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    23. Geremia

    fabris23


    Geremia annuncia un tempo di rinnovamento interiore. Egli constata l'incapacità del popolo a essere fedele alla legge sentita come estranea e oppressiva. Egli pensa alla possibilità di ricuperare il cuore umano come sede delle decisioni.
    Geremia, figlio del sacerdote Chelkìa, della tribù di Beniamino, nasce verso il 650 a.C., nel paese di Anatòt, a sei chilometri a nord di Gerusalemme. Svolge la sua attività nel regno di Giuda, al tempo dei re Giosia (627-609 a.C.), di suo figlio Ioiakìm (609-598 a.C.) e di Sedecìa (598-586 a.C.), fratello di Giosia. Questi sono gli ultimi re del regno di Giuda, la cui storia si conclude tragicamente con la caduta di Gerusalemme e la deportazione dei capi, intellettuali e dirigenti in Babilonia (19 luglio 586/587). Nella prima fase della sua attività il profeta denuncia l'idolatria e il sincretismo religioso del regno del nord (caduto sotto il dominio assiro nel 721 a.C.), dove si fanno sentire il fascino dei culti cananaici e l'influsso dei dominatori stranieri.

    1. Chiamata e missione profetica

    Il profeta rievoca l'esperienza della sua chiamata in forma autobiografica e dialogica, secondo il modello letterario della “vocazione” di Mosè (Es 3-4), di Samuele (1Sam 3), di Isaia (Is 6) e di Ezechiele (Ez 1-2). La chiamata profetica include un'elezione da parte di Dio, una consacrazione e un decreto di nomina (Ger 1,4-10). Con la duplice visione del mandorlo in fiore e della caldaia sul fuoco, Geremia fa intravedere la dinamica dell’esperienza profetica che nasce dalla sua relazione con Dio e dallo sguardo critico sulla realtà storica e sociale del suo tempo ( Ger 1,11-12.13-19).
    Negli oracoli raccolti nella forma del “processo” - in ebraico rîb (Ger 2,9.29) - il profeta denuncia l'infrazione dell'alleanza. La sua parola si rivolge a Israele (regno del nord) e a Giuda (regno del sud). La città di Gerusalemme, che rappresenta l’intera comunità nel rapporto di alleanza con Dio, è interpellata come la sposa che ha abbandonato lo sposo (Ger 2,1-4,4). Tutta l'esperienza religiosa, intrecciata con la realtà quotidiana, si esprime e attua in termini di relazioni giuste e fedeli, che hanno la loro radice e metro nell'agire di Dio.

    2. Le “confessioni” di Geremia (Ger 15-20)

    Con il testo di Ger 11,18 inizia una serie di lamentazioni del profeta davanti al Signore, denominate “confessioni” di Geremia. Queste preghiere permettono di cogliere l'interiorità della vita religiosa del profeta. Sono brani autobiografici, lamentazioni individuali come nei Salmi e nel libro di Giobbe. Hanno un legame effettivo con la vicenda storica del profeta, rappresentante di un popolo che sta per affrontare una catastrofe. La sua vita diventa simbolo dell'agire di Dio nei confronti del popolo.
    Chiamato da Dio a risvegliare la coscienza del popolo di fronte alla minaccia che incombe all'orizzonte - invasione assira e babilonese – Geremia si rende conto che la sua parola non cambia la situazione spirituale e morale, ma vi aggiunge la consapevolezza della sua ineludibilità. D'altra parte egli non può sottrarsi al suo compito di ambasciatore di Dio perché la mano del Signore grava su di lui. Questo è il suo destino: nato per essere e fare il profeta, rende più grave la sventura del suo popolo. Geremia soffre per il clima di minaccia che si crea attorno a lui. Nell'ambiente di Antót si organizza un complotto per eliminarlo. Egli rimane solo perché parenti e amici si sono dileguati. Da qui il suo comprensibile sfogo davanti a Dio che gli risponde confermandogli l'incarico e la sua protezione.

    3. Le parabole e azioni simboliche di Geremia

    La raccolta degli oracoli di Geremia sono intervallati da parabole e azioni simboliche con le quali il profeta attira l’attenzione dei suoi ascoltatori e drammatizza l’azione di Dio. La prima azione simbolica è la “cintura di lino”, che il profeta deve nascondere nel fiume Eufrate (Ger 13,1-11). La “cintura (fascia) di lino”, rappresenta Giuda, la comunità dell’alleanza, cintura ornamentale del Signore, che in esilio a Babilonia sul fiume Eufrate, sarà contaminata dall’idolatria.
    Anche il celibato di Geremia ha una valenza simbolica (Ger 16,1-15). Il profeta riceve da Dio l'ordine di non sposarsi. Questa scelta è un segno di minaccia per Israele che sarà ridotto come una donna senza figli. La ragione di tale disastro è l'idolatria ostinata del popolo che, per una specie di contrappasso, sarà esiliato e dovrà servire le divinità di una terra straniera perché non ha voluto servire i1 Signore nella sua terra. Ma dopo la minaccia segue la promessa di un ritorno dall'esilio concepito come un secondo esodo (Cf. Ger 23,7-8).
    La parabola del vasaio è un'azione simbolica “veduta” da Geremia con il relativo oracolo sull'idolatria di Israele e la rovina conseguente (Ger 18,1-12.13-17). Il messaggio della parabola è duplice: la libertà di Dio e la responsabilità dell'uomo. Al centro della scena sta l'azione del vasaio che lavora al tornio: i vasi vengono rifiniti o buttati, se mal riusciti, a suo giudizio insindacabile. Con l’azione simbolica della “brocca spezzata” presso una delle porte della città, alla presenza di alcuni notabili, il profeta annuncia la rovina di Giuda e di Gerusalemme, irreparabile come un vaso ridotto in cocci (Ger 19,1-20,18).
    Attraverso la visione-parabola dei due canestri di fichi il profeta mostra qual è il destino dei due gruppi di Giudei nel progetto di Dio: gli esiliati e quelli rimasti in patria (Ger 24,1-10). Ai primi, che sembrano più colpevoli perché puniti con la deportazione, sono annunziati il ritorno e un nuovo rapporto di alleanza con Dio. Egli infatti cambia il cuore dell'uomo e lo rende capace di nuovi rapporti con lui. Invece i rimasti sono corrotti come i fichi portati al tempio quale offerta votiva, ma divenuti immangiabili. L'agire libero e paradossale di Dio fonda e sollecita la libertà e responsabilità dell'uomo.

