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    Giovani e ministeri


     

    Cesare Bissoli

    (NPG 1989-01-31)


    Il quadro delineato da Sartori per modernità, solidità e rilevanza pedagogica, rimane come punto di riferimento essenziale per un corretto discorso di informazione e formazione

    UN'ANALISI DELLA SITUAZIONE

    In Italia - ma si suppone anche nelle altre comunità di Occidente - la tematizzazione del rapporto «giovani e ministeri» pensiamo goda di una situazione paradossale: pressoché totale estraneità dal campo del linguaggio e del pensiero riflesso, eppure pratica esperienza di servizio cristiano in non pochi giovani, tale da far parlare di una ministerialità di fatto.

    Ragioni di un'assenza

    Disinteresse ed estraneità

    Nelle diverse indagini sulla posizione dei giovani verso la dimensione religiosa il tema del ministero non compare mai.
    Se si accenna all'appartenenza ecclesiale (la chiesa è il luogo tradizionale di collocazione dei ministeri) si constata piuttosto un rifiuto o una diffidenza generalizzata.
    Il termine poi di «ministero» è coniato apposta per suscitare o una immagine clericale ben poco capita ed ancor meno condivisa, o più facilmente ha una rispondenza semantica con i ministeri di governo di uno stato.
    E di fatto a questi si allude nei mass- media quando si parla di ministeri! dei giovani sull'argomento. Qui si intende apportare ulteriori precisazioni sia sul versante storico (situazione e iniziative della Chiesa) sia su quello operativo (proposta educativa).

    Una tradizione storica adultista

    Già penalizzato per ristrettezza concettuale ed equivocità terminologica (senso laico), il motivo del ministero storicamente si configura nella chiesa non certamente dalla parte dei giovani. Pur trovandosi significativi riferimenti nel NT (v. sotto), bisogna riconoscere che lungo la storia della Chiesa la prevalenza della figura adulta maschile (anziano) nella gestione di essa ha fatto sì che detentori del ministero fossero ultimamente adulti e maschi. In effetti una storia dell'educazione religiosa giovanile vede questi, secondo il tradizionale canone biblico, portatori della benedizione di Dio e quindi fonte di speranza, più che titolari di un qualche ruolo effettivo.. Si aggiunga l'atteggiamento piuttosto disciplinare come verso ad immaturi, fin qui tenuto verso di loro, almeno verso quanti non fossero giunti a rivestire ruoli determinati nella famiglia (sposo e padre) e nella società (responsabile pubblico).
    Se ne può capire la ragione antropologica di fondo: il giovane nel suo cammino verso l'essere adulto vive uno stadio di immaturità (impreparazione, inesperienza), per cui la ministerialità nella società religiosa e civile non gli si addice automaticamente, come invece gli compete il riconoscimento di altri diritti: alla vita, alla libertà, al rispetto, alla crescita integrale...

    Una base culturale ristretta

    Si può anche aggiungere che un problema giovanile come tale, quello cioè relativo ad uno status biologico socialmente e culturalmente delineato e protratto nel tempo, è piuttosto dell'Occidente contemporaneo. Sicché potrebbe essere stato un problema del tutto marginale nella mentalità prima di noi.
    Ed ancora, la concezione teologica che supporta un discorso come quello che andiamo facendo, non può essere certamente trovata nel passato, quando - come ha bene dimostrato L. Sartori - si era perso di vista la valenza carismatica ed universalista del termine ministero, ristretto prevalentemente a quello di tipo sacramentale-giuridico, per cui nello stesso processo di formazione ai ministeri potevano adirvi soltanto quei giovani che avessero scelto di stare nel seminario.
    Sarebbe toccato al cambio antropologico-culturale e al rinnovamento ecclesiologico postconciliare reimpostare di nuovo la questione.

    Segni di una presenza

    Eppure per quella continuità nella verità che regge gli elementi costitutivi della chiesa, possiamo trovare nella storia di questa e quindi delle comunità cristiane fino ai nostri tempi - come più avanti vedremo - quella che assomiglia ad una effettiva ministerialità giovanile, ossia un insieme di pratiche abituali e costanti di servizio, con un implicito, anche se non sempre diretto e personale, riconoscimento della chiesa. Verrebbe da dire, ci imbattiamo in un fatto senza il titolo.
    Come vedremo, la conclusione potrà essere non tanto una rivendicazione di ministeri per giovani, quanto una loro riconsiderazione alla luce del rapporto con questi. Ma intanto merita che sia no cercati quegli indizi che manifestino almeno come, alla luce del dato cristiano delle origini e poi lungo la storia, non si può ascrivere a sostanza del vangelo, bensì a tradizione culturale, quella forma ristretta fin qui avuta di considerare i giovani all'interno dei servizi ecclesiali.

