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    Preadolescenti problema di chiesa locale



    Francesco Monti

    (NPG 1992-08-72)


    Si sarebbe tentati di affermare senza mezzi termini che il «problema preadolescenti» è un problema pastorale.
    Tuttavia è più giusto dire che la situazione dei preadolescenti è oggi tale da offrire notevoli interrogativi e provocazioni a tutta la nostra società e alla nostra concezione di vita.
    Il problema quindi è essenzialmente culturale e può diventare «pastorale», solo se il mondo degli adulti, gli educatori e la comunità ecclesiale, accolgono le provocazioni recependole come sfide al proprio essere in servizio educativo.

    LE PROVOCAZIONI

    In questo primo punto cercherò di elencare i nodi che possono esser recepiti come sfide alla nostra società del fermano/maceratese e alla nostra Chiesa particolare.

    Domanda di comunicazione

    Si può leggere, all'interno di tutti i dati della ricerca condotta sul nostro territorio, una domanda insoddisfatta di comunicazione a livello vitale. Tale domanda si evidenzia, in genere, sia nei confronti di una quantità di relazioni significative, sia intorno al «come» tali relazioni avvengono, sia infine sui contenuti che le caratterizzano Nella ricerca è evidente un desiderio non soddisfatto nei preadolescenti di significativa vita di gruppo, di rapporto stabile con i giovani più grandi, di relazioni più piene di contenuti (soprattutto per i maschi), di luoghi di incontro meno provvisori, più stabili e numerosi.
    Per quanto riguarda la famiglia, l'ammissione della sua centralità non può far sorgere illusioni, in quanto essa appare come rifugio da una situazione esterna nel complesso non accogliente le iniziali domande ed esigenze poste dai ragazzi.

    Il ruolo educativo della famiglia

    Il dato immediatamente più evidente è la centralità della famiglia come luogo privilegiato di socializzazione. A parte il fatto che una buona percentuale ammette di avere chiare difficoltà di rapporto familiare (un 10-12% di ragazzi a rischio che ritorna puntualmente nel corso della ricerca), si nota un permanere in famiglia in genere poco significativo.
    Il dialogo affettivo ed educativo avviene prevalentemente su un aspetto soltanto della vita dei ragazzi (la scuola) oppure su preoccupazioni vive all'interno della famiglia e non aperte quindi al mondo esterno. Si nota una caduta della fiducia e, conseguentemente, del dialogo complessivo. Il progressivo allontanamento della figura paterna, concepita nei primissimi anni come modello di riferimento, ma poi come figura in competizione, si va ad aggiungere ad un non trascurabile rapporto conflittuale presente soprattutto nelle femmine e corrispondente alla loro maggiore permanenza tra le mura familiari. Tuttavia viene ammessa come prevalente la dimensione tranquillità/serenità/unità. Ciò può significare che si stia andando verso la creazione di un clima basato sulla non conflittualità nonostante i potenziali e presenti conflitti; ma può essere anche frutto e segnale di una rinuncia progressiva sul fronte dei problemi, delle problematiche più vive e del rapporto educativo, sicuramente difficile ed impegnativo per tutti.

    Domanda di socializzazione e di formazione dell'identità personale

    I luoghi in cui può privilegiatamente avvenire una socializzazione tesa alla formazione dell'identità risultano essere soprattutto la scuola e la parrocchia.
    Nei confronti di queste due «agenzie educative» i nostri preadolescenti mostrano di avere atteggiamenti solo apparentemente contraddittori. Scuola e parrocchia vengono molto apprezzate nel complesso per la loro riconosciuta opera formativa. In esse si incontrano amici simpatici e adulti percepiti come «vicini».
    Nella scuola si ha la possibilità di vivere una esperienza nel complesso positiva. Tuttavia essa sembra essere il luogo principale di una progressiva formazione di un gruppo di ragazzi che già abbiamo chiamato «a rischio» e dei quali ci occuperemo fra poco.
    La parrocchia esercita una presenza affermata come «importante», ma nei suoi confronti risultano crescenti con l'età atteggiamenti di anticipato e progressivo distacco a volte anche critico.
    L'età della preadolescenza appare quindi come quella del vero inizio delle difficoltà nei confronti di questi due organismi. Tale difficoltà, forse non coscientemente, viene attribuita alla delusione di aspettative insite nella ri cerca di forte novità e di significatività.
    Il ruolo educativo di scuola e parrocchia in parte entra in crisi già nell'età preadolescenziale. Tuttavia, la loro educatività risulta già carente per quanto riguarda il legame «affettivo» che i ragazzi sentono nei loro confronti. È caratteristico di questa età proiettare a livello affettivo/gratificante la fiducia concessa al mondo degli adulti quanto alla formazione di una propria identità personale. L'affidamento spontaneo e naturale che essi esercitano nei confronti delle istituzioni appare già in parte frustrato da comunicazione carente, da presenze percepite «lontane», da testimonianze e «contenuti/proposte» non sentiti come coerenti con la propria ricerca di significato.
    È in questa età quindi che probabilmente hanno inizio le difficoltà del processo di formazione di una forte identità personale, proprio nel momento in cui i ragazzi hanno bisogno di passare dal processo di identificazione ad una più cosciente e autonoma formazione di personalità.

