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    La sposa delle nozze di Cana



    Gioia Quattrini

    (NPG 2000-02-52)


    Il maestro di tavola aveva finalmente trovato quiete. Un ottimo vino aveva rallegrato il banchetto sin dall’inizio, ma verso la fine, piuttosto che vino meno nobile come accadeva spesso, era stato servito un vino migliore del primo, nettare schietto e prelibato. Giacomo, suo marito (Sara ancora non riusciva a non sorridere pensando a Giacomo come a suo marito), era stato molto fiero dei complimenti che il maestro gli aveva rivolto, ed entrambi non avevano nascosto un certo sollievo. In verità avevano creduto per un attimo che il vino fosse persino finito. Così Giacomo aveva tirato un sospiro senza farsi neppure troppe domande.
    Lei, invece, aveva prestato l’orecchio alle chiacchiere che provenivano dalla cucina dove i servi, increduli, raccontavano di giare piene d’acqua fino all’orlo. Acqua che loro stessi avevano attinto e versato nei calici per vederla trasformata in quella straordinaria bevanda. Acqua in vino. Erano spaventati, ma convinti che il Nazareno avesse trasformato l’acqua in vino.
    Sara non era granché stupita. Aveva già sentito parlare di lui. Qualcuno diceva che era il figlio di Dio, il Cristo annunciato dai profeti. Alcuni avevano perfino abbandonato le loro case e il lavoro e la famiglia per seguirlo. Aveva già sentito parlare di lui, e ogni volta il cuore si era riempito di una grande emozione. Non aveva confidato a nessuno la sua tenerezza, neppure a sua madre che di certo l’avrebbe rimproverata: non sono pensieri da donna questi.
    E ora, nel giorno più atteso della sua vita, ora che Giacomo era finalmente suo marito, ecco quell’uomo ad un passo da lei, mani lunghe e sguardo affilato.
    I servi dicevano avesse appena trasformato acqua in vino.
    Lo vide alzarsi, un poco infastidito, E avviarsi verso il giardino, sotto l’ombra di un fico. Allora anche lei si sciolse dolcemente dall’abbraccio di suo marito e uscì all’aperto. Silenzio. Pace. Lontani sembravano il vocio allegro e i canti nuziali. Fuori, silenzio.
    Aveva delle idee, Sara. Le aveva da tempo e aveva lavorato a definirle leggendo e leggendo, appartata e senza che nessuno la vedesse, leggendo ogni riga che girasse per la casa. Copiava di soppiatto per poi rileggere di notte, alla luce della luna. Finiva per imparare a memoria quello che le interessava e non faceva altro che nutrire pensieri, veder nascere dubbi, porsi domande, cercare risposte.
    «Pensi troppo per essere una donna», le diceva sua madre.
    Ora, in quel silenzio, il cuore le diceva che la persona con la quale confidarsi era proprio lì davanti a lei, all’ombra sotto quel fico.
    Sara si avvicinò in silenzio e finché l’uomo non alzò lo sguardo su di lei neppure respirò. Quando quegli occhi incontrarono i suoi, prese fiato e sussurrò: «Signore».
    Cristo si voltò: «Perché sussurri, Sara?».
    «Sussurro, Signore, perché è detto che non sia cosa buona per una donna rivolgere spontaneamente la parola ad un uomo che non conosce E interrogarlo. Le donne devono parlare con le donne, Signore. E io invece l’ho fatto.
    Sussurro perché non è cosa giusta – dicono – che le conversazioni di una donna abbiano argomento diverso dalla casa o dai figli, Signore. E io invece è di altro che vorrei parlarti.
    Vorrei parlarti dell’amore, Signore. Tu non parli di altro. Me lo raccontano i servi quando mi nascondo in cucina con loro. Ma vedi, io sono una donna e le donne, Signore, non vengono istruite sulla Legge, come se da quel roveto ardente Dio non avesse parlato perché tutti i suoi figli ascoltassero.
    Io sono una donna e le donne non possono prendere parte attiva alla vita pubblica; il loro mondo deve stare tutto nella loro casa, Signore, come se l’anima fosse stata creata perché quattro mura la imprigionassero. Io sono una donna e le donne, Signore, non possono testimoniare in tribunale come se la menzogna soltanto trovasse riparo sulle loro labbra.
    Io sono una donna ed è sconveniente per un rabbino parlare con una di noi per la strada; eppure, Signore, è una donna che cresce i suoi figli.
