Pastorale Giovanile

    Home Indice

    Pastorale Giovanile

    Attesi dal suo amore
    Proposta pastorale 2024-25 

    MGS 24 triennio

    Materiali di approfondimento


    Letti 
    & apprezzati


    Il numero di NPG
    luglio-agosto 2024
    600 cop 2024 2


    Il numero di NPG
    speciale sussidio 2024
    600 cop 2024 2


    Newsletter
    luglio-agosto 2024
    LUGLIO AGOSTO 2024


    Newsletter
    SPECIALE 2024
    SPECIALE SUSSIDIO 2024


    P. Pino Puglisi
    e NPG
    PPP e NPG


    Pensieri, parole
    ed emozioni


    Post it

    • On line il numero di LUGLIO-AGOSTO di NPG sul tema degli IRC, e quello SPECIALE con gli approfondimenti della proposta pastorale.  E qui le corrispondenti NEWSLETTER: luglio-agostospeciale.
    • Attivate nel sito (colonna di destra "Terza paginA") varie nuove rubriche per il 2024.
    • Linkati tutti i DOSSIER del 2020 col corrispettivo PDF.
    • Messa on line l'ANNATA 2020: 118 articoli usufruibili per la lettura, lo studio, la pratica, la diffusione (citando gentilmente la fonte).
    • Due nuove rubriche on line: RECENSIONI E SEGNALAZIONI. I libri recenti più interessanti e utili per l'operatore pastorale, e PENSIERI, PAROLE

    Le ANNATE di NPG 
    1967-2024 


    I DOSSIER di NPG 
    (dall'ultimo ai primi) 


    Le RUBRICHE NPG 
    (in ordine alfabetico
    e cronologico)
     


    Gli AUTORI di NPG
    ieri e oggi


    Gli EDITORIALI NPG 
    1967-2024 


    VOCI TEMATICHE 
    di NPG
    (in ordine alfabetico) 


    I LIBRI di NPG 
    Giovani e ragazzi,
    educazione, pastorale

     


    I SEMPREVERDI
    I migliori DOSSIER NPG
    fino al 2000 


    Animazione,
    animatori, sussidi


    Un giorno di maggio 
    La canzone del sito
    Margherita Pirri 


    WEB TV


    NPG Facebook

    x 2024 400


    NPG X

    x 2024 400



    Note di pastorale giovanile
    via Giacomo Costamagna 6
    00181 Roma

    Telefono
    06 4940442

    Email

    Modelli di pastorale dei preadolescenti: analisi critica dell'offerta



    Giuliano Palizzi

    (NPG 1988-03-44)


    Analizzare i modelli di pastorale dei preadolescenti significa porsi delle domande, focalizzare i problemi, guardando e riflettendo intorno alla prassi seguita dalla comunità ecclesiale nel suo essere presente nel mondo dei preadolescenti: una prassi motivata dalla volontà di servire il farsi della salvezza in una ben determinata situazione storica.
    Il modello segue le legge del mercato: domanda-offerta.
    Le sfide vengono dalla domanda: cosa chiede il preadolescente di oggi? Le domande nascono anche dal diverso impatto con il territorio: esse non sono mai soltanto soggettive o soltanto oggettive, ma nascono da una interazione tra mondo sociale e mondo soggettivo. Occorrerà quindi conoscere «il territorio» in cui vive il preadolescente perché l'offerta sia adeguata.
    La pastorale deve essere attenta soprattutto alla domanda religiosa. C'è questa domanda? Negli articoli precedenti si è concluso che la religiosità dei preadolescenti diviene un luogo privilegiato di espressione della domanda di vita collocata sui livelli del senso e del significato: diviene soprattutto espressione di una domanda di relazione e di comunicazione educativa. Attraverso essa il preadolescente esprime una grande domanda di sicurezza, di accoglienza, di sostegno, di vicinanza, capaci di farlo crescere nella gestione responsabile e solidale della propria esistenza. La domanda espressa attraverso la religiosità ha ancora una figura essenzialmente non religiosa; ciò che muta è invece la ricerca di interlocutori «differenti»; muta infatti essenzialmente la qualità della relazione cercata.
    I preadolescenti vanno alla ricerca di un «altro contesto» in cui giocarsi, di un altro grembo rassicurante, capace di promuovere l'autonomia e di liberare la soggettività (non più genitori, adulti in autorità, contesti educativi modellati sul contesto familiare e caratterizzati da una comunicazione sostanzialmente asimmetrica). Solo all'interno del nuovo contesto intersoggettivo, i preadolescenti appaiono disposti a ripensare il proprio mondo religioso infantile, aperti anche ad una nuova ed ulteriore rielaborazione, in sintonia con la «risignificazione religiosa» della vita giocata nel nuovo contesto. Se questo «nuovo grembo» li sollecita ad una elaborazione della domanda di vita, i preadolescenti odierni si rendono disponibili e aperti ad ulteriori ristrutturazioni (cf NPG 7/87, p. 76-77).
    In questo intervento si vuole raccogliere il contributo di analisi della situazione della prassi pastorale con i preadolescenti in Italia, così come viene di fatto gestita da parte della comunità cristiana. Non allora una attenzione diretta ai destinatari e alla qualità della loro domanda, ma un tentativo di lettura-interpretazione di quella che è l'offerta e la sua qualità, così come viene gestita dalla concreta comunità ecclesiale.
    I problemi vengono nel modo di gestire l'offerta.
    L'offerta è commisurata alla domanda?
    La prima cosa che si incontra è il fatto del pluralismo nella attuale prassi pastorale.
    Una realtà che certamente arricchisce la chiesa e la pastorale. Ma che pone dei problemi quando si vuole classificare o riassumere dentro pochi modelli tutta l'offerta pastorale.

    COME ANALIZZARE L'OFFERTA REALE? UNA GRIGLIA DI LETTURA

    Ogni offerta, oltre che dalla domanda, parte dalla «memoria» dell'offerente; essa si traduce negli obiettivi che si vogliono raggiungere all'interno di una propria visione di chiesa, di una antropologia e di un modo di intendere la relazione educativa; si serve di un «metodo».
    Diamo una definizione di pastorale ed un indicatore di metodo dal quale analizzare e catalogare i vari modelli di pastorale.
    La pastorale dei preadolescenti è un insieme organico:
    - di esperienze di vita, cariche di «messaggi» e perciò capaci di diventare proposte di vita significative e concrete;
    - di momenti simbolici e rituali per celebrare la vita quotidiana trasformata dalle proposte di vita accolte;
    - messi in atto dalla comunità ecclesiale;
    - per invitare i preadolescenti a scegliere Gesù come «Signore» e a diventare, in modo graduale e cosciente, suoi discepoli nel loro «oggi» e nella loro «realtà».
    Tra i molteplici orientamenti di metodo ne scegliamo uno attraverso il quale raccogliere i modelli-di pastorale: il gruppo.
    Fare gruppo con i preadolescenti è luogo privilegiato per l'intervento pastorale. Prescindiamo quindi da tanti altri orientamenti di metodo che vanno dalla gestione in massa dei soggetti a quello dell'a tu per tu. Ci è sufficiente evidenziare il ruolo e la funzione attribuita al gruppo nei diversi modelli di pastorale dei ragazzi.
    La Ricerca illustra e documenta l'importanza crescente che viene ad acquistare il peso del gruppo nella rielaborazione e nella ristrutturazione della religiosità durante la preadolescenza; il gruppo come luogo di riscoperta e appropriazione (ma anche di messa in crisi e di destrutturazione) collettiva («è una cosa che si fa 'insieme' ed è bello farlo cosí») della religiosità, rispetto ad un passato, ma anche ad un prevalente presente, di religiosità di massa, finalizzata soprattutto alla prescrizione dell'esistente.
    Dai dati emerge inoltre come l'esperienza di appartenenza ad un gruppo (con maggiore accentuazione se gruppo di tipo formativo, cioè con progetto educativo giocato intenzionalmente) sia positivamente rilevante nel concreto prolungarsi della pratica della messa domenicale.
    Sembra infine che acquisti importanza, per lo sviluppo delle motivazioni alla pratica religiosa, l'appartenenza ad un gruppo di coetanei, soprattutto se di tipo formativo. I preadolescenti che fanno parte di gruppi ecclesiali (oratoriani, parrocchiali, associazionistici) denotano un grado più elevato di interiorizzazione delle motivazioni.