    La Chiesa: l'invocazione e la difficile risposta

    La parrocchia viene considerata contemporaneamente come il luogo di una possibile crescita, la destinataria di varie fondamentali domande e la maggiore possibilità di sviluppo del senso della vita e di Dio. Da tale impegnativa valutazione probabilmente nasce tutto il fenomeno di una iniziale crisi di rapporto. I ragazzi solo in parte trovano nell'esperienza ecclesiale la possibilità di «vivere il tempo» in maniera significativa. Il catechismo e la Messa sono sentiti come i più forti momenti di aggancio. I ragazzi cercano invece più significative relazioni interpersonali e possibilità di appartenenza concreta ad una esperienza. Prevale un chiaro desiderio di relazionalità che coinvolga la totalità della persona e che sia collegata al modo di vivere il proprio tempo.
    Di fronte a queste esigenze la vita ecclesiale appare spiazzata in gran parte. Lo si deduce dal numero di partecipanti a gruppi stabili dentro la parrocchia (quantificabile forse intorno al 15-20%) e dal fatto che già si assiste ad un allontanamento progressivo col crescere dell'età.
    Sapendo già che, a livello di preadolescenti, la domanda religiosa si esprime nella ricerca di coinvolgimento, nel desiderio di vita e di appartenenza, nella domanda di relazione educativa, bisogna dedurre che il permanere di questa situazione non permette di essere molto ottimisti. Infatti solo la metà dei ragazzi riconosce alla parrocchia il merito di «aiutare a credere in Dio». Questo dato si dimostra in esubero di fronte ad un 19-20% che vede nella parrocchia una possibilità di «crescere» attraverso attività legate effettivamente alla crescita personale: vita di gruppo, campiscuola, giochi, attività varie. C'è da notare ancora tuttavia che questa percentuale massima del 20% è rintracciabile soprattutto nelle zone pastoralmente più vivaci come quelle costiere e industriali. Altro dato significativo di un approccio ormai in difficoltà, legato solo al «catechismo» o addirittura «domenicale», è il fatto che la motivazione principale dell'andare a Messa viene individuata nel «senso del dovere».
    Da tutto questo risulta sufficientemente chiaro un approccio difficile da parte dei preadolescenti con quella realtà, la comunità ecclesiale, verso la quale sembrano proprio esserci appuntate le speranze di una possibile formazione di identità personale anche a carattere cristiano. Le difficoltà di incontro tra esigenza e risposte, richiesta ed offerta danno inizio al processo di allontanamento che troverà poi la sua massima espressione nell'adolescenza. Solo per una minoranza esiste la fortuna di rapporti coinvolgenti e significativi, caratterizzati da relazioni personali significative e da senso di appartenenza che garantiscano lo sviluppo della personalità in senso pieno e religioso.

