Manifesto dei giovani
(NPG 1988-5-45)
Nei giorni 9-10 novembre 1985 oltre seicento giovani (dai 17 anni in su) si sono riuniti a Torino-Valdocco per l'annuale convegno di spiritualità giovanile salesiana. Lo slogan era: «Dacci oggi il nostro quotidiano». La prima parte dei lavori aveva come obiettivo la scoperta delle ragioni che fanno diventare il «quotidiano» luogo di servizio nella/per la Chiesa. Un secondo momento invitava a rispondere alla domanda: come possiamo, oggi, nei nostri ambienti, servire la Chiesa? La risposta è stata: ridando vita nelle nostre case salesiane all'Oratorio.
I gruppi, al termine del convegno, hanno chiesto che la ricchezza delle idee e delle esperienze emerse non andasse perduta. Hanno così pensato di condividerla sotto forma di «manifesto», incentrato su come i giovani guardano all'Oratorio, lo sognano, su cosa vorrebbero che fosse. Ne è nato quindi un quadro ideale, forse sul modello di quello che don Bosco ha consegnato ai suoi Salesiani e ha inventa-
to per i giovani del suo tempo. Esso non risulta allora solo una «struttura caratteristica, un ambiente fisico, ma una dimensione di vita, uno stile di presenza, un modo di educare».
Il «Manifesto» si muove sulla falsariga dell'articolo 40 delle Costituzioni Salesiane: l'Oratorio di don Bosco è...
Casa che accoglie
E cioè:
- casa dell'accoglienza dei giovani, in cui ciascuno è considerato come persona, come un valore. Questo atteggiamento si fonda sulla convinzione (che viene dalla fede) che in ogni giovane Dio è presente, che la sua storia, il suo vissuto è «terra di Dio»!
Per accogliere occorre essere presenti (SDB, FMA, collaboratori laici) sempre e in modo continuo, incarnando l'assistenza salesiana, fatta di presenza significativa ed educatrice.
Tale presenza assicura un «clima», fatto di rispetto delle cose e delle persone, di cordialità di rapporti, di progressivo coinvolgimento. Se non è ambiente educativo, l'Oratorio è casa di accoglienza solo a parole;
- casa dell'amicizia: all'Oratorio ci si incontra con tante persone nello studio, nel gioco, nella preghiera... Nasce amicizia la dove c'è possibilità di dialogare, di essere ascoltati e compresi.
«l giovani desiderano che gli educatori stiano accanto a loro, accettandoli così come sono e amandoli sul serio». Casa della mano tesa che sa con semplicità andare incontro e farsi vicina a chi più ne ha bisogno. È una mano adulta, che sa intervenire per indicare un cammino (guida), per incoraggiare e, là dove occorra, per correggere;
- casa dove si «cresce» perché ci sono proposte. Non c'è educazione là dove mancano proposte di vario tipo che aiutano i giovani a portare a maturazione le capacità che si portano dentro.
Proposte di formazione sul piano personale, di animazione nei settori più diversi (teatro, musica, catechesi, sport, espressione...), di servizio, di obiezione al servizio militare, di volontariato... L'amore è creativo e inventivo.
L'assenza di proposte è la morte dello spirito di don Bosco.
Là dove non c'è vita, voglia di fare è perché non ci sono uomini e donne propositivi;
- casa della gioia: la gioia era per don Bosco l'undicesimo comandamento. Una gioia che nasce dal rapporto di fiducia e di collaborazione tra i giovani e SDBFMA.
Una comunità che si interessa e partecipa alla vita dei giovani con la volontà di crescere insieme, fa sperimentare la gioia della «comunione dei cuori». Una gioia, quella salesiana, che si fonda sulla presenza del Signore nella vita di tutti i giorni, sulla materna assistenza di Maria e sul «sapersi amati» dagli educatori.
Le vocazioni nascono solo nella «casa della gioia».
