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    La spiritualità contemporanea



    Agostino Favale

    (NPG 1988-06-25)


    I fattori che assumono un particolare rilievo sono: il ritorno alla Sacra Scrittura, lo studio dei Padri della Chiesa, il movimento liturgico, il rinnovamento ecclesiologico, la promozione del laicato, il dialogo ecumenico, l'affermazione della teologia spirituale come scienza a se stante, il progresso delle scienze umane, l'apertura al mondo.[1]

    Nuove prospettive nella spiritualità cristiana

    Il crescente interesse per la Sacra Scrittura aiuta a scoprire le ricchezze dottrinali, vitali ed esperienziali che essa racchiude, ed accende nei credenti il desiderio di riviverle. Lo studio dei Padri della Chiesa, i cui testi vengono editi e tradotti, mette a contatto con il ricco filone spirituale che ha alimentato la pietà dei primi secoli, più aperta all'aspetto comunitario e sociale della salvezza. Il movimento liturgico contribuisce a preparare il popolo di Dio alla partecipazione attiva e cosciente ai sacri misteri, i quali, attualizzando la presenza salvifica di Cristo a gloria di Dio Padre, diventano la sorgente della esperienza spirituale cristiana.
    Il rinnovamento ecclesiologico, senza negarne l'elemento esterno istituzionale, mette in luce l'aspetto carismatico della Chiesa, descrivendola come mistero, sacramento e comunione, dove i carismi e ministeri sono interdipendenti e complementari, e l'aspetto missionario, ossia il suo compito primario di annunciare il Vangelo a tutte le genti.
    All'interno del rinnovamento ecclesiologico si sviluppa la teologia del laicato, che ha i suoi pionieri in Y. Congar (Jalons pour une théologie du laïcat, Paris 1953) e G. Philips (Le rôle du laïc dans l'Eglise, Bruxelles 1954). Ai laici cristiani non viene solo più riconosciuto un ruolo specifico e una loro autonomia nella città secolare, ma si conferisce anche a questo ruolo un proprio significato religioso. Inoltre, da una spiritualità dei laici, diretta a sostenerli nelle loro lotte terrene, si passa a poco a poco a una teologia del laicato, che configura in modo più sistematico e giustifica la presenza attiva dei laici cristiani nella Chiesa e la loro specifica spiritualità, non più debitrice soltanto alla spiritualità clericale e monastica. Nei due primi congressi mondiali dell'apostolato dei laici (1951 e 1957), accanto alle nuove impostazioni teologiche vengono alla luce e si confrontano le esperienze dei laici entro un orizzonte molto ampio.
    L'intensificazione del dialogo ecumenico è un invito a rendersi conto dei doni che lo Spirito di Dio elargisce alle Chiese e comunità cristiane non ancora in piena comunione con la Chiesa cattolica, e ad apprezzare le loro proposte ed esperienze di vita spirituale.
    Il riconoscimento della teologia spirituale come scienza teologica con un suo proprio contenuto e una sua propria ermeneutica, incentrata sulla descrizione del vissuto spirituale cristiano, apre la strada ad interessanti approfondimenti sulle forme differenziate di vita cristiana e di esperienze spirituali nella Chiesa.
    Le scienze umane, a loro volta, offrono un valido contributo alla conoscenza dell'uomo in «situazione», e cercano di coglierne le capacità e i limiti, le aspirazioni e i condizionamenti, gli aspetti temperamentali e i complessi, le tensioni interiori e i conflitti, allo scopo di ristabilire rapporti meno turbati, più aperti e normali con i propri simili e la realtà circostante, aiutandolo così a crescere ad un livello più umano, libero e personale. In tal senso esse possono collaborare ad eliminare gli ostacoli a un incontro più cosciente e spontaneo con Dio, visto che la grazia non distrugge la natura ma la suppone e la eleva.
    Per ultimo, come già si è detto, certa letteratura spirituale del passato remoto e prossimo aveva espresso un atteggiamento di diffidenza e di riserva nei riguardi del mondo, favorendo una forma di religiosità imperniata sulla fuga dal mondo e sull'idea della caducità dell'impegno storico. Non è, però, mai venuta meno la coscienza della necessità della presenza attiva dei cristiani nel mondo per trasformarlo dal di dentro. Ed è pure stato affermato che la santità può essere raggiunta anche vivendo nel mondo mediante l'esercizio delle occupazioni profane, purché non si trascuri il rapporto della sfera terrena con l'opera della creazione e della redenzione. Resta tuttavia vero che le teologie della storia, delle realtà terrestri, della politica, della liberazione, ecc., affermatesi in tempi a noi vicini, e le riflessioni sulla spiritualità, elaborate in determinati contesti socioculturali (ad esempio, in America Latina, da parte di G. Gutiérrez, Bere al proprio pozzo, l'itinerario spirituale di un popolo, Queriniana, Brescia 1984; A. Paoli, Ricerca di una spiritualità per l'uomo d'oggi, Cittadella Ed., Assis 1984; e J. Sobrino, Tracce per una spiritualità, Boria, Roma 1987) hanno modificato, per non dire ribaltato, taluni orientamenti spirituali prevalenti nei secoli passati, insistendo sull'urgenza dell'apertura e impegno nel mondo e della scelta preferenziale per i poveri.
    Sul piano della vita consacrata, una prima concretizzazione di questa spiritualità di presenza nel mondo si ha negli Istituti secolari, approvati dalla Chiesa nel 1947. Essi si ricollegano ai primi tempi cristiani, quando coloro che si sentivano chiamati alla perfezione evangelica vivevano confusi tra gli altri, in ogni categoria sociale, portandovi l'esempio del loro radicale impegno cristiano. Oggi ci troviamo di fronte ad esperienze parallele (Focolarini, Fraternità di Comunione e Liberazione, Progetti di monachesimo di città, ecc.). Si tratta di testimonianze che cercano di conciliare l'insaziabile sete di Assoluto con la presenza costruttiva nel mondo.
    Le idee e le esperienze spirituali, che a partire principalmente dalla fine della prima guerra mondiale sono maturate nell'ambito della Chiesa cattolica, unitamente agli apporti validi della dottrina e della spiritualità del passato, hanno trovato accoglienza nei documenti del Concilio Vaticano II e in quelli del magistero postconciliare.

