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    In armonia con l’eterno Pensiero-Amore



    Discepoli della bellezza /5

    Maria Scalisi

    (NPG 2010-08-67)


    Negli articoli precedenti abbiamo affrontato il tema della Bellezza vista, vissuta, pensata da autori illustri come Platone, Aristotele, Plotino e molti altri che nel corso dei secoli sono stati attratti dal tema della Bellezza. Inoltre non possiamo non ricordare Sant’Agostino, che con grande lirismo descrive la Bellezza in modo esemplare in molte delle sue opere.[1]
    I Discepoli della Bellezza ricorderanno che dall’inizio dell’anno, tramite questa rubrica, hanno avuto la possibilità di salire una «scala» educativa di perfezione di vita, che di grado in grado conduce all’amore per la Vera Bellezza. L’obiettivo che ci siamo prefissati è quello di arrivare ad avere una buona cultura dell’educazione dedicata alla Bellezza, affinché la Bellezza possa entrare a far parte della nostra vita, nelle nostre scuole, nelle nostre famiglie, in modo che tutti possiamo essere in grado di educare al bello e alla Bellezza.
    A questo scopo introduciamo nel nostro percorso altri personaggi importanti, come lo pseudo-Dionigi l’A­reo­pagita (V o VI secolo), il grande Tommaso d’Aquino (Roccasecca 1225-1274), e il suo maestro Sant’Alberto Magno (Colonia 1206-1280).
    I meno ferrati o interessati alla filosofia possono andare direttamente al paragrafo finale.

    Lo splendore della forma

    Iniziamo con lo pseudo-Dionigi l’Areopagita i cui scritti ebbero una vasta influenza nell’Occidente Latino; troviamo che egli, per quanto riguarda la Bellezza, prosegue una linea di pensiero che si colloca tra l’antichità classica e il periodo medievale della Scolastica. Per l’Areopagita: «Dio è la Bellezza stessa nello splendore del suo essere; egli crea il mondo a partire dall’amore per la sua propria Bellezza e le creature partecipano a questa bellezza in misura maggiore o minore».[2]
    Più tardi, nella filosofia medievale, troviamo due formule che permettono di cogliere assai bene il carattere della bellezza; l’una, di San Tommaso d’Aquino, che definisce il bello come ciò che piace alla vista: «quae visa placent»,[3] l’altra, è di Sant’Alberto Magno che indica il fondamento stesso per cui il bello appare come tale, cioè il rilucere della forma: «splendor formae».[4] Partendo dalla formula di Alberto Magno, «splendor formae», notiamo che la bellezza è intrinseca alla Forma, anzi in essa c’è splendore, lo «splendore della forma» sostanziale o accidentale su delle parti materiali, che sono proporzionate e delimitate.[5] Per Sant’Alberto Magno questa armonia delle parti costituisce dunque l’elemento materiale della bellezza, mentre lo splendore ne è l’elemento formale. Nella sua opera dal titolo: Super Dionysium De divinis nominibus, egli attribuisce alla bellezza tre caratteristiche essenziali: lo splendore della forma in parti ben proporzionate; il risveglio del desiderio; l’accomunarsi di tutte le cose per mezzo della loro forma, di cui lo splendore costituisce la bellezza.
    La forma è l’elemento più significativo per la bellezza, perché le cose si distinguono per noi grazie alle loro forme, che sono gli aspetti sotto i quali le cose ci appaiono e attraverso i quali li riconosciamo. Poiché le forme c’illuminano riguardo a ciò che le cose sono, noi pensiamo ad una forma come una specie di luce alla quale dobbiamo prestare attenzione se vogliamo percepire o capire una cosa.
    La forma, per Sant’Alberto Magno, è in definitiva una partecipazione allo splendore divino, perché il Creatore conosce, nella luminosità della mente divina, ciò che è creato. La bellezza è dunque la figura manifestativa della perfezione nelle cose create: con essa un ente esprime compiutamente l’essere nella forma che gli è appropriata o nell’Idea che in esso vive. Per essere «manifestativa» dell’essere la bellezza deve essere «espressiva», cioè deve raggiungere la sua conformazione ideale; e rispetto a ciò vi sono naturalmente più gradi di approssimazione: esistono quindi «gradi» e «modi» diversi di bellezza. Al bello espressivo di un grado nobile di una data realtà corrisponde un’estetica anzitutto «visiva» che affascina l’uomo. Poiché qui l’ente riluce in un grado d’essere perfettamente attuato, al di sopra del movimento e della fatica della ricerca, esso possiede e offre a colui che è capace di «vedere» la «grazia» della quiete e della facilità della contemplazione del suo atto compiuto.[6]
    Non è forse questa l’esperienza che facciamo visitando un repertorio di bellezze, quale può essere una pinacoteca? Il bello aggiunge qualcosa al bene, in questo modo il bello diviene nell’animo dell’uomo bene-bellezza. Un bene-bellezza che ci fa trascendere e superare le tristezze e le malinconie della vita quotidiana. Infatti le bellezze visibili hanno la capacità di acquietare l’essere e lo spirito, non in se stesse, ma in quanto rimandano ad una Bellezza superiore.