    Una griglia costruita attorno alla scelta del gruppo

    Ci chiediamo: quali modelli esistono nella prassi della pastorale ecclesiale nel mondo dei preadolescenti che utilizzano il metodo del gruppo? All'interno del gruppo possiamo ritrovare le «variabili» che esigono continua attenzione, passione educativa per ricomporre il tutto in unità e ristrutturare continuamente tutta l'opera pastorale. Queste variabili sono:
    - i bisogni del preadolescente: la situazione, la vita concreta, la domanda; vogliamo vedere quanto il modello sia induttivo (parta cioè dal preadolescente), come si sforzi di proporre salti di qualità, partendo dai bisogni e non fermandosi ad essi per evitare l'impopolarità; come il modello tenti continuamente di adattare la proposta alla vita attraverso le esperienze e gli eventi di salvezza;
    - gli obiettivi della pastorale: sono precostituiti o «nascono» in relazione ai bisogni dei preadolescenti?
    - le operazioni educative: come viene resa possibile la relazione tra la proposta e la vita, come viene sperimentata e mantenuta in continua trasformazione?
    Non intendiamo addentrarci dentro un'analisi che parte dai «grandi indicatori» dei modelli, quali:
    - il tipo di chiesa;
    - il tipo di antropologia;
    - il tipo di pedagogia;
    anche se qualche accenno non mancherà.
    Per fare un'analisi che tenesse conto di questi grandi indicatori occorrevano mezzi, tempi e persone adeguate.
    Leggeremo la situazione seguendo una serie di mini-indicatori all'interno del piccolo indicatore che è il gruppo.
    I mini-indicatori li identifichiamo in quattro funzioni del gruppo: la relazione, la struttura, la dinamica, la finalità.

    La relazione.
    È il tipo di rapporto che si stabilisce tra le persone, il modo di parlarsi, di comunicare, di stare assieme, di rendere comprensibile o contorta la propria «anima» per gli altri.
    È quella immediata, non riflessa, che si instaura anche senza volerlo, ma anche quella esplicitamente voluta, frutto di scelte, di condivisione di appartenenza, di partecipazione. La prima è spontanea, legata al carattere, all'ambiente, è un dato quasi precostituito; la seconda è punto di arrivo, frutto di impegno e attenzione vicendevole.

    La struttura.
    Ogni gruppo, per quanto addomesticato, si dà una organizzazione interna. Spesso ciò avviene automaticamente in base alle dinamiche che vi si scatenano; spesso vi si arriva dopo tentativi, successi, piccole o grosse schermaglie. Nascono allora i leaders, i gregari, i capri espiatori, il burlone di turno... ecc. In un gruppo come si deve, i ruoli, che caratterizzano la struttura, sono mete educative frutto di attenzione dell'animatore, studio della realtà, disponibilità di fronte ai bisogni e ai fini.

    La dinamica.
    È la capacità del gruppo di canalizzare, coscientemente o inconsciamente, le energie verso una crescita o un equilibrio, un rinforzo o una passione. Ogni preadolescente arriva al gruppo con un suo mondo, con sue doti, con particolari personalissime energie, e lì le può mettere a disposizione. La dinamica di gruppo le orienta, le esalta o le mortifica, le confronta con norme più o meno scritte, le organizza, le disperde, le finalizza o le fa scatenare senza obiettivi precisi.

    La finalità.
    Un gruppo viene definito anche dall'obiettivo che ci si propone, dalle attività che si vogliono compiere, dalle iniziative o dai compiti che gli sono assegnati. Le finalità di un gruppo determinano la sua collocazione, sia nella vita di chi lo forma, sia nell'ambiente in cui si trova a vivere. Sono nello stesso tempo la faccia del gruppo verso i componenti e la fotografia del gruppo verso l'esterno. Non sempre la finalità è interiorizzata o consapevole, spesso la conosce solo l'animatore o qualcuno. È in genere una buona spia per vedere se il gruppo è condotto o no democraticamente dall'animatore. Un animatore autoritario in genere cela le finalità del lavoro di gruppo: le deve sapere solo lui.

    Sarebbe stato interessante passare in rassegna uno per uno i variopinti gruppi del mondo preadolescenziale, a partire da quelli «istituzionalizzati»: penso all'Acr, Fom, Gen, Scout, a quelli catechistici, a quelli sportivi, espressivi, culturali.
    Abbiamo provato a riassumere il modo di fare gruppo entro quattro modelli: quello centrato sul sacramento da ricevere, quello centrato sull'adulto, quello centrato sulla riuscita settoriale, quello centrato sulla crescita globale del preadolescente. Il compito di catalogare i singoli gruppi dentro questo o quell'altro modello è affidato ad ognuno dopo aver visto le caratteristiche di ogni modello.

    IL MODELLO CENTRATO SUL SACRAMENTO

    Lo consideriamo per primo perché ci sembra che ancor oggi sia quello nel quale possono rientrare tanti gruppi di preadolescenti.
    In questo modello il rapporto chiesa/preadolescente è legato al «bisogno» di dare/ricevere il sacramento della cresima. Se ne è ritardata l'età, si sono rivisitati i catechismi, si è fissato il numero di incontri necessari per i ragazzi e per i genitori.
    La cresima è diventata (spesse volte) non il sacramento della confermazione, ma dell'abbandono.
    Questo anche perché il dodicesimo- tredicesimo anno, normalmente quello della crisi, diventa spesso proprio l'anno del sacramento della fede matura! Resta difficile dire che l'offerta risponde alla domanda.
    Tipo di chiesa: è quella di distributrice di «cose» da fare e non.
    Tipo di antropologia: il preadolescente non esiste in quanto tale, ma in quanto ricevente un sacramento.
    Tipo di educazione: si parte dal catechismo, non dal soggetto. C'è un programma da svolgere, ci sono delle nozioni da acquisire, non un uomo da educare, da abilitare a vivere la fede.
    Non è la comunità che va ai preadolescenti, ma sono i preadolescenti che devono andare alla comunità.
    Non ci si preoccupa tanto di offrire una testimonianza, quanto dei principi da credere.
    Non un Dio da incontrare, ma da conoscere, meglio da studiare. Mancano gli adulti modelli. Il gruppo fine a se stesso: finisce appena ricevuto il sacramento.