Parrocchia che evangelizza
È un ambiente:
- che si qualifica per i valori cristiani che vive (testimonianza) e che propone (annuncio) a tutti i giovani, prima che per le cose che fa (sport, scuola, animazione del tempo libero...);
- che propone cammini di educazione e di catechesi adeguati, ben differenziati, con una certa continuità;
- che aiuta i giovani a scoprire la propria vocazione in una serena e sincera ricerca del progetto di Dio, ricerca permeata di ascolto della parola e di preghiera;
- che lavora per creare un'autentica comunità giovanile, riunita attorno all'unico Signore che perdona (Riconciliazione), che si offre (Eucarestia), che chiama al suo servizio, alla testimonianza in tutti gli ambienti;
- che si apre alla Chiesa locale attraverso il dialogo, gli scambi e la collaborazione;
- che con coraggio va in cerca dei lontani, che sa correre rischi e porre segni eloquenti;
- che presenta un «Dio simpatico», vicino a ogni persona, interessato della vita di ognuno, innamorato del nostro essere giovani; il Dio della vita quotidiana da scoprire nel fragore delle cose di tutti i giorni, tra le pieghe dei fatti che si succedono;
- che è una Comunità religiosa (SDB-FMA) che dà testimonianza di unità, di fraternità e di lavoro indirizzato verso un progetto comune.
Cortile per incontrarsi da amici e vivere in allegria
- Non si può pensare ad una casa di don Bosco senza cortile, dove poter dare ai giovani «ampia libertà di saltare, correre, schiamazzare a piacimento».
Sport, musica, teatro... «sono mezzi efficacissimi per ottenere la disciplina, giovare alla moralità e alla sanità» (don Bosco).
Il pericolo che constatiamo reale per molte case è la frattura tra queste realtà e il discorso-impegno educativo e formativo.
- Di qui la necessità di formare animatori che abbiano competenza sul piano tecnico e ricchezza di maturità umana e cristiana; animatori cui si lascia spazio e responsabilità in un clima di fiducia e di collaborazione.
- Il cortile è il luogo primario per incontrare e conoscere i ragazzi, per stringere amicizie; è il centro dell'opera salesiana, momento di incontro e di confidenza, dove gli educatori possono dimostrare ai giovani di «amare ciò che loro amano».
«Vidi che ben pochi preti e chierici si mescolavano tra i giovani e ancor più pochi prendevano parte ai loro divertimenti. I Superiori non erano più l'anima della ricreazione» (don Bosco).
- Nel cortile si vive lo spirito di famiglia, distintivo dello stile educativo di don Bosco.
«La familiarità porta affetto e l'affetto porta confidenza».
«Il maestro visto solo in cattedra è maestro e non più, ma se va in ricreazione con i giovani diventa come fratello».
«I cuori si aprono e fanno conoscere il loro bisogno e palesano i loro difetti» (don Bosco).
- Il cortile è aperto al territorio in cui si trova e, proprio perché punto di incontro di tanti giovani, è attento ai problemi della condizione giovanile oggi. È un modo di vivere la missionarietà.
Scuola che avvia alla vita
- Anzitutto scuola, cioè un ambiente in cui: circolano valori e questi sono condivisi e rispettati; c'è uno sforzo pedagogico per far interiorizzare detti valori; si offre al giovane, là dove esistono le strutture, una seria qualifica e competenza professionale; si crede al dialogo, al confronto, al maturare progressivo del senso critico dentro la cultura di oggi; non si ha paura che nasca la richiesta di una maggior partecipazione nella corresponsabilità;
- ... che avvia alla vita, una scuola cioè che: aiuta il giovane a trovare una strutturazione armonica della sua personalità, rendendolo cosciente delle sue capacità; offre la possibilità di elaborare un progetto personale nel quale prendono forma i valori acquisiti e in base al quale si sanno fare scelte di vita; è attenta al mondo del lavoro e, sull'esempio di don Bosco, sa coraggiosamente affrontare i problemi che in esso vi scorge; punta alla formazione globale della persona («buoni cristiani e onesti cittadini»).
- Tutto questo nella consapevolezza che non c'è scuola senza maestri, cioè non c'è servizio educativo senza testimonianza e presenza di modelli.