    Dio e l'amore: la voglia di vivere

    Due termini ideali, forse due obiettivi; sicuramente due valori ritenuti indispensabili alla vita.
    La questione-fede è centrale ma appaiono contemporaneamente chiari i primi segni di sfiducia di fronte ad una conquista tanto ardua.
    L'amore è più a portata di mano, più sperimentabile nelle diverse forme di frequenza reciproca, di amicizia, di vita sentimentale e affettiva. Insieme sarebbero il massimo, soprattutto perché risolverebbero le difficoltà di una crescita di sé in rapporto all'esterno. Tale sembra essere l'impostazione della ricerca di Dio e dello sviluppo della propria affettività.
    Questa ricerca di vita appare sì come voglia di vivere pienamente, ma è una voglia che non esplode: il futuro, la bellezza, la fantasia, l'impegno, l'assomigliare a qualcuno, sono cose che contano poco. È una voglia di vivere «implosa», che tuttavia dimostra quanto ci sia bisogno di uno sviluppo gioioso delle proprie potenzialità.
    La fede e l'amore, intravisti come possibilità concrete di pienezza, vengono già perseguiti, nonostante la giovane età, con un cammino caratterizzato da diffusa anche se non appariscente rassegnazione. Questa rassegnazione viene confermata dalla preoccupante presenza di paure ed ansie socialmente indotte, da difficoltà di orizzonti dovute ad una diffusa violenza che non assume dimensione specifica e particolare, ma viene percepita come uno dei fattori dominanti della propria.

    Una fascia di soggetti a «rischio»

    Ultimo punto, e potenzialmente la più drammatica delle provocazioni finora individuate, è l'esistenza di un certo numero di ragazzi, quantificabile realisticamente intorno al 10-12%, che si ripropone puntualmente come un'area dai caratteri estremamente problematici. Sono soprattutto maschi e delle zone costiere.
    Sono ragazzi che non si accettano e che hanno chiaro un giudizio negativo nei loro stessi confronti; che evidenziano difficoltà di rapporto in famiglia, che non partecipano a gruppi ed attività sportive, che pensano di non essere capiti ed apprezzati dagli altri, che trovano difficoltà ad aprirsi all'esterno. Giudicano negativamente i loro rapporti con gli insegnanti a scuola e danno, degli stessi insegnanti, un giudizio critico: li considerano nel complesso inadatti al ruolo di educatori. Egualmente, nei confronti della parrocchia, manifestano esplicitamente domande di accoglienza e di socializzazione ed esigenze di maggiore vita vera all'interno delle sue strutture.
    Gli elementi notati a carico di questa area potrebbero essere ulteriormente studiati, ma appare già chiaro come tale gruppo rappresenta effettivamente per la società e la comunità ecclesiale il luogo dove concentrare la passione pastorale e gli interventi educativi.
    La loro presenza spinge alla riscoperta di una vera dimensione di incontro attraverso la quale poter recuperare relazioni interpersonali e accompagnamento significativo.
    Queste risultano essere le provocazioni più significative.
    È necessario interpretarle attraverso una lettura ancora più sapienziale: capirle non basta, occorre leggerle nell'ottica di una domanda di vita, di accoglienza e di relazione educativa, di nuovi rapporti con la fede e la Chiesa.

    UNA DOMANDA DI VITA, DI RELAZIONE EDUCATIVA, DI RELIGIOSITÀ NUOVA

    In un'ottica pastorale è quanto mai opportuno considerare l'uomo come un essere in via di compimento e di ulteriore pienezza: ognuno porta in sé, più o meno consapevolmente, «domande di vita».
    Specialmente nel passaggio dalla fanciullezza alla giovinezza si assiste ad una forte e chiara tensione verso una completezza di vita che presuppone diversi livelli di organizzazione della propria esistenza: è lo slancio tipico di chi cresce. Tale slancio racchiude anche una profonda esigenza di superamento di sé, di sbilanciamento al di fuori del mondo e al di là delle cose, verso l'incontro con il trascendente: è la «domanda religiosa».

    La domanda di vita

    Dall'insieme delle provocazioni provenienti dal mondo dei preadolescenti, emerge una chiara domanda di cambiamento. Essa appare più che mai forte, per un verso o per l'altro, proprio in coloro che possiamo definire «molto vicini» o «già lontani».
    La domanda di cambiamento è rivolta nei confronti della struttura della propria personalità, delle agenzie educative presenti nella vita dei ragazzi, dei luoghi educativi, della rete di relazioni finora intessute. La domanda di cambiamento appare forte ma non decisa, prepotente ma fragile, esplosiva ma limitata nel tempo. È, in effetti, una domanda difficile da assumersi in un processo di autocoscienza perché ad essa non vengono offerti strumenti espressivi e comunicativi e perché appare destinata a disperdersi nella frammentazione della propria personalità e dei luoghi di riferimento sociale. Che sia una domanda fragile è dimostrato dal fatto che proprio i preadolescenti risultino oggi i destinatari scelti delle offerte consumistiche e delle mode, comprese quelle dei sentimenti e del «comune pensare preadolescenziale». La loro domanda di cambio appare fragile perché bloccata proprio da quelle che vorrebbero essere risposte liberanti: il vestire, l'acquistare, il gestire il proprio tempo, i contenuti «artistici» delle proposte musicali... Sappiamo che a tale domanda di cambiamento possono rispondere solo provvisoriamente i nuovi rapporti creati, la nascente affettività, i nuovi ambienti: possono rappresentare solo un comodo rifugio ed essere la base di una non lontana disillusione, soprattutto quando impediscono gli ulteriori passi di ricerca che, soli, potrebbero garantire un cammino verso la maturità.

