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    Fare memoria



    Riccardo Tonelli

    (NPG 2004-01-43)


    Ciascuno di noi il libro degli “Atti degli Apostoli” l’ha letto tantissime volte. L’ha gustato come una pagina di storia tutta speciale, che fa fiorire nostalgie, speranze e responsabilità. L’ha ripreso tra le mani in qualche momento difficile, quando ci si aggrappa a qualcosa di sicuro per non piombare nella disperazione o nell’incertezza.
    È raro però farne una lettura continua, come si fa con un simpatico testo che racconta la storia delle origini. Più spontaneo è l’uso nello stile liturgico: una lettura selettiva dell’insieme o il richiamo a qualche pagina, significativa sulle circostanze.
    Ho fatto così anch’io, tante volte, dai tempi – ormai lontani – dello studio della teologia sui banchi dell’Università.
    Qualche anno fa, però, mi è capitata una esperienza imprevista. La cito perché sta all’origine della prospettiva scelta per questa rubrica.
    Ero stato invitato a dedicare un corso di Esercizi spirituali alla riflessione sullo Spirito Santo, come capitava negli anni “a tema” preparatori al Giubileo…
    La mia preparazione era giunta ad un punto morto. Non mi piaceva rispolverare i trattati teologici studiati a scuola, perché la nostalgia su quelle proposte non è davvero alle stelle. 
    Ma non sapevo proprio da dove partire per condividere riflessioni e esperienze su un tema molto più misterioso di altri.
    Poi ho intravisto una via di uscita: riflettere sullo Spirito di Gesù tentando un confronto con quello che ha suscitato e ha operato nei primi discepoli e nella comunità apostolica, fatti nuovi proprio per la potenza dello Spirito. Mi ha confortato il suggerimento di un autore che propone, per paradosso, di intitolare gli “Atti” non “Atti degli Apostoli” (visto che raccontano solo di Pietro, Paolo e, con un accenno, di Giacomo…), ma “Atti dello Spirito”.
    Di solito ci soffermiamo a meditare i “doni” dello Spirito, scatenando una difficile mediazione tra passato e presente. E se questi doni li prendessimo tanto sul serio da verificare i frutti prodotti, le trasformazioni impensabili realizzate, le novità di qualità di vita che hanno lasciato stupiti i contemporanei dei primi discepoli?
    E così ho preso in mano il libro degli “Atti degli Apostoli” alla ricerca di quello che è capitato nella Chiesa delle origini, per vedere se questa memoria ha cose da dire anche a noi, gente dalla memoria corta.

    Siamo gente dalla memoria corta

    Questo è il punto: siamo diventati gente dalla memoria corta.
    I problemi non ci mancano.
    Ho l’impressione, anzi, che ne abbiamo tanti e così inquietanti da non avere neppure la pace sufficiente per analizzarli e cercare una criteriologia risolutiva saggia. Ci affanniamo; e basta. In questa situazione lanciare uno sguardo verso il passato sembra sprecare tempo… tanto i nostri problemi sono tutti originali e inediti, come è la stagione che stiamo vivendo.
    Non mi piace colpevolizzare né me né gli altri. Abbiamo imparato a reagire così perché veniamo da una stagione opposta, carica di risposte a tutti i problemi. Avevamo infatti l’abitudine di considerare il passato come l’età dell’oro, quella in cui tutto filava liscio e la cui riedizione avrebbe modificato radicalmente anche la stagione attuale, con tutte le sue incertezze.
    Chi è senza passato o chi ne ha una nostalgia sconsiderata… è senza futuro. Il presente resta prigioniero della sua trama convulsa e ingovernabile. Restiamo avvolti in una pesante coltre di disperazione.
    Così, tra nostalgia e presentismo, va in crisi profonda la speranza. Speranza è infatti riconoscere nel futuro ciò che rende vivibile il presente e ci rende capaci di trasformarlo. Il futuro affonda le sue radici nel passato.

    E gli “Atti”?

