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    La madre dei figli di Zebedeo



    Gioia Quattrini

    (NPG 1999-08-53)


    Erano sempre stati fieri dei loro figli: due gioielli. Mente agile e pensiero acuto. Cuore grande e animo pulito. Parola schietta e gesti leali. Per i loro genitori, sguardi velati di tenero rispetto. Per il loro Dio, capo chino e devozione tenace. Erano cresciuti forti e in salute, senza temere la fatica. Quattro giovani braccia in più per tirare le reti colme di pesci.
    Zebedeo era fiero dei suoi figlioli e lo celava con pudore, dietro gesti bruschi e parole severe. Era un uomo e le tenerezze restavano ingarbugliate nelle mani nodose.
    Per Salomè era diverso. Era madre e non le era richiesto di nascondere le sue carezze. Sentiva su di sé lo sguardo invidioso delle donne del villaggio, e quando le accadeva di trovarsi con qualcuna di loro non tratteneva neanche un poco la sua vanità e passava il tempo a farsi bella dei suoi figlioli.
    Salomè non sbagliava. Le donne del villaggio cercavano di non incontrarla e quando questo era impossibile – perché la buona educazione impediva di cambiare strada in modo troppo evidente – giocavano la loro ultima carta fingendo di non vederla. Ma non era invidia la loro. Semplicemente non potevano sopportare che non si riuscisse mai a parlare di altro che di Giacomo e Giovanni, due cari ragazzi ma con una madre troppo ciarliera.
    Salomè era fatta così. I suoi figli e suo marito lo sapevano ed avevano imparato ad accettarla e ad amarla pensando ai suoi pregi, che in verità erano tanti.
    Certo non era difficile ammettere che la gioventù del villaggio era una bella gioventù, educata e onesta, e Salomè lo ammetteva, ma i suoi figli avevano un qualcosa che comunque li distingueva: avevano dalla nascita una luce particolare ed intorno a loro si riuniva spontaneamente il gruppo, che finiva per sceglierli come capi senza elezione, soltanto con la sensazione che non potesse essere altrimenti. Erano simpatici e spiritosi, dalla battuta arguta, dal bel sorriso. Anche le ragazze si accorgevano di questo ed arrossivano abbassando le ciglia.
    Salomè sapeva che quando avessero deciso di maritarsi, non avrebbero avuto bisogno di estenuanti corteggiamenti ma soltanto l’imbarazzo della scelta. Era certa Salomè. Lo vedeva da come le madri delle ragazze in età da marito fingevano di invitarla con piacere e le rivolgevano mille false attenzioni. Sapevano che lei avrebbe di certo influito sulla scelta e controllato che i suoi figli ottenessero il meglio.
    Una sera Zebedeo era tornato a casa solo e le aveva raccontato una strana storia. Quell’uomo, quel Galileo di cui tutti parlavano come del Cristo tanto atteso dal popolo di Israele, si era avvicinato alla loro barca e aveva chiamato Giovanni e Giacomo come se li avesse conosciuti da sempre. I due giovani avevano abbandonato le reti e senza una parola lo avevano seguito.
    Salomè non aveva creduto alle sue orecchie. Aveva finto sorpresa davanti a Zebedeo che invece trasecolava sinceramente scosso. Aveva finto, perché Salomè era informatissima. I suoi figli scelti come discepoli dall’uomo che era sulle labbra di tutta la Galilea, che quel Giovanni suo cugino aveva battezzato nelle acque del Giordano. Qualcuno aveva raccontato a Salomè, che chiacchierava molto ma sapeva anche da chi andare ad ascoltare, dei cieli che si erano aperti e di una voce che diceva dall’alto: «Questi è il mio figlio prediletto nel quale mi sono compiaciuto». Una frase intelligente che lei stessa avrebbe potuto dire mille volte di Giacomo e Giovanni, e che se pure Dio la pensava di suo figlio vuol dire che tanto sbagliata in fondo non era.
    Trascorse gran parte della notte a convincere Zebedeo che i loro non erano due figli perduti, che sarebbe bastato aver pazienza, presto sarebbero tornati, avrebbero continuato ad aiutarlo nella pesca e tutto il villaggio avrebbe parlato di loro e loro avrebbero avuto storie meravigliose da raccontare.
    I loro due figli al fianco del Nazareno, pensasse un attimo Zebedeo alla soddisfazione e all’orgoglio. Lei poi, la madre di due discepoli. Così ogni qualvolta poteva, Salomè lasciava Zebedeo per seguire i figli che si muovevano al seguito di Gesù, ed ogni qualvolta tornava raccontava piena di fierezza le cose alle quali aveva assistito, ritagliando per i suoi figli importanti spazi da protagonisti.
    Come quella volta in cui la lebbra che aveva oramai invaso il corpo di un poveretto si era dissolta sotto la carezza di Cristo. O quella in cui gli occhi di due uomini ciechi avevano ritrovato la luce. O quella, bella quella poi, in cui Cristo aveva sfamato una folla immensa con pochi pani e qualche pesce.