    La domanda di accoglienza e di relazione educativa

    Tutto ciò, da parte della Chiesa e di ogni agenzia educativa, va compreso come domanda di accoglienza e di relazione.
    Ad ogni passo della ricerca emerge una consistente richiesta di «luoghi in cui essere accolti». Esiste innegabile un richiamo alla relazionalità ed alla intersoggettività, attraverso le quali poter appropriarsi del processo di formazione della propria identità personale.
    Moltissimi tra i nostri ragazzi, non solo quelli dell'«area a rischio», appaiono segnati già da un inizio di sfiducia e di solitudine.
    Tale sensazione appare confermata (e non contestata!) dalla fiducia ancora esistente e proclamata nei confronti delle persone e delle istituzioni tradizionalmente vicine al mondo dei ragazzi. Infatti la fiducia nei confronti della famiglia, della scuola e della comunità ecclesiale è legata più all'appartenenza passata, dalla quale si stenta a distaccarsi, che alla consistenza di rapporti attuali sperimentati come veri e gratificanti.
    Il modo di concepire l'incontro con l'interezza della vita si rivela carico di speranza e di sogno, ma contemporaneamente è già caratterizzato dai semi della disillusione. Il vissuto globale, non offrendo altro che gratificazioni immediate ai bisogni, stenta ad elaborare una spinta propulsiva, carica di esperienze significative, verso la formazione della maturità.
    È tale, tuttavia, la fiducia espressa dal mondo dei preadolescenti, che è possibile riconoscere l'esistenza quasi di un gesto di consegna a questo attuale mondo di adulti: una consegna che coinvolge la sfera della propria crescita, la propria affettività, le speranze ed anche un'esigenza di significativa religiosità non più basata sugli elementi tipici dell'infanzia ma rifondata su termini nuovi.
    Il mondo degli adulti e le strutture educative sono quindi concepiti come ancora i destinatari della speranza che contemporaneamente come coloro che possono eludere e illudere la domanda.
    Il processo di formazione della religiosità appare inevitabilmente legato a queste dinamiche e quindi è segnato da contraddizioni e difficoltà.

    La voglia di gruppo

    Il problema di una vita di gruppo pienamente coinvolgente e che rende possibile una globalità di rapporti educativi attraversa tutte le provocazioni identificabili nella preadolescenza.
    Tale esigenza appare soggiacente a tutte le venature di non piena soddisfazione o di palese disagio, sia quando si affronta il tema dei rapporti e della vita scolastica, sia quando si evidenzia l'insufficienza della vita di famiglia e di parrocchia, sia ancora quando si denuncia un carente dialogo con i coetanei, sia nel modo di vivere il tempo libero, con la necessità di identificazione, di confronto, di accettazione.
    Così pure (e qui la domanda è ancora più evidente) il gruppo è da ritenersi come l'unica seria mediazione all'esperienza ecclesiale ed è, a sua volta, il vero e possibile ambito dell'evangelizzazione dell'esperienza giovanile.
    La «voglia di gruppo», soggiacente in molte delle indicazioni offerte, impone di caratterizzare il rapporto «ragazzi-società» con una mediazione educativa che, intervenendo sui processi di socializzazione, possa anche condizionare positivamente l'equilibrato e completo sviluppo dell'identità personale.
    Tale struttura mediativa è, a livello educativo (e quindi anche ecclesiale, visto che l'educazione è «il nome giovane» dell'evangelizzazione), il gruppo di animazione.