    Io sono una donna, Signore, figuriamoci parlare d’amore.
    Io ho letto, Signore, e sta scritto: “Dio li creò maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola”.
    Ecco, Signore, il fatto che Giacomo e io saremo una sola carne mi sembra un prodigio straordinario, una trasformazione miracolosa, che non potrebbe avvenire se uno dei due componenti fosse così di poco valore rispetto all’altro. L’umanità è stata creata a somiglianza di Dio, e non credo che le donne gli somiglino meno. Io penso, Signore, che l’amore non può che rendere uguali, e se Giacomo mi vedesse così diversa da lui e così piccola nella dignità, non potrebbe amarmi.
    Ma se dirà di amarmi, allora, Signore, dovrà salire sulle vette dove l’occhio spazia libero e senza alcun limite, ma anche scendere negli abissi del mistero: e un’anima non è altro che mistero per un’altra anima. Uguali nel mistero, Signore.
    Se dirà di amarmi, mi accoglierà nel suo tempo senza voler diventare padrone del mio, come un musica che trovi l’accordo con un’altra senza toglierle purezza. Io gli donerò la mia attenzione e il mio ascolto, certa di essere il centro dei suoi pensieri, e lo porterò con me nei grandi desideri dove il cuore batte così forte da rendere sordi.
    Se tutto questo non accadesse, se Giacomo si avvicinasse a me con il solo scopo di possedermi senza donarsi anch’egli nel profondo, resterebbe un’anima cieca, Signore, una farfalla entrata per errore in una giara, che non trova l’uscita per il cielo e batte contro le pareti.
    Lo capisco, Signore: perché due persone diventino una c’è bisogno di una tale forza, di una tale esplosione che il singolo ha paura di perdersi per sempre nello scontro. Ma è celato in quel momento il segreto significato della vita.
    Io amerò Giacomo, Signore. Anzi già lo amo, ma da lui vorrò di più. Più di quello che i nostri padri hanno dato alle nostre madri. Vorrò che mi affidi i suoi pensieri quando per lui saranno diventati troppo pesanti, e io li custodirò, Signore, così come custodirò le sue lacrime e il suo dolore perché si riposi un poco prima di ricominciare. Gli donerò le mie opinioni, i miei pensieri, il mio modo di vedere le cose perché lui abbia quattro occhi piuttosto che due. Ascolterò, rifletterò, e se mi sembrerà giusto accetterò. Ma obbedire, Signore, quella è un’altra cosa. Un asino che porta la soma quando questa è troppo pesante si scuote fino ad alleggerire il carico di quanto basta. Ed è l’asino a decidere, non ci sono bastonate che tengano.
    Qualcuno mi ha detto una volta che se non fosse stato per una donna l’umanità ancora vivrebbe nel Paradiso Terrestre. La donna sciocca propose e l’uomo sciocco accettò. Questo mi sembra, Signore: sciocchi entrambi. Sciocco anche chi riduce il senso delle Sacre Scritture a questa pochezza. Il nostro Dio avrebbe mai ispirato i profeti perché scrivessero parole che invece di unire, separassero con crudeltà?
    Io penso, Signore, che se Eva non fosse stata creata, Adamo sarebbe rimasto per sempre chiuso nel suo sonno, senza nessuno per il quale aprire gli occhi e il cuore. E se Adamo non fosse stato ad attenderla, Eva dove sarebbe mai andata, Signore, straniera sulla terra che pure le offriva così tanto?
    Ad entrambi venne donata la vita, ma fu soltanto quando si guardarono che scoprirono di esistere, l’uno negli occhi dell’altro. Grazie soltanto agli occhi dell’altro. Finalmente liberi nel riconoscersi uguali.
    Ecco, Signore, sono queste le cose che sento. Soltanto assurdi pensieri di donna? Se Giacomo penserà questo, Signore, io difenderò il nostro amore da lui e non rinuncerò a costruire la nostra libertà.
    Se la Legge dice questo, Signore, io difenderò il nostro amore anche da lei. E neppure in questo caso rinuncerò a costruire la nostra libertà.
    Anche da te, Signore, lo difenderò, se stai per dirmi questo».
    Cristo rise, forte, tenendo con piacere la risata nella gola.
    Sarà si incupì: «Perché ridi, Signore?».
    «Perché hai smesso di sussurrare. Sei già libera, Sara».


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