    Linee di fondo della spiritualità contemporanea

    Integrazione tra la prospettiva teologica e intraecclesiale e la prospettiva antropologica
    Da un punto di vista teologico ed intraecclesiale la spiritualità cristiana odierna, come risulta dagli orientamenti del Concilio Vaticano II, ha ormai acquisito in sede teorica e a livello di vita le seguenti caratteristiche: è trinitaria (LG 2; DV 4; AG 4), mariana (LG 52-69), ecclesiale (LG cc. H ss.), biblica (DV), liturgica (SC), missionaria (AG) ed ecumenica (UR). Ogni forma di vita cristiana, grazie ai doni ricevuti dallo Spirito, alla corrispondenza ai medesimi e al compimento della propria specifica missione, vive e integra a suo modo queste caratteristiche. Risulta quindi legittimo parlare di una spiritualità laicale, di una spiritualità del ministero ordinato, di una spiritualità della vita consacrata, che ammettono nel loro interno una varietà di lineamenti e di accentuazioni.
    La prospettiva teologica, però, non va disgiunta dalla prospettiva che parte da presupposti antropologici, come insegna la costituzione pastorale Gaudium et Spes del Concilio Vaticano II. In tal modo la spiritualità cristiana deve prendere atto della nuova visione dell'uomo e del mondo e, quindi, del modo nuovo di assumere la realtà umana e terrena.[2]

    Attenzione all'unicità della persona umana
    In una concezione dualista dell'uomo di matrice platonica, incline a considerare il corpo come prigione dell'anima, si insisteva in particolare sulla necessità di curare la relazione tra Dio e l'anima, ossia la dimensione interiore della persona umana a scapito della sua corporeità.
    Superata la concezione dualistica con il ritorno all'unitaria antropologia biblica, l'uomo viene considerato nella sua «unità e totalità, corpo e anima, cuore e coscienza, intelletto e volontà» (GS 3b). Partendo da questa visione unitaria i cristiani rivelano oggi una sensibilità speciale per l'uomo integrale, visto che si tratta di una realtà spirituale che si concretizza e si realizza pienamente nel corpo e per mezzo del corpo in un'interazione con gli altri. Da qui la loro simpatia per il valore della corporeità e le sue legittime espressioni. Da qui anche la ricerca di un'ascesi più consona con il rispetto dovuto al corpo, considerato come luogo di manifestazione delle potenze dell'anima.
    Certo, l'esperienza insegna che il cristiano dev'essere vigilante per non lasciarsi travolgere dalle passioni, ossia dal «male oscuro» che si annida in fondo ad ogni cuore, ma questa consapevolezza non gli deve impedire di valorizzare tutti gli aspetti positivi della corporeità. In questa prospettiva spirituale, dove teologia e antropologia cristiana cercano di armonizzarsi, l'accento anziché sul rapporto riduttivo anima-Dio viene posto sul rapporto più ampio: persona umana-Dio, in quanto è la totalità della persona umana ad essere responsabile della sua relazione vitale con Dio e del suo destino temporale ed eterno.