    La relazione.
    È ufficiale, come a scuola; strutturata come nel gruppo-classe. A volte è presente il registro per segnare le assenze e il merito. Magari si fa l'appello.
    Il catechista: un illustre sconosciuto, una povera mamma teneramente ricattata dal prete, un giovanissimo pieno di problemi suoi, che tenta di «narrare» qualcosa che lui stesso sta cercando e che non fa ancora parte della sua vita.
    In casi di indisciplina interviene il parroco.
    Non c'è legame tra i preadolescenti e tra essi e l'animatore/catechista. Una relazione fiscale. Tutto si esaurisce nella lezione.
    L'animatore spesso arriva ultimo e parte primo: non «sta-in-mezzo» ai suoi preadolescenti (ma sono «suoi»?). Li conosce? Conosce la loro storia? Altrimenti come può sentirli suoi, amarli? E se non li ama, come vuol educare, evangelizzare?
    La conoscenza, l'amore, l'educazione, l'evangelizzazione sono anelli di una catena; se ne manca uno non funziona più.

    La struttura.
    Se l'importante è la riunione-lezione, la struttura è minima. Non occorrono ruoli, non servono i leaders: ognuno deve ascoltare e rispondere quando è interrogato. Chi sa di più è più bravo. Chi rompe di meno è un preadolescente preparato.
    Non c'è la preoccupazione di far sentire ognuno a suo agio. Solo mettendosi una maschera di sopportazione (senza farla vedere troppo) in attesa che tutto finisca, le cose possono procedere.
    Una sala qualsiasi va bene: non occorre personalizzarla, anzi meglio neutra, perché l'annuncio ha valore in se stesso, non deve essere condizionato da questi ammennicoli.
    Tutto all'insegna dell'anonimato.

    La dinamica.
    Ogni preadolescente arriva non com'è, ma come si vuole che sia.
    La dinamica non è attenta a valorizzare le doti, le capacità di ognuno, non è attenta ai ritmi di crescita (altrimenti non si riesce a svolgere il programma, che, l'abbiamo già detto, è più importante del preadolescente che lo deve apprendere).
    La lezione ignora la vita; raramente si cala nel vissuto del ragazzo. Gli interessi, i bisogni, le attese, le domande di vita non sono oggetto di predilezione.

    La finalità.
    La conoscono tutti: il benedetto sacramento.
    Ma, mentre l'animatore/catechista svolge un ruolo istituzionale (fa scuola) e vuole portare i preadolescenti ad un risultato (conoscere il catechismo), il preadolescente non sa bene perché deve studiare cose staccate dalla sua vita e non sa bene perché deve prendere quel sacramento.
    Glielo offrono, ma lui Io domanda?
    Il Cristo: una nozione. Bisogna sapere qualcosa di Alessandro Magno, di Giulio Cesare, di Garibaldi... e di Gesù per superare l'esame scolastico e fare il sacramento. Ma la nozione non si innesta nei problemi che inquietano l'esistenza e non contiene una risposta per la vita. Gesù nozione non può fare eccezione: non è colui che ha una buona notizia per i tuoi problemi, ma è uno di cui devi conoscere parole e fatti per ottenere uno scopo. È un Gesù che va bene finché la vita è tranquilla o rassegnata: per i bambini e per i vecchi. Sulla frontiera della preadolescenza, quando tanti problemi vitali si affollano, il ragazzo non sospetta neanche di poter cercare le risposte in Gesù «nozione».
    «Sì, ha guarito i lebbrosi: ha detto di far fruttificare i talenti; è finito in croce... Ma a noi?
    È come Alessandro Magno: ha compiuto tante belle imprese, ma che c'entra con la mia voglia di differenziarmi dagli adulti, di staccarmi dalla famiglia, di trovare un gruppo di amici caldo e accogliente, di crescere forte e bello per piacere alle ragazze o ai ragazzi? Anzi, mi sa tanto che Gesù è una di quelle cose che i grandi vogliono imporre ai bambini per non farli crescere, come: non farli fumare, non farli uscire la sera, farli vestire secondo i gusti degli adulti. E allora, via Gesù, con tutto quello che sa di bambini piccoli!».
    Le attività, le esperienze?
    Non c'è molto spazio: se la vita non conta molto, non ha senso andare nella vita per incontrare il Cristo. Lo si deve incontrare nel catechismo.
    I verbi: ascoltare, imparare, non disturbare, frequentare, ricevere il sacramento.
    Pregi del modello: teniamo i preadolescenti qualche anno in più. Si potrebbe fare una evangelizzazione più adeguata, perché rivolta ad un gruppo omogeneo, se veramente si rischiasse di fare un'offerta alla domanda di vita.
    Pericoli: l'effetto elastico: «più mi tiri e più vado lontano quando mi lasci»; la cresima diventa sacramento dell'abbandono.
    Crea degli indifferenti di fronte a Cristo (buono per i piccoli e i vecchi) e di fronte alla chiesa (non ha niente da offrire di utile e di importante).

    IL MODELLO NELLA LOGICA DEL PLASMARE: CENTRATO SULL'ADULTO

    Può sembrare simile al primo in alcune cose, ma la diversità principale è che è centrato sull'adulto/animatore, non sul sacramento da ricevere.
    Molti gruppi per il sacramento rientrano anche in questo modello. Ma anche altri gruppi non legati direttamente al sacramento.
    Tipo di chiesa: da una parte solo docente, dall'altra solo discente.
    Tipo di antropologia: è determinata dal fatto che la verità da una parte è posseduta e dall'altra va ricevuta. All'insegna del preadolescente damigiana da riempire, argilla da plasmare, lavagna su cui scrivere.
    Tipo di educazione: all'insegna del paternalismo, sul tipo: «Fidati di me. La mia esperienza può diventare la tua. Ti dico io ciò che è giusto e ciò che è sbagliato: tu esegui».

    La relazione.
    Il rapporto tra preadolescente e animatore è un rapporto di dipendenza. Può arrivare al plagio. Si pensi al fatto segnalato dalla ricerca che la preadolescenza è un'età fortemente colonizzata, nel senso che il condizionamento è fortissimo, mentre è assai poco il protagonismo critico.
    La relazione si basa sulla fiducia nell'animatore quasi come fosse il papà/ mamma (nell'età in cui questo rapporto asimmetrico entra in crisi e si cerca un «nuovo grembo» rassicurante, capace di promuovere l'autonomia e di liberare la soggettività).
    Una relazione che punta a non deludere l'adulto. Si comunica ascoltando, alzando la mano per intervenire, prendendo appunti. Anche fuori dalla riunione si sta attorno all'animatore: è lui il centro.
    Si tratta di un gruppo costituito secondo le attese dell'adulto.

    La struttura.
    L'organizzazione è dettagliata. Poco spazio alla fantasia e al non programmato. Poco spazio all'iniziativa personale. I ruoli vengono turnati (con la benedizione dell'animatore), niente viene affidato al caso.
    Ognuno sta al posto assegnato e chi non rispetta il posto dovrà chiedersi come può permettersi di dare questo dispiacere all'animatore che fa tanto per lui!
    I leaders son quelli che riescono ad accattivarsi la benevolenza dell'adulto più che quelli dotati di capacità di coinvolgimento.

    La dinamica.
    L'animatore è colui in cui bisogna specchiarsi. Mettere le proprie doti al suo servizio. Il bisogno di approvazione diventa centrale e si confonde con quello di affetto mantenendo nella situazione di «bravo bambino» il preadolescente perché viene lodato e quindi riceve affetto tutte le volte che fa ciò che si aspetta da lui.
    Non c'è posto per i contestatori e gli scontenti. Il gruppo non lavora per integrarli, né si lascia maturare dalle loro critiche. Essi vengono eliminati: non sono ritenuti maturi per far parte di tale gruppo. Si concede loro una vacanza per ripensare e poi, magari...