    Scintilla dell’Eterno Amore

    Questa è la formula con la quale Tommaso d’Aquino definisce il bello: ciò che piace alla vista: «Pulchra enim dicuntur quae visa placent».[7] Egli si riferisce con questo alla percezione della bellezza e scrive: «è proprio del bene soddisfare il nostro desiderio quando l’abbiamo acquisito, mentre è proprio del bello l’appagamento del desiderio una volta che lo si è conosciuto. Di conseguenza il bello aggiunge qualcosa al bene, vale a dire il fatto di essere ordinato alla conoscenza. Dunque ciò che soddisfa il nostro appetito è detto bene, mentre l’oggetto della conoscenza da cui traiamo piacere è detto bello».[8]
    Si chiamano belle quelle cose che vediamo e che suscitano il nostro piacere. Così il bello consiste nelle giusta proporzione delle parti. In numerosi passi delle sue opere San Tommaso scrive che l’ordine armonioso delle parti di una cosa è essenziale per la bellezza.[9] La Bellezza non può esistere senza l’Essere, non più di quanto l’Essere possa esistere senza Bellezza. Dio è causa e principio della Bellezza delle cose, poiché è causa dello splendore delle cose, in quanto Dio fa dono alle creature, con un certo fulgore, del suo raggio luminoso che è fonte di ogni luce; e queste donazioni fulgenti del raggio divino vanno intese nel senso di una partecipazione della Luce divina e sono artefici di Bellezza nelle cose; ogni cosa è più bella se più da Lui ha ricevuto, e più ha ricevuto più è stata amata. «Ogni forma, per mezzo della quale una cosa ha l’essere, partecipa in un certo senso alla chiarezza e allo splendore divino»,[10] la forma è qualcosa di divino; essa possiede la più grande perfezione possibile, ed è qualcosa di divino, poiché ciascuna forma ha un certo grado di partecipazione inteso come somiglianza all’essere divino che è atto puro; ogni cosa si realizza nella misura in cui possiede una forma. La forma è ciò che vi è di più perfetto, dal momento che l’atto è la perfezione della potenza e il suo bene; ne risulta che anche la «Forma» è desiderabile come ogni cosa che aspiri alla sua perfezione.[11]
    La Creazione con tutta la sua bellezza è una scintillante manifestazione dell’Eterno Amore. Come un artista Dio vi ha non solo impresso il segno del suo concetto eterno, ma vi ha anche infuso qualcosa del suo Amore. Tutto dunque esprime Dio (causa esemplare delle cose) e tutto tende a Lui (causa finale) in forza dello stesso dinamismo impresso alla realtà finita dall’Infinito Atto creante (causa efficiente). A causa dell’amore per la bellezza divina, Dio dona l’esistenza ad ogni cosa, e muove e conserva ogni cosa. Dio ha creato l’universo allo scopo di renderlo bello per se stesso, affinché rifletta questa stessa bellezza. Dio, la Bellezza in sé, vuole che ogni cosa diventi bella nella pienezza della bellezza divina, che causa l’armonia e l’ordine dell’intero universo ed esercita un potere sulle cose, dando loro l’unità.

