diverse forme narrative, dal racconto di visioni alle dispute, dalle personificazioni alle lamentazioni, dalle parabole alle azioni simboliche o drammatizzazioni. L'attuale raccolta di oracoli del Libro di Ezechiele - 48 capitoli per un totale di 1273 versetti - è opera redazionale dei suoi discepoli, che hanno conservata la tradizione del profeta del sesto secolo.
    L’opera attuale può essere suddivisa in tre parti: I. oracoli di giudizio su Giuda e Gerusalemme, Ez. 1-24; II. oracoli di giudizio sulle nazioni, Ez 25-32; III. oracoli di salvezza per Israele, Ez 33-48. Nella prima parte del libro si tenta di spiegare perché si è verificata la catastrofe della caduta di Gerusalemme e dell'esilio, mentre nella terza si prospettano la fine dell'esilio e il ritorno alla propria terra, dove si celebra il giubileo della liberazione. Mentre la prima parte è caratterizzata da un tono di dura e aperta denuncia dell’infedeltà di Israele - regno di Giuda - culminante con la caduta di Gerusalemme - 586 a.C. - la seconda e la terza parte si aprono ad una prospettiva di speranza. I sette oracoli di giudizio contro le nazioni straniere, sono il risvolto negativo dell'annuncio di salvezza riservato ai figli di Israele. La parte centrale - gli oracoli contro le nazioni – fa da transizione tra l'annuncio di giudizio e quello di salvezza. La terza parte ha il suo apice nell'annuncio della ricostruzione del santuario, dove ritorna per sempre la “gloria del Signore” - simbolo della sua presenza - con la dichiarazione finale: Jhwh shammâ, “il Signore è là” (Ez 48,45). Dunque la visione del nuovo tempio apre a un nuovo futuro di libertà implicito nell'istituzione dell'anno giubilare (Ez 40,1-4).

    2. Ezechiele, sacerdote e profeta

    Ezechiele appartiene a una famiglia dove il sacerdozio è ereditario (cf. 1Cr 24,16). Se al momento della sua investitura profetica aveva circa 30 anni, poteva essere nato all'epoca della riforma religiosa del re Giosia. Deportato a Babilonia dopo la prima conquista babilonese di Gerusalemme del 598 a.C., o immediatamente dopo, dimora presso l'insediamento giudaico di Tel-abib (til-abubi), sul canale d’irrigazione Chebar, nei pressi di Nippur (Ez 1,1; 3,15). Era sposato e sua moglie, “delizia dei suoi occhi”, morì nel 588 a.C., all'inizio dell'assedio di Gerusalemme (Ez 24,15-18). Svolge la sua attività profetica per circa vent'anni, dal 593 al 573 a.C. I suoi anni di formazione all'ombra del tempio di Gerusalemme risentono dell'influsso della liturgia, della pietà e della cultura del santuario. Nella sua attività di profeta Ezechiele attinge al patrimonio culturale e religioso della sua formazione sacerdotale. Egli ricorre a sentenze legali, casi esemplari, formule dichiarative come quelle che si trovano nelle raccolte di leggi rituali del Pentateuco. Nella stessa direzione punta l'insistenza di Ezechiele sulla gloria del Signore, la santità di Dio, l'esigenza della purità di Israele come superamento del peccato di profanazione.
    Ezechiele s’inserisce nell'alveo della tradizione profetica, presentandosi come l'inviato del Signore che proclama con forza e autorità la sua parola. Consapevole della sua precarietà davanti a Dio, il santo - trascendenza di Dio - Ezechiele si designa “figlio dell'uomo”. Egli racconta alcune sue esperienze estatiche - perdita dei sensi e della parola, bilocazione, levitazione, telepatia - che fanno pensare a patologie psicosomatiche: epilessia o isteria, afasia o catatonia. Ma queste ipotesi non intaccano la forza comunicativa del profeta e la coerenza del suo messaggio. Ezechiele parla spesso dello spirito del Signore - “la mano del Signore fu sopra di me” - come forza che trasforma la sua persona e guida la sua azione profetica.