    La finalità.
    Gli obiettivi di inizio del gruppo possono essere svariatissimi. Gli obiettivi che maturano lungo il cammino non sempre sono in vista. L'animatore sa dove vuole arrivare. Spesso il gruppo non ha un nome suo, ma diventa il gruppo del tale (nome dell'animatore). Non essendo la finalità interiorizzata o consapevole, spesso il preadolescente si trova davanti all'animatore che lo rimbrotta: «Te l'avevo detto io! Se mi avessi ascoltato, non saresti finito in questo pasticcio!».
    Non essendo le finalità democraticamente elaborate, spesso i membri vivono in situazione di piena de-responsabilizzazione, tranquillizzati dalla parola dell'animatore sul tipo: «Vai, mi assumo io la responsabilità». Paternalismo ad oltranza. Al preadolescente non è richiesto di maturare le proprie scelte ma di lasciar scegliere ad altri. Che è come dire: prolungare l'infanzia.
    Il Cristo rientra dentro il gruppo nella misura in cui l'animatore riesce a fargli spazio. Naturalmente un Cristo a sua immagine e somiglianza; per il ragazzo invece sarà uno da tenersi buono comportandosi, ancora una volta, come bravo bambino.
    Le attività e le esperienze? Possono essere di tutti i tipi. All'animatore non manca la fantasia e la capacità di scendere al livello dei preadolescenti. Ma la dipendenza resta sempre protagonista. Prima di chiedersi se piace, o se torna utile, sarà sempre necessario esaminarsi se «lui» sarà contento.
    I verbi coniugati con più frequenza: imparare, fidarsi, dipendere, non criticare, comportarsi bene.
    Pregi di questo modello di gruppo: essendo questa un'età in cui il condizionamento delle proposte è fortissimo, se si riesce a guadagnarsi la fiducia dei preadolescenti mediante qualcosa di significativo, si può veramente fare con loro grandi cose.
    Pericolo: il più grosso è quello di plagiarli, di non aiutarli a maturare le proprie scelte.
    Un altro pericolo è quello di creare dei «gregari», non permettere loro di raggiungere la propria identità.
    «L'adulto tende ad imporre il proprio dominio sul bambino, mostrandosi disponibile ad accettarlo soltanto se si conforma alle sue richieste a costo anche di renderlo ottuso. Si tende a considerare chi cresce, più piccolo di quanto in realtà non sia. Genitori ed educatori frustrano l'esigenza di sviluppare l'autonomia e l'iniziativa del bambino, con la scusa che egli può farsi male o che impiegherebbe troppo tempo facendo le cose da solo. Spesso anche negli anni successivi lo inibiscono impedendogli di fare le proprie esperienze (vacanze con amici, viaggi da solo, scelte scolastiche o sportive), limitando il suo legittimo desiderio di una maggiore azione o conoscenza. Si verifica quindi una iperprotezione da parte dell'ambiente familiare che è una «non-accettazione» del figlio e quindi repressione.
    Gli stessi «complimenti» per la sua bravura possono bloccarlo, senza più lasciarlo crescere, ricercare, migliorare. Lo scopo inconsapevole di chi li fa, è bloccare l'altro, fermandolo dov'è. Il più delle volte si ha paura che l'altro, crescendo psicologicamente, possa allontanarsi dai cosiddetti «grandi», dai loro desideri e richieste.
    Il bisogno di approvazione, che è in ultima analisi un bisogno di affetto, rappresenta uno dei principali fattori che inducono l'uomo al conformismo e alla dipendenza e quindi a mortificare la propria identità personale. Tutto ciò deriva dalle prime fasi dello sviluppo psichico, quando per il bambino «volere» significava «volere-ciò-chegli-altri-volevano» e l'approvazione da parte della madre comportava anche maggior amore per lui.
    Soltanto l'adulto affettivamente maturo riesce a distinguere il bisogno di affetto dal bisogno di approvazione. L'immaturo prova invece difficoltà quando cerca di staccarsi attivamente da un'identità impostagli dal di fuori. Non avendo un «io» autonomo, rischia di perdere il contatto con se stesso: da qui lo smarrimento, l'incertezza, l'insicurezza e persino l'angoscia. In questa situazione rischia inoltre di divenire un pericolo anche per la società. Koestler ha infatti affermato che per l'umanità il maggior pericolo di autodistruzione non deriva dagli impulsi egoistici, ma dalle tendenze «integrative», cioè quelle che portano alla dipendenza, alla passività, a diventare gregari, a perdere quindi la propria identità confondendosi nel gruppo (identità collettiva), nella fazione, nel partito, nell'istituzione, con perdita di autocritica e di responsabilità» (G. D'Acquino, Vivere il piacere, SEI, p. 20,26).

    IL MODELLO DELL'ATTENZIONE FORMATIVA SETTORIALE

    È il modello centrato su un aspetto da sviluppare, su un traguardo da raggiungere a tutti i costi.
    Molti gruppi si collocano anche in questo modello.
    Sono quei gruppi dove si dà importanza a un settore di attività, ad una parte, non alla globalità del preadolescente. I gruppi nei quali si divide l'intervento tecnico da quello formativo: c'è un allenatore e un animatore, cioè uno superascoltato e riverito e uno anonimo sopportato.
    C'è l'accentuazione di un elemento: viene privilegiato o un aspetto antropologico-culturale specifico della formazione (penso a tanti gruppi espressivi, culturali, sportivi...), oppure quello formativo più accentuatamente religioso-spirituale (penso a quei gruppi dove vanno «i più bravi») dove si pongono ai ragazzi mete che un adulto equilibrato difficilmente riuscirebbe a raggiungere e dove si adoperano slogans degni di chi ha già fatto parecchie scelte di fondo (ciò che certamente non è successo al preadolescente).
    Nei gruppi dove l'attività specifica di tipo formativo è settoriale e predomina, possiamo parlare di «look innanzitutto», perché curando un lato, tante volte si corre il rischio di puntare su qualcosa di esteriore, un successo che il preadolescente magari neanche cerca (ma lo cercano i suoi genitori) e si lascia da parte una visione di globale maturazione.
    Nei gruppi dove lo «spirituale» predomina possiamo parlare di «aureola innanzitutto», perché i ragazzi devono «per forza essere i più bravi» e non c'è spazio per essere semplicemente un tredicenne, un dodicenne o giù di lì.
    Tipo di chiesa: supplente nel primo caso, totalizzante nel secondo.
    Tipo di antropologia: si guarda alle doti non a colui che le deve sviluppare.
    Tipo di educazione: non attenta alla globalità: non deve maturare il preadolescente, ma deve riuscire in quel determinato settore.

    La relazione.
    È legata, proporzionata, condizionata dalla competenza.
    Si va da un esperto, quindi, non si instaura un rapporto espressamente uomo-uomo, ma allievo-maestro. Rispetto al primo modello c'è una differenza dovuta al fatto che non si va per ricevere un sacramento, che non si capisce, ma per raggiungere qualcosa che si cerca, almeno in parte. Anche qui non è il preadolescente al centro, ma la qualità, la capacità, l'essere dotato o l'essere particolarmente bravo o ritenuto tale. Più capacità ci sono, più il preadolescente le sviluppa, meno si preoccupa di altro e più zuccherini riceve dal suo «domatore».

    La struttura.
    Anche questa si elabora in base alla capacità di riuscita dei partecipanti. Più uno impara, più il suo ruolo è di competenza e di modello per gli altri, più gode la fiducia.
    La bilancia per pesare le qualità, il metro per misurare i miglioramenti, il cartellone su cui fare le crocette di partecipazione (penso ai gruppi dei chierichetti) sono elementi importanti per incrementare l'aggregazione: intorno ad essi ci si scambia pareri e commenti. La borsa con una bella scritta, il distintivo, genitori che fanno il tifo, animatori che cercano di rubarsi il preadolescente uno dall'altro: sono un bel contorno!