    Nel Nuovo Testamento

    Nel NT noi assistiamo, anzitutto nelle grandi formulazioni paoline dell'universalità della salvezza e del corrispondente impegno ecclesiale di conseguirla, una reale, anche se implicita, collocazione di quanti sono giovani nell'ambito delle qualità carismatiche della comunità.
    Per l'età messianica già Gioele 3, I-5, ripreso da Pietro nel giorno di Pentecoste (Atti 2, 17-21), annunciava «visioni» profetiche nei giovani, e non soltanto negli anziani, indicando un vigoroso superamento di deleghe dei carismi a ceti specifici (si veda un parallelismo con Gal 3, 28-29).
    Per Paolo lo sviluppo dell'essere cristiano con la tripartizione ascendente di carnali, psichici e spirituali (1Cor 2, 1 ss) non ha anzitutto una corrispondenza cronologico-evolutiva. Spirituale è colui che risponde al dono di grazia, quindi può essere anche un giovane, dotato pure lui perciò di carismi, orientati verso servizi o ministeri nella concretezza di determinate azioni o operazioni (cf 1Cor 12, 1-6; Rom 12, 6-8).
    Certamente l'elenco dei ministeri in Ef 4, 11, dove l'attenzione verte sui carismi dell'insegnamento, non ammette titolari che siano giovani, perché il loro esercizio si avvale di una competenza di scienza e sapienza che ha certamente bisogno di età per realizzarsi.
    Epperò, figure giovanili sono presenti nella comunità e sono riconosciuti non solo come oggetto passivo di attenzione. È significativo l'elogio della 1Giov, dove i giovani sono interlocutori diretti della missiva («scrivo a voi, giovani») in quanto testimoni collettivi e pubblici di virtù cristiane («perché siete forti, e la parola di Dio dimora in voi e avete vinto il maligno») (2, 13-14). Non sarà da vedervi una qualità dell'esistenza cristiana (la fortezza contro le seduzioni della carne, ma anche con le correnti eresiarche, 1 Giov 2, 15-17.18-21) da costituirsi come un «servizio» eccellente alla comunità da parte di giovani costituiti in movimento?
    Ulteriormente, C. Spicq, studiando l'associazione giovanile che caratterizza il mondo greco del sec. I, si chiede se nella costituzione vitale della Chiesa di Gerusalemme i giovani non abbiano assunto cariche o servizi adeguati alla loro condizione. Analizza pertanto testi come Atti 5, 6.10; 1Pt 5, 5; 1Tim 5, 12, Tit 2, 6; 1Giov 2, 13-14. Vi ricava che in Atti 5, 6.10 (episodio di Anania e Saffira), i neaniskoi (giovani) appaiono come un gruppo determinato che esercitano una funzione (quella di seppellire i morti) che non potrebbe essere assunta dai presbiteroi (anziani). E conclude che dai testi citati, pur dovendo riconoscere il ruolo preminente degli anziani (lPt 5, 5) e il bisogno dei giovani di crescere ancora (Tit 2, 6), questi contano nella vita comune dei cristiani come una categoria importante.

    Nella storia della Chiesa

    Una ricognizione globale del NT porta a concludere da una parte che in esso non vi è una determinazione di ministeri peculiari dei giovani, dall'altra esso non esclude, anzi mostra il loro coinvolgimento al farsi attivo della Chiesa, poggiando piuttosto il discorso della titolarità dei ministeri sul doppio pilastro del dono o carisma e della suf ficiente maturità per esercitarlo, specie se riguarda il governo dei fedeli.
    Toccherà alla storia cristiana mostrare esplicitazioni e sviluppi come un fiume che mentre si alimenta, arricchisce la polla sorgiva. Qui entra il discorso sulla presenza dei cristiani giovani nelle comunità, in primis le figure dei santi giovani che vediamo così addentro ai servizi. Ritroviamo un S. Lorenzo diacono dei poveri, un S. Francesco di Assisi ed una S. Caterina da Siena così impegnati nel servizio della parola e della riconciliazione, un S. Luigi Gonzaga dedito alla carità verso gli appestati, un Giovanni Bosco giovane, e il suo allievo adolescente S. Domenico Savio così presi dall'animazione spirituale dei compagni. Se poi teniamo conto che sovente attorno a queste, e ad altre figure si associano quasi sempre elementi giovanili che condividono il carisma del fondatore (da Benedetto, a Francesco, a Don Bosco) e ne fanno loro stessi prassi di vita, emerge la figura del gruppo giovanile come originale titolare di servizi.
    Avvertiamo i molteplici limiti di queste citazioni. Le facciamo soltanto come innegabili indicatori di partecipazione attiva di elementi giovanili al farsi della comunità cristiana. Oggi come ieri. Non si pretende di vedervi esercizi ministeriali come noi l'intendiamo abitualmente. Ma quanto meno una qualità dell'azione che va verso tale direzione, tanto da porci il problema se mantenere gli otri vecchi (categorie abituali ristrette) oppure inventarne di nuovi per il vino nuovo: il potenziale di servizio dei giovani nelle comunità non è forse tale da suscitare un'attenzione per una ministerialità più completa e corretta?

