Pastorale Giovanile

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    Una spiritualità dove nessuno è escluso



    Centri assistenza minori, Case famiglia

    Alessandro Iannini

    (NPG 2013-06-70)


    La mattina intorno alle otto apriamo il centro accoglienza minori, poi cominciano ad arrivare, assonnati, i primi ragazzi e i primi operatori… qualcuno decide di svegliarsi giocando a biliardino o a ping pong, qualcun altro preferisce continuare a dormire sprofondato sulle poltrone all’entrata. Un saluto e un sorriso viene regalato a ciascuno. Gradualmente arrivano un po’ tutti. Verso le 8.45 mentre non pochi ragazzi cercano di fumarsi una ultima sigaretta prima di entrare, ci ritroviamo nella stanza operatori...

    Gesti semplici, quotidiani dove scoprire la presenza di Dio

    La Bibbia al centro, a fianco il libro delle «Memorie dell’Oratorio». Questa stessa scena si ripete ogni mattina. Da un paio di anni al mattino infatti oltre a leggere insieme il Vangelo del giorno e a pregare per ogni ragazzo e operatore e in particolare per chi è più in difficoltà, leggiamo anche una pagina del libro suggerito dal Rettor Maggiore per prepararsi al bicentenario della nascita di Don Bosco. Una esperienza molto bella rileggere insieme quello che Don Bosco stesso racconta di come sono andate le cose da quando è nato fino al consolidamento dell’oratorio e poi attraverso le biografie dei suoi ragazzi. Quante volte abbiamo potuto renderci conto che quanto da lui vissuto, sperimentato, sofferto e realizzato può essere collegato, con le dovute proporzioni, con quanto viviamo oggi. A cominciare dai suoi sogni, dal suo entusiasmo e fermezza nel fare ad ogni costo del bene per i ragazzi. Agli interrogativi rispetto al suo futuro, ai dubbi e nello stesso tempo alla continua fiducia nella Provvidenza, i primi apparenti fallimenti, il pianto nel vedere i ragazzi in carcere, la realizzazione delle prime scuole serali, delle prime gite fuori porta, la ricerca di lavoro per i ragazzi, i problemi finanziari con i fornitori, il colloquio costante con Dio e con i suoi confessori e superiori, gli apprezzamenti delle autorità ma anche gli ostacoli, gli attentati alla vita, l’incomprensione con le chiese locali, le difficoltà storiche della prima industrializzazione, le malattie, fino alla costruzione della chiesa di Maria Ausiliatrice. Se Don Bosco si fosse fermato, se si fosse basato solo sulle sue forze e le sue risorse, se fosse stato semplicemente ragionevole, oggi noi non saremo qui e con noi altri in tutto il mondo e milioni di ragazzi. A noi il compito di andare incontro alle giornate con i nostri ragazzi sapendo che il Signore si manifesta negli accadimenti quotidiani. Nella stanza operatori abbiamo appeso l’art.19 delle costituzioni salesiane: «Il salesiano è chiamato ad avere il senso del concreto ed è attento ai segni dei tempi, convinto che il Signore si manifesta anche attraverso le urgenze dei momento e dei luoghi. Di qui il suo spirito di iniziativa: «Nelle cose che tornano a vantaggio della pericolante gioventù o servono a guadagnare anime io corro avanti fino alla temerità».

    Nella relazione con Dio la forza per andare incontro all'altro

    Mi sto sempre più rendendo conto che se don Bosco fosse stato un grande educatore ma non un uomo di fede, non un santo, non sarebbe stata la stessa cosa. L’incontro quotidiano con persone spesso in situazioni estreme mi interroga infatti come educatore, psicologo, ma soprattutto come persona e come credente in Cristo Risorto. Mi interroga e mi costringe a cercare le radici della mia Fede per poter rendere ragione della speranza verso la quale cerco di condurre chi si sente senza via di uscita. Ma senza la Fede e senza la Speranza come potrei, mi chiedo spesso, credere nella possibilità che ogni giovane può cambiare la propria vita? Credere che in ogni giovane ­– si anche in questo che ho davanti a me e che guardo negli occhi e che ne combina di tutti i colori nonostante i tanti tentativi falliti – c’è un punto accessibile al bene?
    È nella relazione costante con Dio che Don Bosco ha trovato la forza, la ragione, la motivazione. È attraverso la relazione con Dio e sentendomi da Lui amato in modo unico che scopro che l’altro è mio fratello, è mia sorella e che vale la pena investire ogni giorno nell’amare mio fratello e mia sorella in modo unico e, nell’incontrare l’altro, incontro Dio. Sto scoprendo che Don Bosco ha costituito una comunità perché solo nella relazione comunitaria possiamo celebrare l’incontro quotidiano con Dio. Nella comunità si vive l’accoglienza, sentendosi amati si ama e si contagia all’amore chi si avvicina. Per questo citiamo spesso S.Paolo che nella lettera agli Ebrei ci ricorda: «non dimenticate l’ospitalità, qualcuno praticandola ha accolto degli angeli senza saperlo» (Eb 13,2) . Perché infatti è proprio questo che sperimentiamo, che sperimentano le nostre famiglie affidatarie facendo entrare un ragazzo nella intimità della propria casa: dopo aver attinto all’amore di Dio nella preghiera e nella celebrazione lo incontriamo nell’accoglienza dei ragazzi e delle famiglie in difficoltà.
    I ragazzi più difficili costituiscono una sfida per la nostra fede, il limite alla loro accoglienza è nella nostra capacità di accoglierli, una capacità che vediamo che cresce nella misura in cui ci affidiamo a Colui che questi ragazzi li ha amati per primo e che ce li ha affidati. E i nostri ragazzi diventano così i nostri maestri perché nei loro occhi intravediamo lo sguardo di Dio. Attraverso di loro incontriamo anche Lui. Nei loro sogni intravediamo il progetto di Dio per di loro.
    Camminando con loro veniamo costantemente stimolati a crescere nella capacità di amare, a crescere nella Fede e nella Carità.