    La dinamica.
    O hai le doti o non le hai. Non si discute. È il punto determinante. Che tu sia dotato in altre cose, che sia bravo in mille altre attività, non interessa; qui l'orientamento è verso una direzione soltanto: la riuscita in quel determinato settore.
    Centrale diventa la selettività. Non è un gruppo aperto. Si viene scelto tra tanti, magari dopo un adeguato provino. Si assume come unico riferimento il traguardo da raggiungere e a questo vengono sacrificate le attese e le domande. L'importante non è partecipare ma vincere. L'importante non è diventare uomo, ma diventare calciatore, attore, bravo chierichetto, bravo qui e bravo là.

    La finalità.
    È molto chiara: fare un tecnico, un competente. Oppure fare un «santo», al di là dell'essere un piccolo-uomo.
    Se tutto incentrato sull'umano, il formativo viene scaricato ad un animatore estraneo, quindi viene subito. Se tutto sullo spirituale, non c'è spazio e tempo per l'umano (penso a quei preadolescenti che non giocano mai, sempre disponibili a preparare e spreparare la sacrestia, mentre i loro compagni strasudano correndo dietro a un pallone).
    Il Cristo: è marginale in entrambi i casi. Nel primo caso è evidente; nel secondo perché è un Cristo accomodato e accomodante, un Cristo da servire a messa, da mettere in bacheca attraverso la corrispondenza con i missionari, ma quando da incontrare?
    Gesù deve, però, essere per i preadolescenti colui che potenzia e rafforza la loro voglia di vivere e di essere felici; colui che soddisfa le loro aspirazioni alla libertà, alla gioia, alla festa. È cosí in questi gruppi?
    Le attività e le esperienze? Tante certamente in entrambi i casi: si riempie il cosiddetto tempo libero in mille modi. Ma è un tempo libero che porta a valorizzare e a vivere più intensamente il tempo quotidiano?
    Pregi: è un gruppo che si sforza di accontentare il preadolescente partendo da alcune caratteristiche: le doti, le capacità, la disponibilità; può essere un buon punto di partenza se si allarga il discorso e ci si sforza di considerare il preadolescente per quello che è e non per un genio o un «santo» precoce.
    Limiti: si crea un contesto intersoggettivo fortemente centrato suI consumo o sulla assunzione limitata della domanda, oppure un contesto «totalizzante» che spinge all'autosufficienza e alla chiusura: possono rivelarsi al presente, per questi preadolescenti, la tomba in cui potrà rimanere sepolta per lungo tempo ogni loro domanda.
    Il pericolo di maturare in loro una mentalità selettiva, portandoli a stimare solo chi rientra dentro determinate qualità o stili o comportamenti.

    IL MODELLO SECONDO LA LOGICA DEL SEME

    È centrato sulla crescita globale del preadolescente.
    È il modello nel quale possono rientrare tutti i gruppi, con qualsiasi finalità (sportivi, culturali, espressivi, missionari, liturgici, gruppi oratoriani dai mille volti).
    Perché l'arte della pastorale è quella di saper commisurare ogni intervento sulle esigenze dei soggetti.
    La stessa Parola di Dio è efficace perché ha la capacità di «adattarsi» alle diverse condizioni dei fedeli, senza esserne sminuita o menomata: è il principio dell'Incarnazione.
    Avere la capacità di adattarsi, commisurare ogni intervento sulle esigenze dei soggetti.
    Volendo verificare questo principio nella esistente pastorale dei preadolescenti, riscontriamo difficoltà e fatica nell'adattamento ai dinamismi di crescita di questa età. Da più parti si avverte l'equivoco di un tiro fuori segno; le conseguenze sembrano essere, quando non l'infantilizzazione, l'adolescentizzazione o addirittura l'adultizzazione della età. Si trattano i preadolescenti per quel che essi non sono più o non sono ancora; spesso come se fossero degli adolescenti o degli adulti, con il risultato evidente di una scarsa comunicazione e di un parlare o di un macinare a vuoto.
    I preadolescenti sono persone, con le loro esigenze e i loro problemi prima di essere dei cresimandi e dei catechizzandi, ed è «proprio» dei preadolescenti costringere gli adulti a cambiare e a rinnovarsi. Essi hanno un'arma: l'interesse o il disinteresse. Se la proposta degli adulti li interessa, la seguono; altrimenti la subiscono finché ci sono costretti. E ricevere sacramenti e molto catechismo non li interessa, non perché sono cattivi, ma perché è come voler costruire la casa partendo dal tetto...
    Ci sono ancora due binari dalla pastorale dei preadolescenti: uno, percorso dalle parrocchie e dai gruppi «parrocchializzati», che insiste nel partire dal catechismo e dai sacramenti; l'altro, faticosamente intrapreso da associazioni e gruppi legati o no alle parrocchie, che tenta di invertire la rotta: prima il preadolescente con i suoi problemi e le sue esigenze, poi un annuncio del Vangelo calibrato sulle sue esigenze, quindi una paziente e rispettosa compagnia che lo porti verso una sempre più personale conoscenza di Gesù e verso una crescente e responsabile partecipazione alla vita della chiesa.
    In questo quarto modello si parte veramente dal preadolescente, il quale non è uno che deve ricevere il sacramento, non è un vaso di argilla da plasmare, non è soltanto uno sportivo e nemmeno soltanto un bravino che fa il chierichetto o tiene corrispondenza con il missionario africano, ma è già un uomo. Questo è il tipo di antropologia sottostante.
    È un seme, «contiene» già la pianta che vuole/deve diventare; gli altri devono solo aiutarlo a diventare se stesso globalmente e con gradualità. È il seme che deve marcire, che deve affrontare la prima luce per diventare piantina, che deve affondare le radici, fare il fusto, mettere le foglie i fiori i frutti. Dall'esterno non si può far niente se non creare il clima e le condizioni vitali adatte al momento opportuno, perché lui diventi se stesso: in una paziente e rispettosa compagnia!