    Bellezza e Amore

    Scoprire nelle cose questo rapporto con la Bellezza e adeguare il proprio spirito, con senso profondo del giudizio critico e del sentimento o della preferenza estetica, significa mettersi in armonia con l’eterno Pensiero-Amore e godere nella sua totalità comprensiva ed espressiva la bellezza delle cose. Questi sentimenti di Amore e di Bellezza doveva provare il salmista quando ha scritto «i cieli narrano la gloria di Dio e le opere da lui fatte predica il firmamento» (Sal 19, 2); aggiungiamo che non solo i cieli narrano la gloria di Dio, ma tutto il mondo diventa rivelazione incessantemente nuova della Bellezza.
    Non possiamo vivere senza Bellezza; educare alla bellezza significa educare alla bontà dei cuori, cioè alla bontà non tanto di ordine ontologico, ma alla bontà di ordine morale, alla tenerezza dell’agire umano, che della bellezza è l’espressione più luminosa. «Di questa bellezza ha parlato Victor Hugo nei Miserabili, quando scrive: «invecchiando, essa aveva acquistato quella che si potrebbe chiamare la bellezza della bontà». Quali pennellate più belle di quelle lasciateci dal Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi al capitolo XXXIV in cui narra: «Scendeva dalla soglia di uno di quegli usci... una donna, il cui aspetto annunziava una giovinezza avanzata, ma non trascorsa; e vi traspariva una bellezza velata e offuscata, ma non guasta, da una gran passione e da un languor mortale: quella bellezza molle a un tempo e maestosa».

    Qualche annotazione pedagogica

    Uno stimolo per l’educazione molto significativo ce lo offre il tomista Bernard Lonergan (1904-1984). Per Lonergan educare ogni singola persona alla Bellezza significa educarla al Bene e all’Amore, significa educarla a capire l’avventura umana che sta vivendo, aiutarla ad affermarsi e a progredire liberando quella persona dal rischio sempre ricorrente della comunicazione malata, del conformismo condizionante (etica del così fan tutti) o dell’isolamento avvilente, per far scoprire il flusso della cultura e della storia, per accrescere, attraverso il proprio sviluppo, lo sviluppo dei saperi. È un buon educatore colui che guarda alla vita concreta del soggetto in tutta la sua dinamicità esistenziale e culturale, chi non intende porsi «come una diga al di là del fiume della vita, della crescita, dello sviluppo»,[12] ma piuttosto preferisce essere «come l’alveo in cui il fiume scorre».[13]
    La diga che sbarra il fiume, per rallentarne la corrente o per costruire bacini di vario impiego, è opera destinata a trattenere il vitale e naturale fluire della vita, per trasformarlo e renderlo altro. Essa non può, pertanto, costituire il termine di similitudine per la filosofia dell’educazione lonerganiana che guarda al soggetto nell’interesse dei suoi dinamismi, nel totale fluire e differenziarsi dalla sua coscienza, nel pieno rispetto e promozione della sua intenzionalità conscia, nel suo sviluppo come auto-appropriazione. Solo l’alveo, che accoglie completamente le acque del fiume, può sapere tutto del suo corso, tra l’alveo e le acque si stabilisce una particolare sinergia: l’alveo la raccoglie, le guida, ma al tempo stesso è segnato dalla loro vitalità, (dall’accrescimento o dalla diminuzione). Solo l’alveo può, dunque, ben esprimere il compito della filosofia dell’educazione, che propone al soggetto, nel corso della sua vita, di progredire nell’ideale, di affermarsi come coscienza, di cogliere l’autonomia del flusso di coscienza e governarlo. Finché scorrerà il fiume della vita umana non potranno mai dirsi risolti definitivamente i problemi dello sviluppo, dell’educazione, dell’istruzione. Lonergan ci ricorda che può essere d’aiuto la filosofia dell’educazione. Le teorie dell’educazione sono come l’alveo in cui scorre il fiume della vita e può giungere a nutrire quello della cultura dell’educazione.[14] La vera bellezza, in quanto attrazione di ciò che è veramente buono, motiva la vita e lo sviluppo dell’uomo in quel trascendersi intellettuale, morale e religioso che costituisce l’autenticità umana.[15]
    Non possiamo non ribadire ancora una volta che è necessario educare al bello fin dalla più tenera età. L’azione educativa alla Bellezza deve consistere in un costante impegno, che sia capace di suscitare nei bambini interesse, stupore, incanto, meraviglia per la bellezza. Gli educatori devono saggiamente insegnare ai più piccoli a scoprire e ad amare la Bellezza e la presenza di Dio nella quotidianità della vita, per ottenere gradualmente nell’educando quella perfezione della libertà, che si sintonizza stabilmente sul Bene e sulla Bellezza. In questo modo la vita diventa come un ritornello, un canto di lode e di ringraziamento rivolto a Colui che ha fatto belle tutte le cose.
    Per la poetessa Rosaria Schirmenti la bellezza deve diventare un alimento di vita da assimilare con la mente e il cuore, che a sua volta produrrà frutti di riconoscenza e amore. Ce lo ricorda nella sua poesia dal titolo «Bellezza del Creato e del Creatore»:

    «Amare la vita e tutto ciò che è bello.
    Arricchire i nostri occhi, alimentare la nostra mente con i doni del creato,
    che rivelano amore e generosità.
    Amare i fiori con la varietà dei colori e i suoi profumi soavi.
    Amare il mare con le sue onde
    spumeggiante, che ci alimenta
    dell’ossigeno e dello iodio in ogni istante.
    Amare il cielo azzurro e limpido che
    rispecchia la purezza del creatore e,
    il sole che ci dona luce, vita e calore, arricchendoci di bellezza e di splendore.
    Amare i prati verdi, i ruscelli, i fiumi,
    i laghi, le montagne e le colline,
    che sembrano dirci: noi viviamo
    ed esistiamo per rendervi felici.
    Amare la varietà delle creature volatili del cielo e tutti gli animali dei campi,
    che con la loro bellezza,
    e i cuccioli giocherelloni ci rallegrano, trasmettendoci gioia e tenerezza.
    E cosa dire ancora di altri doni e talenti che Dio ha dato all’uomo?
    Della buona musica, l’arte, la varietà delle razze, i costumi,
    e il dono di procreare?
    Le coppie di fidanzati che si amano,
    si sposano e formano famiglie?
    La bellezza dei bambini con i loro
    sorrisi dolci e genuini che
    sensibilizzano i nostri cuori?
    Questi e altri buoni doni Dio ci ha
    arricchiti come alimento di vita,
    per incamminarci nel suo sentiero
    e poter ottenere anche noi
    un’esistenza infinita.
    La personalità e il carattere
    del Creatore è evidente.
    Egli è luce, gioia, bellezza, generosità
    e amore, per questo è vitale è immortale.
    A noi sue creature ci ha anche donato un anima, il Signore,
    ci ha donato un cuore.
    Ci ha donato dei sentimenti,
    per esprimere la pace
    e il suo divino amore.
    Assimilare la sua personalità
    è necessario, per sconfiggere sofferenza e mortalità, infatti è il primo
    comandamento che Gesù Cristo
    ci ha dato, il secondo comandamento
    e simile: ama il prossimo tuo
    come te stesso.
    Apriamo la finestra del nostro cuore
    e lasciamo entrare il sole della bellezza,
    della gioia e dell’amore
    del nostro divin Signore».

    (Rosaria Schirmenti, Bellezza del Creato e del Creatore)

    La bellezza è il potere che ha il bene di suscitare, raccogliere e mantenere l’attenzione necessaria per farci diventare intelligenti, ragionevoli, responsabili e pieni di amore.
    Nel prossimo articolo parleremo dell’uomo, analizzando in particolare le bellezze del corpo e dello spirito, per scoprire in ogni uomo una nota di Bellezza.


    NOTE

    [1] Cf M. Scalisi, La Bellezza in Agostino d’Ippona, poter educare attraverso il bello sensibile al bello immutabile, Aracne editrice, Roma 2009.
    [2] Cf Corpus Areopagiticum, De divinis nominibus, IV; 4, 700b.
    [3] Cf S. Th.,I, q. 39, a. 8.
    [4] Cf Super Dionysium De divinis nominibus, Opera Omnia, 37,1, Münster 1972, p. 182.
    [5] Cf Brugger W., «Bellezza» Dizionario di Filosofia, Marietti, Torino 1959, p. 44-45.
    [6] Cf Dizionario di filosofia, «Bellezza», a cura di W. Brugger, Marietti, Torino 1959, p. 46.
    [7] Cf S. Th., I, q. 39, a. 8.
    [8] Cf S. Th., I-II, 27,1 a. 3.
    [9] Cf L. J. Elders, La Metafisica dell’Essere di San Tommaso D’Aquino in una prospettiva storica, vol. I, Libreria Vaticana, Città del Vaticano 1995, p. 160.
    [10] Cf Tommaso d’Aquino, De divinis nominibus, ch. 4, lectio 5, n. 349.
    [11] Cf I Phys., lectio 15, n. 135. Nel suo Q. d. de potentia Tommaso parla della formositas actualitatis (la bellezza dell’essere in atto).
    [12]  Cf Questa frase fu scritta da Lonergan nelle Note per le lezioni di Cincinnati: «Not philosophy as a dam across river of life, growth, development but as the bed in which the river flows», TE, Appendix, p. 260.
    [13] Id.
    [14] Cf R. Finamore, B. Lonergan e l’Education: l’alveo in cui il fiume scorre, Pontificia Università Gregoriana, Roma 1998, p. 292.
    [15]  Cf B.J.F. Lonergan, Il metodo in teologia.


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