    INIZIATIVE DELLA CHIESA

    Collocando il nostro argomento di- ecclesiale, del cui pensiero e della cui rettamente all'interno della comunità prassi ultimamente si nutre e si legittima, possiamo distinguere due aspetti in dialettica tra di loro: i pronunciamenti ufficiali del Magistero; dati e fatti appurabili nel mondo dei giovani.

    Il pensiero del Magistero

    Una impostazione della questione

    Il discorso ha un suo primo esito fuori discussione: non esiste nessun pronunciamento ufficiale circa il rapporto giovani e ministeri.
    La cosa è comprensibile per le ragioni dette sopra, cioè a causa di un bloccaggio piuttosto rigido sulla tradizione, ma anche perché in realtà non ha nemmeno senso porre a priori l'argomento, se si tiene conto sia delle esigenze intrinseche al ministero ecclesiale nel senso pieno del termine, sia del fatto che una problematica giovanile al proposito emerge solo in questo tempo.
    D'altra parte, non dimenticando quanto visto sopra, ricordiamo che proprio l'eredità neotestamentaria accolta fedelmente, porta legittimamente a una riconsiderazione radicale del ministero, non escludendo a priori ogni riferimento ai giovani. Sicché potrebbero essere già per sé degni di interesse quegli elementi magisteriali che all'interno della dottrina comune cercano di allargarla.

    La voce dei pastori

    Possiamo raggruppare a tre gli elementi più vistosi: la matrice carismatica di ogni ministero, e quindi il suo collegamento di per sé all'essere del cristiano come tale; la acquisita prospettiva di ministeri non ordinati; l'apertura dei ministeri ai laici.
    È chiaro in tutti e tre i casi il possibile coinvolgimento della figura del giovane.
    Ci basta citare la Evangelii Nuntiandi che al n. 72 parla dei giovani chiamati a diventare «sempre più gli apostoli dei giovani... Noi stessi – dice Paolo VI - a diverse riprese abbiamo manifestato la nostra piena fiducia in essi». E poi al n. 73 con il titolo di «ministeri diversificati», enumera quelli di «catechista, di animatori della preghiera e del canto, di cristiani dedicati al servizio della Parola di Dio o all'assistenza dei fratelli bisognosi...».
    Quanto ai Vescovi italiani, nei due documenti principali «I ministeri nella chiesa» (1973) e «Evangelizzazione e ministeri» (1977), prospettano tre tipi di ministeri che possono riguardare anche l'elemento giovanile: il catechista, il cantore-salmista, altri ministeri che si aprono all'organizzazione caritativa (Enchiridion Cei, II, 596-597); richiamano che «tutto ciò che entra nell'ordine dell'evangelizzazione potrebbe essere oggetto di ministero ecclesiale» (Ench. CEI, II, 2840), e se pongono il limite minimo di 25 anni per il ministero di lettore ed accolitato (Ench. CEI, II, 2276), fanno anche invito «a trovare nella Chiesa nuovo spazio di partecipazione e corresponsabilità per i giovani» (Ench. CEI, II, 2658).
    Se poi attendiamo al servizio di catechista, il più diffuso forse tra la categoria giovanile oggi, si nota una certa oscillazione quanto al riconoscimento di esso come ministero non ordinato o istituito. Né Il Rinnovamento della catechesi (1970) né Catechesi Tradendae (1979) impiegano il termine «ministero», tanto da provocare per reazione la sua qualifica di tipico «ministero di fatto».
    Ma nemmeno i catechisti, come emerse nel loro Convegno nazionale a Roma nel 1988, richiedono un riconoscimento ministeriale giuridico, forse perché il vocabolo appare ancora troppo compromesso con un'accezione clericale, chiedendo piuttosto, essi che sono in maggioranza laici, un riconoscimento anche ufficiale che corrisponda alla realtà genuina del loro servizio.
    In sintesi è tutta una materia in evoluzione sia dottrinale che normativa, i cui sviluppi devono fare i conti soprattutto con la vita delle comunità ecclesiali.

    Dati e fatti

    Ed infatti, come avviene sovente, la vita sorpassa il diritto.
    L'aver dovuto coniare il termine «ministeri di fatto» sta ad indicare tutta un'area di esperienze meritevoli di osservazione. Sartori propone, come primo avvio al rinnovamento della questione, di distinguere l'area del libro (tutti i servizi che toccano la parola, tra cui la catechesi), l'area dell'altare (servizi liturgici o del culto propriamente detti), l'area dell'agàpe (servizi di carità nel senso più lato).
    Ebbene è facile trovare giovani soprattutto nella prima e terza area.

    Per l'area del libro, ecco i catechisti

    Calcolati sui 300.000 in Italia, in una indagine del 1982, appariva che il 40% sono di età inferiore ai 24 anni, e quasi il 10% tra il 24 e i 30 anni
    Che si possa collocare questo servizio nella categoria del ministero istituito è cosa tanto parlata quanto fin qui non consentita.
    In ogni caso non si farà giustizia né teologica né ecclesiologica né pedagogico-pastorale con il rifiutare od anche con il soprassedere ad una forma chiara di riconoscimento ministeriale dei catechisti, pensando ovviamente questo ministero non su quelli clericali, ma sulla realtà del laico battezzato a servizio della comunità in modo sufficientemente stabile ed ufficiale (il mandato del vescovo).