    Analisi del modello

    Tipo di chiesa: «vieni e vedrai». Non nozioni da apprendere, ma una vita a cui dare senso, un Cristo testimoniato, non nozionistico, ma vissuto: che muore e risorge oggi.
    Tipo di educazione: è quello di fornire le condizioni perché il preadolescente trovi un «centro» intorno al quale organizzare, comprendere, interpretare le sue esperienze. Preoccupazione di fornirgli il materiale necessario perché lui al momento opportuno lo elabori e scelga, costruendosi pezzo per pezzo intorno a un perno, un centro, un nucleo significativo.
    Gli studiosi dell'adolescenza hanno tentato di interpretare il perché in questa età si arriva frequentemente al suicidio. Alcuni dicono che essendosi allungata la vita, si sono allungati anche i singoli periodi della vita. E l'adolescenza, che in altre culture o epoche era un momento veloce in cui l'adolescente veniva stimolato ad assumersi le responsabilità nel lavoro/professione, nella famiglia/vocazione, oggi è un periodo lungo (dai 15 ai 30 anni) di dipendenza economica, socio-affettiva, per cui facilmente l'adolescente può diventare un consumatore di tutte le esperienze (non ci sono limiti per loro e nessuno praticamente può proibirgliele). Un consumatore incapace di leggere/interpretare/organizzare/valutare le proprie esperienze. Essi mancano di un centro unificatore. Al punto che lo stesso suicidio diventa una delle tante esperienze da consumare.
    Il modello pastorale che opera nella logica del seme si preoccupa di portare già i preadolescenti a scoprire gli elementi che permetteranno loro di elaborare quel centro significativo intorno al quale elaborare quanto le esperienze forniscono.
    Il modello si ispira alla parabola del figliol prodigo.
    Il figlio vuol fare le sue esperienze (il preadolescente chiede autonomia). Il padre sa che è sulla propria pelle che si diventa adulti, facendosi le proprie esperienze. Gli permette di andare. Ma resta in «paziente e rispettosa compagnia», finché tutto quanto lui ha trasmesso al figlio porterà questi a trovare quel centro significativo intorno al quale riorganizzare tutte le esperienze e dare finalmente un senso alla sua vita.
    Forse qualcuno preferirebbe il secondo figlio: tutto-casa-e-chiesa. Non chiede neanche un capretto per mangiarselo con i suoi amici. Non consuma molte esperienze. Ma neanche è capace di interpretarle. Non ha un centro significativo anche se vive accanto al padre Anzi, proprio perché vive alla sua ombra, non lo conosce e quindi è un esecutore, non un protagonista, un gregario senza identità: non è un adulto.
    Analizziamo i mini-indicatori:

    La relazione.
    È sempre un tentativo, da parte dell'animatore, di mettersi in modo che quanto propone sia a misura di preadolescenti, non di adulto. Una relazione che fa sentire il preadolescente a suo agio o a disagio in maniera riflessa e responsabile. È la ricerca di una comunicazione tra persone che cercano insieme le stesse cose, basata quindi sulla condivisione. L'animatore ricerca una relazione che porta alla decisione personale; una relazione che non offre soluzioni prefabbricate, ma che offre i dati perché ognuno possa arrivare alla decisione soffrendola sulla propria pelle.
    La prospettiva che dà respiro e apertura a questo modello di pastorale è quella dell'Incarnazione: la scommessa di Dio sull'uomo, e il preadolescente è un uomo.
    E la sua vita va messa al centro del farsi della salvezza.

    La struttura.
    È costante il tentativo di far sentire ognuno importante e non ai margini del gruppo.
    Nella dinamica di gruppo si legge che ciascun individuo è importante, che ciascun individuo ha un ruolo nella vita del gruppo. Non c'è veramente gruppo se qualcuno è zavorra, peso inutile. Non è un gruppo quello nel quale tre/quattro zelantissimi lavorano e gli altri, senza volerlo, si lasciano trascinare. Né è un gruppo quello in cui l'animatore fa lui, invece di far fare, o fa con due o tre e gli altri si accodano. La struttura funziona quando l'animatore fa di tutto perché venga sottolineata l'importanza di ognuno nel gruppo. L'importanza è fatta di mille gesti/atteggiamenti, per esempio l'ascoltare. Ascoltare ognuno è una delle forme più pratiche e più profonde perché lui si renda conto di essere importante. Un ascoltare che va al di là del suo comportamento, perché ognuno è importante in quanto ragazzo, fosse anche il «peggiore» dal punto di vista morale. In ogni preadolescente c'è un angolino buono, si tratta di individuarlo e far leva su quel pizzico di bontà, per operare l'educazione.
    Fargli capire che sarà veramente importante solo quando avrà imparato a condividere con quelli che ha vicino, quando avrà imparato a fare comunione. Viene ricercata una struttura che punta a fare eucarestia, e non spezza mai nulla per mangiare da soli, ma per dividere, mangiare insieme.

    La dinamica.
    È quella di un gruppo che non vuole assolutamente diventare un circolo chiuso. Ciò implica un discorso in cui i rapporti di amicizia sono fatti di cantare insieme, pregare insieme, discutere insieme, capire i propri difetti insieme; sono impregnati della vita reale quo- diana dei preadolescenti.
    La vita di gruppo «non è un'alternativa» alla loro vita di scuola, di famiglia, di quartiere. È questa vita che viene rovesciata, viene «presa dentro» la vita di gruppo.
    Una dinamica che vuole educare i preadolescenti nel vivo della vita e non portarli in vacanza-dalla-vita. L'animatore aiuta a guardare più in profondità la loro vita. Aiuta a capire in gruppo la grande società dove si gioca la loro vita. La «piccola società» (il gruppo) non è fuga dalla «grande società», ma un modo di atteggiarsi verso la grande società, un accettarne il buono e non essere travolto dall'insieme, un prepararsi per rituffarsi in essa equipaggiati e critici.
    Troppe volte si fanno degli stupendi gruppi ma in vacanza dalla vita. Maschietti e femminucce che vivono talmente bene nel gruppo che quando sono in casa, nel quartiere, a scuola, non fanno società con nessuno. È un gruppo che deforma. La dinamica nel modello che guarda al seme tenta di far digerire nel gruppo la grande società, quella delle ventiquattro ore al giorno, quella che è anche la società del traffico, dell'inquinamento, dell'isolamento, del consumismo, del lavoro e dei senza lavoro...

    La finalità.
    Fare un uomo/donna. E lo sanno tutti: i preadolescenti per primi.
    Farlo giorno per giorno. Senza pretendere più di quello che può dare un tredicenne/quattordicenne.
    Farlo insieme, in compagnia: l'area del «noi».
    Farlo con lui, il Cristo, con una «compagnia grande», sforzandosi di rivelarne ai preadolescenti il vero volto.
    Guardandosi bene dal pericolo di mettersi al suo posto, ma tirandosi indietro al momento opportuno come Giovanni il Battista. È il modello dell'animatore: è precursore, prepara il tutto perché gli altri possano riconoscere il Cristo e lui si ritira dando la sua vita per lui.
    Le attività e le esperienze? Sono centrali di questo modello. È di lì che parte per arrivare al messaggio.
    I pregi: si può educare il preadolescente ad una forte identità personale.
    Il rischio: quello di scoraggiarsi, perché magari non si vedono i risultati. I «nostri tempi» sono spesso più veloci di quelli della loro maturazione e ancora più veloci rispetto a quelli di Dio, anzi il suo «tempo lungo» è la storia, quella dell'umanità e quella di ogni singolo uomo.

    LE SFIDE DEI PREADOLESCENTI ALLA PASTORALE

    Il preadolescente chiede di essere conosciuto o riconosciuto per quello che è (non più un bambino, non ancora un adulto) prima di programmare qualcosa su di lui, prima di permetterci di poterlo amare.
    Non deve capitare ciò che magari capita in famiglia, dove i genitori dicono di amare i figli e questi hanno l'impressione di essere odiati, certamente si sentono non capiti.
    Questo avviene perché si pretende di dare amore a chi non si conosce.
    I genitori spesso non conoscono i preadolescenti, non sanno cosa stia lo- ro capitando: come possono parlare di amore?
    È un amore a misura di adulto, ma finché non diventa compreso, vissuto dal ragazzo, non è a sua misura.
    Il preadolescente che si presenta davanti all'animatore si accorge subito se questi è veramente interessato a lui o alla catechesi che deve svolgere o se lo cerca per motivi vari.
    L'attitudine educativa dell'accompagnare imparando a conoscere ogni soggetto (le sue attese, la sua storia, il suo ambiente) è compito prioritario. È una prima sfida alla pastorale.

