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    Adesso che è tutto finito



    Nicoletta Grieco

    (NPG 1999-09-50)


    Sahimir aspira forte il vento di mare e sente già l’odore di casa.
    Non è stato così qualche mese fa, quando su di un canotto stretto, pigiati come bestie, viaggiavano verso l’ignoto, lasciando le proprie case, scappando dalle bombe e dalle stragi.
    Adesso papà gli ha detto che ritornano a casa, lasciano il campo profughi in Italia e ritornano alla propria terra.
    Sahimir non vede l’ora; ha voglia di rivedere la sua stanza, i suoi giocattoli, la sua valle verde, ma soprattutto ha voglia di rivedere Vladimir, il suo migliore amico.
    Papà non gli ha detto che non sa se la loro casa è ancora in piedi e che probabilmente i suoi giocattoli sono stati bruciati con tutte le altre cose.
    Papà non gli ha risposto quando lui gli ha chiesto di Vladimir, perché Vladimir è serbo, così ha sentito dire Sahimir, mentre lui è albanese.
    Ma Sahimir pensa che adesso che è finita la guerra tutto può tornare come prima, e lui e Vladimir potranno scorrazzare per i campi e fare i dispetti alle femmine, serbe o albanesi che siano, potranno giocare con il cane Toby, e perdersi nella boscaglia come due veri cacciatori.
    In fondo prima era così e, adesso che è tutto finito, non c’è motivo di stare ancora separati.
    Durante la guerra riusciva a scorgere il volto di Vladimir dalla finestra, lui gli accennava un timido saluto prima che il padre lo spingesse a forza dentro.
    Quando nessuno li vedeva riuscivano a parlarsi a gesti, e si promettevano nuovi giochi per quando tutto sarebbe finito.
    Poi una notte sono dovuti scappare e lui Vladimir non l’ha potuto salutare, ma è sicuro che lui lo sta aspettando, adesso che è tutto finito.
    Mentre pensa questo il traghetto attracca nel porto; poche ore di viaggio e saranno a casa.
    Quando arrivano è un pianto disperato ovunque, la casa è semidistrutta, la sua stanza è ancora in piedi ma piena di buchi dappertutto. Il papà incita tutti a non disperare, tutto sarà ricostruito, l’importante è essere vivi ed essere insieme.
    A Sahimir in fondo dei giocattoli non importa molto, muore dalla voglia di vedere Vladimir, e appena può sgattaiola via e corre verso casa di Vladimir.
    La casa è tutta sprangata, Vladimir non abita più qui gli dicono degli altri ragazzini, i serbi sono dall’altra parte della città, la parte protetta dai soldati.
    Sahimir non si dà per vinto e corre veloce giù per la valle, raggiunge lo stradone principale e chiede dove stanno i serbi.
    I soldati gli dicono che non può entrare, che è pericoloso. Sahimir comincia a urlare il nome di Vladimir, forte, così forte che mezza città serba si sveglia.
    Poi lo vede arrivare, correre verso la staccionata e urlare a sua volta il suo nome.
    Piangono Sahimir e Vladimir, piangono perché non possono toccarsi, azzuffarsi e giocare insieme; un’enorme, insormontabile staccionata li divide.
    Adesso che è tutto finito.


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