    Apertura alla comunione con gli uomini e con Dio
    Presa coscienza dell'unità sostanziale della sua persona, il cristiano intuisce che non può diventare se stesso e realizzarsi come soggetto responsabile, se non nell'incontro con gli altri. Esiste in lui un'inclinazione a uscire da se stesso, una esigenza a comunicare con gli altri, una tendenza ad aprirsi a una fraternità universale, un anelito alla ricerca di Dio e all'unione con Lui. La socialità e la capacità di comunione sono inscritte nella sua natura. Nonostante le difficoltà che può incontrare nell'esplicitazione di queste due irrinunciabili esigenze, il cristiano si rende conto che questa è la strada che deve percorrere, se vuole giungere al proprio completamento e alla propria maturazione come uomo e come credente. Diventa così superata una concezione individualistica della vita e della spiritualità cristiana, specie se messa a confronto con il mondo contemporaneo, caratterizzato dalla «socializzazione», che spinge gli uomini ad incontrarsi e a collaborare insieme nella costruzione di una società più giusta. L'aspetto comunitario e comunionale è dunque uno dei fattori che alimenta la spiritualità cristiana e ne determinerà anche l' avvenire.

    Impegno nel mondo
    Il cristiano che riconosce il valore religioso del mondo in forza della creazione e dell'incarnazione (cf. GV 3,16-17), e consente al comando divino di assoggettarne le energie (cf. Gn 1,28) al servizio dell'uomo, deve rendersi presente al mondo, farsi carico dei problemi umani, appassionarsi alla propria attività quotidiana nella convinzione di collaborare così alla edificazione di una società più consona con il disegno d'amore di Dio. La vita cristiana ha un valore in se stessa. Non si tratta tanto di essere in un posto per fare solo apostolato, quanto di vivere con pienezza evangelica, serietà umana e spirito di sacrificio la propria vita familiare, sociale, professionale, politica, economica, ecclesiale, accettando il mondo, la storia, l'esistenza quotidiana come il luogo dell'incontro con gli altri e con Dio, e della rivelazione e manifestazione del suo amore agli uomini Occorre, però, che il cristiano faccia della fede il vettore dell'esistenza e rettifichi le varie azioni, al fine di farle procedere secondo l'ordine proprio, perché siano evangelicamente e socialmente credibili.

