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    Cinema e
     «trascendenza»
    Virgilio Fantuzzi *


    Fin dalle sue origini, il cinema ha sempre cercato di affrontare, oltre agli argomenti già collaudati dalle forme più allettanti della letteratura e dello spettacolo popolare (racconti di avventura, drammi passionali, situazioni comiche...), anche argomenti culturalmente più impegnativi (biografie di personaggi storici, riduzioni di grandi capolavori della letteratura e del teatro classico. . . ), tra questi vi sono i racconti ricavati dalle pagine della Bibbia e, principalmente, la Passione di Gesù, che fu uno dei primi soggetti ad essere portati sullo schermo, nella scia delle Sacre Rappresentazioni popolari, che risalgono al Medioevo, la cui tradizione si è conservata in alcuni luoghi (come Oberammergau in Baviera) fino ai nostri giorni. Le primitive "Passioni" costituiscono un capitolo importante della storia del cinema delle origini. Qualche studioso ne ha contate più di cinquanta, realizzate prima del 1915.
    Ma è evidente che simili argomenti, affidati alle risorse dell'industria cinematografica (la quale non ha mai cessato di riproporli, nei decenni successivi, con mezzi spettacolari sempre più grandiosi), non possono ottenere che risultati solo in parte soddisfacenti. Alla grandiosità dello spettacolo, infatti, non sempre corrisponde il dovuto approfondimento, che si può ottenere solo con un'adeguata consapevolezza, sorretta dalle risorse dell'arte. Ciò vale per tanti film che sono stati realizzati sulla figura di Gesù, su altri personaggi della Bibbia, sui primi martiri cristiani...
    Tutta la produzione cinematografica di questo genere, molto abbondante, è per lo più caratterizzata, per quanto riguarda l'aspetto visivo, da un gusto oleografico (che i francesi chiamano saint sulpicien) il quale, se incontra il gradimento immediato delle persone semplici, fa arricciare il naso a coloro che dispongono di un gusto coltivato, e spesse volte ha provocato la reazione indignata di coloro che hanno voluto vedere in questo genere di spettacoli una speculazione su argomenti religiosi operata a scopo prevalentemente commerciale.
    Per sfuggire alla trappola dell'oleografia, diversi autori cinematografici, dotati di uno stile personale, hanno preferito accostarsi ad argomenti religiosi, e in particolare al dramma della Redazione, ricorrendo a rappresentazioni indirette della passione di Gesù. Figure immaginarie di sacerdoti, per lo più desunte da opere letterarie preesistenti, sono state portate sullo schermo in modo da indicare la perenne attualità della Passione, secondo le parole: "Gesù sarà in agonia fino alla fine del mondo". Gesù soffre, per interposta persona, nella figura di un sacerdote, che attua nella sua vita l'antico assioma: Sacerdos alter Christus.
    Si possono ricordare, a questo proposito, film come La croce di fuoco (The Fugitive, 1947) di John Ford, II diario di un curato di campagna (1950) di Robert Bresson e Nazarin (1958) di Luis Buñuel. Anche Alfred Hitchcock ha fatto qualcosa di simile nel suo film lo confesso (1953). Le date ravvicinate di questi film dicono che c'è stato un periodo nel quale produzioni cinematografiche di questo genere sono state particolarmente in auge.
    Possiamo chiederci, a questo punto, in che modo si manifesta la trascendenza nel cinema. Nei film spettacolari, destinati alle masse, che trattano argomenti biblici, cristologici o agiografici, e parlano di miracolosi interventi divini facendo largo uso degli effetti speciali? Non sarà forse più corretto cercare tracce della trascendenza in film che rifuggono dallo straordinario, nel senso spettacolare del termine, e cercano invece lo straordinario nell'ordinario, il divino nell'umano, il miracoloso nel quotidiano? Si può accedere alla trascendenza servendosi di una narrazione cinematografica di tipo realistico, che presenti i fatti nella loro disadorna obiettività? O non sarà più giusto pensare che la trascendenza si manifesti nel cinema mediante l'uso indiretto e allusivo del linguaggio simbolico, piuttosto che nella linearità di una narrazione realistica? La trascendenza, che è sempre in qualche modo presente nei film animati dal soffio dell'ispirazione poetica, può essere trattata in maniera convincente anche da film di buona fattura artigianale, che non sono necessariamente ascrivibili tra i capolavori dell'arte cinematografica? Fino a che punto le convinzioni personali di chi fa i film sono coinvolte da questo genere di argomenti? In altre parole: è necessario avere il dono della fede per poter fare un buon film di argomento religioso?
    Il cinema, nei suoi cento anni di storia, è impregnato di un anelito verso la trascendenza, che rende i film degni di essere studiati da coloro che s'interrogano sul ruolo della religione nell'ambito della cultura contemporanea. A queste presenze già note, appartenenti a diversi ambienti dell'Europa occidentale, si sono aggiunte quelle di Andrej Tarkovskij e Kristof Kieslowski significatamente provenienti dall'Europa dell'Est, mentre non ha mai cessato di operare in questo senso il veterano del cinema portoghese Manoel de Oliveira.
