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    La bellezza della Croce


    Discepoli della bellezza /11

    Maria Scalisi

    (NPG 2011-08-54)


    Nel precedente articolo abbiamo descritto la Bellezza di Gesù il Cristo nella storia dell’umanità, e possiamo dire che la Bellezza è Epifania di Dio, Rivelazione del soprasensibile nel sensibile, gloria di Colui che è l’autore di tutte le bellezze. Cristo incarnandosi si rende partecipe della nostra mortalità e ci rende compartecipi della sua divinità. Egli ha preso su di sé uno dei nostri mali la morte del corpo, e ci ha così liberati dai due mali ai quali, a causa del peccato, eravamo soggetti: la morte del corpo e la morte dell’anima.

    Attraverso il Sacrificio della Croce Cristo ha liberato l’uomo dal peccato e ha estinto tutte le colpe dell’umanità non con la potenza, ma con la giustizia. Qui per giustizia si intende «un’opera di santità». Tale santità appare sulla terra nella humilitas Christi:[1] infatti l’umiltà di Cristo sulla Croce raggiunge il grado più alto dell’Umiltà che serve da esempio anche a noi uomini, ma che può essere solo di Dio.
    La Croce è il momento della verità suprema, i discepoli potevano sbagliarsi sulla figura del Messia quando moltiplicava i pani, quando guariva i malati, ma sulla Croce la figura del Figlio di Dio, perfetta Immagine del Padre, si è pienamente rivelata, perché la testimonianza della passione, più che i miracoli, ha permesso di «vedere» la gloria di Dio, il suo amore infinito e la comunione ininterrotta tra il Padre e il Figlio, per ricreare la comunione con e fra gli uomini.[2]
    Questo è possibile in quanto ci accostiamo al primato della Bellezza e dell’Amore di Dio: sulla Croce la forma del bello appare come folgorante illuminazione escatologica, «presagio veggente della gloria che traspare nella Forma del Servo».[3] La bellezza che Von Balthasar ci descrive nelle sue opere è l’azione buona di Dio, l’azione disinteressata del Padre che senza calcolo si dona al Figlio, l’azione gratuita del Figlio che si restituisce interamente al Padre nello Spirito d’amore e nella pienezza del tempo, in donazione totale, che prende le vie del mondo e stabilisce la sua tenda tra gli uomini. La bellezza di Dio nasce dal dramma della sua donazione, è splendore a lode della sua gloria. Il dramma, peraltro, si svolge sul teatro del mondo non solo perché tutti gli uomini possano vederlo, ma perché tutti vi possano partecipare. È la bellezza dell’amore di Dio che in Cristo crocifisso si fa pienamente visibile, diventa «spettacolo» (Lc 23,48). Tutti da spettatori (Schauspieler) possono diventare attori (Mitspieler); per operare questo passaggio viene riversato nei cuori lo Spirito di verità che fa comprendere la rivelazione del Padre mediante il Figlio:
    «quel Logos, in cui tutto nel cielo e sulla terra è raccolto e possiede la sua verità, cade lui stesso nel buio, nell’angoscia (...) in un nascondimento, che è proprio l’opposto dello svelamento della verità dell’essere (...) L’indicativo è perduto, l’interrogativo è rimasto l’unico modo di parlare. La fine della domanda è il forte grido. È la parola che non è più parola (...) Anche il Logos, che ha accettato la forma a lui adatta, deve essere privato della sua figura (...) La parola di Dio nel mondo è diventata muta, nella notte essa non chiede più di Dio; essa giace sepolta nella terra. La notte che la copre non è una notte di stelle, ma notte di desolazione profonda e di alienazione mortale. Non è il silenzio pieno di mille segreti d’amore, che scaturiscono dalla avvertita presenza dell’amato; ma silenzio di assenza, di distacco, di vuoto abbandono, che arriva dietro tutti gli strappi dell’addio».[4]
    Von Balthasar parla dell’abbandono del Figlio con il linguaggio dell’amore, che è poi il modo d’esprimersi della bellezza, ed evoca l’indicibile dolore dell’interruzione più alta. È proprio in forza di questa equivalenza singolare fra il Cristo abbandonato e la bellezza, che Von Balthasar avverte l’epocale attualità del bello come «via per il recupero del vero e del bene».[5] La Bellezza del Crocifisso è una Bellezza che trapassa (passare da parte a parte), trasformando, cambiando la vita nel profondo. L’esperienza dell’amore che penetrandoci ci fa belli sia nel cuore che nell’anima). Il cuore e l’anima dell’uomo sono come baciati dall’amore: «è il bacio mortale dell’Agàpe» direbbe Bruno Forte, che si può formulare così: la misura dell’amore è amare senza misura, senza limiti, senza fine, senza perché. La Bellezza del Crocifisso ferisce, perché causa nell’uomo una forte nostalgia di Dio, ma proprio per questo essa richiama l’uomo al suo destino ultimo. Qui il bello assume un’altra dimensione: non è solo quello che pacifica,[6] ma anche quello che trafigge l’animo.