    Quanto ai servizi dell'altare

    Attualmente i giovani che vi concorrono devono essere maschi, e per lo più devono compiere il curriculo del seminario; fuori di qui, i ministeri di lettorato, accolitato e tanto più il Diaconato sono notoriamente assegnati ad adulti ed anziani. Il che significa che il recinto liturgico nei suoi diversi servizi vede assenti i giovani quasi completamente.
    È dovuto certamente al fatto della profonda disaffezione che sta fra giovani e liturgia.
    Ma tale atteggiamento non può essere provocato da concezioni ristrette di servizio liturgico?

    I servizi di carità

    In questa terza area ministeriale, probabilmente la più espressiva di servizi giovanili, sottolineiamo anzitutto la loro partecipazione sotto forma di volontariato: aiuto ai poveri, cura dei malati, assistenza degli anziani, accompagnamento di emarginati, scuola di analfabeti, presenza nel terzo mondo...
    Altri realizzano una peculiare diaconia in associazioni come l'Azione Cattolica, od anche di tipo culturale e sportivo, sociale-politico, e in altre forme di pastorale giovanile, in qualità di animatori riconosciuti e generalmente dotati di passione e competenza.
    Infine ricordiamo la presenza di giovani nei consigli pastorali.

    A quale età?

    È evidente che per tutto il nostro discorso non si vuol qui quantificare il numero, di certo minoritario rispetto alla grande massa.
    Si intende semplicemente affermare una presenza giovanile sovente qualificata e fedele.
    Quanto all'età, essa è a partire da dopo l'adolescenza.
    Un discorso di ministeri per adolescenti, inteso nelle caratteristiche di competenza, durata e riconoscimento canonico, ci sembra di fatto ben poco appariscente, e improponibile per ovvie ragioni.
    Piuttosto si tratterà di delineare degli itinerari formativi di adolescenti verso i ministeri.

    PROSPETTIVE PASTORALI-PEDAGOGICHE

    Volendo ora riflettere in ottica formativa, se attendiamo ai diversi elementi emersi fin qui, ci sembrano congrue alcune indicazioni operative.

    1. Ogni cristiano in quanto tale, e pertanto ciascun giovane cristiano, gode di doni o carismi conferitigli dallo Spirito Santo, la cui destinazione di fondo è il servizio del Regno nel corpo ecclesiale. L'esercizio di tale dono- compito si configura in rapporto alla condizione umana del soggetto (alle sue qualità naturali e alla sua evoluzione maturativa) e al contesto storico di fede e di cultura (bisogni della chiesa e della società).
    Questo significa che affermare o negare l'accesso dei giovani ai ministeri ecclesiali non ha senso se non nell'attenzione delle condizioni sopraddette. Non esiste però nessuna preclusione che si possa trattare con dei giovani la questione dei ministeri.

    2. Punto nodale tra tutti è la educazione cristiana dei giovani in prospettiva di ecclesialità ministeriale. In altri termini, come è vero che non è sufficientemente completa una proposta ed esperienza cristiana senza una consapevole e leale appartenenza ecclesiale, nemmeno tale appartenenza può definirsi compiuta se la tematica dei carismi e ministeri non viene svolta e proposta come normale cammino del credente nel mondo. Non quindi in termini di potere, o come corvè arbitraria, ma come risposta religiosa all'invito dello Spirito a dare consistenza e concretezza al proprio progetto cristiano di vita.
    Ciò non significa un'automatica assunzione di compiti, quanto la maturazione di una scelta religiosa all'interno di un itinerario previamente articolato. Perché il passaggio dell'adolescenza all'età giovanile non potrebbe essere anche possibilità di scelta di un servizio ministeriale?

    3. Chiaramente ciò suppone una nuova impostazione teologico-pastorale del ministero. Il quadro delineato da Sartori ha in sé i presupposti di verità e la suggestività di proposte cui occorrerà dare verifica con quella che egli chiama «sperimentazione».
    Con lo stesso Sartori richiamiamo una forma così vicina all'esperienza giovanile e che denomina «ministerialità dei movimenti». Egli afferma: «Il fatto attuale del diffondersi dei gruppi, delle comunità di base e dei movimenti è un segno provvidenziale. La ministerialità normale passa ormai attraverso queste strade, che collegano gli individui alla chiesa in quanto tale, e mediano in qualità di microrealizzazioni di chiesa».

    4. Come aree significative restano quelle sopra dette, in particolare il servizio della catechesi, il volontariato di carità, l'animazione cristiana dei gruppi sociali.
    Ma è evidente lo spostamento di significato che possono assumere queste vie ministeriali. Sartori parla con lungimiranza di una ministerialità ecclesiale che può farsi all'interno dei servizi civili, quindi in territorio per sé extraecclesiatico e soggetti a competenze professionali che non sono per sé proprie della Chiesa. Tale ministerialità si compie quando il cristiano, giovane e non, si impegna ad esempio ad esprimere in profondità e concretezza la carità di Cristo contro i rischi sempre incombenti della burocratizzazione e della massificazione.