    Ragioni di brevità impediscono di andare oltre l'elencazione di questi nomi, ai quali altri se ne dovrebbero aggiungere. Non si può non pensare ai protagonisti di tanti film, soprattutto donne, ritratte sullo schermo in intensissimi primi piani, personaggi al limite tra umano e sovrumano, protesi nell'atto di superare se stessi. Il cinema ha fatto davvero molto per dire cose che partono dall'anima e arrivano all'anima. Con immagini che si vedono e si sentono, il cinema, quando è in stato di grazia, riesce a rendere percepibile ciò che non si può né vedere né sentire.
    Ci sono registi che hanno saputo guardare ai fenomeni della natura. e alla vita dell'uomo che da essi si è sviluppata, con un atteggiamento di osservazione distaccata e allo stesso tempo partecipe, tale da cogliere tuttavia un senso di superiore unità che anima l'universo creato. Si pensi ai tamosi "documentari" di Robert Flaherty. Altri registi, come Joris Ivens, hanno saputo captare con la macchina da presa i momenti più significativi della lotta dell'uomo per conquistare condizioni di vita più conformi alla sua dignità.
    Ci fu un periodo del cinema italiano, denominato Neorealismo, nel quale diversi cineasti sembravano fare a gara nel cogliere nella quotidianità della vita dell'uomo, immerso nelle condizioni più umili e disagiate, tracce di una dimensione spirituale tanto più autentica quanto più ammantata di un istintivo pudore.
    I nomi di Roberto Rossellini, Vittorio De Sica, Luchino Visconti, Michelangelo Antonioni, Federico Fellini, Pier Paolo Pasolini e altri hanno fatto il giro del mondo assieme ai loro film ovunque ammirati. Alla pari di grandi letterati e artisti dei secoli passati, essi possono essere considerati come ambasciatori, presso le altre culture, di una visione del mondo imbevuta di valori umanistici e cristiani.
    Altri film, provenienti da altri ambienti culturali, si rifanno a un diverso ordine di valori, che intrattiene tuttavia con la cultura cristiana significative affinità, come, ad esempio, quelli che attingono alle risorse spirituali delle antiche civiltà dell'Oriente. Nei limiti imposti dalla sinteticità di questi appunti, non si può non accennare ai film dell'indiano Satyajit Ray e a quelli del giapponese Yasujro Ozu, ricchi di notazioni intimistiche, che agli occhi di un cristiano manifestano i tratti di quelle virtù che i Padri della Chiesa, riscontrandole nelle opere degli autori pagani, definivano Naturaliter cristianae.
    Si tratta di film che non si limitano a proporre il discorso sui valori in maniera vietamente contenutistica, a scopo di edificazione o propaganda, ma escogitano di volta in volta modi di approccio con una realtà che si manifesta all'esterno, mediante tracce o indizi che, debitamente interpretati, guidano alla scoperta di un mondo interiore, ricco di spiritualità. Lo stesso si potrebbe osservare a proposito di altre cinematografie spesso povere di mezzi tecnici e finanziari, ma ricche d'ispirazione poetica e di contenuti umani, come quelle dell'America Latina, dell'Africa o del Medio Oriente. Indizi interessanti in questo senso vengono anche dal recente cinema cinese.
    C'è poi tutta la produzione del cinema cosiddetto indipendente. Sganciato del tutto o in parte dalle esigenze dell'industria dello spettacolo, questo cinema si muove in sintonia con le forme più avanzate della cultura e dell'arte attuali e, alla pari di queste, manifesta il profondo disagio spirituale di cui soffre l'uomo nel mondo odierno. In tale contesto si collocano fenomeni tipici del cinema moderno, pervaso da fermenti metalinguistici, proteso nell'ansia di verificare e ridefinire i procedimenti sui quali si basa il suo linguaggio. Si va dai postumi della francese Nouvelle vague alle forme meno convenzionali del nuovo cinema americano, nato sulla costa atlantica, in contrapposizione alla vecchia Hollywood.
    Anche su questi fenomeni si estende l'orizzonte ampio della trascendenza, che a volte pare solcato dalle nubi minacciose di un'incombente Apocalisse, mentre l'approccio non convenzionale con materiali derivanti dall'immaginario religioso collettivo solleva interrogativi inquietanti e perfino irritanti sul ruolo della religione nel mondo contemporaneo.
    Di fronte a prodotti cinematografici che manifestano questo genere di problemi, si è assistito, anche di recente, a levate di scudi da parte di chi si è sentito minacciato dalle proprie convinzioni. Ci si domanda se, in casi come questi, rispondere al clamore con un clamore ancora più forte sia una misura adeguata di autodifesa. Il cinema è una forma di cultura ormai universalmente accettata; anche nelle sue manifestazioni provocatorie esige risposte pacate e articolate... Ma forse, prima ancora di chiedere risposte, questo cinema aspetta semplicemente di essere capito...

    * P. Virgilio Fantuzzi, S.I. Professore della Pontificia Università Gregoriana, Scrittore della "Civiltà Cattolica"


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