    4. Geremia tra il “tempio” e il “palazzo” del re

    L'intervento più decisivo del profeta Geremia, è ambientato nell'area sacra del tempio. Esso avviene nel 609 a.C., in occasione della morte del re Giosia, quando il profeta considera il rapporto tra giustizia e culto sul modello dei Salmi dell'ingresso (Sal 15; 24; 50; cf. Is 1,10-20). Per ordine di Dio il profeta deve proclamare la “parola” ai pellegrini e frequentatori del tempio (Ger 7,1-2). Egli li invita a non fidarsi di “parola vane”, con le quali si proclama la presenza del Signore nel suo santuario (Ger 7,3-4). Le condizioni per vivere nell'alleanza con il Signore sono indicate dal “decalogo”. Il santuario di Dio non può diventare una copertura o un alibi per violare impunemente le clausole dell’alleanza. A nome di Dio il profeta si chiede: «Forse è una spelonca di ladri ai vostri occhi questo tempio che prende il nome da me?« (Ger 7,11).
    Il caso dell’antico santuario di Silo, ridotto a un cumulo di pietre è un monito a non nutrire illusioni sulla stabilità del tempio di Gerusalemme (Ger 7,12). Il racconto dello scontro di Geremia con le autorità del tempio di Gerusalemme, è ripreso nella sezione narrativa, attribuita a Baruc, il segretario di Geremia. Il profeta rischia la morte e subisce grandi umiliazioni (Ger 26,1-19). Solo l’intervento di alcuni amici presso il re Sedecia salvano il profeta dalla morte.
    Su ordine di Dio, Geremia detta al segretario Baruch, i suoi oracoli su un rotolo. Il segretario-scrivano Baruch deve leggere pubblicamente gli oracoli nel tempio, dove Geremia non può accedere dopo lo scontro con i capi dei sacerdoti (cf. Ger 26). La lettura del rotolo avviene in un giorno di digiuno, quando la gente si reca al tempio (cf. Ger 36,1-32). Il racconto della lettura del rotolo culmina con l'intervento del re Ioiakìm, che pensa di poter eliminare le parole di minaccia gettando il rotolo, tagliato a pezzi, nel fuoco. Egli dà anche ordine di far arrestare Baruch e Geremia. Ma Dio salva il profeta e il suo segretario e fa riscrivere gli oracoli su un secondo rotolo, con molte altre aggiunte. Si tratta di una seconda edizione riveduta e ampliata delle profezie di Geremia.

    5. La speranza di Geremia

    Il profeta Geremia, dopo avere distrutto le false immagini di Dio e sradicato le ingiustizie coperte dietro l’apparato di un culto sterile, s’impegna a costruire la comunità della nuova alleanza e a piantare il futuro del popolo di Dio. La speranza di Geremia è concentrata nel “Libro della consolazione” (Ger 30-31). Si tratta di una raccolta di oracoli, dove si annuncia una nuova alleanza tra Dio e il suo popolo. La maggior parte risale al tempo del re Giosia, quando Geremia nutre la speranza della riunificazione dei due regni. La catastrofe del 586 (587) a.C., lo costringe a rileggerli e adattarli alla nuova situazione. La speranza si apre a un futuro di salvezza universale: Israele, riunificato e in pace nella sua terra, diventa il segno e la garanzia di salvezza per tutti.
    Geremia annuncia un tempo di rinnovamento interiore. Egli constata l'incapacità del popolo a essere fedele alla legge sentita come estranea e oppressiva. Dio promette una legge, “scritta nel cuore”, in armonia con le aspirazioni e le esigenze interiori. Non solo l'uomo è liberato dal suo peccato, ma il rapporto con Dio è inserito nell'intimo con un riconoscimento spontaneo della sua volontà. Dio e il popolo saranno allora uniti in una comunione intima e vitale. Geremia pensa alla possibilità di ricuperare il cuore umano come sede delle decisioni (Ger 31,31-34). Gesù riprenderà il testo di Geremia per dare un nuovo significato alla sua morte (cf. Lc 22,20). La promessa di Geremia si attua con il dono dello Spirito, che è la legge della nuova alleanza (cf. 2Cor 3,6; Eb 8,6-13).


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