    3. Profeta per un tempo di crisi

    Il profeta Ezechiele vive e opera in una situazione di crisi. Il regno di Giuda è una pedina nella contesa tra le grandi potenze per il controllo del corridoio siro-palestinese. La morte di Assurbanipal, segna l'inizio di un rapido declino della superpotenza assira e dà avvio ai movimenti di emancipazione nazionale degli Stati vassalli, incluso quello di Giuda. Il re Giosia nel 622 a.C. aveva avviato una riforma religiosa, accompagnata da un tentativo di indipendenza, iniziato con l'ascesa al trono di un nuovo re assiro (2Cr 34,3). Dopo la caduta di Ninive - 612 a.C. - sia l'Egitto sia il regno babilonese, appena costituito, tentano di colmare il vuoto di potere nel Vicino Oriente. Il re Giosia muore nel tentativo di opporsi al passaggio degli egiziani lungo la via costiera (2Re 23,29-30; 2Cr 35,20-24). Suo figlio Ioacaz viene deposto dagli egiziani, dopo un regno di soli tre mesi. Un altro figlio di Giosia, Eliachim, rinominato Ioiachim, governa, come re fantoccio, finché la battaglia di Carchemis, sull'alto Eufrate (605 a.C.), porta l'intera area sotto il controllo babilonese.
    Nei vent'anni successivi il regno di Giuda va incontro alla rovina. Il partito della guerra, sostenuto dai proprietari terrieri tradizionalisti e nazionalisti, non si rende conto di trovarsi in una nuova situazione politica. Geremia tenta di contrastare la loro influenza su Ioiachim e su Sedecia. Ezechiele viene deportato, insieme a migliaia di altre persone, poco dopo la prima caduta di Gerusalemme, nel 598 a.C., per opera dei Babilonesi (2Re 24,12-16). Sedecia, istigato dal partito della guerra e incoraggiato dal nuovo sovrano egiziano Psammetico II, si ribella ai Babilonesi. La fine prevedibile è l'assedio e la distruzione di Gerusalemme, seguita da ulteriori deportazioni che mettono fine al regno di Giuda.
    Il profeta Echiele vive e opera in mezzo ai deportati nella crisi successiva alla catastrofe di Gerusalemme. La mancanza di un luogo di culto - il tempio - accentua il senso di fallimento della fede nel Dio dei padri e la perdita dell'identità religiosa. Si può ancora credere nella potenza e nella giustizia del Dio che non ha saputo difendere il luogo della sua dimora a Gerusalemme? Come si può venerare Dio in terra straniera? Esiste ancora un futuro per il popolo dell'alleanza? Il profeta Ezechiele tenta di rispondere a questa crisi di fede e di speranza.

    4. Il messaggio di Ezechiele

    Il messaggio profetico di Ezechiele, maturato nel crogiuolo della storia drammatica della caduta di Gerusalemme, con il suo corteo di violenze e distruzioni, fa prendere coscienza dell'intreccio indissolubile tra fede in Dio e le vicende umane. Per interpretare la storia il profeta ricorre a due categorie teologiche: l'alleanza e il giudizio di Dio. Quello che capita nella storia di Israele non è casuale, ma rientra nel rapporto di alleanza tra Dio e il suo popolo. L'alleanza implica elezione e promessa da parte di Dio, ma anche responsabilità da parte del popolo. Nella prospettiva di alleanza anche nel buio della catastrofe resta aperto lo spiraglio per una storia di salvezza che parte da un piccolo resto.
    Il giudizio di Dio, espresso in termini fortemente emotivi ed antropomorfici - “sdegno e ira di Dio” - porta allo scoperto il male che fa degenerare la storia umana - ingiustizia, violenza, culto dei surrogati di Dio/idoli - e fa aprire gli occhi per assumere la propria responsabilità. In altre parole gli sconvolgimenti che segnano la storia umana non sono il prodotto di forze oscure e di un fatalismo irrazionale, ma la conseguenza della perversione etico-religiosa degli esseri umani.