    La constatazione è facile. Corre sulle labbra di tutti.
    La mia riscoperta del libro degli “Atti degli Apostoli” si colloca proprio qui.
    Per condividere qualche riflessione sullo Spirito di Gesù, dal concreto e senza cercare di sfuggire i problemi di oggi o di arrampicarmi troppo sugli specchi, posso meditare sulle opere compiute dalla potenza dello Spirito di Gesù che ha trasformato un piccolo gruppo di gente paurosa e incerta in un manipolo di uomini e donne coraggiose, che hanno incendiato il mondo della loro esperienza.
    La storia raccontata nel libro degli “Atti” riguarda il passato. Ma è così piena della novità dello Spirito di Gesù da essere un pezzo di futuro nella trama complessa del presente di quel tempo. Posso davvero raccontare il passato per dare speranza e responsabilità al presente nella forza dello Spirito.
    La meditazione del libro degli “Atti” ci aiuta così a guardare il presente dall’esperienza dello Spirito, per ritrovare nel passato raccontato suggerimenti e provocazioni per trasformare il presente verso il futuro che ci è donato.
    È importante ricordarcelo: gli “Atti” sono una storia speciale.
    Dio non è solo un personaggio di questa storia, che ogni tanto fa capolino tra le pieghe del presente. Esso è l’autore di questa storia. La sua presenza rende possibile la storia raccontata e nel racconto Egli si rivela, indicando chi è per noi e quali progetti ha su di noi.
    La presenza di Dio nella storia raccontata trasforma questa storia da “cronaca” a sogno che va progressivamente realizzandosi. Questo è infatti il bello del libro degli “Atti”, quella dimensione che lo rende attuale e impegnativo anche per noi. Non ci riporta solo alle radici per raccontarci il fondamento della nostra fede e della nostra speranza. Esso propone anche una rappresentazione evocativa di ciò che la potenza di Dio sta progressivamente realizzando nella nostra storia quotidiana. Ci troviamo davanti, dunque, un mondo raccontato che assomiglia al nostro, ma soprattutto a quello che Dio vuole realizzare e che ciascuno di noi è impegnato a costruire.
    Basta pensare ad uno dei temi più citati dai primi capitoli degli “Atti”: la descrizione della comunità apostolica. Preso così come suona, assomiglia più ad una utopia che ad un resoconto. Il testo dice che mettevano tutto in comune e poi arriva la storia di Anania e Zaffira; erano in totale accordo e poi si deve inventare… i diaconi per tranquillizzare il malcontento…
    Non si tratta di una fotografia… ma di un progetto: il sogno di Dio sulla comunità dei discepoli di Gesù, realizzata e tutta la realizzare. Gli “Atti” ci portano a vedere la nostra storia come un mondo, felice e impegnativo, in cui le promesse di Dio si vanno progressivamente realizzando.
    Questo è importante per la gente come noi… che ha perso la memoria e guarda al futuro con una diffusa incertezza.

    Per precisare il metodo

    Confesso con gioia che la scoperta mi ha (allora come oggi) suscitato entusiasmo.
    Come capita con tutte le cose serie, l’entusiasmo serve a partire nella direzione giusta. Si esige però una ricerca accurata di metodo procedurale. Essa ha la funzione di indicare a chi opera come muoversi e di abilitare il lettore ad una motivata capacità critica di verifica e di eventuale rielaborazione personale.
    Indico allora la mia proposta, quella che servirà da guida agli interventi successivi.

    Una lettura corretta del testo

    La prima indicazione vale per ogni approccio alla Scrittura. L’ho ricordato, in altri contesti, con insistenza proprio mentre tentavo di giustificare e lanciare quel modello di comunicazione del Vangelo che in molti oggi chiamiamo “narrativo”.
    Narrare non è stravolgere il testo, ma renderlo vivo e attuale (salvifico…) oggi, continuando lo stile con cui è stato costruito nella comunità apostolica e sperimentato dai primi testimoni dell’annuncio.
    Per fare tutto questo, è indispensabile una conoscenza attenta del testo e della sua struttura letteraria, secondo le esigenze di una buona esegesi.
    Certo, non si può immaginare di diventare tutti degli esegeti raffinati. Ce ne sono, per fortuna, tanti. Alla loro scuola ci dobbiamo mettere, come discepoli attenti e interessati.