      Cesare Bissoli   (NPG 1989-01-31)     Il quadro delineato da Sartori per modernità, solidità e rilevanza pedagogica, rimane come punto di riferimento essenziale per un corretto discorso di informazione e formazione   UN'ANALISI DELLA SITUAZIONE   In Italia - ma si suppone anche nelle altre comunità di Occidente - la tematizzazione del rapporto «giovani e ministeri» pensiamo goda di una situazione paradossale: pressoché totale estraneità dal campo del linguaggio e del pensiero riflesso, eppure pratica esperienza di servizio cristiano in non pochi giovani, tale da far parlare di una ministerialità di fatto.   Ragioni di un'assenza   Disinteresse ed estraneità   Nelle diverse indagini sulla posizione dei giovani verso la dimensione religiosa il tema del ministero non compare mai. Se si accenna all'appartenenza ecclesiale (la chiesa è il luogo tradizionale di collocazione dei ministeri) si constata piuttosto un rifiuto o una diffidenza generalizzata. Il termine poi di «ministero» è coniato apposta per suscitare o una immagine clericale ben poco capita ed ancor meno condivisa, o più facilmente ha una rispondenza semantica con i ministeri di governo di uno stato. E di fatto a questi si allude nei mass- media quando si parla di ministeri! dei giovani sull'argomento. Qui si intende apportare ulteriori precisazioni sia sul versante storico (situazione e iniziative della Chiesa) sia su quello operativo (proposta educativa).   Una tradizione storica adultista   Già penalizzato per ristrettezza concettuale ed equivocità terminologica (senso laico), il motivo del ministero storicamente si configura nella chiesa non certamente dalla parte dei giovani. Pur trovandosi significativi riferimenti nel NT (v. sotto), bisogna riconoscere che lungo la storia della Chiesa la prevalenza della figura adulta maschile (anziano) nella gestione di essa ha fatto sì che detentori del ministero fossero ultimamente adulti e maschi. In effetti una storia dell'educazione religiosa giovanile vede questi, secondo il tradizionale canone biblico, portatori della benedizione di Dio e quindi fonte di speranza, più che titolari di un qualche ruolo effettivo.. Si aggiunga l'atteggiamento piuttosto disciplinare come verso ad immaturi, fin qui tenuto verso di loro, almeno verso quanti non fossero giunti a rivestire ruoli determinati nella famiglia (sposo e padre) e nella società (responsabile pubblico). Se ne può capire la ragione antropologica di fondo: il giovane nel suo cammino verso l'essere adulto vive uno stadio di immaturità (impreparazione, inesperienza), per cui la ministerialità nella società religiosa e civile non gli si addice automaticamente, come invece gli compete il riconoscimento di altri diritti: alla vita, alla libertà, al rispetto, alla crescita integrale...   Una base culturale ristretta   Si può anche aggiungere che un problema giovanile come tale, quello cioè relativo ad uno status biologico socialmente e culturalmente delineato e protratto nel tempo, è piuttosto dell'Occidente contemporaneo. Sicché potrebbe essere stato un problema del tutto marginale nella mentalità prima di noi. Ed ancora, la concezione teologica che supporta un discorso come quello che andiamo facendo, non può essere certamente trovata nel passato, quando - come ha bene dimostrato L. Sartori - si era perso di vista la valenza carismatica ed universalista del termine ministero, ristretto prevalentemente a quello di tipo sacramentale-giuridico, per cui nello stesso processo di formazione ai ministeri potevano adirvi soltanto quei giovani che avessero scelto di stare nel seminario. Sarebbe toccato al cambio antropologico-culturale e al rinnovamento ecclesiologico postconciliare reimpostare di nuovo la questione.   Segni di una presenza   Eppure per quella continuità nella verità che regge gli elementi costitutivi della chiesa, possiamo trovare nella storia di questa e quindi delle comunità cristiane fino ai nostri tempi - come più avanti vedremo - quella che assomiglia ad una effettiva ministerialità giovanile, ossia un insieme di pratiche abituali e costanti di servizio, con un implicito, anche se non sempre diretto e personale, riconoscimento della chiesa. Verrebbe da dire, ci imbattiamo in un fatto senza il titolo. Come vedremo, la conclusione potrà essere non tanto una rivendicazione di ministeri per giovani, quanto una loro riconsiderazione alla luce del rapporto con questi. Ma intanto merita che sia no cercati quegli indizi che manifestino almeno come, alla luce del dato cristiano delle origini e poi lungo la storia, non si può ascrivere a sostanza del vangelo, bensì a tradizione culturale, quella forma ristretta fin qui avuta di considerare i giovani all'interno dei servizi ecclesiali.   