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    Dell’amore, della morte



    Stefano Lupi

    (NPG 2000-03-52)


    Tenevo un gioiello tra le dita/e mi addormentai./Il giorno era tiepido, i venti monotoni./Mi dissi – Durerà! //Mi svegliai e sgridai le mie dita innocenti./La gemma era sparita./E adesso, un ricordo di ametista/è tutto ciò che mi resta.
    Francesco: È una poesia sull’abbandono?
    Anna: Secondo me, è una poesia sulla morte.
    Susanna: Secondo me sul rimpianto.
    Anna: E il rimpianto non è legato alla morte?
    Francesco: Allora anche l’abbandono.
    Susanna: Diciamo che è una poesia su qualcuno che ha perso qualcosa e per questo soffre.
    Fabio: Professore, oggi è triste? Lei fa sempre lezioni sulla vita e le cose della vita. Perché oggi la morte?
    Professore: Voi pensate che parlare di morte non sia parlare di vita?
    Francesco: La morte è la fine della vita. È il suo contrario. Diceva Epicuro se c’è l’una non può esserci l’altra.
    Susanna: La morte è orribile. Ci porta via quello che amiamo e contro di lei non è possibile fare niente. Siamo completamente impotenti. È insopportabile da pensare.
    Professore: Che cosa?
    Susanna: Che siamo completamente impotenti. Che non possiamo fermarla. Che prima o poi arriverà.
    Anna: Ma noi lo sappiamo da che nasciamo. Anzi da sempre. Vi ricordate Sofocle quando corrono ad informarlo che suo figlio è morto. Lui risponde che sapeva di averlo generato mortale. Forse il problema è che noi da sempre fingiamo che la morte non esiste, e ogni volta che lei si fa viva ci stupiamo come fosse la prima volta. È da che siamo nati che la gente ci muore intorno.
    Fabio: Bei discorsi. Poi quando ti succede però è diverso. Io non riesco a pensare che mio padre un giorno morirà. E lei, professore, se un giorno dovesse morire suo figlio, risponderebbe come Sofocle? Ammesso che Sofocle abbia davvero risposto così!
    Professore: No, non risponderei come Sofocle. Soffrirei molto, è ovvio. Il problema però è che Sofocle, ammesso che abbia davvero risposto così, ha ragione. Noi tutti sappiamo di dover morire. Noi tutti sappiamo che è possibile che si debba assistere alla morte dei propri cari. Noi tutti facciamo finta di niente.
    Anna: È umano, però.
    Professore: È umano, certo. Ma ci lascia completamente indifesi.
    Fabio: Perché c’è un modo di difendersi dalla morte? C’è un modo di strappargli chi si ama?
    Susanna: L’unico modo sarebbe non amare nessuno. Nemmeno se stessi. Ma credo sia proprio impossibile.
    Professore: Salviamoci dall’errore di pensare che non amare protegga dal dolore.
    Francesco: Però in qualche modo è vero: se non si ama nessuno, se non si ama la vita, quale problema è rinunciarvi?
    Anna: Allora l’equazione è: meno si ama meno si soffre.
    Professore: L’equazione è: meno si ama meno si vive. Vedete, la morte è qualcosa con la quale ognuno di noi deve fare i propri conti. Non si può ignorare e neanche farne la propria ossessione. La morte c’è! Non facciamola vincere permettendole di essere un limite, una cesoia. Rendiamola un potenziamento, un’amplificazione di noi stessi. E questo si può fare solo amando.
    Fabio: Che vuol dire potenziamento? E amplificazione di noi stessi?
    Professore: Vuol dire, seguendo il discorso della poesia che vi ho letto, che non ci si deve distrarre quando si ha nelle mani un gioiello. Le persone che amiamo, amiamole al massimo, che gli abbracci siano forti, i baci numerosi, la nostra comprensione senza limiti, i litigi di breve durata. Soprattutto questo: gli equivoci, le liti, le ripicche. Ragazzi vi dico: non stiamo qui a perdere tempo, perché non è detto ce ne sia molto. Se è vero come è vero che coloro che amiamo è possibile muoiano, invece di piagnucolare amiamoli più forte!
    Susanna: Ma morirà ugualmente! E il dolore sarà folle! Dolore folle per ogni abbraccio, per ogni bacio, alla massima potenza.
    Professore: Già morirà ugualmente, ma il solo a poter sorridere della morte è l’amore. Non ci resta altro sulla terra. Lo capite? La risposta alla morte di chi amiamo è prima di tutto la nostra vita. Portiamolo con noi nei grandi desideri, scrutiamo il mondo anche con i suoi occhi e prendiamo tutto ciò che è possibile prendere, prendiamo anche per lui.
    Francesco: Professore, però anche così la sostanza delle cose non cambia.
    Susanna: È quello che dico! Si può vivere come vuole, ma l’assenza resta e schiaccia.
    Professore: Allora, Susanna, prova ad ascoltarmi: hai qualcuno di veramente importante nella vita, che ti regala ogni giorno una gran quantità di gioia?
    Susanna: Sì. È mio nonno. E prima che lei me lo chieda le dico che non riesco neanche a pensare per un secondo che un giorno debba morire.
    Professore: Ma sai che avverrà. Allora supponiamo che qualcuno possa farti rinascere e ti proponga di rinunciare a conoscere questo nonno. Quando tu dovessi nascere, magari lui è già morto e ne sentiresti parlare soltanto dai tuoi genitori e lo conosceresti soltanto attraverso le cose belle che gli altri ti raccontano di lui. Sarebbe una soluzione: non dovresti soffrirne la morte e avresti le foto e i racconti e tanti ricordi di un così bel nonno. Accetteresti?
    Susanna: Assolutamente no. Non potrei rinunciare a tutte le nostre cose. Vorrei averlo a qualunque costo.
    Professore: Anche se questo significasse un giorno soffrire terribilmente per la sua morte?
    Susanna: Sì, perché l’amore del quale mi ha ricoperta, quello nessuno potrà portarmelo via mai.
    Professore: Vedi, Susanna, sei giunta da sola al punto: questa risposta vuol dire che scegli di amare e quindi di vivere.
    Perché se una cosa c’è terribile più della morte, questa è che la paura impedisca di vivere.
    Vivete e fatelo a pieni polmoni. Perché amarsi tanto quando poi perdersi è così doloroso? Credo ci sia soltanto un posto dove possa attenderci la risposta di questa domanda: gli occhi di chi, nonostante ci ami, stia per andar via. Senza di noi.


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