    La consapevolezza dei problemi attuali

    Il libro degli “Atti”, come qualsiasi racconto che ci riporti alle radici, ha qualcosa da dirci anche oggi, se noi lo facciamo parlare, provocandolo non dalla curiosità (anche la più raffinata) ma dalla coscienza dei problemi veri e inquietanti che ci investono.
    È un modo di leggere: non è l’unico… ma è quello che prediligo. Non ci stacca dal presente né dal passato. Al contrario, lega l’uno e l’altro, dalla prospettiva di quello che conta di più, il nostro quotidiano, appunto.
    La lettura degli “Atti” richiede, di conseguenza, come precondizione operativa, il coraggio di porci una serie di domande. Cosa ci preoccupa nell’oggi? Quali responsabilità sono evocate? In che direzione ci sentiamo competenti a progettare un’opera di trasformazione? Questi interrogativi ci aiutano a cogliere, con capacità riflessiva, i problemi e le prospettive che attraversano questo nostro tempo e ci sollecitano a far nostra la passione che ha spinto altri, in un tempo ormai lontano, verso quello che ci hanno consegnato.
    Leggere l’oggi dalla memoria del passato rende possibile perciò la raccolta delle sfide e delle provocazioni, che altrimenti resterebbero mute.
    Come si nota, suggerisco una lettura del presente di tipo interpretativo.
    Essa è fondata sulla competenza fenomenologica che ci aiuta a cogliere la realtà nella sua costitutiva complessità e nella trama che lega i singoli frammenti. Viene però superata la semplice descrizione mediante un tentativo di interpretare per leggere tra le pieghe verso il suo profondo.
    Già la rassegna dei fatti è sempre condizionata dalla collocazione di chi si guarda d’attorno. Sappiamo quanto sia importante essere “oggettivi”… per questo vogliamo essere informati e utilizziamo tutta la strumentazione necessaria. Ma dentro e oltre i risultati, vogliamo cogliere qualcosa che solo l’amore sincero sa decifrare: una realtà profondamente reale, stanata dallo sguardo penetrante della passione.

    Dalla storia raccontata alla raccolta di indicazioni permanenti

    Tante volte sono ritornato su un atteggiamento che stimo fondamentale per un approccio corretto e autentico ai documenti del passato, per raccogliere da essi indicazioni preziose per l’oggi. Si chiama, in gergo, atteggiamento “ermeneutico”.
    L’atteggiamento ermeneutico nasce da una constatazione, ormai diffusa e consolidata: lo stretto rapporto esistente in ogni espressione tra quello che si intende comunicare e le formule linguistiche utilizzate per farlo. Il primo elemento proviene dall’intimo di ogni persona, rappresenta il suo mondo interiore e il frutto del suo vissuto. Il secondo invece viene dai modelli culturali che riempiono l’ambiente della nostra esistenza. Ogni proposta (parole, gesti, interventi generali…) è sempre una sintesi di questi due elementi.
    Un esempio, di esperienza comune, può aiutare a spiegare di che si tratta.
    Chi osserva una foto di gruppo, vecchia di qualche decennio, difficilmente riesce a non sorridere. Non è solo questione di tecnica fotografica e di gusto artistico. In quella foto incontriamo un mondo che non è più il nostro. Nel profondo di quelle pettinature strane, di quegli abiti smessi da tempo e di quelle pose da maniera, ci sono, però, volti cari e passioni forti, persone coraggiose che hanno realizzato imprese grandi. Discernere vuol dire separare quello che conta davvero da quello che invece è ormai decaduto, per raccogliere il primo, abbandonando, senza falsi rimpianti, il secondo.
    Con questo atteggiamento ermeneutico siamo invitati a leggere il testo degli “Atti”. In esso troviamo problemi, soluzioni, fatti ed esperienze interessanti. Sono certamente normative per la nostra fede. Non possono però essere trasferite di peso… per il profondo legame con la cultura di quel tempo, tanto lontana dalla nostra. Abbiamo bisogno di scavarci dentro, per arrivare al dato fondamentale, che permane decisivo anche per noi, come lo è in qualsiasi stagione. Lo raccogliamo con amore e cerchiamo di ridirlo nelle parole e nella cultura di oggi, per trovare riferimenti e criteri proprio per i nostri problemi.
    Faccio un esempio… su cui ritornerò, uno tra i tanti. Nel primo capitolo degli “Atti” si racconta del modo attraverso cui Pietro ha scelto il successore di Giuda. Pone dei criteri, individua due persone disponibili… troppe per un posto solo… e così affida la decisione allo Spirito. È interessantissimo constatare il modo con cui fa parlare lo Spirito: tira la sorte. Come si vede, riconosce in una usanza diffusa e consolidata il luogo privilegiato in cui lo Spirito si rende presente.
    Siamo di fronte ad un segno anticipatore di quello che oggi chiamiamo “inculturazione” della fede e riconoscimento della forza dell’Incarnazione.
    Non possiamo certamente immaginare di risolvere i nostri conflitti di competenza… tirando a sorte. Ci faremo ridere dietro, vanificando la voce dello Spirito. Qualcosa però lo dobbiamo cercare, nella trama complessa della cultura attuale, per dare voce allo Spirito.
    Questo significa cogliere ciò che permane: il messaggio originale e fondamentale, nella trama di tutto quello che serve a creare attenzione e inserimento culturale.
    L’operazione non è certamente affidata all’invenzione dei liberi battitori. È un fatto ecclesiale, che richiede il rispetto amoroso del modo di essere e di agire della Chiesa, nel servizio dei fratelli cui lo Spirito affida il compito di far camminare nella unità verso la verità.