Nel Nuovo Testamento   Nel NT noi assistiamo, anzitutto nelle grandi formulazioni paoline dell'universalità della salvezza e del corrispondente impegno ecclesiale di conseguirla, una reale, anche se implicita, collocazione di quanti sono giovani nell'ambito delle qualità carismatiche della comunità. Per l'età messianica già Gioele 3, I-5, ripreso da Pietro nel giorno di Pentecoste (Atti 2, 17-21), annunciava «visioni» profetiche nei giovani, e non soltanto negli anziani, indicando un vigoroso superamento di deleghe dei carismi a ceti specifici (si veda un parallelismo con Gal 3, 28-29). Per Paolo lo sviluppo dell'essere cristiano con la tripartizione ascendente di carnali, psichici e spirituali (1Cor 2, 1 ss) non ha anzitutto una corrispondenza cronologico-evolutiva. Spirituale è colui che risponde al dono di grazia, quindi può essere anche un giovane, dotato pure lui perciò di carismi, orientati verso servizi o ministeri nella concretezza di determinate azioni o operazioni (cf 1Cor 12, 1-6; Rom 12, 6-8). Certamente l'elenco dei ministeri in Ef 4, 11, dove l'attenzione verte sui carismi dell'insegnamento, non ammette titolari che siano giovani, perché il loro esercizio si avvale di una competenza di scienza e sapienza che ha certamente bisogno di età per realizzarsi. Epperò, figure giovanili sono presenti nella comunità e sono riconosciuti non solo come oggetto passivo di attenzione. È significativo l'elogio della 1Giov, dove i giovani sono interlocutori diretti della missiva («scrivo a voi, giovani») in quanto testimoni collettivi e pubblici di virtù cristiane («perché siete forti, e la parola di Dio dimora in voi e avete vinto il maligno») (2, 13-14). Non sarà da vedervi una qualità dell'esistenza cristiana (la fortezza contro le seduzioni della carne, ma anche con le correnti eresiarche, 1 Giov 2, 15-17.18-21) da costituirsi come un «servizio» eccellente alla comunità da parte di giovani costituiti in movimento? Ulteriormente, C. Spicq, studiando l'associazione giovanile che caratterizza il mondo greco del sec. I, si chiede se nella costituzione vitale della Chiesa di Gerusalemme i giovani non abbiano assunto cariche o servizi adeguati alla loro condizione. Analizza pertanto testi come Atti 5, 6.10; 1Pt 5, 5; 1Tim 5, 12, Tit 2, 6; 1Giov 2, 13-14. Vi ricava che in Atti 5, 6.10 (episodio di Anania e Saffira), i neaniskoi (giovani) appaiono come un gruppo determinato che esercitano una funzione (quella di seppellire i morti) che non potrebbe essere assunta dai presbiteroi (anziani). E conclude che dai testi citati, pur dovendo riconoscere il ruolo preminente degli anziani (lPt 5, 5) e il bisogno dei giovani di crescere ancora (Tit 2, 6), questi contano nella vita comune dei cristiani come una categoria importante.   Nella storia della Chiesa   Una ricognizione globale del NT porta a concludere da una parte che in esso non vi è una determinazione di ministeri peculiari dei giovani, dall'altra esso non esclude, anzi mostra il loro coinvolgimento al farsi attivo della Chiesa, poggiando piuttosto il discorso della titolarità dei ministeri sul doppio pilastro del dono o carisma e della suf ficiente maturità per esercitarlo, specie se riguarda il governo dei fedeli. Toccherà alla storia cristiana mostrare esplicitazioni e sviluppi come un fiume che mentre si alimenta, arricchisce la polla sorgiva. Qui entra il discorso sulla presenza dei cristiani giovani nelle comunità, in primis le figure dei santi giovani che vediamo così addentro ai servizi. Ritroviamo un S. Lorenzo diacono dei poveri, un S. Francesco di Assisi ed una S. Caterina da Siena così impegnati nel servizio della parola e della riconciliazione, un S. Luigi Gonzaga dedito alla carità verso gli appestati, un Giovanni Bosco giovane, e il suo allievo adolescente S. Domenico Savio così presi dall'animazione spirituale dei compagni. Se poi teniamo conto che sovente attorno a queste, e ad altre figure si associano quasi sempre elementi giovanili che condividono il carisma del fondatore (da Benedetto, a Francesco, a Don Bosco) e ne fanno loro stessi prassi di vita, emerge la figura del gruppo giovanile come originale titolare di servizi. Avvertiamo i molteplici limiti di queste citazioni. Le facciamo soltanto come innegabili indicatori di partecipazione attiva di elementi giovanili al farsi della comunità cristiana. Oggi come ieri. Non si pretende di vedervi esercizi ministeriali come noi l'intendiamo abitualmente. Ma quanto meno una qualità dell'azione che va verso tale direzione, tanto da porci il problema se mantenere gli otri vecchi (categorie abituali ristrette) oppure inventarne di nuovi per il vino nuovo: il potenziale di servizio dei giovani nelle comunità non è forse tale da suscitare un'attenzione per una ministerialità più completa e corretta?   INIZIATIVE DELLA CHIESA   Collocando il nostro argomento di- ecclesiale, del cui pensiero e della cui rettamente all'interno della comunità prassi ultimamente si nutre e si legittima, possiamo distinguere due aspetti in dialettica tra di loro: i pronunciamenti ufficiali del Magistero; dati e fatti appurabili nel mondo dei giovani.   