    Aspetto dialettico dell'esistenza cristiana
    Il cristianesimo implica un'istanza trascendentale ed escatologica, perché è un messaggio di salvezza offerto da Dio in Cristo mediante il dono dello Spirito Santo e avrà il suo pieno compimento alla fine dei tempi; e un'istanza incarnazionistica, perché si richiama all'evento dell'incarnazione del Verbo eterno ed è destinato a cambiare l'uomo dal di dentro e a venire a contatto con le diverse culture per imprimervi un'ispirazione cristiana. Fin dai primi secoli cristiani tale rapporto racchiude una tensione dialettica tra l'una e l'altra tendenza.
    Nel periodo delle persecuzioni è viva in non pochi cristiani l'istanza escatologica ossia il desiderio della terra nuova e dei cieli nuovi. Quest'istanza trova una sua espressione in S. Paolo: «Passa la scena di questo mondo» (1 Cor 31,7), e nell'invocazione del libro dell'Apocalisse: «Vieni, Signore Gesù!» (22,20). Queste ed altre espressioni finiscono per alimentare l'idea dell'imminenza del ritorno del Signore e, di conseguenza, una spiritualità più interessata al traguardo definitivo della vita cristiana che all'impegno nel mondo.
    Ma più sentita è l'istanza, orientata a permeare di spirito cristiano la società e la cultura ellenistico-romana del tempo. Quest'istanza incarnazionista viene presentata dall'anonimo dell'impropriamente detta Lettera a Diogneto (160/180 d.C.). Egli afferma che i cristiani non devono estraniarsi dal mondo degli uomini per l'universalità della fede che professano, ma neppure devono identificarvisi. Il loro rapporto col mondo è analogo a quello che intercorre tra l'anima e il corpo: «Ciò che è l'anima nel corpo, i cristiani sono nel mondo» (Ad Diognetum 6,1). Essi devono inserirsi nella storia degli uomini, rispettarla, coglierne le spinte positive, fermentarla di spirito evangelico nella consapevolezza che le esigenze dell'incarnazione non possono andare disgiunte da quelle della trascendenza27.[3]
    È un'indicazione preziosa quella della Lettera a Diogneto. Essa pone in risalto i due poli cui deve ispirarsi ogni autentica spiritualità cristiana, dove l'attenzione a Dio dev'essere accompagnata dall'attenzione all'uomo e l'attenzione all'uomo non deve escludere la doverosa attenzione a Dio, in cui «viviamo, ci muoviamo e siamo» (AT 17,28). Ma la storia insegna che non è facile trovare il giusto equilibrio tra fede e vita, preghiera e lavoro, aspettazione escatologica e impegno temporale, vita interiore e apostolato. D'altra parte, la varietà differenziata di esistenze cristiana e di esperienze spirituali sta a indicare che vi sono modi diversi di affrontare l'aspetto dialettico della vita cristiana.
    Oggi, più che non nel passato, si guarda all'istanza incarnazionista, che spinge il cristiano a lavorare per trasformare il mondo in una dimora degna della famiglia umana. L'essere attivamente presente al mondo per renderlo più umano, non deve impedire al cristiano, sia pur fra tensioni non sempre facilmente risolvibili, di unificare nella sua vita la spiritualità di trascendenza con la spiritualità di incarnazione. E questa unificazione è possibile se il cristiano non dimentica Dio quando si intrattiene con gli uomini e lavora per loro, né dimentica gli uomini quando si intrattiene con Dio nella preghiera e nell'adorazione. Il vero amore di Dio e il vero amore del prossimo non sono dispersivi ma convergenti, perché frutto di un unico amore. È impossibile amare cristianamente il prossimo senza amare Dio, e amare cristianamente Dio senza che questo stesso amore si riversi anche sul prossimo. Le due espressioni di un unico amore s'incontrano, si armonizzano e crescono insieme, l'una attraverso l'altra, sicché amando il prossimo ci si unisce a Dio, e amando Dio non si può rimanere indifferenti verso i bisogni del prossimo. Ciò che occorre, è imparare ad amare non soltanto a parole, ma «coi fatti e nella verità» (1 Gv 3,18).