    «Dacci i ragazzi! Faci incontrare con le loro anime e il resto è superfluo...»

    Non abbiamo nessuna esperienza con le pecore e con i pastori ma meditando sui progetti educativi personalizzati dei nostri ragazzi, su come L. ha bisogno di essere ripreso costantemente con amorevolezza, come E. abbia bisogno di essere rimotivato, come F. necessita costantemente di rinforzi positivi, come S. nasconda dietro il suo atteggiamento oppositivo una estremo bisogno di essere accolta, come C. attraverso le sue trasgressioni faccia di tutto per essere cacciato via anche se vorrebbe solo sentirsi voluto bene così come è, come nell’incostanza di V. e nella sua ambivalenza si nasconde il terrore di non farcela… nel cercare e ricercare le strategie per aiutare i nostri ragazzi scopriamo l’amore personalizzato di Gesù Buon Pastore e la grandezza di Don Bosco che lo ha scelto come icona per i suoi salesiani chiamati ad amare ciascuno proprio come lo ama Dio.
    Così una delle nostre ragazze ha percepito questa cura e così ha così scritto sul un tema: «Cara A. volevo farti sapere che sembra che per ora abbia trovato finalmente una «scuola» adatta a me, più o meno, cosa che non avrei mai pensato, si chiama Centro Don Bosco e è dedicata al un prete vissuto circa 150 anni fa. Qui mi insegnano un mestiere che ho sempre voluto imparare, ti premetto che questa non è una vera e propria scuola ma è un «centro» dove accolgono ragazzi che come me di studiare seriamente non se ne parla, e li aiutano ad imparare un mestiere senza girarci troppo intorno facendo quasi tutta pratica e quasi niente di teoria, Qui al centro c’è una bella organizzazione, come si gestiscono, come lavorano con noi gli operatori, e come ci seguono personalmente e non si fermano solo al lato scolastico lavorativo ma c’è un rapporto molto aperto e confidenziale, si interessano di come stiamo noi giovani a livello emotivo o sociale, e a me questo piace...» V.
    La sfida è poi passare dall’accoglienza incondizionata e dall’amore dimostrato che arriva ai ragazzi come interesse alla loro persona e alla loro storia, alla preparazione all’incontro con Dio. Anche su questo Don Bosco è stato un maestro: ci stiamo rendendo conto che vale la pena osare. I ragazzi ci sentono pregare per loro al mattino, gli parliamo di Dio e ci interessiamo alla loro appartenenza religiosa durante la fase di accoglienza con naturalezza come ci interessiamo agli altri aspetti della loro storia. Li invitiamo a vivere le feste salesiane, a mandare un sms a Don Bosco a interrogarsi nei gruppi sulla fede e questi piccoli semi preparano il terreno.
    È lo Spirito che poi suggerisce a loro e a noi la strada. A volte occorre aspettare e cogliere le occasioni per passare dalla testimonianza all’annuncio. Spesso si comincia con i tanti volontari e universitari tirocinanti che si affiancano incuriositi durante l’anno alla casa famiglia, al centro diurno o al movimento delle famiglie affidatarie. Si vivono insieme i ritiri spirituali coinvolgendo anche i ragazzi, si aiuta a comprendere – su questo l’università tace – che educhiamo anche con le nostre parole e con la nostra azione, ma soprattutto educhiamo con quello che siamo, con i valori che abbiamo dentro e che traspirano o non traspirano indipendentemente da quanto facciamo. È stando con i ragazzi, semplicemente e pazientemente stando, possiamo cogliere le occasioni che si presentano per arrivare al loro cuore.
    Siamo sempre più testimoni consapevoli che attraverso Don Bosco e i suoi figli la Provvidenza ha compiuto miracoli su miracoli e oggi tocca a noi, nel nostro piccolo, continuare con lo stesso atteggiamento e la stessa Fede: i ragazzi e le famiglie non sono nostri, le opere non sono le nostre ma noi siamo strumenti, attraverso il contributo quotidiano di ciascuno, il carisma di Don Bosco e le Memorie dell’oratorio continueranno… Altri capitoli, altri volumi, gli stessi Protagonisti: la Provvidenza, Maria Ausiliatrice, Don Bosco… i ragazzi!


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