    Il dramma del Figlio

    Nel cuore della Bellezza Trinitaria si compie un dramma: il Figlio di Dio, nella seconda Persona della Trinità, ha il volto sfigurato, il capo coperto di spine, il costato squarciato, il corpo flagellato inchiodato alla Croce. Dio appare vinto, sconfitto dalla morte; tutte le speranze degli uomini si mostrano vane. C’è un momento drammatico nella storia di Cristo: quello in cui il chicco di grano è nella terra, già affidato alle tenebre del sepolcro (Gv 12,24). La relazione tra il Padre e il Figlio appare interrotta, l’azione dello Spirito muta, le lacrime della Madre e dei discepoli bagnano la terra. mentre il centurione dice: «Davvero costui era Figlio di Dio» (Mt 27,54). La Bellezza ha sofferto il prezzo dell’amore, un amore così grande che «egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori» (Is 53,4). Scrive Agostino riferendosi a Cristo che Egli è sempre bello: «bello mentre subisce i flagelli, bello quando invita alla vita, bello quando disprezza la morte, bello quando depone l’anima, bello quando la riprende, bello nella croce, Pulcher in ligno».[7] Agostino d’Ippona vede nel Cristo Crocifisso lo splendore della pura bellezza e ci invita a non soffermarci a guardare la carne spossata del morente, ma solo lo splendore della sua bellezza, perché, anche nella «forma di servo» (Serm 194,33) «egli non perde mai quella bellezza che gli è propria della natura di Dio» (En. in Ps. 103,D.1,6).
    La Croce è il simbolo dell’amore nella sua perfezione assoluta, ed è il Figlio di Dio, che dà la sua vita per la salvezza degli uomini, l’emblematico punto di riferimento per ogni forma di bellezza e di amore; aggrappiamoci con tutte le nostre forze a quel lignum crucis, che Agostino vede come simbolo dell’amore nella sua perfezione assoluta, è l’unico mezzo sicuro che ci aiuta ad attraversare il mare della vita,[8] l’unico mezzo per superare la nostra «bruttezza» e risplendere della Bellezza di Cristo. Cristo si è caricato tutta la nostra bruttezza per donarci la primitiva bellezza. Siamo stati giustificati, più che salvati, redenti; ma questa redenzione presuppone l’eco del nostro amore.

    Per gli educatori

    Parlare della Risurrezione di Cristo ai giovani significa far loro scoprire il valore dell’eternità. Ognuno di loro è stato creato per la vita eterna. La Bellezza della Risurrezione di Cristo è stata la nostra risurrezione. I figli di Dio riscattati dal sangue di Cristo riceveranno il dono della perenne Bellezza in un godimento instancabile che solo Dio può dare.
    La Bellezza di Cristo Crocifisso morto e risorto insegna che più forte della morte è l’Amore. Essere fermamente convinti, insieme all’evangelista Giovanni, che tutti «noi siamo passati dalla morte alla vita» (Gv 3,14). La celebrazione della Pasqua è radicata nel quotidiano ed è determinata dallo stile di quell’Amore con cui Cristo ci ha amati. Con la Risurrezione di Cristo anche il principio enunciato nel Cantico dei Cantici «forte come la morte è l’amore» (Ct 8,6) viene ad essere superato e inverato dalla Pasqua del Figlio di Dio, ove appare chiaro che più forte della morte è l’Amore. La Risurrezione del Figlio incarnato morto e Risorto è per noi vita e speranza. Gesù è stato «il principio, primizia di coloro che risuscitano dai morti» (Col 1,18). Insegnare ai giovani che l’autentico Amore potenzia la qualità della vita, il senso del viaggio che l’uomo intraprende su questa terra trae la forza d’essere proprio dall’Amore di Dio per noi; «l’amore è tutto» è la conclusione del Dottore della spiritualità cristiana Santa Teresa di Lisieux e l’amore non può non essere il tutto. Cristo che è Amore, l’amore ce l’ha donato in abbondanza, «l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, che ci è stato donato» (Rm 5,5). Per questo i cristiani, essendo testimoni della Bellezza, dovranno mettere da parte le esitazioni e prendere la Croce come Gesù, con la consapevolezza di aver scelto l’Amore più grande: «Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mc 8, 34). Giovanni Paolo II incoraggiandoci a seguire l’Amore di Cristo ripeteva: «non abbiate paura», perché più forte della morte è l’Amore.