    Per ritornare all’oggi, in un coraggioso impegno di trasformazione

    Infine, si richiede una profonda capacità prospettica.
    Alle sfide dell’oggi vogliamo rispondere con un’azione che sappia prevedere, riorganizzare, ridefinire compiti e priorità, inventare risorse e ridisegnare l’uso di quelle disponibili.
    Anche questo è un momento della memoria: l’oggi, ricompreso dalla prospettiva del passato, si protende verso un futuro nuovo.
    La proiezione verso il futuro restituisce serietà alla memoria ed evita di bruciare tempo ed energie nel vuoto rincorrersi di rimpianti del passato.
    La tentazione è facile. Nelle situazioni di crisi, quando i problemi incombono e sembrano pronti a sommergere le persone, riaffiora la nostalgia dei “bei tempi”. Si consolida l’impressione che allora tutto filasse a puntino e che, in ultima analisi, è sufficiente ritornare con coraggio a ripetere quei gesti, per non dover più fare i conti con le crisi che ci investono.
    Lo sguardo verso il futuro restituisce invece alla fedeltà la capacità inventiva. Nel progetto, pieno del rischio del futuro, rimettiamo in gioco la capacità di servire la vita e di consolidare la speranza.
    Questo è il punto, sul piano del metodo.
    Non andiamo al passato, brillante e rivelativo finché vogliamo, per avere punti sicuri da cui dedurre soluzioni per l’oggi. Lo facciamo invece per ritrovare quel riferimento che ci permetta l’invenzione, radicati nel sicuro e fondati sulla speranza.

    Un progetto

    Ho suggerito una scelta e un metodo di lavoro.
    Mi impegno a tentare di metterlo in pratica su alcuni dei temi più rilevanti che la meditazione del libro degli “Atti degli Apostoli” ci suggerisce.
    Non pretendo né la completezza né l’ultima parola. La mia pretesa è molto più semplice e concreta: far nascere il desiderio di meditare personalmente il libro degli “Atti”, in una lettura continua, dal punto di vista suggerito; e dare una mano alle comunità impegnate in scelte pastorali quotidiane a trovare una criteriologia operativa dall’esperienza dello Spirito di Gesù.
    Questi sono i temi che mi riprometto di affrontare:
    – Tra nostalgia e missione (Atti 1, 1-11).
    – Criteri per fare l’evangelizzatore (Atti 1, 12-26).
    – Lo Spirito fa comunione nella diversità (Atti 2, 1-13).
    – Il sogno sulla comunità (Atti 2, 42-47).
    – Solo Gesù è il Signore (Atti 4, 1-12).
    – La conversione di Saulo (Atti 9, 1-19).
    – Criteri per risolvere i problemi (Atti 15).
    – Il servizio dell’autorità (Atti 20, 17-38).


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