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    Ad Gentes, sull’attività missionaria della Chiesa



    Vaticano II e i giovani

    Václav Klement

    (NPG 2012-07-75)


    Un breve cenno storico

    Il Decreto Ad gentes (De activitate missionali Ecclesiae) è il documento che ha ricevuto più voti dai vescovi al Concilio Vaticano II. Nello stesso tempo è uno dei documenti conciliari con una storia più travagliata.
    La Chiesa è inviata per ‘le nazioni’, ossia «ai popoli o gruppi umani non raggiunti dalla testimonianza delle comunità cristiane e dalla parola del Vangelo» (missio ad gentes).
    La Chiesa è per natura missionaria (AG 2), chiamata ad una missione senza limiti del tempo e fino agli estremi confini del mondo. Senza dubbio il Decreto Ad gentes ha dato una forte fondazione teologica di impronta essenzialmente missionaria alla missione evangelizzatrice e auto-coscienza ecclesiale. In parole semplici, ciò significa che tutti i fedeli sono chiamati a dare il loro contributo alla missionarietà della Chiesa cattolica.
    Durante il cammino conciliare, per le diverse esigenze dei Padri furono stese ben sette diverse bozze del Decreto. La presenza personale di Paolo VI nell’aula conciliare (prima presenza del Papa al Concilio durante i lavori!) all’inizio della seduta del 6 novembre 1964, quando si discuteva la sesta bozza, mostrò anche visivamente l’interesse del Papa al tema e la pregnanza di esso nella fase di ripensamento di se stessa della Chiesa. Proprio quel giorno il cardinale Grégoire-Pierre Agagiagian, Prefetto di Propaganda Fide, annunciò la visita del Papa in India come un gesto concreto del suo interesse per le missioni. Ma anche la sesta bozza fu bocciata il 10 novembre 1964, così che una Commissione apposita dovette preparare la settima bozza per l’ultima sessione del Concilio, a partire dal settembre 1965. Così la spinta dei vescovi missionari appoggiati dalle prime generazioni dei vescovi autoctoni dell’Asia e Africa contribuì alla stesura finale del decreto missionario. Nel penultimo giorno del Concilio, 7 dicembre 1965, il Decreto fu votato all’unanimità con 2394 sì e solo 5 voti contrari, risultando il documento accettato con più consenso dai Padri conciliari.
    Ovviamente il Decreto è solo la punta dell’iceberg dello sviluppo delle missioni cattoliche del 20° secolo. Il Concilio Vaticano II ha portato insieme per la prima volta nella storia della Chiesa un’assemblea veramente ‘cattolica’ – dei vescovi autoctoni e missionari provenienti da tutti i cinque continenti. L’enciclica Fidei donum di Pio XII (1957) aveva lanciato un appello per la globale cooperazione missionaria; e altre due encicliche importanti con taglio missionario erano state pubblicate nel periodo conciliare: Princeps Pastorum (Giovanni XXIII, 1961) e Ecclesiam suam (Paolo VI, 1964). Soprattutto la fine del periodo coloniale europeo e la sorprendente crescita delle comunità cattoliche dell’Africa, negli ultimi 15 anni prima del Concilio (da 11 milioni dei cattolici fino a 25 milioni con 3.3 milioni di catecumeni), mostrava dei cambi epocali delle dinamiche missionarie.