Il pensiero del Magistero   Una impostazione della questione   Il discorso ha un suo primo esito fuori discussione: non esiste nessun pronunciamento ufficiale circa il rapporto giovani e ministeri. La cosa è comprensibile per le ragioni dette sopra, cioè a causa di un bloccaggio piuttosto rigido sulla tradizione, ma anche perché in realtà non ha nemmeno senso porre a priori l'argomento, se si tiene conto sia delle esigenze intrinseche al ministero ecclesiale nel senso pieno del termine, sia del fatto che una problematica giovanile al proposito emerge solo in questo tempo. D'altra parte, non dimenticando quanto visto sopra, ricordiamo che proprio l'eredità neotestamentaria accolta fedelmente, porta legittimamente a una riconsiderazione radicale del ministero, non escludendo a priori ogni riferimento ai giovani. Sicché potrebbero essere già per sé degni di interesse quegli elementi magisteriali che all'interno della dottrina comune cercano di allargarla.   La voce dei pastori   Possiamo raggruppare a tre gli elementi più vistosi: la matrice carismatica di ogni ministero, e quindi il suo collegamento di per sé all'essere del cristiano come tale; la acquisita prospettiva di ministeri non ordinati; l'apertura dei ministeri ai laici. È chiaro in tutti e tre i casi il possibile coinvolgimento della figura del giovane. Ci basta citare la Evangelii Nuntiandi che al n. 72 parla dei giovani chiamati a diventare «sempre più gli apostoli dei giovani... Noi stessi – dice Paolo VI - a diverse riprese abbiamo manifestato la nostra piena fiducia in essi». E poi al n. 73 con il titolo di «ministeri diversificati», enumera quelli di «catechista, di animatori della preghiera e del canto, di cristiani dedicati al servizio della Parola di Dio o all'assistenza dei fratelli bisognosi...». Quanto ai Vescovi italiani, nei due documenti principali «I ministeri nella chiesa» (1973) e «Evangelizzazione e ministeri» (1977), prospettano tre tipi di ministeri che possono riguardare anche l'elemento giovanile: il catechista, il cantore-salmista, altri ministeri che si aprono all'organizzazione caritativa (Enchiridion Cei, II, 596-597); richiamano che «tutto ciò che entra nell'ordine dell'evangelizzazione potrebbe essere oggetto di ministero ecclesiale» (Ench. CEI, II, 2840), e se pongono il limite minimo di 25 anni per il ministero di lettore ed accolitato (Ench. CEI, II, 2276), fanno anche invito «a trovare nella Chiesa nuovo spazio di partecipazione e corresponsabilità per i giovani» (Ench. CEI, II, 2658). Se poi attendiamo al servizio di catechista, il più diffuso forse tra la categoria giovanile oggi, si nota una certa oscillazione quanto al riconoscimento di esso come ministero non ordinato o istituito. Né Il Rinnovamento della catechesi (1970) né Catechesi Tradendae (1979) impiegano il termine «ministero», tanto da provocare per reazione la sua qualifica di tipico «ministero di fatto». Ma nemmeno i catechisti, come emerse nel loro Convegno nazionale a Roma nel 1988, richiedono un riconoscimento ministeriale giuridico, forse perché il vocabolo appare ancora troppo compromesso con un'accezione clericale, chiedendo piuttosto, essi che sono in maggioranza laici, un riconoscimento anche ufficiale che corrisponda alla realtà genuina del loro servizio. In sintesi è tutta una materia in evoluzione sia dottrinale che normativa, i cui sviluppi devono fare i conti soprattutto con la vita delle comunità ecclesiali.   Dati e fatti   Ed infatti, come avviene sovente, la vita sorpassa il diritto. L'aver dovuto coniare il termine «ministeri di fatto» sta ad indicare tutta un'area di esperienze meritevoli di osservazione. Sartori propone, come primo avvio al rinnovamento della questione, di distinguere l'area del libro (tutti i servizi che toccano la parola, tra cui la catechesi), l'area dell'altare (servizi liturgici o del culto propriamente detti), l'area dell'agàpe (servizi di carità nel senso più lato). Ebbene è facile trovare giovani soprattutto nella prima e terza area.   Per l'area del libro, ecco i catechisti   Calcolati sui 300.000 in Italia, in una indagine del 1982, appariva che il 40% sono di età inferiore ai 24 anni, e quasi il 10% tra il 24 e i 30 anni Che si possa collocare questo servizio nella categoria del ministero istituito è cosa tanto parlata quanto fin qui non consentita. In ogni caso non si farà giustizia né teologica né ecclesiologica né pedagogico-pastorale con il rifiutare od anche con il soprassedere ad una forma chiara di riconoscimento ministeriale dei catechisti, pensando ovviamente questo ministero non su quelli clericali, ma sulla realtà del laico battezzato a servizio della comunità in modo sufficientemente stabile ed ufficiale (il mandato del vescovo).   