    Una nuova religiosità

    Oltre alle esigenza di una forte vita di gruppo, a livello pastorale può risultare estremamente significativa quella apertura, piccola o grande che sia, che fonda una specie di consegna all'attuale mondo degli adulti e della Chiesa. Solo in essa, nonostante il suoi limiti, le difficoltà e le disillusioni, può essere pensata con un certo realismo la crescita di un maturo senso religioso.
    Ci troviamo dinanzi a preadolescenti ancora abbastanza legati a forme di appartenenza ecclesiale caratterizzati dalla tradizione e dalla «norma». Si è notata una grossa ricerca di «luoghi di crescita e di vita»; esiste una buona disponibilità all'apertura e all'attesa fino allo sbilanciamento al di fuori di sé: tutto questo è semplice domanda di vita? È domanda di vita che possiede i germi di un cammino? È già domanda religiosa? Quante possibilità restano aperte ad una vita di fede consapevole?
    È bene tentare una risposta.
    - Anzitutto la novità scoperta nei rapporti tra preadolescenti e religiosità sta nel fatto che tali rapporti vengono rivisti nell'ottica della soggettività ed in particolare sono caratterizzati dalla ricerca di nuove relazioni che siano seriamente gratificanti, cioè che mettano il ragazzo a proprio agio e in situazione di ricerca dentro un ambiente accogliente. Tale atteggiamento è presente in una buona fetta dei ragazzi della nostra Diocesi.
    - Secondariamente esiste un progressivo allontanamento dalle strutture portanti della vecchia religiosità (quella dell'infanzia e della famiglia) consistenti nella pratica religiosa in cui sono stati socializzati.
    Ciò significa che esiste già una crisi nei rapporti del sistema rituale-simbolico di trasmissione della fede.
    - In terzo luogo, ed è la conseguenza di quanto precedentemente detto, risulta inevitabile lo stacco tra la vita reale del ragazzo (con tutte le sue domande di vita, i suoi bisogni, i suoi interessi e le sue aperture) e tutte le possibilità offerte da una religione vissuta e sperimentata come possibile ambito di piena umanizzazione.
    Questa osservazione ci sembra fondamentale in quanto le possibilità di una vera fede sono legate al problema del senso della vita (la fede è un problema di senso!) e la religione dovrebbe risultare, e quindi essere sperimentata, come la più grande possibilità offerta ad una piena umanità. Se si rompe il rapporto tra vita reale, ricerca, apertura e domanda da una parte e le possibilità offerte all'umanizzazione e al senso dall'altra, viene già compromessa in radice una vera crescita nella fede.
    I preadolescenti della nostra Diocesi appaiono caratterizzati, anche se solo inizialmente, dal rischio della rottura di tale rapporto.
    A ciascuno la ricerca delle cause di questo fenomeno; ma è innegabile che tale rischio sia già attuale.
    Il colmo è che apparentemente, ma solo apparentemente, le offerte della comunità -ecclesiale ai preadolescenti sono numerose: basti pensare a tutte le possibilità che essi in teoria possono trovare nella dimensione liturgico-sacramentale e nella catechesi.
    D'altra parte, egualmente, esiste sovrabbondante una serie di risposte/ proposte da parte della società: luoghi di socializzazione, inziative, mode, possibilità di identificazione ecc.
    Il fatto drammatico è la inadeguatezza sia delle possibilità offerte dalla Chiesa che delle risposte provenienti dalla società. Anzi il fatto stesso che tali possibilità e proposte appaiano sovrabbondanti può, al limite, peggiorare le situazioni, perché induce nei preadolescenti un atteggiamento di consumo di tali possibilità piuttosto che un atteggiamento di ricerca critica e selettiva. Sia nei processi di socializzazione che nell'incontro con la sfera religiosa/ ecclesiale si assiste ad una specie di consumismo di servizi destinato anch'esso a tramontare nel momento in cui la crescita personale porterà a definire di quali dimensioni vitali è sufficiente venire in possesso: se a 17/18 anni verranno ritenuti elementi indispensabili alla vita solo un lavoro ed un amore, tutti gli altri elementi, offerti e concepiti a livello di consumismo religioso e culturale, verranno rifiutati.