    Il decreto «Ad gentes» nell’insieme del Concilio Vaticano II

    Come nei tempi del Concilio, anche oggi viviamo in un mondo dove circa il 70% della popolazione mondiale non conosce ancora Gesù Cristo. Il Decreto Ad gentes è connesso con la nuova visione di Chiesa della Lumen Gentium: Chiesa come universale sacramento di salvezza (LG 48) condivisa anche dagli altri documenti fondamentali del Concilio, come la Gaudium et Spes (45). Le parole di Gesù, che inviò i discepoli (Mt 28,18-20), erano tra le più citate durante tutto il Concilio. Anche le prime parole del Decreto riassumono il contenuto e il senso: «Inviata per mandato divino alle genti per essere ‘sacramento universale di salvezza’ la Chiesa, rispondendo a un tempo alle esigenze più profonde della sua cattolicità e all’ordine specifico del suo fondatore, si sforza di portare l’annuncio del Vangelo a tutti gli uomini» (AG 1).
    Di certo altri tre documenti del Vaticano II possono essere definiti «missionari» per la loro prospettiva: Lumen Gentium, Gaudium et Spes e Nostra Aetate. Però Ad gentes è un documento specifico, che tratta esclusivamente dell’attività missionaria.
    La missio ad gentes nel mondo globalizzato pieno di profondi cambi culturali e sociali, a distanza di quasi cinquanta anni dal Vaticano II, pone ancora le stesse domande che troviamo nei principali documenti del Concilio. Che senso ha proclamare oggi Gesù Cristo quale «insieme il mediatore e la pienezza di tutta intera la Rivelazione» (DV 2) nel mondo pluriculturale e plurireligioso, segnato dalla libertà religiosa? Che senso ha l’affermazione di appartenere alla Chiesa cattolica, quando
    «quelli che senza colpa ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa ma che tuttavia cercano sinceramente Dio e coll’aiuto della grazia si sforzano di compiere con le opere la volontà di lui, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possono conseguire la salvezza eterna» (LG 16)?
    Che valore hanno oggi ancora i sacramenti «che conferiscono certamente la grazia» (SC 59), quando non sono più i canali esclusivi della grazia, visto che «la verità e grazia è già presente e riscontrabile in mezzo ai pagani per una segreta presenza di Dio...» (AG 9). Ha ancora senso parlare di missionari e di ‘territori missionari’, oppure per la missio ad gentes basta che molti lavorino per il progresso umano con noi, anche se «negano facilmente Dio o la stessa religione...» (GS 7)?
    Durante il Concilio si è creato un consenso attorno ad una convinzione: che la missio ad gentes della Chiesa non è basata su un concetto territoriale, ma nell’essere Chiesa nello stato di missione, una Chiesa veramente missionaria. Così la missione è diventata punto centrale della vita di ogni Chiesa locale, di ogni credente. Il Decreto Ad gentes porta ad una rivoluzione copernicana teologica nelle missioni cattoliche, quando coscientemente non usa solo il termine «territori missionari» ma va più in profondità sull’impatto del Vangelo nei diversi gruppi umani e nella cultura. Al centro sta una Chiesa che testimonia e proclama Gesù morto e risorto per la salvezza di tutta l’umanità, una Chiesa «evangelizzata ed evangelizzatrice»: appunto, una Chiesa in stato di missione. Una Chiesa fedele a Gesù, il quale prima ha detto ai suoi discepoli «venite», e nell’ultima pagina dei Vangeli li invia dicendo «andate».

    Contenuti principali del Decreto «Ad gentes»

    Il decreto appartiene ai documenti «lunghi» del Concilio, e venne approvato come 14° dei sedici documenti. È diviso in 42 articoli, esposti in sei capitoli: (1) I principi della dottrina missionaria, (2) L’opera missionaria in se stessa: Testimonianza cristiana, Predicazione del Vangelo e la riunione del popolo di Dio, La formazione della comunità cristiana, (3) Le Chiese particolari, (4) I missionari, (5) L’organizzazione dell’attività missionaria, (6) La cooperazione missionaria.
    È significativo il fatto che il primo capitolo sulla natura teologica delle missioni contiene più note della Scrittura e dei Padri che tutto il resto del decreto. È evidente che i Padri conciliari hanno voluto esprimere così una forte motivazione teologica della missio ad gentes. Negli altri cinque capitoli del Decreto, che espongono i temi classici, sono invece citati solo altri dieci documenti del Concilio Vaticano II già approvati, in modo speciale la Costituzione dogmatica Lumen Gentium e il Magistero ecclesiale sulle missioni degli ultimi 50 anni (prima del Concilio).
    Ad Gentes situa la missione nel cuore della Chiesa, e distingue chiaramente tra l’attività missionaria e lavoro ecumenico e pastorale:
    «Le iniziative principali con cui i divulgatori del Vangelo, andando nel mondo intero, svolgono il compito di predicarlo e di fondare la Chiesa in mezzo ai popoli e ai gruppi umani che ancora non credono in Cristo, sono chiamate comunemente ‘missioni’: esse si realizzano appunto con l’attività missionaria» (AG 6).
    Vediamo alcune idee forti del Decreto, che motivano la Chiesa ad essere sempre più missionaria.

    Missio Dei – come motivazione di fondo.

    Il ‘grande comando di Gesù’ («Andate in tutto il mondo!...» Mt 28,18-20) – che resta come la parola chiave per molti fratelli protestanti – è stato presentato in una visione più ampia e profonda. Il primo capitolo dottrinale inizia con il piano divino di salvezza che mette in evidenza che la radice originaria della missione della Chiesa è la vita trinitaria di Dio. Per mezzo del Figlio l’Amore del Padre raggiunge ogni uomo nelle forme e vie che solo Lui conosce. Compito della Chiesa è di comunicare instancabilmente questo amore divino, grazie all’azione dello Spirito Santo.

    La natura missionaria della Chiesa.

    L’indole missionaria viene sottolineata non tanto nel senso geografico, ma sopratutto nel senso teologico, in quanto il destinatario della «missione» non è solo il non-credente, ma anche il credente.
    «La Chiesa durante il suo pellegrinaggio sulla terra è per sua natura missionaria, in quanto è dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito Santo che essa, secondo il piano di Dio Padre, deriva la propria origine» (AG 2).
    Occorre anche ricordare che alcuni si sono posti il problema (e se lo pongono tuttora) se questo allargamento del concetto missionario avesse involontariamente indebolito il significato della missione ad gentes. Riproponiamo questo «dubbio» come sollecitazione a tenere distinto e unito l’appello missionario. In effetti, anche nell’ultimo capitolo (Cooperazione) viene sottolineato il dovere di tutti e ciascuno nella Chiesa di contribuire alla missio ad gentes, secondo il proprio stato e carisma (tutti i fedeli, comunità cristiane, vescovi e sacerdoti, tutti gli istituti religiosi anche e tutti i laici.