Quanto ai servizi dell'altare   Attualmente i giovani che vi concorrono devono essere maschi, e per lo più devono compiere il curriculo del seminario; fuori di qui, i ministeri di lettorato, accolitato e tanto più il Diaconato sono notoriamente assegnati ad adulti ed anziani. Il che significa che il recinto liturgico nei suoi diversi servizi vede assenti i giovani quasi completamente. È dovuto certamente al fatto della profonda disaffezione che sta fra giovani e liturgia. Ma tale atteggiamento non può essere provocato da concezioni ristrette di servizio liturgico?   I servizi di carità   In questa terza area ministeriale, probabilmente la più espressiva di servizi giovanili, sottolineiamo anzitutto la loro partecipazione sotto forma di volontariato: aiuto ai poveri, cura dei malati, assistenza degli anziani, accompagnamento di emarginati, scuola di analfabeti, presenza nel terzo mondo... Altri realizzano una peculiare diaconia in associazioni come l'Azione Cattolica, od anche di tipo culturale e sportivo, sociale-politico, e in altre forme di pastorale giovanile, in qualità di animatori riconosciuti e generalmente dotati di passione e competenza. Infine ricordiamo la presenza di giovani nei consigli pastorali.   A quale età?   È evidente che per tutto il nostro discorso non si vuol qui quantificare il numero, di certo minoritario rispetto alla grande massa. Si intende semplicemente affermare una presenza giovanile sovente qualificata e fedele. Quanto all'età, essa è a partire da dopo l'adolescenza. Un discorso di ministeri per adolescenti, inteso nelle caratteristiche di competenza, durata e riconoscimento canonico, ci sembra di fatto ben poco appariscente, e improponibile per ovvie ragioni. Piuttosto si tratterà di delineare degli itinerari formativi di adolescenti verso i ministeri.   PROSPETTIVE PASTORALI-PEDAGOGICHE   Volendo ora riflettere in ottica formativa, se attendiamo ai diversi elementi emersi fin qui, ci sembrano congrue alcune indicazioni operative.   1. Ogni cristiano in quanto tale, e pertanto ciascun giovane cristiano, gode di doni o carismi conferitigli dallo Spirito Santo, la cui destinazione di fondo è il servizio del Regno nel corpo ecclesiale. L'esercizio di tale dono- compito si configura in rapporto alla condizione umana del soggetto (alle sue qualità naturali e alla sua evoluzione maturativa) e al contesto storico di fede e di cultura (bisogni della chiesa e della società). Questo significa che affermare o negare l'accesso dei giovani ai ministeri ecclesiali non ha senso se non nell'attenzione delle condizioni sopraddette. Non esiste però nessuna preclusione che si possa trattare con dei giovani la questione dei ministeri.   2. Punto nodale tra tutti è la educazione cristiana dei giovani in prospettiva di ecclesialità ministeriale. In altri termini, come è vero che non è sufficientemente completa una proposta ed esperienza cristiana senza una consapevole e leale appartenenza ecclesiale, nemmeno tale appartenenza può definirsi compiuta se la tematica dei carismi e ministeri non viene svolta e proposta come normale cammino del credente nel mondo. Non quindi in termini di potere, o come corvè arbitraria, ma come risposta religiosa all'invito dello Spirito a dare consistenza e concretezza al proprio progetto cristiano di vita. Ciò non significa un'automatica assunzione di compiti, quanto la maturazione di una scelta religiosa all'interno di un itinerario previamente articolato. Perché il passaggio dell'adolescenza all'età giovanile non potrebbe essere anche possibilità di scelta di un servizio ministeriale?   3. Chiaramente ciò suppone una nuova impostazione teologico-pastorale del ministero. Il quadro delineato da Sartori ha in sé i presupposti di verità e la suggestività di proposte cui occorrerà dare verifica con quella che egli chiama «sperimentazione». Con lo stesso Sartori richiamiamo una forma così vicina all'esperienza giovanile e che denomina «ministerialità dei movimenti». Egli afferma: «Il fatto attuale del diffondersi dei gruppi, delle comunità di base e dei movimenti è un segno provvidenziale. La ministerialità normale passa ormai attraverso queste strade, che collegano gli individui alla chiesa in quanto tale, e mediano in qualità di microrealizzazioni di chiesa».   4. Come aree significative restano quelle sopra dette, in particolare il servizio della catechesi, il volontariato di carità, l'animazione cristiana dei gruppi sociali. Ma è evidente lo spostamento di significato che possono assumere queste vie ministeriali. Sartori parla con lungimiranza di una ministerialità ecclesiale che può farsi all'interno dei servizi civili, quindi in territorio per sé extraecclesiatico e soggetti a competenze professionali che non sono per sé proprie della Chiesa. Tale ministerialità si compie quando il cristiano, giovane e non, si impegna ad esempio ad esprimere in profondità e concretezza la carità di Cristo contro i rischi sempre incombenti della burocratizzazione e della massificazione.


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