    Partire dagli interessi/bisogni

    La preadolescenza è un'età alla quale non si possono presentare i valori in astratto, ma soltanto se rapportati agli interessi/bisogni, in connessione perciò ai processi di valorizzazione personale in atto.
    Occorre creare spazi dove gli interessi trovino spazio per incontrare i valori.
    Bisogna che l'oratorio (il luogo dove si realizza il gruppo) diventi competitivo con la piazza, il cortile, la strada (gli spazi preferiti dai preadolescenti). L'oratorio deve diventare la propria pelle: insostituibile come l'aria, onnipresente come la mamma, caldo come la coperta di Linus. L'oratorio è l'oratorio, è tutto per un preadolescente, non si discute. Perché là i suoi interessi trovano lo spazio per esprimersi in totalità. Là è accettato, accolto, conosciuto, apprezzato per quello che è (prima che per quello che fa); là i valori proposti vengono testimoniati prima dagli animatori e incarnati in un «clima vitale».

    Significatività e vivibilità

    Sono due requisiti di ogni proposta. Una bella sfida alla nostra pastorale.
    Tutti possono apprendere per scoperta o per recezione. Una scoperta o una proposta risulta significativa quando si può collegare (sul piano oggettivo) e di fatto viene collegata (sul piano soggettivo) con i concetti, le capacità, le esperienze già possedute da una persona. Perché un messaggio, un'esperienza risulti significativa occorre costituire come punto di partenza la storia personale e sociale: le informazioni già possedute, le attese esistenziali, le esperienze ricercate, il proprio mondo interiore.
    «Con la grazia dello Spirito Santo, cresce la virtù della fede se il messaggio cristiano è appreso e assimilato come buona novella, nel significato salvifico che ha per la vita quotidiana dell'uomo. La Parola di Dio deve apparire ad ognuno come un'apertura ai propri problemi, una risposta alle proprie domande, un allargamento ai propri lavori ed insieme una soddisfazione alle proprie aspirazioni. Diventerà così agevolmente motivo e criterio per tutte le valutazioni e le scelte di vita» (Rdc).
    Qui l'accento è posto sulla percezione soggettiva del significato salvifico dell'annuncio: sul fatto cioè che i suoi destinatari lo avvertono come evento- parola che ha qualcosa da dire in merito alla loro fame di vita, di significato, di felicità. Solo quando questo evento- parola è compreso soggettivamente come evento-parola significativo, la grazia dello Spirito fa crescere la virtù della fede. Solo allora la proposta sarà vivibile, cioè offerta al preadolescente in situazione.

    PRASSI PASTORALE CON I PREADOLESCENTI: LETTURA CRITICA DELL'OFFERTA

    Come suscitare domande religiose? Quale Cristo testimoniamo come comunità?
    Se la pastorale vuole invitare i preadolescenti a sceglier Gesù come Signore, questo Signore chi è per la comunità? È quello che manda l'aids per puni re gli uomini cattivi o è quello che dà la vita perché dove c'è un uomo ci sia la pienezza della vita? È quello che se ne sta beato zon le novantanove pecorelle o è quello che va a caccia di quella smarrita?
    Non si può più fare una pastorale dei preadolescenti senza fare una pastorale in generale.
    Noi siamo disposti a fare lo sconto agli adulti (poverini, con la vita di oggi!). Con i preadolescenti invece siamo inflessibili: devono fare e sapere tutto.
    È possibile che, a dodici anni, un preadolescente debba avere tutto il «contenuto» cristiano in testa? È possibile che non gli sia perdonato di aver preferito il torneo di pallone alla messa domenicale? Una buona e saggia famiglia non educa bene i figli imponendo loro a dodici anni le cose che essi potranno fare e capire a venti anni! Così deve essere la comunità cristiana. Non possiamo rimproverare i preadolescenti di non essere venuti alla processione del Corpus Domini se non c'erano gli adulti.
    E le nostre celebrazioni, quale Dio annunciano?
    Dobbiamo liberarci da una certa convinzione che abbiamo fatto tutto, quando ci si è assicurata la partecipazione alla messa/confessione. È importante che il preadolescente incontri il Cristo, ma siamo proprio sicuri che lo incontra nelle nostre celebrazioni?
    Se la liturgia è celebrazione del Signore della vita, occorre che la vita sia presente nella liturgia. Il rito deve essere pieno di segni, di gesti che richiamano la vita o che nella vita vengono poi rievocati. Il preadolescente, pur disponibile alla partecipazione, non è capace di alzare gli occhi sulla realtà della vita che lo circonda; è frenato nella comprensione della vita di chi lo circonda, nella comprensione dei problemi della gente, del valore dell'essere comunità, perché ancora molto riversato sulla propria persona e sui propri interessi privati.
    Le celebrazioni dell'eucaristia e della riconciliazione lo aiutano ad aprirsi, se è questa vita che viene celebrata con espliciti richiami a fatti ed episodi conosciuti e difficili da valutare; con una Parola tradotta adeguatamente in categorie comprensibili, se i gesti sono posti da persone vive che sorridono e cantano la vita, che piangono il dolore nella speranza della terra promessa, che si rialzano dopo ogni caduta, fiduciosi nella fedeltà del Dio che salva.
    Una liturgia viva che celebra la vita riesce gradita ai preadolescenti. Una liturgia morta, noiosa, incomprensibile, forzata, anonima, rubricista, non è gradita neanche agli adulti, e allora perché i preadolescenti dovrebbero parteciparvi? Non è immorale esigere una partecipazione a qualcosa di cui i partecipanti non riescono a cogliere la sostanza?

    RISTUDIARE IL MODELLO DI COMUNICAZIONE NELL'INTERVENTO PASTORALE

    Nella logica del seme la comunicazione diventa il concime adatto, il bastoncino utile per la crescita autonoma del preadolescente.
    Come avviene questa comunicazione? La comunicazione nasce da un patto, più o meno sottinteso, tra i comunicanti.
    C'è comunicazione quando si incontrano volontà diverse, decisioni libere di soggetti che sono interessati e per questo ricercano la comunicazione.
    C'è chi ha delle domande e si rivolge a chi può offrire un sostegno nella ricerca delle risposte. E c'è chi ha delle cose da offrire e nello stesso tempo è consapevole che anche l'altro ha qualcosa da offrirgli.
    Nasce così anche la comunicazione tra comunità ecclesiali e preadolescenti? Magari per una minoranza di questi ultimi.
    Per la gran parte di essi invece la comunicazione risulta imposta, esigita, richiesta, come uno dei tanti doveri.
    E se all'inizio anche pacificamente accettata e riconosciuta, successivamente non è più così. Molti sembrano soffrire questa «comunicazione necessaria».
    Il sentirsi costretti, bene o male, volenti o nolenti, ad intessere comunicazione, è il primo ostacolo allo sbocciare del patto comunicativo, che non può che sorgere nella libertà e non nella costrizione, da un interesse e da una disponibilità alla comunicazione, che vuole dire anche scelta concreta di un interlocutore.
    Se non vi è questo, non ci potrà essere reale comunicazione cioè intersoggettività, scambio reciproco. Ci sarà una pseudo-comunicazione di tipo unidirezionale. È questo il tipo di comunicazione prevalente tra comunità ecclesiali e preadolescenti. Infatti:
    - viene data per scontata l'esistenza di una volontà di comunicazione che spesso è assente nei preadolescenti e voluta da «altri»;
    - la comunicazione viene perciò prevalentemente «imposta» di necessità, attraverso quella macchina che è il sistema della catechesi dell'obbligo;
    - la necessità di questo momento imposto, esigito dalla società (le famiglie ne sono la chiave di volta, ma spesso anche la tradizione ambientale), si regge sul legame esteriore tra obbligo della catechesi e conferimento del sacramento della cresima, e tra la «obbligatorietà» della cresima nella preadolescenza e conclusione della inculturazione religiosa obbligatoria. Dopo la cresima si respira e si vive tranquilli senza gli assilli di «prima» In questo senso il superamento dell'iniziazione segna il passaggio allo status adulto di credente e il sacramento della cresima diviene così il momento del «congedo». Su questo meccanismo le comunità ecclesiali giocano la scommessa sulla crescita della domanda comunicativa nei preadolescenti, a partire da quella indotta;
    - la comunità ecclesiale allora sembra resistere alla presa di coscienza, senza ansie di perdita, della situazione, soprattutto della qualità della reale domanda comunicativa che i preadolescenti rilanciano.
    Tutto ciò quindi sottolinea l'esistenza di un processo di comunicazione tra comunità ecclesiale e preadolescenti di tipo unidirezionale.