    5. Il Signore “pastore” del suo popolo

    Facendo ricorso all’immagine del pastore il profeta Ezechiele fa una requisitoria contro i pastori di Israele, cioè ai re della storia dei due regni, ma in particolare negli ultimi anni del regno di Giuda. Egli accusa i re-pastori di avidità, di cercare il proprio interesse e di sfruttare i sudditi. Dal momento che essi non hanno adempiuto i propri doveri che consistono nella difesa delle categorie sociali deboli, il popolo è come un gregge senza pastori (Ez 34,1-10). Il profeta annuncia che il Signore stesso andrà alla ricerca delle pecore che si sono smarrite in un giorno nuvoloso e buio: allusione ai disastri politici del recente passato. Le pecore smarrite saranno radunate e ricondotte alla loro terra, dove pascoleranno in sicurezza sulle montagne e in riva ai ruscelli (Ez 34,11-16).
    Dopo la denuncia delle situazioni d’ingiustizia sociale che si sono create dopo la caduta della città di Gerusalemme, con i disordini conseguenti all’uccisione del governatore della Giudea Ghedolia, Ezechiele annuncia la realizzazione della giustizia per mezzo di un discendente davidico: “Davide, mio servo”. Questo annuncio si colloca nel contesto della promessa di un'alleanza di pace, in cui non c'è più posto per l'ingiustizia e violenza (Ez 34,17-22.23-31). La promessa di Ezechiele sul “Signore vero pastore” sarà ripresa nella tradizione evangelica per parlare della missione di Gesù (Mt 18,12-14; Lc 15,3-7; Gv 10,1-16).

    6. “Vi darò un cuore nuovo”

    Il profeta Ezechiele annuncia il ritorno dei Giudei dall’esilio facendo ricorso a diverse espressioni e immagini che fanno intravedere il cambiamento radicale del rapporto di Israele con il Signore. Dio purificherà il suo popolo da ogni impurità: idolatria e ingiustizia. La terra di Israele prima della catastrofe è stata profanata dal culto idolatrico e dallo spargimento di sangue (violenza). L'aspersione con acqua richiama il bagno rituale. La purificazione precede il rinnovamento interiore mediante il dono del suo Spirito, che cambia il cuore - centro della personalità - per vivere con fedeltà nel rapporto di alleanza. L'oracolo di salvezza di Ezechiele 36,24-28 richiama quello di Ger 31,31-34, dove si parla della nuova alleanza, caratterizzata dalla legge posta nel cuore. I due testi saranno riletti da Paolo per interpretare l'esperienza cristiana fondata sul dono dello Spirito di Dio, che sta alla base della nuova alleanza.
    Un’altra immagine utilizzata da Ezechiele è quella delle ossa aride che saranno vivificate dallo Spirito di Dio (Ez 37,1-14). La visione delle ossa, seguita dalla spiegazione, avviene in uno stato di “estasi”, provocato dall'iniziativa del Signore: “La mano del Signore fu sopra di me”(cf. Ez 3,22-27). Il profeta vede un campo di ossa sterminato: corpi insepolti dopo una grande battaglia (cf. Ger 8,1-2). Il Dio vivente, mediante il suo spirito - il vocabolo ebraico ruach, “vento/spirito/alito” (cf. Gen 2,7), ricorre dieci volte nel testo - fa tornare in vita i morti. Nell'applicazione, dove si parla di sepolcri e di risurrezione, il profeta risponde al lamento funebre dei deportati che non hanno prospettive per il futuro. Nell’interpretazione giudaica e cristiana il testo di Ezechiele sarà riferito alla risurrezione dei morti (cf. Dan 12,2-3).
    Con un'azione simbolica - due legni-bastoni da pastore, sui quali sono scritti i nomi dei regni del Nord Israele/Giuseppe (Efraim, figlio di Giuseppe) e del Sud Giuda - tenuti insieme nella mano del profeta - si annuncia la riunificazione dei due regni sotto la guida di un solo pastore - discendente di Davide - che rappresenta il Signore. L'oracolo di salvezza si chiude con la promessa della reintegrazione dei figli di Israele, fondata su quattro istituzioni o realtà: il re, la terra, il patto o alleanza eterna di tradizione sacerdotale, e il tempio, segno della presenza di Dio in mezzo al suo popolo (Ez 37,15-28).


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