    La vocazione missionaria ad gentes (ad exteros, ad vitam).

    Il decreto espone nel 4° capitolo «chi è il missionario» con tutte le implicazioni della sua formazione. La vocazione missionaria è per tutti i cristiani (AG 23). Chi è il missionario? Colui che è mandato dall’autorità ecclesiastica per proclamare il Vangelo a quelli che non conoscono ancora Gesù Cristo e fonda le nuove Chiese particolari (missionari espliciti). Nello stesso tempo però non c’è nessun cristiano che venga escluso dal compito di testimoniare Gesù, trasmettendo ad altri l’invito del Signore nella vita quotidiana e contribuendo all’attività missionaria esplicita secondo le sue possibilità.

    In che cosa può ispirare il decreto anche oggi la pastorale giovanile?

    Quasi 50 anni dopo il Decreto, la Chiesa è ormai abituata al tema missionario. Lo possiamo leggere in quasi tutti i documenti dei Pontefici o dell’Episcopato. Nello stesso tempo il Magistero insiste spesso sull’impegno missionario. Ciò significa che la sensibilità missionaria, l’urgenza di guardare oltre la propria comunità ecclesiale di appartenenza non è mai sufficiente. Il Decreto Ad gentes è ancora un fermento profetico che si approfondisce continuamente.
    Dopo il Vaticano II sono cresciuti nuovi movimenti missionari in tutto il mondo. Classici gruppi missionari in Europa sono sostituiti dalla scuola di mondialità, dall’educazione allo sviluppo o dalle esperienze missionarie estive. In tutti i continenti ormai nasce il volontariato missionario, con i gruppi impegnati nei tempi forti nelle frontiere missionarie delle città o del proprio paese, sia nell’impegno del volontariato internazionale di lunga durata.
    Possiamo dire che tutte le mature espressioni della pastorale giovanile includono una chiara proposta missionaria per tutte le fasce d’età (dall’Infanzia missionaria e dei gruppi missionari adolescenti o giovani fino ai giovani adulti impegnati nel volontariato). Quello che ancora oggi è a volte problematico è la relazione tra attività «sul piano umano e sociale» e l’azione «esplicitamente missionaria-evangelizzatrice»: una tensione che non può diventare disinteresse, separazione, opposizione, ma sempre pungolo reciproco perché ciascuna si possa dire «meglio» nel confronto e arricchirsi di intenzionalità, manifestazione, azione.

    Alcuni «limiti» di Ad Gentes

    Ci sono almeno due aspetti del Decreto che richiedono un approfondimento e suscitano ancora una viva e vivace riflessione missiologica aperta: la missio ad gentes nel contesto ecclesiale e il dialogo inter-religioso. Neanche i successivi documenti del Magistero hanno illuminato in modo soddisfacente questi due temi vitali per l’attività missionaria della Chiesa.
    Il modo con cui si integra la missio ad gentes con la pastorale, la nuova evangelizzazione e la missione ad intra rimane una sfida aperta. Molto facilmente si trovano scuse per diluirla nella vita quotidiana delle Chiese particolari (Giovanni Paolo II, Redemptoris Missio, 37).
    La missio ad gentes è sempre accolta con una certa resistenza, e il lancio della nuova evangelizzazione ne ha offuscato in certo senso l’urgenza. In teoria non c’è nessuna opposizione tra la missio ad gentes e la nuova evangelizzazione: le dinamiche della nuova evangelizzazione dovrebbero generare missionari entusiasti, e coloro che sono impegnati nella missio ad gentes devono lasciarsi continuamente evangelizzare.
    In pratica poi il nucleo della missio ad gentes (partire verso i non cristiani ovunque siano) rimane sempre un’attività secondaria.
    Abbiamo invece bisogno di «uscire» – questa è la grande novità e sfida perenne del Decreto Ad gentes per la comunità ecclesiale!
    Durante e dopo il Vaticano II sono stati pubblicati vari documenti del Magistero sul dialogo come modo di vivere dei cristiani. Ad gentes accenna diverse volte al dialogo interreligioso (AG 11,16,20,34,38,41), però le implicazioni per i criteri e metodi della missione, e lo stile di vita saranno approfonditi solo a distanza di 20-30 anni dopo il Concilio. Documenti preziosi ma non esaustivi saranno – a cura del «Segretariato per i non cristiani» – Dialogo e missione (1984) e – a cura del «Consiglio per il dialogo interreligioso» – Dialogo e proclamazione (1991).


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