    Ballata per la rosa d’inverno – 4ª parte

    Stupito il chiostro ti gira intorno / Fiore d’inverno temprato alle lotte: / il chiostro ti canta-Sei Bella di giorno! / E la Luna risponde:-Sei Bella di notte! Soltanto quando nel cuore / quella arcaica fame / d’amore insaziato / nel pianto / sciolta sarà di un amore / penitente / per penitenza amorosa, / che più nulla chiede: / allora / il cuore del Chiostro / si aprirà innocente / come la Rosa / al Dono-di-sé: / alla Scuola della Bellezza, dell’arte di perderSi senza misura / per irradiarSi senza misura. / E, allora, Tu / Amata il Sigillo / del tuo primo bacio / imprimere potrai / sul cuore guarito / dalla fame infantile / di possedere il Mistero / Che ci possiede: / Quello / che la Tua Veste Rossa / mia Rosa d’inverno / cela e disvela. / Muto Fiore d’inverno fiorito, / che del Chiostro / mia Donna sei voce: / il tuo «Discorso d’Amore» ho sentito, / nel silenzio che al cuore non nuoce. / Di vedere, Amata, / timida la tua voce / uscire dagli occhi / di perla mattutina / della Rosa d’inverno / mi fu concesso: / auguravi e imploravi / «l’Amore che ci ha donato / sia l’amore che ci doniamo!» / Intesi così, un mattino / di grazia / il muto grido della Bellezza / dell’unica Rosa fiorita, / che Unica le sue grazie / nel calice / nascoste da tre petali / curvi sul suo cuore / velato celava. / I suoi petali di carne / viva, ogni mattino / fatta rosso cristallo / ricamato dal gelo dicembrino, / da nuovo diadema sono imperlati / di rugiada regale / e al cielo nitido / fanno estatico specchio: / Sono, così, i tuoi occhi / – mia Amata, mia Rosa d’inverno – che dal Cielo raccolgono / raggi d’oro / e ai miei, non vedenti / Luce d’Amore accendono: / essi, che con il loro / sguardo interiore / alla Scuola d’Amore / mi fanno d’Amore veggente. / Stupito il chiostro Ti gira intorno, Fiore d’inverno temprato alle lotte: il chiostro Ti canta: – Sei Bella di giorno ! e la Luna risponde: – Sei Bella di notte! / Presto Dicembre il corso / dei gelidi giorni al Gennaio / nevoso cederà; / e ancora ogni mattino / il morso sottile / della mia estetica passione / ancella di un iniziatico cammino / dagli occhi al cuore / affonderà... / Mentre le due rose / di loro ostentata bellezza / vanamente orgogliose / cadevano spoglie, / la gloria cedendo alla bruttezza; / l’Amata, / schiva ai miei sguardi / e alle mie voglie, / il cuore vibrante / mi celava ancora: / da tre rossi petali velata / con amabile rossore, / quale curva conchiglia / frastagliata / che il candido seno / marino / conchiuda gelosa / dell’Innamorata / di suo rossore gloriosa. / Del mio inverno la Rosa / – Tu, in silenzio fiorita – / sei l’Amata e la Sposa / che alle nozze m’invita.
    (Padre Marco Darpetti ofm Capp.), Ballata per la rosa d’inverno (Fine)

    NOTE

    [1] Cf Ep. 232,6: CSEL 57,516, NBA XXIII (185-270), p. 741.
    [2] Cf M. Tenace, La Bellezza, Unità Spirituale, Lipa, Roma 1994, p. 198.
    [3] Cf H.U. Von Balthasar, Gloria, Un’Estetica Teologica, La percezione della forma, Vol. I, a cura di G. Ruggieri, Jaca Book, Milano 1975, p. 238.
    [4] Cf H.U. Von Balthasar, Il Tutto nel frammento, Jaca Book, Milano 1972, p. 223-226.
    [5] Cf B. Forte, La porta della Bellezza per un’estetica teologica, Morcelliana, Brescia 1999, p. 62.
    [6] Cf Per Aristotele la bellezza degli eventi tragici ha per effetto la purificazione dell’animo dello spettatore, perché gli permette, rispecchiandosi nell’azione tragica, di chiarificare e illuminare le sue passioni, di portarle ad un livello di maggiore consapevolezza. Aristot., Poet. 6,1450a, 67.
    [7] Cf En. in Ps. 44,3: CC 38,495, NBA XXV (1-50), p. 1079-1081.
    [8] Cf G. Reale, Amore Assoluto e ‘Terza Navigazione’, in «Parole Chiave», Rusconi, Milano 1994, p. 595.


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