    Il problema del messaggio

    Qual è il messaggio di tale comunicazione tra comunità ecclesiale e preadolescenti?
    Messaggio è ciò che il destinatario riceve, ciò che il ricevente soggettivamente rielabora, decodifica, di tutto quanto l'emittente gli trasmette.
    Si ha l'impressione che il messaggio non giunga ai preadolescenti; che quindi ci sia spesso una comunicazione senza messaggio.
    La domanda di vita dei preadolescenti non sembra incontrarsi con l'offerta della comunità; offerta che, solo in alcuni casi, viene percepita in sintonia con la propria domanda. Offerta religiosa e domanda di vita infatti appaiono ai preadolescenti più scollegate e collocate su piani diversi, senza possibilità di incontro.
    Qual è invece il messaggio di ritorno che è raccolto dalle comunità? Sembra che questa sfasatura nella comunicazione sia, almeno implicitamente percepita. Ci si trova a disagio, si registra la difficoltà comunicativa: alcuni tentativi vogliono superare la difficoltà (catechesi esperienziale, accoglienza degli interessi, gruppo nella logica del seme), ma il problema è ben lungi dall'essere analizzato con attenzione e fino in fondo.
    Soprattutto la crisi e il disagio non sembrano ancora mettere in discussione il sistema della socializzazione centrata sui sacramenti. Forse il messaggio di ritorno non viene interpretato in termini di un ripensamento e ricommisurazione dell'offerta.

    L'evangelizzazione come proposta vitale «sensata»

    Il messaggio «religioso» che la comunità è desiderosa di comunicare è messaggio «su che cosa»?
    È proposta di senso ad una più profonda domanda di senso che scaturisce dall'esistenza dell'uomo all'interno delle sue domande di vita. Ma è una proposta di un senso donato che non annulla né scavalca l'autonoma ricerca/produzione di senso che l'uomo opera, e i preadolescenti appena scoprono. È questa la prassi pastorale delle comunità con i preadolescenti?
    Essa sembra scarsamente incidere sulla «vita» del preadolescente, sulla sua appropriazione soggettiva; il preadolescente si sta avviando alla scoperta, in termini soggettivi, della vita. Non sempre, anzi raramente, egli individua l'evangelizzazione sulla linea della vita e della sua riappropriazione. Essa si colloca troppo spesso sul versante della «espropriazione» della vita. In questo senso l'offerta delle comunità risente fortemente delle modalità non dialogiche ed impositive di molte altre pratiche di socializzazione.
    Nella scoperta della vita (il gusto per essa) il preadolescente sta cominciando a percorrere il lento ed impegnativo cammino della ricerca/elaborazione del significato e del senso delle sue esperienze di vita.
    L'azione della comunità non sembra sostenere sufficientemente questo processo; essa soprattutto appare impaziente di fronte al lento e faticoso cammino di scoperta dei significati per giungere immediatamente al senso. È un'offerta che non è sufficientemente rispettosa del graduale cammino di emergenza del senso religioso.
    È un'azione che in molti casi non si colloca «nella direzione del senso» autonomamente elaborato e gustato e scade a proposta di un «altro-mondo» a fianco di quello del preadolescente, quasi come proposta parallela e concorrenziale alla sua vita. Penso a tutta l'accentuazione della pratica e della dimensione rituale e operativa, che però risultano paralleli alla vita del ragazzo.

    Il problema della struttura linguistica della evangelizzazione

    L'evangelizzazione è «esperienza significativa di vita offerta che diventa messaggio». E questa offerta è commisurata alla domanda del destinatario, anche se la rilancia oltre se stessa. La comunicazione delle comunità ecclesiali con i preadolescenti non sembra rispettare la peculiarità della struttura linguistica di questo particolare processo comunicativo. L'evangelo ai preadolescenti è offerto prevalentemente come un «insieme di informazioni» da assimilare, con le stesse modalità di tante altre informazioni.
    L'offerta dell'evangelo è «sradicata», nella prassi delle comunità, da quel contesto entro il quale soltanto la narrazione ha senso e il messaggio acquista un preciso significato, uscendo dall'equivocità, che è il contesto della offerta/produzione di esperienze di vita misurate sulla domanda di vita del soggetto perché diventi interpellante e coinvolgente. Le comunità sembrano offrire tanti messaggi informativi, ma ancora troppo poca «esperienza di vita», e operando così non rispettano la struttura linguistica dell'evangelizzazione.
    Anche la svolta della catechesi esperienziale, sembra abbia evidenziato alcune reali difficoltà alle quali non ha saputo reagire:
    - la fatica di sollecitare il preadolescente oltre il consumo dell'esperienza, verso una pluralità di significazioni;
    - l'intendere in modo molto riduttivo l'esperienza in termini scolastici: far riferimento all'esperienza in cui il preadolescente vive, più che offrirgli possibilità di esperienze di vita a lui commisurate, come offerta salvifica;
    - la difficoltà di identificare quelle esperienze che davvero rispondono alla domanda di vita dei preadolescenti.


    T e r z a
    p a g i n A


    NOVITÀ 2024


    Saper essere
    Competenze trasversali


    L'umano
    nella letteratura


    I sogni dei giovani x
    una Chiesa sinodale


    Strumenti e metodi
    per formare ancora


    Per una
    "buona" politica


    Sport e
    vita cristiana
    rubrica sport


    PROSEGUE DAL 2023


    Assetati d'eterno 
    Nostalgia di Dio e arte


    Abitare la Parola
    Incontrare Gesù


    Dove incontrare
    oggi il Signore


    PG: apprendistato
    alla vita cristiana


    Passeggiate nel
    mondo contemporaneo
     


    NOVITÀ ON LINE


    Di felicità, d'amore,
    di morte e altro
    (Dio compreso)
    Chiara e don Massimo


    Vent'anni di vantaggio
    Universitari in ricerca
    rubrica studio


    Storie di volontari
    A cura del SxS


    Voci dal
    mondo interiore
    A cura dei giovani MGS

    MGS-interiore


    Quello in cui crediamo
    Giovani e ricerca

    Rivista "Testimonianze"


    Universitari in ricerca
    Riflessioni e testimonianze FUCI


    Un "canone" letterario
    per i giovani oggi


    Sguardi in sala
    Tra cinema e teatro

    A cura del CGS


    Recensioni  
    e SEGNALAZIONI

    invetrina2

    Etty Hillesum
    una spiritualità
    per i giovani
     Etty


    Semi e cammini 
    di spiritualità
    Il senso nei frammenti
    spighe


    Ritratti di adolescenti
    A cura del MGS


     

    Main Menu