    Raccontava Salomè con dovizia di particolari, ora alzando il tono, ora sussurrando, con gesti ampi ed occhi sgranati e l’attenzione di tutti verso di lei.
    Raccontava Salomè perché tutti capissero di quale fantastica e irripetibile avventura fossero protagonisti i suoi figli, i prediletti di Gesù, sentì di poter dire senza tema di smentita.
    Le era capitato una sola volta di avvicinarlo lei stessa e doveva ammettere che questo Gesù era proprio un bel giovane, con una incredibile energia nello sguardo azzurro e con un modo di parlare che legava stretti a sé quanti lo ascoltavano. Un giovane speciale, proprio come i suoi figli. Ricordava benissimo di aver detto a se stessa che probabilmente una simile occasione non si sarebbe ripetuta, e prima che Giovanni o Giacomo potessero fermarla, gli si era fatta vicina e gli aveva detto: «Di’ che questi miei figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno».
    Lei sapeva benissimo cosa intendesse dire, perché aveva la netta sensazione che questo Cristo avrebbe avuto il successo che meritava e voleva essere certa, cuore di madre sempre ansioso, che i suoi figli avrebbero raccolto i frutti di tanta dedizione, diventando in qualche modo i primi dopo di lui. Ma di sicuro non era stata compresa da Gesù. La risposta infatti non le era sembrata granché pertinente. Gesù aveva parlato di calice da bere fino al fondo, dei primi che avrebbero dovuto farsi schiavi, di un Padre nei cieli, il solo a decidere i posti.
    La storia era finita lì, ma Salomè si riservava di tentare ancora, quando un giorno, all’improvviso, ebbe la certezza che le cose stessero precipitando.
    Era mattino tardo, e Giovanni e Giacomo rincasarono infreddoliti, bianchi come cenci, in lacrime. Raccontarono in modo confuso di una cena, l’ultima probabilmente, di un annuncio di morte, di pane spezzato e vino versato per loro, del podere detto Getsemani dove si erano addormentati e non avrebbero dovuto, e poi era arrivato Giuda e l’aveva baciato e le guardie erano spuntate dall’oscurità e lo avevano arrestato. Prima il sinedrio poi Pilato, la folla che aveva voluto Barabba libero, qualcuno che si lavava le mani e le percosse con la canna, e gli sputi e la corona di spine ed infine la croce quel pomeriggio stesso. Salomè abbracciò i suoi figli, mentre cercava di ricostruire cosa stesse accadendo, li rifocillò, prese uno scialle e con loro si avviò verso il Golgota. Corsero sotto la croce. Salomè mandò avanti i suoi figli, e per la prima volta nella sua vita cercò il riparo della folla.
    Cristo alzò appena il capo, affidò sua madre Maria a Giovanni e Giovanni stesso a Maria, chiese da bere, spirò. Si fece buio e la terra prese a tremare. In disparte Salomè capì. Capì la risposta che non aveva capito, il calice e tutto il resto. Capì e la paura la invase. Nessuno di quanti avevano seguito Cristo e andavano predicando nel suo nome era al sicuro. I suoi figli non erano al sicuro. E la colpa era soprattutto sua perché non aveva fatto segreto con nessuno di quanto i suoi figli fossero legati al Cristo. La colpa era la sua che aveva ripetuto cento volte che loro erano i preferiti del Cristo, i primi del suo seguito. Ed ora tutti sapevano e qualcuno avrebbe parlato e i suoi figli avrebbero pagato. Salomè non riusciva a staccare gli occhi dalla croce e vedeva nella sua mente i figli perseguitati ed uccisi. Senza possibilità di scampo. Grazie a lei e alla sua lingua. Inutile cercare di nasconderli. Tutti li conoscevano. Inutile cercare di negare. Tutti sapevano. Passò tre giorni orribili, chiusa in casa con i figlioli, finché all’alba del primo giorno della settimana, forti colpi alla sua porta, Salomè andò ad aprire certa che fosse arrivato l’inevitabile. Era Pietro che affannato gridava: È risorto!
    Giovanni e Giacomo corsero fuori, corsero con Pietro verso il sepolcro e probabilmente verso la morte. Salomè che aveva parlato tanto, tanto in ogni momento della sua vita, tacque per un po’. Giovanni e Giacomo erano stati chiari, non sarebbero mai rimasti nelle tenebre, sarebbero andati nel mondo a predicare finché non li avessero fermati con la morte. Comunque lei per la sua vanità aveva reso impraticabile qualunque altra strada.
    Abbracciò Zebedeo, cercò di tranquillizzarlo ancora, assicurandogli che di quando in quando sarebbe tornata, e se ne andò dal villaggio, in silenzio nonostante numerosi per la strada le domandassero insistentemente cosa sapesse di quanto stava accadendo.
    Fu così che in molti conobbero una donna senza nome annunciare la resurrezione.


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