Intervista a Massimo Cacciari
(NPG 1999-05-87)
Levitico 25, 1-24: «Il Signore disse a Mosè sul Sinai: ‘Quando entrerete nella terra che io vi do, la terra dovrà avere il suo sabato consacrato al Signore. Per sei anni seminerai il tuo campo e poterai la vigna e ne raccoglierai i frutti, ma il settimo anno sarà come il sabato, un riposo assoluto per la terra in onore del Signore... Conterai anche sette settimane di anni, cioè sette volte sette anni. Al decimo giorno del settimo mese farai squillare la tromba dell’acclamazione. Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nel paese per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un Giubileo’».
Domanda. È da qui che ha origine l’anno santo, il Giubileo. Ma separato da questi contenuti, che senso ha?
Risposta. Questo vale per ogni festa, sia laica che religiosa: sono ormai tutte separate dai contenuti originali. Possiamo immaginare di avere la forza di ridare un contenuto a queste feste? Al centro di una festa simile metterei il perdono. Il perdono evangelico, il riconoscere le proprie colpe, per tutti, politiche, culturali, morali.
Una pubblica confessione in cui riconosciamo gli errori commessi e chiediamo a quelli che li hanno subiti, questi errori, il perdono, e a nostra volta ognuno di noi perdona gli altri. Dimenticare i conflitti, partiti che si confessano pubblicamente, cancellare le polemiche.
Sì, il Giubileo come un grande perdono collettivo: come Lui ci ha perdonati dia anche a noi la forza di perdonare. Il vero significato del Giubileo era forse la memoria di quante volte Dio avesse perdonato il suo popolo, il perdono invece della distruzione, in nome di quell’Alleanza stipulata sul Sinai.
D. Ispirata dal Giubileo dell’Antico Testamento immaginiamo davvero di poter ricominciare daccapo con il primo giorno del terzo millennio? Chi e che cosa non vorrebbe vedere più?
R. Sicuramente non vedremo più le grandi ideologie. I loro fondamenti sono franati insieme ai miti d’origine. Alla fine del medioevo si era cominciato a secolarizzare l’escatologia, e questo processo ha il suo apice nel Novecento. Le grandi forme utopiche, i grandi miti progressisti, tutta questa cultura europea non risorgerà più, in nessuna forma. Ma cosa nascerà da queste ceneri? Si affermerà l’idolatria nella sua quintessenza, che è l’indifferenza totale alle differenze. L’equivalenza di tutto: non si prende più posizione, l’irrisione di fronte ad ogni affermazione di valore. Non si prenderà più posizione a favore del proprio Dio per affermarlo di fronte a tutti gli altri dei. L’idolatria somma: è tutto uguale! Questa è l’ideologia che sta alla base della globalizzazione. La filosofia della tecnica contemporanea, la cui affermazione di valore è che nulla vale.
Ecco, io non vorrei vedere più né la secolarizzazione della speranza, né questa filosofia della globalizzazione. Vorrei vedere quel perdono di cui abbiamo detto prima, ma purtroppo il filosofo non è anche profeta.
D. E di che cosa, in questo secolo, andare veramente fieri? Cosa vorrebbe ricordare?
R. Questo secolo è stato una grande tragedia. Ha portato a compimento tutte le utopie del moderno, compresa la secolarizzazione dell’escatologia. Ha visto affermarsi la volontà di potenza. È questo un secolo che ha iniziato il processo di globalizzazione con tutti gli elementi tremendi di seduzione e fascino e incantesimo.
È un grande secolo apocalittico secolarizzato e lo voglio ricordare tutto. L’intelligenza umana ha raggiunto spazi enormi fino al delirio, senza confini. L’accelerazione del tempo cresciuta in modo inaudito, fino a quando crescerà? Questo delirio di ubiquità, l’essere ovunque in tempo reale, dove ci porterà? Quali le conseguenze psicologiche di questa accelerazione, di cui senza accorgercene siamo schiavi? Disincanto, sobrietà senza nostalgie, servono per giudicare serenamente questo secolo.
D. Helder Camara e l’Abbé Pierre hanno gridato: siamo credibili e non solo credenti! Per lei cosa vuol dir essere credibili, oggi e domani, per chiunque?
R. Per ognuno è manifestare la propria identità, il proprio essere. Il non credente deve tentare di comprendere, senza certezza di speranza, ma anche senza temere le speranze.
Tentare di capire, prevedere, progettare, essere vigili e sobri, senza contrabbandare ideologie. Il pessimismo è volersi chiamare fuori. Bisogna invece partecipare.
D. I giovani più intelligenti fanno fatica a vedere una strada per il futuro; cosa può dire loro per illuminare il cammino?
R. Siate vigili e sobri, critici, ma per comprendere. Non seguite solo il vostro interesse, perché se non pensate anche all’interesse degli altri non aiuterete neanche il vostro. Non siate idioti.
(A cura di Gino Girolimoni, Mediterraneo)