    La fede: i termini del problema

    Il vero problema quindi sta in questi termini: una domanda religiosa esiste sotto forma di fiducia generalizzata, di consegna personale e di slancio vitale. Non è ancora una vera «domanda religiosa», cioè non ha le caratteristiche della definitività, della globalità della vita, dell'urgenza del senso, dell'affidamento totale a Dio e all'esperienza di una comunità ecclesiale. È quindi una domanda religiosa molto implicita e fragile.
    Dall'altra le offerte e le possibilità che vengono concesse a tale domanda risultano inadeguate sia a livello ecclesiale (perché solo liturgico-sacramentali, catechistiche e non coinvolgenti, invece, gli stessi elementi della domanda di vita) sia a livello sociale. La domanda religiosa, nella vita di un giovane, normalmente, prima di esistere in piena consapevolezza, deve percorrere un cammino non breve.
    Di conseguenza l'esito della crescita interiore dipenderà prevalentemente dalle condizioni educative che società e comunità ecclesiale sapranno mettere in atto. L'alternativa inevitabile, l'unica possibile, è il fallimento dello slancio vitale nella sua tensione al trascendente e la chiusura individualistica nell'autosufficienza o nel nichilismo.
    Una vera possibilità di intervento educativo è data dal fatto che i preadolescenti risultano ancora fiduciosi nelle presenze ritenute finora più significative all'interno della loro vita: sono le persone della fanciullezza, i luoghi familiari, le strutture che sostengono la gioia di vivere, i linguaggi riconosciuti come portatori di un messaggio. Tali presenze dovrebbero non più proporsi come luogo di rifugio rassicurante e, quindi, alienante: è urgente che esse contribuiscano alla creazione di un nuovo contesto educativo capace di valorizzare la soggettività e spingere all'autonomia, altrimenti esse stesse porterebbero alla morte del desiderio e alla fine della ricerca.

    Gli interrogativi

    Di fronte a questa prospettiva dovremmo tutti seriamente pensare le varie offerte finora fatte, l'immagine di Chiesa, il modello ecclesiale-educativo, gli obiettivi pastorali e i metodi adottati.
    * Può bastare l'attuale proposta catechistica? Può bastare l'implicito ricatto consistente nel «concedere» il sacramento della Cresima solo a coloro che accettano di porre la loro vita all'interno della proposta catechistica? Quali altre strutture sappiamo o abbiamo la forza di offrire? In quanti luoghi esistono e a chi sono destinate esperienze educative di Associazioni e Movimenti?
    * Quale immagine di Chiesa stiamo dando? Possiede un clima familiare? È luogo accogliente oppure luogo di autorevolezza dottrinale, di insegnamenti, di «morale codificata». È agenzia educativa che ha preso possesso dell'età 6-14 anni e poi è disposta a tirare i remi in barca e a sopportare il fenomeno della lontananza senza gravi traumi?
    * Quale modello ecclesiale/educativo è presente dentro le nostre offerte? Il modello che approfitta del sacramento per continuare la sua opera educativa? Quello che verte intorno ad un mondo di adulti i quali, più che figure di accompagnamento e di affidamento, risultano essere gli organizzatori delle attività e i possessori del potere educativo/ecclesiale?
    Quante volte si è approfittato del connaturato senso di appartenenza dei preadolescenti per farlo diventare «dipendenza» a tutti i livelli della vita? Quante volte proponiamo un modello educativo basato sulla selezione e non sull'animazione della vita di tutti i ragazzi? All'opposto: fino a che punto collochiamo la crescita globale dei preadolescenti al centro delle nostre attenzioni?
    Fare questa scelta coraggiosa, ma l'unica legittima e doverosa, significherebbe affrontare il problema educativo da ogni lato (associativo, culturale, sportivo, espressivo ecc. ...) e garantire che ciascuno viva il suo ruolo educativo nell'ottica di chi cura la crescita di un «seme di senape» in prospettiva del Regno.
    In definitiva, dovremmo avere a questo punto il coraggio di chiederci quali obiettivi pastorali e quale metodo culturale-educativo abbiamo e se le operazioni pastorali, le presenze educative, i mezzi strutturali che mettiamo in atto sono adeguati alla situazione dei ragazzi e alla passione apostolico/ salvifica della Chiesa.
    Un medico che non abbia il coraggio di ricercare su un malessere ed un profondo disagio non è un buon medico.
    L'aver studiato una situazione e l'aver posto gli interrogativi non dovrebbe servire ad angosciare ulteriormente la nostra già difficile vita, ma solo a risvegliare quegli interessi, quella passione pastorale e quelle competenze che a più livelli della nostra Chiesa locale risultano forse in parte sopiti.


    T e r z a
    p a g i n A


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