    Conclusione

    Il profilo storico delineato su proposte, itinerari ed esperienze di vita spirituale credo possa giustificare le seguenti affermazioni:
    1. La spiritualità cristiana non sfugge alla legge dello sviluppo sia nei suoi contenuti dottrinali, elaborati dallo studio della Sacra Scrittura e dalla riflessione teologica, sia nelle sue concrete realizzazioni in singole persone, gruppi, movimenti e associazioni. Questo sviluppo è dovuto al fatto che il cristiano non può evitare di confrontarsi con il contesto politico-economico e socio-culturale-religioso in cui è immerso, e con «i segni dei tempi» che lo possono aiutare od ostacolare, qualora non siano ben interpretati, nelle sue scelte dottrinali ed esperienze spirituali.
    2. Risulta poi chiaro che una sola proposta o un solo itinerario spirituale non può esaurire le infinite risorse dello Spirito di Dio in relazione a quanti acconsentono con docilità alle sue mozioni, in base ai doni diversi che hanno ricevuto.
    Una per l'ontologia di grazia e pluriforme per l'articolazione dei ruoli, la Chiesa, a cominciare dai suoi più diretti responsabili, deve cercare di «coniugare correttamente sia la pari dignità di tutte le sue membra con le differenti vocazioni e funzioni, attivate da carismi e ministeri (ordinati e non), sia la diversa grazia di partenza e generosità nel corrispondervi (cf. Mt 25,14-29), con il misterioso e reciproco integrarsi dei diversi itinerari di santità e delle differenti forme diaconali, all'interno dell'unico corpo mistico di Cristo e in vista dell'unico regno di Dio che viene; senza con questo ingenerare tensioni o dualismi tra le varie componenti intraecclesiali, né prevaricazioni o monopoli di una funzione sull'altra».[4]
    3. È anche ovvio per un cristiano che la spiritualità, nonostante tutti i cambiamenti destinati a verificarsi, dovrà pur sempre richiamarsi al suo fondamento: il disegno di amore del Padre che in Cristo vuole riconciliare gli uomini con Dio e tra loro; alla sua fonte e al suo modello: Gesù Cristo, Verbo incarnato, morto e risorto, nel quale il fedele viene incorporato per mezzo del battesimo, perché viva in Lui e per Lui; al suo protagonista: lo Spirito Santo vivificante; al suo centro vitale: la carità verso Dio e verso il prossimo; al suo itinerario: la pratica delle virtù come attualizzazione del mistero pasquale (...); al suo luogo di nascita e di crescita: la comunità ecclesiale; al suo ambiente di attuazione: il mondo.
    È soltanto a partire dal disegno d'amore del Padre, realizzato dal Figlio e portato a compimento dallo Spirito Santo, che si può parlare di vita cristiana e, conseguentemente, di spiritualità cristiana, perché unico è il mediatore tra Dio e gli uomini, Cristo Gesù, e unico è lo Spirito santificatore. Dal punto di vista esistenziale invece vi sono varie espressioni di vita cristiana e, perciò, modi diversi di vivere la propria esperienza spirituale, perché lo Spirito Santo distribuisce ai membri della comunità ecclesiale doni diversi e complementari (cf 1 Cor 12,8-10.28-30; Rm 12,6-8; Ef 4,11). Dio, infatti, non ci ha creati in serie. Ognuno di noi come persona è irripetibile, per questo è in grado di stabilire un rapporto personale con Dio, con gli altri e con il mondo.
    4. Inoltre, la prospettiva teologica della spiritualità cristiana deve armonizzarsi con la prospettiva antropologica, perché l'uomo, che la attua, è unità di anima e di corpo, di spirito e di materia, ed è inserito nel mondo. La prospettiva antropologica è quella che offre alla spiritualità cristiana nuovi orizzonti e nuove aperture, che vanno soggette a discernimento ed accolte nelle loro richieste positive. Se in un passato più o meno remoto l'attenzione a Dio e la sua contemplazione sembrano aver quasi egemonizzato l'interesse della vita cristiana, mettendo in second'ordine l'attenzione per l'uomo e per il mondo, oggi si è alla ricerca di un riequilibrio delle due posizioni. Si fa strada l'idea che per i credenti l'attenzione all'uomo e l'impegno nel mondo, e la contemplazione e l'adorazione di Dio nella fede sono due istanze irrinunciabili dell'esistenza cristiana che, se autentiche, sono destinate a crescere in proporzione diretta e non inversa l'una rispetto all'altra.
    5. Infine, i cristiani laici, che intendono valorizzare la loro responsabilità di credenti, sono alla ricerca di una spiritualità consona con la loro nuova coscienza ecclesiale, il loro specifico ruolo nella società, i loro compiti professionali e i loro bisogni concreti. Una spiritualità, che non sia una copia sbiadita della spiritualità monastica o dei consacrati religiosi, né una impropria e, quindi, insoddisfacente imitazione della spiritualità dei ministri ordinati e neppure una forma di vita cristiana a basso livello, ma sia, al contrario, l'espressione di una vita piena di fede e di impegno al servizio degli uomini, al fine di rendere veramente credibile la presenza salvifica di Cristo nel mondo.
    Attenti, dunque, alla lezione della storia e interpellati dai «segni dei tempi», come operatori pastorali e animatori spirituali dobbiamo coltivare spirito di iniziativa, coraggio e creatività apostolica per saper rischiare e investire di più su tutti e con tutti i membri attivi del popolo di Dio. Occorre imparare a camminare insieme per trasformare ogni momento della giornata in tempo utile e prezioso, allo scopo di contribuire alla edificazione di comunità autenticamente umane e fraternamente cristiane, adulte nella fede, dove l'amore e l'adorazione dovuti a Dio si integrino con l'amore e il rispetto dovuti agli uomini, in vista della loro crescita umana e spirituale.


    NOTE

    [1] Cf T. Goffi, 8. La spiritualità contemporanea (XX secolo), in «Storia della spiritualità», Ed. Dehoniane, Bologna 1987.
    [2] Cf S. De Fiores, Spiritualità contemporanea, in «Nuovo Dizionario di spiritualità», Ed. Paoline, 4 1985, pp. 1516-1543.
    [3] Cf A Diogneto. Alle sorgenti dell'esistenza cristiana, a cura di M. Perrini, Ed. La Scuola, Brescia 2 1986, p. 51.
    [4] Per una recezione effettiva del sinodo dei laici, in «Civiltà Cattolica» (1987)IV, 421-422.


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